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Il quarto cavaliere
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Il quarto cavaliere

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About this ebook

Daria è una donna felice, che ha trovato una sua dimensione, che vive il sogno del suo amore pienamente realizzato, in uno spazio che non sembra terreno, in un gioco di dare e avere che si concretizza nel reciproco donarsi, completo, totalizzante, senza mai estraniarsi dalla realtà che a sua volta offre generosa i suoi doni in sempre nuove occasioni di felicità, di piccole e grandi gioie, di nuovi stupori, di nuove comprensioni, di nuove complicità…..
E all’improvviso la clessidra si rovescia, si rompe, lascia cadere i suoi grani per sempre, nel vortice di una realtà divenuta altra,diversa, nemica.
Il porto – richiamandoci a Saba – non accende più i suoi lumi, o li accende per altri, e il mare si è fatto scuro, non più navigabile.
Come tenere dentro di sé tanto dolore e tanta felicità di memorie? Come trovare un ubi consistam che risollevi Daria dal suo stato di prostrazione? A chi chiedere una mano per tentare di sopravvivere?
Il miracolo è del ricordo consolatorio. E allora, un po’ alla volta, la donna tenta il feeling con gli episodi della sua vita, quelli felici del passato e quelli tristi del presente, e inizia a raccontare, a raccontarsi.
Ed ecco che la pagina bianca si sostanzia dei suoi ricordi; la prosa, sospinta dall’entusiasmo e dalla gioia del ricordare scorre limpida ed essenziale; la commozione si fa accattivante, perché tutto trasuda dai sentimenti di Daria, vivi, forti, appassionanti; gli episodi diventano calamite che attirano e trattengono fino in fondo il lettore.
LanguageItaliano
PublisherAbel Books
Release dateNov 27, 2014
ISBN9788867521289
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    Il quarto cavaliere - Adriana Di Grazia

    IX

    A te, amore mio,

    al tuo dolce ricordo,

    alla serenità dei nostri giorni,

    perché il tuo breve sostare accanto a me

    non sia stato inutile,

    perché la nostra vita insieme

    non cada nell’oblio.

    CAPITOLO I

    I

    Guidavo e le lacrime mi riempivano gli occhi fino ad impedirmi di distinguere la strada davanti a me, i singhiozzi mi scuotevano il petto. Cos’era quel dolore terribile che attanagliava il mio cuore, mi toglieva il respiro, suscitava il mio pianto senza che io lo volessi? Non lo riconoscevo, non l’accettavo. Un dolore così era insopportabile, ne avevo provati altri nel corso della mia vita, inaspettati, drammatici, ma non ricordavo una sensazione così, come di un baratro spalancato sotto ai miei piedi dove io sprofondavo senza speranza di salvezza.

    Il mondo intorno mi appariva sfuocato, le voci giungevano al mio orecchio ovattate, la gente che mi veniva incontro sembrava distante anni luce, i loro problemi, i miei problemi di qualche istante prima apparivano all’improvviso banali, senza senso.

    No, gridava la mia mente fuori di senno, non può essere, non può essere! E la vita mi scorreva davanti a fotogrammi: il nostro primo incontro, le prime emozioni, sconosciute, forti, noi adolescenti alle prese con un sentimento troppo grande che ci aveva colti all’improvviso, turbando e tormentando dolcemente i nostri giovani cuori, i timori, le ansie, le attese, le tenerezze, il primo bacio, le prime sconvolgenti sensazioni, la grande passione e poi la nostra vita insieme, la nostra bella e serena vita insieme, la trepidazione nell’attesa dei figli, lo stupore nel conoscere i loro lineamenti dopo nove mesi di attesa, di ritrovare nei loro tratti i nostri.

    Da un piacere per nulla meschino,

    di più che grande, un giorno,

    verrà alla vita un cuore,

    che avrà il tuo volto e le mie mani,

    ed avremo la gioia di averlo creato noi."

    Così avevo scritto nell’enfasi dei miei sedici anni.

    E la grande voglia di stare insieme, sempre.

