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Giustizia Islamica
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Giustizia Islamica

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About this ebook

La ’ndrangheta è frutto di una concezione arcaica e violenta della Società: le sue leggi sono ferree e le punizioni comminate senza alcuna pietà.
Ma cosa può accadere quando questa organizzazione criminale si scontra con una civiltà integralista come quella islamica, con leggi altrettanto spietate?
Attentati, omicidi, rapimenti e vendetta: in mezzo a questo epico scontro si troveranno Pietro, Chiara, Antonio e Claudio, con il loro amico Kabir, ancora una volta in prima linea a rischiare la loro vita per affermare la necessità dell’impegno personale nella lotta per la legalità.
LanguageItaliano
Release dateOct 22, 2012
ISBN9788881019175
Giustizia Islamica

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    Giustizia Islamica - Sergio Aquino

    Perugia

    Prefazione

    di Paola Bottero*[1]

    «La giustizia è umana, tutta umana, nient’altro che umana; è farle torto riportarla, da vicino o da lontano, direttamente o indirettamente, ad un principio superiore o anteriore all’umanità».

    Così sosteneva Proudhon, il grande filosofo francese, all’inizio del Diciannovesimo secolo. La Francia stava risollevandosi dalla sua rivoluzione, l’illuminismo si era ormai spento, l’integrazione razziale e la mescolanza con diverse culture e diverse religioni apparteneva al futuro.

    Fa un effetto strano, rileggere Proudhon alla luce della shari’a, che è esplosa con tutta la sua violenza assieme alle Torri gemelle. Che ormai fa parte della nostra quotidianità. E che è la base fondante di questa nuova avventura in cui i personaggi di Sergio Aquino vengono portati in una Perugia sporca di ’ndrangheta come il resto dell’Italia. Un effetto scomodo e fastidioso, almeno fino a quando non si arriva alle ultime pagine di Giustizia islamica.

    Sempre più difficile scavare oltre la crosta. Sempre più difficile andare oltre i titoli dei giornali, le cronache costanti che ci offrono una fotografia fastidiosa, che vorremmo irreale, di come la violenza sia diventata la base fondante di ogni atto, di ogni gesto. Di come sia diventata la base della nostra società.

    Chiara e Pietro, i protagonisti innamorati di cui ci siamo innamorati a nostra volta all’ombra del Mab, sono tanto, troppo simili a noi. Fragili e forti. Indignati e inermi. Capaci di grandi sentimenti e di grandi paure. Assetati di giustizia.

    Ci portano a Perugia, dove hanno deciso di vivere lontani dal magma calabrese della criminalità organizzata, e si fanno coinvolgere in una nuova avventura. Insieme a noi. Si forma la squadra di sempre. Ritornano Antonio, Kabir, Claudio, Carlo. E nuovi personaggi che sembrano usciti direttamente dal Padrino, ma sono così spudoratamente reali da mettere i brividi.

    Assieme alla storia che si dipana veloce e tesa per comprendere a chi addebitare la morte di Karim ritornano le domande di sempre. E i grandi pensatori cercano di aiutarci a comprendere cosa sia la giustizia. Perché è differente dalla vendetta. Dove finisce una e dove inizia l’altra.

    Sorge il dubbio che avesse ragione François De La Rochefoucauld. E che sia una verità assoluta la sua massima «nella maggior parte degli uomini, l’amore per la giustizia non è altro che il timore di patire l’ingiustizia». Ma se avesse ragione lui, il moralista vissuto secoli fa, questo timore non sarebbe sufficiente a evitare le ingiustizie?

    Fa riflettere, la nuova avventura uscita dalla penna di Aquino. Scombina. Rimescola. Provoca accostamenti e reminiscenze letterarie continue. Torna l’onnipresente Wilde, secondo il quale «vi è una sola cosa peggiore dell’ingiustizia: la giustizia senza la spada in mano». E allora segui le armi nelle mani di Kabir, quasi per aiutarlo a cancellare i troppi soprusi che ormai siamo abituati a guardare inerti, come se la nostra società e la nostra vita fossero destinate a scorrere, fredde e irreali, sul solito schermo televisivo, capace di mangiare e rendere fantastiche anche le realtà più crude.

