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A un passo da noi
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A un passo da noi

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About this ebook

Mya e Noah tornano in un unico romanzo ''A un passo da noi''. Comprende l'intera trilogia: Ali di cenere, Volerò da te e Sei tu il mio cielo, ma in più presenta dei capitoli aggiuntivi finali.

Mya ha 23 anni, è una studentessa e vive a San Diego insieme a Erika, la sua migliore amica. Ha alle spalle un tradimento d’amore e da allora non è più in grado di fidarsi degli uomini. Tutto cambia però quando nella sua vita irrompe Noah, un misterioso ragazzo dagli occhi azzurri, fotografo freelance, sempre in sella alla sua moto che riuscirà a sgretolare parte di quel muro che Mya aveva eretto attorno al proprio cuore.
Ma Noah sembra nascondere dei lati oscuri, enigmatici della propria vita, e per questo contro ogni aspettativa sarà proprio lui a cercare di frenare la passione improvvisa che li travolge. I segreti di Noah inziano ad emergere, e proprio per preservare quei segreti fugge via, lasciando famiglia, amicizie, e Mya. Tuttavia la riconciliazione dopo cinque mesi non è priva di difficoltà perché Mya è andata avanti con la propria vita, con un altro ragazzo, totalmente diverso da Noah e spoglio dei suoi demoni.
Mya seguirà però il proprio cuore, e quando, finalmente un dolce epilogo pare prenderli per mano e condurli verso un nuovo inizio, il dramma busserà ancora alla porta della coppia appena ritrovata. Difatti Noah, dopo aver appreso i peccati del padre, e dopo la minaccia fatta a Mya, inizia a covare rabbia e rancore, ignorando che questi sentimenti lo stiano allontanando dalla sua ragione di vita: Mya.

Contatti autore
Profilo IG Rossella_C
Email: rossc@outlook.it
LanguageItaliano
PublisherRossella C.
Release dateOct 29, 2015
ISBN9788892512764
A un passo da noi

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    A un passo da noi - Rossella C.

    CAPITOLO 1

    Drin!! Drin!!

    Cavolo! Questa sveglia mi martella il cervello, dovrò cambiarla al più presto. La inserirò tra le cose da fare. Una lista, che è diventata lunghissima, ma che farò un giorno. Forse …

    «Mya alzati o faremo tardi!» tuona dalla sua stanza Erika, la mia coinquilina.

    Mi alzo con riluttanza e vado in bagno. Lei è già pronta con i capelli  piastrati e il trucco perfetto. Ogni volta impiega un'eternità a lisciare i suoi capelli biondi, anche se non ne avrebbe bisogno perché sono perfetti già da quando si alza al mattino. Erika è bellissima ma è imperterrita, e impiega un’ora buona per prepararsi. Quando mi specchio io invece  vedo un mostro; le occhiaie ben visibili sul mio viso, a causa delle poche ore di sonno, non mi donano di certo. La nostra è una casa accogliente ma il luogo dov’è situata è alquanto rumoroso; sotto il nostro condominio si trova un piccolo pub-discoteca e questa è la motivazione del basso costo dell’affitto. Ma almeno abbiamo il college vicino. Entrambe frequentiamo il terzo anno all’università pubblica di San Diego, la quale offre la possibilità di avere delle stanze all’interno del campus. Ma nonostante ciò abbiamo preferito avere una casa tutta nostra, con le nostre comodità senza per forza doverci recare negli orari stabiliti alla mensa.

    «Dai Mya sbrigati!»

    «Arrivo, arrivo...»

    Dopo aver indossato un paio di jeans e un maglioncino a girocollo bianco, prendo la mia borsa e mi infilo in ascensore. Sia lodato chi ha inventato gli specchi in queste minuscole cabine! È grazie a loro se riesco a sistemarmi i capelli all’ultimo minuto. Dopo svariati tentativi decido di lasciarli sciolti.

    «Oh! Mya! Adoro i tuoi capelli, sono fantastici, sembrano cioccolato» dice Erika per poi fare una pausa. Sembra stia pensando a qualcosa. Infatti dopo qualche istante esclama:

    «Ho deciso! Me li farò tingere!».

    Alzo gli occhi al cielo.

    «Ma hai sempre da lamentarti? Sei perfetta così come sei.» le rispondo sorridendo. Però devo dargliene atto. Anch’io adoro i miei capelli, lisci ma che formano dei piccoli boccoli sulle punte.

    Al college arriviamo a piedi. Sono solo cinque minuti di cammino, e io e Erika ci dirigiamo subito alla lezione di scrittura creativa.