    Sei la mia vita, soleva spesso ripetermi, non vivrei senza di te! Ed i progetti, tanti e sempre nuovi, molti ancora da realizzare.

    Di colpo tutto appariva fermo, muto, irreversibile, la nostra vita non aveva più un futuro, il domani faceva paura.

    Non poteva essere vero!

    II

    Quando conobbi Marco avevo compiuto da poco tredici anni e mi affacciavo alla vita con gli occhi impauriti di un animaletto selvatico, solitario e malinconico.

    Frequentavo da qualche mese il primo liceo scientifico ed il pensiero di crescere, di varcare la soglia dell’adolescenza, mi inebriava. Quel tempo l’avevo atteso, sognato, ed ora trepidavo all’idea di tutte le emozioni che avrei provato.

    Finalmente la classe che frequentavo era mista, anche se i ragazzi sedevano tutti su una fila e la campana d’ingresso suonava un quarto d’ora prima per noi ragazze, che salivamo le ripidissime scale dell’austero istituto sotto lo sguardo glaciale del preside.

    Quella promiscuità era qualcosa di eccitante, mai provata prima, che lasciava ampio spazio alla competizione.

    Noi ragazze ci ritrovavamo ad impiegare più tempo davanti allo specchio, al mattino.

    Sbrigati, faccio tardi! gridava mio padre che doveva accompagnarmi a scuola prima di recarsi in ufficio, mentre io lisciavo i miei capelli per farli sembrare più lunghi.

    In classe ci scambiavamo furtivi sguardi con i compagni della fila accanto, non capivamo bene se fosse complicità o corteggiamento e quando i professori si rivolgevano a noi dandoci del lei, ci sentivamo al settimo cielo.

    Era proprio cambiato tutto!

    Durante le vacanze di Natale Gianluca, più grande di quasi tutti noi di tre anni perché ripetente, organizzò la prima festa da ballo.

    Lo conobbi lì, in quella piccola calda stanza dove l’aria era appesantita dal fumo delle sigarette che rendeva opache le luci colorate ad intermittenza e faceva bruciare gli occhi. Con la testa in fiamme, mentre i miei compagni si abbandonavano all’allegria tipica degli studenti di tutto il mondo, in disparte, lo sguardo smarrito, vedevo vivere la loro vita e guardavo con distacco quella felicità eccessiva che mi nauseava. La voce sommessa di Rita Pavone: "………… mi chiedo se in questo momento……… ti senti anche tu tanto male……… ci sono dei momenti che le parole sono contro di noi………" accentuava la mia tristezza ed il desiderio di evadere da quell’ambiente che mi metteva addosso soggezione e paura nello stesso tempo.

    L’ansia che mi aveva attanagliato a casa, mentre mi vestivo, adesso si trasformava in timore di sostenere quella serata che non sapevo cosa mi avrebbe riservato.

    D’improvviso lo vidi entrare, inatteso, sconosciuto tra i miei compagni di classe infantili e chiassosi, alcuni ancora con i calzoni corti, intenti a mettersi in mostra con noi ragazze. Emanava un profumo di colonia e tabacco ed era lì, in doppiopetto scuro, magro ed abbronzato, avvolto da una nuvola di fumo, il bocchino tra le dita scure, il portamento altero, diverso da tutti noi e, decisamente, più grande.

    Era il migliore amico di Gianluca, invitato perché una festa senza di lui sarebbe stata impensabile per Gianluca ed io con i miei calzettoni bianchi, la gonna da scozzese a pieghe, timida ed impacciata, mi ero sentita ancora più goffa, sarei scappata con le lacrime agli occhi per sottrarmi al disagio, ma ero rimasta a fare da tappezzeria, tormentando le mie povere dita tremanti, a guardare con occhi spauriti Beatrice che, con i suoi tacchi a spillo e le calze velate, si divertiva a sconvolgere quei piccoli uomini con un accenno di peluria sul viso che facevano a gara per invitarla a ballare, nonostante il suo metro e mezzo d’altezza ed il muso da scimmia.