    Punizione del colpevole, Chiara, non vendetta spiega Kabir, "Ne abbiamo parlato e spero di essermi spiegato a sufficienza. E, comunque, non mi è costato tantissimo: la mia religione mi insegna che, se è volontà di Allah, sia sempre lodato il Suo nome, che quel maledetto sia punito, non basteranno mura altissime o eserciti di guardie a salvarlo."

    È scomodo, Aquino. Ti rimescola dentro tutto ciò che hai letto, tutto ciò che hai studiato, tutto ciò che hai scritto, tutto ciò che hai soffocato dentro. Cerchi di dirti che si tratta solo di un thriller, di un romanzo d’azione in cui ti identifichi più facilmente perché conosci bene i suoi personaggi. E anche lo scrittore. Ma sai che non è vero. Sai che quella finzione, quella storia, è molto meno cruda della cronaca quotidiana, che scorre uguale a se stessa, da troppo tempo, su fiumi di acidi. Muriatico, innanzitutto.

    Ti prendi una pausa sentendo i profumi corposi dei vini d’annata che riportano alla normalità i protagonisti e nuovamente vieni assalito da pensieri. Da domande. Da riflessioni.

    Allora abbracci e fai tuo Marcel Proust, che ti offre l’unica chiave di lettura possibile di Giustizia islamica: «Riceviamo dalla nostra famiglia così le idee di cui viviamo come la malattia di cui moriremo». Una famiglia che si allarga. Prende le fattezze di chi ti ha educato anche fuori dalla cerchia parentale. Assume i colori e gli odori dei tuoi maestri di vita. Papà e mamma, prima di tutti. I tuoi insegnanti e professori più cari. I tuoi mentori quando hai iniziato la professione. Le tante persone che hai incontrato sul tuo tragitto. Al lavoro, nelle battaglie sociali, nei convegni, per strada.

    La nostra è una famiglia allargata che si chiama società. Una famiglia capace di offrirti le migliori idee, quelle che ti danno la forza per andare avanti, ma anche le peggiori malattie. Ereditarie come l’assuefazione alla morsa stretta in cui sentiamo ciascuno sul collo il fiato dell’altro. E ci voltiamo per non sentirlo, perché ci fa male. Perché è il nostro stesso fiato, senza voce e senza colore, che semplicemente esce da un altro corpo.

    Scrive Aquino, descrivendo con crudezza e profondità la morte di Tommaso Parise: tu te la fai addosso e te ne vai via da questo mondo esattamente come quando sei nato, sporco di urina e merda. Ciò che Sergio non scrive è che quella sporcizia ci circonderà per tutta la vita, se non troveremo la forza di ripulirci con le nostre azioni e con i nostri pensieri.

    Lo leggi tra le righe, però. Perché tra le righe è scritto forte. Chiaro.

    E tu senti quell’odore che sale.

    Che ti crea un’urgenza dentro: iniziare a comprendere che la realtà è fatta di storie come questa.

    Che non bisogna trovarsi coinvolti in prima persona per iniziare a lottare alla ricerca di una giustizia.

    Qualunque essa sia.

    [1]* Giornalista, esperta di marketing e comunicazione pubblica, scrittrice, autrice di Jus sanguinis’Ndranghetown e Bianco come la vaniglia

    Nota dell’Autore

    Dalla Calabria all’Umbria: cambia la location del romanzo ma non cambia la sua protagonista assoluta in negativo, quella ’ndrangheta che, incontentabile ed incontenibile, spande ovunque in Italia e nel mondo intero i suoi maledetti tentacoli.