    «Buongiorno ragazze!»

    «Buongiorno Kyle», rispondiamo in coro.

    Kyle è un ragazzo non molto alto, ma carino, con tatuaggi e capelli rasati, tanto che sembra uscito dal telefilm di Prison Break. Ventitreenne anche lui, come noi, ci conosciamo dalle superiori e siamo molto amici, seguiamo gli stessi corsi e lui vorrebbe diventare un giornalista proprio come me. Entriamo in aula e prendiamo tutti posto vicino. Dopo qualche minuto inizia subito la lezione, due ore per la precisione.  Adoro la letteratura, seguo questo corso con passione; non posso dire lo stesso di Kyle, che ho visto appisolarsi più volte mentre Erika sghignazzava come una scolaretta. Quei due non me la raccontano giusta, sono sempre pronti a stuzzicarsi, sembrerebbe esserci del tenero, solo che Erika è già impegnata da due anni ormai, con un ragazzo che lavora in una discoteca. Il suo nome è Mike, è carino ma non mi è mai sembrato il tipo adatto per lei, troppo serio e di poche parole. Al contrario Erika è un uragano, ti coinvolge in qualsiasi cosa faccia, sembra quasi impossibile dirle di no quando si mette una cosa in testa.

    Finita la lezione usciamo nell’atrio per fumare una sigaretta. O meglio, guardo Kyle ed Erika fumarsela perché io non sono molto amante del fumo. In realtà neppure del fumo passivo, ma è un modo per prendermi una pausa con loro prima della prossima lezione.

    «Mamma mia, questa lezione sembrava interminabile» dice Kyle.

    «Non sai apprezzare la vera cultura» borbotto.

    Mi guarda attonito. «Ehi! Io l’apprezzo e molto. È solo che due ore con quell’insegnante sono davvero pesanti».

    Alle sue parole scoppiamo tutti a ridere.

    «L’ho notato».

    Erika, gettando a terra la sigaretta e spegnendola con la punta della scarpa, annuncia:

    «Ragazzi io vi lascio, m’aspetta un’altra lezione».

    «Cosa segui adesso?» le domanda Kyle.

    «Storia».

    A quella semplice parola lui si porta una mano alla gola fingendo di soffocarsi.

    «Dai!» Erika gli dà una pacca sulla spalla «Io vado».

    «Ciao, ci vediamo dopo» aggiungo.

    Noi intanto ci dirigiamo al corso di giornalismo. In realtà è un seminario ma ci dà dei crediti extra; adoro il giornalismo ma questo corso per me è diventato faticoso perché la lezione è tenuta da Miss Jhonson, una donna zitella e acida che sembra proprio avermi preso di mira. Mi affida sempre i compiti peggiori e critica ogni mio articolo.

    Entriamo in classe e prendiamo posto. Subito dopo siamo seguiti dalla Jhonson che oggi ha optato per una gonnella che arriva fin sotto il ginocchio e che termina con delle pieghe di un improbabile color prugna, con abbinata una giacca bianco sporco. Un quadro a dir poco atroce!

    «Buongiorno ragazzi» esordisce lei, «oggi ho un nuovo progetto da presentarvi, dovrete fare ….»

    Viene interrotta subito dal rumore di un pugno che bussa alla porta. La Jhonson si indispettisce, ma invita ad entrare chiunque abbia bussato.

    «Buongiorno, perdonate l’interruzione».

    La voce calda e profonda che ha appena parlato, appartiene a un ragazzo moro dagli occhi azzurri, così limpidi e chiari da sembrare dello stesso colore del cielo. Anche da una certa distanza riescono a calamitarmi. Entra nell’aula mentre cala un silenzio tombale. Sorride alla Jhonson dall’alto del suo metro e novanta e si scusa di nuovo.

    Quando quest’ultima riprende la facoltà di parlare, risponde: «Si figuri, nessun disturbo. Prego, prenda posto. Avevamo appena iniziato».

    Il suo atteggiamento accondiscendente mi lascia basita. Quando sono io a tardare non mi risponde mai in questo modo, anzi aggiunge sempre in tono stizzito un le piace dormire la mattina signorina Fisher! Adesso invece sembra essere quasi un’altra persona! Dopotutto non posso di certo biasimarla … Il ragazzo, in jeans e maglioncino verde militare con scollo a V, che mette in evidenza i muscoli delle braccia, è una goduria per gli occhi. Attraversa l’aula con un sorriso sornione stampato sulla faccia … Che gran bastardo! Deve essere cosciente dell’effetto che fa sulle persone! Decido di non guardarlo. Non voglio che pensi che io sia un'altra di quelle ragazze che lo osserva estasiata, con la bava alla bocca. Mi raddrizzo e ascolto cos’ha da dire la Jhonson, che sta per riprendere a parlare.

