Della Memoria e dell'imaginazione sociale
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Della Memoria e dell'imaginazione sociale - Pasquale Rossi
Paesi.
Premessa
Qualche anno fa, leggendo il raffinato libro di Remo Bodei, Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze
[1], di cui un capitolo, Conduttori di anime
[2] è dedicato a Le Bon autore di Psychologie des foules
(1895), ricordai di aver letto che un cosentino, Pasquale Rossi, aveva anche egli dedicato uno scritto il cui titolo, L’animo della folla
(1898), echeggiava quello di Le Bon. Cercai questa opera[3] che ebbe in quegli anni una modesta circolazione, ma non mi fermai lì, e difatti mi procurai una seconda opera, Psicologia collettiva. - Studi e ricerche
pubblicata il 1899. Questa lettura degli scritti di Pasquale Rossi, un medico cosentino, filantropo, buon conoscitore della produzione filosofico-scientifica di quegli anni di fine Ottocento dominati ancora dagli orientamenti del Positivismo e nei quali si vanno facendo strada le idee di Marx, Engels, Antonio Labriola[4], tutt’altro che estranee al cosentino, mi sollecitò a capire gli orientamenti filosofici dell’Autore dell’Animo della folla
, senza tuttavia pensare di dovere istituire raffronti con il più noto Le Bon di cui d’altra parte conosceva e discuteva le posizioni. Due occasioni poi, un Convegno dedicato al Rossi nel 2005 e la presentazione nel 2006 di una riedizione presso la Ed. Klipper di una opera del Rossi Le Rumanze ed il Folklore in Calabria
(1903)[5], per la quale mi si chiese una introduzione benché fossi inesperto sui problemi socio-antropologici e linguistici, dei miti e del folclore, e che quindi limitai ad accertamenti semplicemente di tipo storico-filosofico, mi convinsero del tutto a cercare di dare una lettura critica della linea positiva
di pensiero seguita dal filantropo cosentino. Mi è risultato subito chiaro che buona parte della cultura cui diede vita il positivismo specie negli studi relativi a sociologia, psicologia, antropologia confluisce negli scritti di Rossi e fa da base alle sue ricerche di psicologia sociale e collettiva
, motivandone soprattutto la persistente esigenza di pervenire ad una scienza. Come è testimoniato anche dai tantissimi autori ( Binet, James, Tarde, Scipio Sighele, William Wundt, Morselli, Sergi, Lombroso)dell’epoca del positivismo che affollano le pagine degli scritti[6], e delineano l’orizzonte ideologico-culturale e scientifico entro cui si è mosso Pasquale Rossi, tutti i principi (leggi fisiche, selezione naturale, evoluzionismo, fatto, osservazione, metodo) e le presunte verità cui perviene il pensiero positivista, in special modo nelle applicazioni al campo della psicosociologia, si ritrovano in quel disegno che il medico-filantropo cosentino ambisce a portare a livello di una scienza, di delimitare il campo di un oggetto che viene a collocarsi tra psicologia e sociologia. La Introduzione
a L’animo della folla (Seconda edizione con l’aggiunta di nuovi studi, 1909), in cui Rossi chiarisce bene quel che è presente nel suo lavoro sulla psicologia sociale
di una concezione monistica e unitaria del mondo
che è il punto di arrivo del gran movimento scientifico di quegli anni
[7], riconosce egli stesso di essersi ispirato ad un troppo reciso positivismo
dal quale aveva preso successivamente, dagli anni della prima stesura dell’opera, qualche distanza. Difatti sottolinearà successivamente le consonanze con quella larga corrente di pensiero psico-sociale che in Italia, prima che altrove, sgorgò dalla dottrina del Vico biforcandosi in due vivide correnti: Filangieri, Salfi, Pagano ecc., fra i filosofi meridionali d’Italia; Romagnosi, Ferrari, Gioia e, specialmente, Carlo Cattaneo fra i settentrionali
[8]; in tale corrente psicosociale italica
, dove individuale e collettivo si fondono, e nel positivismo italiano di Roberto Ardigò, Rossi crede di venire ad attutire tanti lati troppo dommatici della dottrina positivistica. A Vico, ai suoi Principii di una seconda Scienza nuova
(con note di G. Ferrari, Napoli, 1859), a Carlo Cattaneo ed alla sua Psicologia delle menti associate
(1859-1866), Rossi rimanderà proprio per affermare una sua filiazione filosofica nazionale.