    Poi, sul finire della serata, avevo sentito una voce profonda alle mie spalle: Balli?

    Da dove proveniva quella voce?

    Avevo girato lo sguardo ed avevo sentito gli occhi intensi di quello sconosciuto penetrare dentro di me, un sorriso sarcastico sulle labbra: balli? aveva ripetuto con voce più suadente.

    Non ero riuscita neanche a rispondere, l’emozione paralizzava la mia lingua, avevo abbassato lo sguardo e mi ero girata lentamente, col cuore in tumulto.

    La musica aveva iniziato a suonare e lui allora mi aveva circondata la vita, mi aveva presa la mano poggiandola sulla sua giacca di lana ed aveva iniziato a condurmi, canticchiando quel motivo nel mio orecchio: "Bambolina, dimmi di chi sei……… parla un po’ con me……… negli occhi tuoi io leggo che sei sola come me………"

    La pelle della sua mano era morbida, di una morbidezza sontuosa, il tocco gentile, ma mi sentivo a disagio, sicuramente quel ragazzo con la puzza sotto il naso che mostrava una maturità insolita per la sua giovane età, si burlava di me e del mio aspetto infantile. Era senz’altro antipatico e desideravo che quel ballo finisse al più presto. Intanto respiravo silenziosamente, a pieni polmoni, il suo odore, mentre speravo che non percepisse il frastuono del mio cuore. Quello era il mio primo ballo!

    Grazie! mi aveva detto, cercandomi gli occhi, quando la musica era finita ed aveva riposto con garbo la mia mano come fosse fragile, poi, voltandosi, mi aveva ignorata per il resto della serata.

    III

    Non pensavo a lui, per me era lontano ed irraggiungibile ed anche antipatico, si dava delle arie, si muoveva dietro ad ogni ragazza e quel sorrisetto perennemente stampato sul viso mi metteva a disagio.

    Da quel giorno guardavo Gianluca con occhi diversi, era stato lui, con il suo spirito organizzativo e la sua cortesia, a metterci insieme ed a far sì che si creasse, tra noi compagni, un certo affiatamento.

    Dalla sera della festa ci sentivamo più allegri, desiderosi di rivivere la magica atmosfera del primo ballo e di ritrovarci fuori dalle pareti scolastiche, lontani dagli sguardi severi dei professori.

    Ogni scusa era buona. A volte ci riunivamo, col pretesto di studiare, a casa di Beatrice i cui genitori, essendo figlia unica, le permettevano qualsiasi divagazione.

    Beatrice aveva sempre qualche leccornia da offrirci, oltre che deliziarci con le manifestazioni d’affetto del suo muto barboncino. Nel sentirci arrivare un’informe massa di pelo nero, slittando sul pavimento di marmo lucidissimo, si lanciava verso di noi. Solo il repentino intervento della mamma di Beatrice, agilissima in questo compito nonostante l’età avanzata, che lo afferrava al volo come la parata di un portiere durante una serrata partita di calcio, gli impediva di travolgerci.

    Tra un esercizio di matematica ed una frase di latino divoravamo dolci e scattavamo foto. Il mangiadischi era sempre pronto ad allietarci con qualche canzone romantica: "Questa è la storia di uno di noi, anche lui nato per caso in via Gluck…"

    Cercavamo l’accordo per imitare al meglio la voce piena di Celentano, provavamo e riprovavamo i toni delle canzoni più belle, estasiandoci con le tenere frasi d’amore in esse contenute, a volte ballavamo tra noi, altre sprofondavamo in problemi esistenziali.

    Sei innamorata? mi chiedeva Elisa guardando il meraviglioso tramonto di un pomeriggio di studio.

    No, credo di no, rispondevo perplessa.

    "Peccato! ……….… Io credo che l’amore sia la cosa più bella che esista, credo che la felicità dipenda da noi, dal sapere approfittare dei momenti anche brutti e renderli belli ai nostri occhi. Non essere triste, guarda il tramonto, guarda la vita attorno a te, la vita è bella

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