    «Come dicevo, ho un altro compito da assegnarvi. Questa volta però sarà un lavoro di gruppo. Voglio un articolo sui paesaggi di San Diego, sulle panoramiche, sulle bellezze che questa città può offrirci... insomma trovate qualcosa che possa piacermi».

    Fantastico! Adesso ci saranno altri giorni da impegnare alla ricerca di qualcosa che possa soddisfarla e che toglierà tempo allo studio per la preparazione degli esami. A volte mi sento proprio afflitta. Almeno però questa volta posso scegliere cosa presentare nell’articolo...

    «Signorina Fischer» mi chiama l’insegnante.

    Tutti gli occhi si concentrano su di me.

    «Vorrei che lei si occupasse delle panoramiche marine».

    Ecco! Come non detto! Ha appena scelto lei per me!

    «Mi stupisca! Per quanto riguarda i gruppi ci penseremo al prossimo incontro».

    «Va bene, Miss Jhonson».

    Dal momento in cui gli occhi ritornano sulla professoressa, mi concedo di dare una sbirciatina alla mia destra, solo per vedere se ho colto l’attenzione di una certa persona. Eh sì! Il ragazzo dagli occhi azzurri mi sta proprio fissando! Ha ancora quel suo solito sorrisetto divertito stampato sul viso. Che vergogna! Mi volto subito, imbarazzata.

    La professoressa comincia a spiegare le diverse fasi da affrontare per comporre un testo giornalistico, ma ormai non l’ascolto più. Ho la testa incassata nel collo per l’imbarazzo e sento ancora i suoi occhi sulla mia nuca. Kyle non mi calcola affatto, è sorprendentemente interessato alla lezione. Fingo di prendere qualche appunto in attesa che finisca mentre inizio ad avere una certa fame. La Jhonson finalmente conclude e poi ci saluta uscendo in fretta dall'aula. Io e Kyle ci alziamo per dirigerci alla porta; quando mi volto ancora una volta per dare un’occhiata alle mie spalle mi accorgo, tra un misto di sollievo ma anche di fastidio, di non essere più al centro delle attenzioni del bel ragazzo. Ora è concentrato a parlare con due studentesse del corso, rivolgendo loro un sorriso da far girare la testa. Resta al suo posto mentre le due gallinelle ridono e cercano in tutti i modi di toccarlo come se fossero gesti naturali. Non so neppure perché quella scena m'infastidisca, in fondo non so neppure il suo nome.

    «Ehi, oggi sei proprio tra le nuvole eh?» Kyle richiama la mia attenzione con una gomitata.

    «Scusami … Pensavo a quello che ha detto la Jhonson sul progetto giornalistico».

    «Eh già! Spero di essere in gruppo con te, così farai tutto tu!» sorride.

    «Eh no! Sarà un lavoro equo, già dovrò sorbirmi le critiche della professoressa ma almeno stavolta saremo in due».

    Erika ci raggiunge quasi di corsa.

    «Ehilà ragazzi! Ho una fame! Sosta bagno poi dritti a casa?»

    Annuisco alle sue parole. Non vedo l’ora di buttarmi a letto e passare il weekend da brava pantofolaia, senza fare assolutamente niente. Un riposo pre-esami. Le prossime settimane saranno davvero stressanti.

    CAPITOLO 2

    E’ sabato sera. Io ed Erika ci prepariamo per uscire. Non avevo una gran voglia, soprattutto perché ci sarà anche Mike, il ragazzo di Erika, ma lei ha insistito così tanto che alla fine ho deciso di chiamare Kyle per sapere se vuole accompagnarci anche lui.

    Dopo alcuni squilli, finalmente risponde:

    «Pronto, Mya?»

    Deve aver letto il mio nome sul display.

    «Ciao! Che fai?»

    «Niente di interessante, guardo la Tv.»

    «Fantastico!»

    «Fantastico che io stia guardando al tv?» domanda incredulo.

    «No, fantastico che sei libero stasera; ti va di accompagnarmi ad un pub assieme a Erika?»

    «Ci sarà anche quel pompato del fidanzato?» chiede sarcastico ma anche un po’ indispettito.

    «Sì».