    Quello che cambia è il suo antagonista perché alla più violenta organizzazione criminale del mondo si contrappone questa volta non solo la società civile, rappresentata dai personaggi che già conoscete, ma anche qualcosa di ancora più arcaico e tribale della ’ndrangheta: la Giustizia amministrata secondo le regole del Corano.

    Una Giustizia semplice ed implacabile che si richiama a quel …se segue una disgrazia, allora pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido… dell’Antico Testamento (Esodo 21, 23-25).

    Con un soggetto di questo tipo da trattare, doveva per forza cambiare anche il registro stesso del romanzo: chi ha letto le prime due avventure dei miei personaggi, che ritroverà in Giustizia islamica, noterà sin dalle prime pagine che il livello della violenza è certamente aumentato e che la sua stessa rappresentazione ha cambiato genere.

    C’era tanta violenza anche in Indagine all’ombra del Mab, ma era molto sottintesa, più morale e sociale che fisica (il massimo dell’atto fisico violento era uno schiaffo dato da uno ’ndranghetista a Carlo Donati) ed è vero che essa permeava tutto il romanzo ma era più minacciata e temuta che non messa in atto.

    In Sangue sui rifiuti la violenza fisica c’era, perché il rapimento di un bambino è violenza allo stato puro ed il taglio del suo orecchio non è certo cosa da poco: eppure, nonostante le tante armi usate, i colpi sparati, le fughe e gli attacchi, alla fine il conto dei caduti sul campo si fermava ad una, due unità al massimo.

    Un po’ come nella serie di telefilm dell’A-Team, un cult nel quale ci si sparava con le armi più potenti e devastanti, c’erano spaventose esplosioni, mirabolanti incidenti stradali e cadute paurose, ma nessuno, neppure tra i cattivi, moriva mai: così come nel telefilm l’assenza di violenza realistica serviva a rendere ancora di più il senso del falso, del costruito, del fantastico, a me è sembrato che anche nel romanzo questa assenza allontanasse il senso del vero, del reale, del quotidiano, catapultando i fatti narrati in un mondo parallelo alquanto fiabesco e non certamente aderente ad una realtà che invece, con la morte violenta, fa i conti ogni giorno.

    Fino ad oggi non mi era affatto dispiaciuta questa dimensione leggermente irreale e fantastica nella quale i miei personaggi si muovevano ed agivano, ma volendo affrontare il tema dello scontro, fisico ed ideologico, tra due culture, quella ’ndranghetista e quella islamica, entrambi arcaiche, ho preferito rappresentare le situazioni che andavo via via inventando calandole nel vissuto quotidiano che tutti conosciamo e che è oltremodo violento.

    Troverete, quindi, più realismo nel racconto di questa nuova avventura di Chiara e Pietro con i loro inseparabili amici: trattandosi poi di uno scontro anche fisico tra delinquenti calabresi e combattenti palestinesi di fede islamica, ci sarà anche più violenza del solito.

    Io mi auguro di non essere caduto nello splatter, perché non era questa la mia intenzione: certo, converrete con me che, se si cominciano a maneggiare gli esplosivi, è difficile tenersi lontano dal sangue.

    Sergio Aquino

    a tutti quelli che lottano

    per cambiare il presente

    che li schiaccia ma che non ha

    cancellato i loro sogni.

    I personaggi ed i fatti narrati in questo romanzo sono creazioni di pura fantasia; ogni eventuale riferimento a persone viventi o vissute ed a fatti davvero accaduti è frutto di puro caso.

    Invece, la maggior parte dei luoghi dove si svolgono le azioni descritte nel romanzo sono reali: così come purtroppo sono reali la ’ndrangheta e la sua espansione nel resto della Nazione.

    Media chiara a Corso Vannucci

    Nel locale la pallida luce del sole pomeridiano d’inverno non riesce a filtrare attraverso le spesse tende scure messe a coprire le grandi finestre-vetrine che si affacciano sul Corso: la penombra tende in genere ad aumentare il grado di intimità per gli ospiti dei quattro separé allineati sul muro di fondo.