Come si vede, stiamo più che altro cercando di fare emergere lo spessore di letture e di conoscenze sul cui sfondo è collocata la intuizione o scoperta che è la psicologia collettiva
come scienza, della quale l’animo della folla
è appunto l’asse fondamentale. Quale via prende Rossi nelle sue investigazioni, a quali strumenti metodologici egli affida l’esplorazione delle strutture portanti delle dinamiche individuali e collettive? Tutti gli scenari gli vengono aperti da quello sviluppo progressivo e meraviglioso della scienza
che ha dimostrato tutti i passaggi che si compiono dai fatti fisici ai fenomeni intellettuali; l’applicazione del metodo positivo
per arrivare a dare forma e fisionomia propria
alle conoscenze del fatto
della psiche individuale e collettiva e per distinguerle da quelle delle altre scienze delimitando per esse un campo specifico, tiene particolarmente impegnata la riflessione del Rossi per la quale il metodo è tutto
[9]. Rossi tiene a rimarcare il campo della psiche collettiva
distinguendolo da quello sociologico: discutendo le tesi di altre scuole, così scrive: Il rapporto della psicologia collettiva con le altre scienze è concepito in modo diverso: secondo alcuni, la psicologia collettiva si confonde con la sociologia (Tarde e scuola del metodo psico-sociologico)
; secondo altri, la psicologia è un trait d’union tra psicologia individuale e sociologia, giacché il prodotto psico-collettivo è diverso dalle unità che lo compongono, contrariamente a quanto dice lo Spencer avvenire per la sociologia, nella quale il composto è determinato dalle qualità dei componenti (Sighele e Ferri); infine, secondo una terza concezione sostenuta da me nell’Animo della folla, la psicologia è una scienza a sé, in parte biologica, in parte sociologica, sui generis.[10]. Nei confronti delle diverse scuole di pensiero, Rossi rivendica a sé il merito di aver dato alla
psicologia collettiva l’oggetto ed i confini necessari per farne una scienza, ed al Groppali, riconosciuto valido e
coltissimo sociologo, il quale gli rimproverava di avere nel suo
buon libro l’Animo della folla, confuso spesso
la psicologia collettiva con quella sociale divagando
fuori da quei limiti in cui l’avevano chiusa il Ferri, il Sighele per entrare nei domini della sociologia, ritiene di dover dare una risposta ribadendo le differenze tra psicologia collettiva (il suo oggetto è la folla) e psicologia sociale (il suo oggetto è un
insieme di folle in rapporto ad un dato fatto storico)[11]. Che valore dare a queste discussioni in cui Rossi appare intensamente impegnato e, soprattutto, che peso hanno le rivendicazioni ed i giudizi circa il distacco della psicologia dall’albero filosofico cui era stata fin dal suo sorgere tenacemente avvinta
per costituirsi in scienza autonoma e ritemprarsi dalla pura introspezione nella osservazione e nell’esperienza
, tutto ciò richiederebbe un esame più attento e mirato. Rossi ci mette di fronte ad un ampio scenario in cui appaiono metodi e branche psicologiche nuove
: arrivava a compimento lo studio della psiche individuale e si prendevano altre strade come lo studio della psiche inferma
(psicologia patologica) e quello delle forme psichiche complesse
(psicologia collettiva e sociale); quanto a questa ultima, Rossi insiste e chiarisce: Alla psicologia sociale si era venuta aggiungendo la psicologia collettiva o della folla attorno alla quale i seguaci della scuola di G.B. Vico, in specie Melchiorre Gioia, sul principio del sec. XIX, avevano dato pagine mirabili
[12]. Anche questa linea, tracciata quanto meno con una qualche facilità dal Rossi, di precursori
della psicologia collettiva, da Vico a Melchiorre Gioia meriterebbe più di un chiarimento che qui non possiamo fare, e tuttavia opportuni paiono i molti riferimenti a Vico che incontriamo negli scritti del positivista cosentino, e nella Memoria
che stiamo presentando. Vi sarebbe tanto da dire sulle tesi specifiche ed i ragionamenti che le accompagnano, dove si vede anche l’orientamento politico ideologico del Rossi. Rossi è sempre piuttosto esplicito e lucido nel fare emergere le sue convinzioni; si veda ad esempio come rimarca la sua veduta dei processi storici: "Fino a pochi anni fa, il moto progressivo della storia era concepito in maniera idealistica: l’idea muoveva gli uomini; ma gli ultimi anni, con i quali si era chiuso il vecchio secolo, e le vicende del nuovo doveano rompere il velo dell’idealità; la storia apriva il proprio seno, disvelando, mostrando le leggi del suo progresso, riposanti nella materialità della storia, nel prosaico soddisfacimento del bisogno economico. L’aspetto idealistico del mondo era dunque una superstruttura, era come il drappo che ricopriva la statua, dandole parvenza di persona viva. Il gran motore era trovato: due forme antitetiche di produzione intorno a cui si era formato, come incrostazioni calcaree, due leggi differenti, due sentimenti religiosi diversi, e poi due letterature,