    Alla mia affermazione, segue un attimo di silenzio

    «Ehi! Ci sei ancora?»

    «Sì ci sono, ma non mi va di incontrarlo.» borbotta.

    «Perché? Cos’ha che non va?» la mia voce stridula manifesta tutta la delusione al pensiero di dover restare da sola stasera.

    «Non mi piace!»

    «Ti prego!» il mio tono si fa supplichevole ora «Non puoi lasciarmi da sola. Cosa succederà se poi vogliono appartarsi? Rimarrò sola al mio tavolo rischiando di attirare l'attenzione di qualche ubriaco che mi si avvicinerà e cercherà un approccio! Ti prego, per favore!»

    Lo sento sbuffare ma poi aggiunge:

    «E va bene! Ma lo faccio solo per te, sappilo!»

    «Grazie, grazie! Ti sono debitrice!»

    «Passo a prendervi stasera alle nove, ok?»

    «Si va bene, ma lascia la tua macchina qui...»

    E prima che possa chiedermene il motivo, con molta prudenza, aggiungo «Andiamo tutti con una sola auto … quella di Mike.»

    Lo sento sbuffare ancora più forte ma per mia fortuna non cambia idea, e io chiudo la chiamata prima che possa farlo.

    Alle nove siamo tutti pronti, Erika nel suo mini vestitino color crema, Kyle in tenuta da duro con giacca di pelle e jeans. Io ho optato per una maglietta grigia un po' scollata e un pantalone nero molto attillato che, con delle scarpe nere tacco dieci, riesce a darmi un certo slancio. Saliamo nell’auto di Mike e ci dirigiamo al locale. Durante il tragitto Erika non fa altro che raccontare a Mike dei suoi ultimi progetti per lo studio, il quale, totalmente estraniato, non l’ascolta affatto. Mi chiedo cosa possano avere in comune questi due.

    Finalmente arriviamo e aspettiamo all’entrata del locale mentre Mike va a parcheggiare. Quando lui ci raggiunge, entriamo e prendiamo posto ad un tavolo. Non passa molto tempo, che vengono prese le nostre ordinazioni. Scelgo una pina colada; non voglio esagerare troppo stasera. Erika e Kyle scelgono invece lo stesso cocktail alla frutta, mentre Mike ordina una tequila.

    Cerco di rompere il silenzio che si è creato da quando eravamo in macchina.

    «Allora Mike, come ti vanno le cose? Sempre impegnato con il lavoro?»

    Lui spalanca gli occhi come se gli avessi chiesto chi è stato il primo uomo a sbarcare sulla Luna.

    Eh, si! Non saprebbe rispondere a questa domanda!

    «Tutto bene … ehm grazie».

    Ma perché sembra così imbarazzato? In fondo questa è una domanda come un’altra. Intanto vedo Kyle sogghignare e guardare una Erika un po’ corrucciata.

    «Che c’è tesoro, problemi al lavoro?» chiede lei calcando con enfasi la parola tesoro.

    «No, no tutto bene davvero.» poi si volta a guardare Kyle e in maniera del tutto inaspettata domanda «Piuttosto a te come va? Lavori o ti fai mantenere gli studi?»

    Sul volto ha disegnato un ghigno che non mi piace. Qui si mette male. Prima che possa farlo il mio amico intervengo io:

    «Kyle è il migliore del nostro corso, dovrebbero pagarlo solo per i fantastici lavori che presenta, è davvero un genio!» rispondo mentre lo guardo e gli sorrido.

    E’ vero, è molto bravo ma non ha una gran voglia di mettersi sui libri; preferisce l’aria aperta a quella viziata di una stanza. Tutto ciò che sa, lo apprende ai corsi o perché lo ha letto da qualche parte. È un vero genio, anche se dal suo aspetto non si direbbe.

    «Oh Dio! Ma chi è quel gran figo?» urla Erika che sembra essersi dimenticata della presenza di Myke.

    Ci voltiamo tutti per guardare.

    Accidenti, lui è qui!

    Avverto un caldo improvviso. Il ragazzo dagli occhi ipnotici di stamattina è appena entrato attirando l’attenzione di non poche ragazze. Non riesco a capire con chi sia, ma mentre lo osservo guardarsi intorno, la mia visuale viene interrotta dalla cameriera che ci porta le nostre ordinazioni, poggia i bicchieri e va subito via; quando lascia libero il campo visivo, del bellissimo ragazzo moro non c’è più traccia. Bevo il mio drink finché Erika non mi invita a ballare. Accetto all'istante e trascino con me Kyle, mentre invece Mike resta seduto al tavolo.