    Oggi solo il salottino più esterno, quello quasi a contatto con i tavoli disseminati per tutto il resto del bar, è occupato: un pomeriggio strano, da questo punto di vista, perché in genere nel locale è tutto un via vai di gente, un vociare indistinto che copre ogni parola, invece oggi c’è una calma persino eccessiva.

    Le voci dei due giovani seduti comodamente sul divanetto imbottito davanti ai loro boccali di birra risuonano nel silenzio irreale e le loro parole arrivano fino al barman, che, con aria distratta, continua senza sosta a strofinare con uno straccio umido il bancone semicircolare di mogano: se in mano, invece di un pezzo di cotone, avesse della carta vetrata, per l’impegno che ci mette, a quest’ora del grande mobile di legno non sarebbe rimasta che segatura.

    Il barista fa finta di non sentire e si concentra sul suo compito con un impegno degno di miglior causa: solo, ogni tanto, guarda sottecchi i due che parlano e ridono a tutto volume senza preoccuparsi del fastidio che potrebbero procurare agli altri eventuali clienti; per fortuna, quel pomeriggio c’è solo un’altra persona, seduta davanti ad una media chiara e ad una ciotola di arachidi.

    È un uomo di una certa età, capelli bianchi corti e baffi dello stesso colore che, per dannata combinazione, con tanti tavoli liberi a disposizione è andato a sedersi proprio a quello di fronte al separé dei due chiassosi avventori; per fortuna sembra che il vociare non gli dia fastidio, non si è tolto neppure il pesante cappotto di pelle nera imbottito, nonostante il locale sia ben riscaldato. Probabilmente a quell’età si sente sempre freddo: è seduto da un bel po’, è entrato subito dopo i due giovani, ha ordinato una birra media chiara e ora guarda la schiuma bianca come se stesse osservando in una palla di vetro. Non sembra infastidito dal chiasso e comunque non ha il comportamento tipico di uno che possa attaccare briga e d’altra parte non ha neppure l’età giusta per farlo.

    Meglio così, – pensa Corrado, il barista, che farebbe volentieri compagnia all’uomo con il cappotto, con una bella birra che ora ci starebbe benissimo – ci mancherebbe solo una lite tra clienti e poi il pomeriggio sarebbe completo.

    Le risate dei due nel salottino, intanto, si fanno sempre più grasse e sonore, mano a mano che il racconto di uno dei due va avanti.

    – Mi devi credere, Frà: ormai quasi non ci prendo più nemmeno gusto a scoparmele ‘ste ragazze perugine. Al giorno d’oggi, più sono giovani e belle, più sono stupide come oche e quindi più cadono come pesci nella rete. Tu lo sai come faccio, no? Mi hai visto all’opera tante volte! Ormai il metodo è collaudato: ne scelgo una, ma deve essere davvero bella, sennò non ne vale neppure la pena di perderci tempo appresso, la seguo fino a scuola, per un paio di giorni mi faccio notare con la mia macchina…

    – Eh, beato te, con un macchinone come quello…

    – Sì, anche quello, come i miei vestiti, l’orologio d’oro, le scarpe di coccodrillo, tutto fa parte del meccanismo "dell’acchiappo": dopo un po’ lei mi nota, io la guardo, faccio un po’ di corteggiamento veloce, poi, appena capisco che le compagne già la invidiano perché io l’ho notata, mi faccio avanti e le chiedo se vuole fare un giro in macchina. Da lì, il resto è tutto in discesa…

    – Ma come la convinci? Va bene che sei un bel ragazzo, che si capisce che hai la grana, che fai colpo: ma se quella proprio non ci sta?