    Le casse del locale suonano le note di Give me everythings di Pitbull.

    «Adoro questa canzone!» urla Erika.

    Ci dimeniamo tutti e tre come fossimo gli unici in pista. Mentre ridiamo alle stupide mosse di Kyle, io e Erika ci alterniamo per mostrargli invece come si muovono due vere ballerine sensuali, quando tra la folla vedo lui. E’ seduto al bar. Ha un gomito poggiato sul bancone e l’altra mano poggiata sulla coscia. Mi fissa. Per un attimo mi fermo domandandomi se è davvero me che sta guardando. Il suo sguardo mi ha folgorata.

    «Che hai?» mi chiede Erika.

    «Niente.» faccio segno con la mano di lasciar perdere e proseguiamo. Inizio a muovermi molto più lentamente guardando i miei amici ma sapendo di essere osservata da qualcun altro. Non so perché mi senta così audace stasera, non ho bevuto molto, eppure mi sento euforica. Sento di ballare solo per lui. Voglio ballare solo per lui!

    Non mi fermo e continuo anche sulle note di Feel this moment. Stasera stanno sfoderando tutto il repertorio di Pitbull. I miei amici saltano, si agitano e io li seguo sapendo sempre di essere fissata da un solo ragazzo. Adoro questa sensazione, è come una scarica di adrenalina che mi invade il corpo; sono sudata ma ancora piena di energia.

    Continuo a ballare fin quando non vedo Kyle sbalzato in avanti che mi finisce addosso, per poi cadere insieme a me sul parquet della pista. Sento l’urlo stridulo di Erika, alzo gli occhi e vedo due tipi che si stanno azzuffando. Tento di rialzarmi ma barcollo sui tacchi: prima che possa accorgermene arrivano altri ragazzi per immischiarsi nella rissa. Kyle mi tende la mano e mi fa rialzare. Sono totalmente circondata da uomini sudati e furiosi. La situazione precipita e io cado preda al panico. Mi scaraventano da una parte all’altra mentre tento di trovare l’uscita. D’improvviso sento due mani poggiarsi sui miei fianchi; quel tocco inaspettato mi fa sobbalzare. Mi decido a mandare al diavolo l’ennesimo ubriaco che si getta addosso ad una donna, ma le sue dita passano lungo le mie braccia fino a intrecciarsi alle mie mani, per poi trascinarmi via.

    «Vieni, andiamo.» dice lo sconosciuto con voce ferma.

    Riesco a vedere solo la sua schiena ma lo riconosco benissimo. E’ lui!

    Osservo rapita la sua presenza fisica e con quanta sicurezza cammina scansando chiunque possa intralciarlo. Indossa un maglioncino beige che avvolge i muscoli delle sue spalle, disegnandoli.

    Finalmente fuori dal locale, respiro a pieni polmoni l’aria fresca.

    «Stai bene?» mi chiede.

    Mi volto per guardarlo e sprofondo in due occhi blu stupendi. Da così vicino la sua bellezza è ancora più disarmante.

    «Si.» rispondo.

    Noto il tono lievemente preoccupato della sua voce poi il suo sguardo percorre la mia figura da capo a piedi. Lo vedo rilassarsi e fare un sorrisetto malizioso. Restiamo fermi a guardarci per qualche lungo istante, poi lui aggiunge:

    «Sai ballare molto bene...»

    La sua frase resta sospesa a mezz'aria e io capisco che sta solo attendendo che io pronunci il mio nome.

    «Mya, mi chiamo Mya, e … grazie.»

    Sto diventando rossa come un peperone.

    «Mya…» ripete lui, e continua a guardarmi fisso negli occhi, così cerco di distogliere lo sguardo e mi metto alla ricerca dei miei amici. Vedo Erika gesticolare per attirare la mia attenzione e le faccio capire di calmarsi perché l’ho vista.

    «Va' pure! Non preoccuparti.»

    «Ok!» rispondo «Allora... buona notte ... ?»

    «Noah.» dice concludendo la mia frase.

    Annuisco e lo saluto. Lui ricambia con un cenno della mano e aggiunge in un sussurro:

    «Buonanotte Mya».

    Il mio nome non è mai stato pronunciato in modo così tanto sensuale, e avrei voglia di risentirlo altre mille volte. Gli sorrido e poi mi volto per raggiungere gli altri.