    – Ohi Frà, ma ti devo spiegare proprio tutto? – e con fare quasi sconsolato toglie dalla tasca del cappotto di cachemire appoggiato alla poltroncina un piccolo flacone e lo mostra all’amico – Con dieci gocce di questo, non c’è ragazza che ti possa resistere…

    – Cazzo, Michè! Sei un demonio…

    – Ma che demonio e demonio, sono cose che al giorno d’oggi sanno tutti! Frà, ma tu non li guardi i telefilm americani su Sky? A Las Vegas pare che i giovani non facciano altro che drogare le ragazze, scoparsele una notte intera e poi lasciarle per strada! Tu abbordi la ragazza giusta, le offri qualcosa da bere, metti qualche goccia di questo liquido magico nel liquore, cominci a carezzarla per bene e dieci minuti dopo è carne da macello disposta a tutto per soddisfare le tue voglie!

    E scoppia in una risata oscena, mentre mima inequivocabili atti di libidine e l’amico gli dà forti pacche di approvazione sulle spalle.

    – Le ragazzine di oggi, credi a me Frà, vogliono solo essere scopate dappertutto ed io le accontento. Poi, quando ho finito e le mando a fanculo, loro piangono, si disperano, alla fine si vergognano di quello che hanno fatto ed io allora le terrorizzo, minaccio di raccontare tutto ai compagni di scuola, ai professori, di dire che sono state loro ad adescarmi, che hanno voluto dei soldi per comprare la droga, che sono delle puttane, gli dico che forse la Polizia le incriminerà per droga e certamente le schederà come prostitute. Se poi insistono, gli faccio vedere la pistola e gli dico che sparerò al padre, al fratello, alla madre, a tutta la famiglia: quando sentono l’accento, Frà, ci credono subito… Insomma, le faccio tremare dalla paura e stanno zitte. Fino ad oggi, ne avrò scopato cento con questo sistema e nessuna si è permessa di parlare.

    Sì nnù granne, Michè! ’Na vòta, mi cci pùarti pur’a mmìa?[2]

    – E cumu no? E ni scialàmu! Ciù facìmu vida nùa a ’sti cazz’i umbri ’i cchi pasta sìmu fatti![3]

    L’uomo seduto da solo, al tavolo di fronte ai due, alza lentamente il boccale e beve un lungo sorso di birra; la schiuma gli fa intorno alla bocca una cornice bianca, che si confonde con i folti baffi dello stesso colore.

    Appoggia il boccale sul tavolo, alza gli occhi verso il soffitto ed ingoia soddisfatto il liquido freddo e leggermente amaro; poi prende dal dispenser sul tavolo un fazzolettino di carta e pulisce accuratamente i baffi e gli angoli della bocca: appoggia il gomito destro sul tavolo e con la mano comincia a lisciarsi i baffi, come se volesse incollarli ancora di più al labbro superiore, mentre fissa lo sguardo sui due che ormai sono in preda ad un riso irrefrenabile.

    Tra una risata ed un’altra, uno dei due, Michele, quello più intraprendente e furbo, si accorge di essere oggetto di osservazione e, sospendendo per un attimo le risate, si rivolge all’uomo che continua a guardarlo.

    Cchi c’è, compà, ’un ti trùavi?[4] Ti diamo fastidio se ridiamo? Forse preferisci che intoniamo una bella messa funebre in tuo onore? Tu basta che chiedi e noi subito ti accontentiamo.

    E giù altre risate e pacche sulle spalle.

    Ma l’uomo non distoglie lo sguardo, anzi i suoi occhi, scuri come la notte, si serrano ancora di più ed ha un quasi impercettibile fremito al labbro superiore sinistro, come di disgusto.

    Mò a mìa mi para ca stà esagerannu, vìecchiu e bbùanu! Frà, vieni nu pocu ccù mmìa![5]

    Si alzano all’unisono e con fare minaccioso vanno verso il tavolo dell’uomo, che non muove un muscolo del viso: Corrado annusa aria di lite e pensa che l’aveva prevista; prende la mazza da baseball

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