    «Ehi! Ce ne hai messo di tempo.» esordisce Erika «Ma quello non era il figo che era entrato nel locale? Lo conosci?» chiede sgranando gli occhi.

    «È solo un amico di corso» rispondo facendo spallucce.

    «Bhe, gran bell’amico direi.»

    «Dai ragazzi, andiamo via da questo casino» dice Kyle, e ci invita a seguirlo per raggiungere la macchina di Mike.

    La domenica mattina mi sveglia il suono del telefono che squilla. Quando lo afferro lo faccio con disappunto. E’ mia madre.

    Prima ancora che possa rispondere un flebile pronto la sento gridare «Non dirmi che stavi ancora dormendo a quest’ora?»

    Rispondo con un mugugno. Mi volto per guardare la sveglia e mi accorgo che sono solo le otto e trenta.

    «Mamma ma è domenica, lo sai che ho solo due giorni di riposo dalle lezioni, per favore.» mi lamento, sbadigliando.

    «Ok... è solo che ieri non ti ho sentita. Va tutto bene tesoro?»

    «Si..»

    Da quando, più di due anni fa, ho lasciato casa dei miei genitori, la loro apprensione per me sembra essere raddoppiata. Capisco le loro motivazioni ma vivo solo a un'ora di macchina da loro, non sono poi così lontana! Sono sempre stati dei genitori fantastici ma a ventidue anni ho sentito il bisogno di essere indipendente, perciò ho deciso di affittare un piccolo appartamento vicino l’università.

    «Segui sempre le lezioni?» mi domanda.

    «Si...»

    «Vuoi rispondermi a monosillabi per tutta la mattinata?»

    «Si...» dico con altro uno sbadiglio.

    «Ok! Ti lascio dormire, ma ricorda di farti sentire ogni tanto … Ah! Ti saluta anche tuo padre.»

    «Si, ok! Mamma, ci sentiamo presto» riattacco e mi rimetto a dormire, ma non ci riesco; ormai ho perso il sonno. Mia madre sa essere davvero assillante quando vuole. Le avrò detto tantissime volte di non chiamarmi la mattina presto ma sembra proprio non ascoltare. Un’altra cosa da aggiungere alla lista di cosa da fare: la mattina spegnere il telefono!

    Mi alzo e faccio colazione. Resto a casa tutto il giorno con Erika e verso sera, mentre stiamo guardando l’ennesimo film sdolcinato alla tv, lei esordisce:

    «Ho deciso di lasciare Mike.»

    Mi volto verso di lei sconvolta. A dir la verità la sua decisione non mi sorprende più di tanto; è il tono noncurante con il quale lo dice, a farlo.

    «Perche?» chiedo.

    «Non so, non provo più le stesse cose.» risponde.

    «Tu stai bene?» sono preoccupata per lei.

    Non mi aspettavo una simile decisione repentina e temo che lui possa averle fatto qualcosa di grave.

    «Si, sto bene. Ho solo deciso di prendermi una pausa. Mi sento come incatenata a questa storia, è ora di guardarmi un po’ in giro.»

    Sorride e io mi tranquillizzo. La capisco, è difficile stare con qualcuno che non condivide i tuoi stessi interessi. Essere vicini fisicamente ma poi sentirsi estranei per esperienze di vita può essere devastante. La mia vecchia relazione è finita più o meno per le stesse motivazioni, sono stata io la stupida a non accorgermene in tempo e ho lasciato che lui si prendesse il meglio di me: la mia innocenza. Al solo pensiero fremo ancora di rabbia, soprattutto ai segreti che sono emersi successivamente e dei quali ero del tutto ignara...

    Non ho mai creduto che la storia con Mike potesse continuare ma a Erika non l’ho mai detto, ho cercato di rimanerne in disparte. Se era felice lei, ero felice anch’io, quindi ora non posso che appoggiarla.

    «Allora ci guarderemo intorno insieme!» le sorrido.

    «Tu mi sembra che hai già fatto conquiste, eh!» sogghigna e poi scoppia a ridere.

    E, ripensando a quanto accaduto la sera precedente, rido assieme a lei.

    CAPITOLO 3

    Passato il week-end, si riprende la routine quotidiana. E’ finita la prima lezione e avrei voglia di qualcosa da mangiucchiare alla macchinetta degli snack.

    «Ragazzi vado al piano di sotto, desiderate qualcosa?» chiedo a Kyle, mentre vedo Erika parlare al telefono in un tono di voce un po’ alto.

    Sta gesticolando con la mano libera. Quando fa così vuol dire che è davvero arrabbiata.

    «Per me una lattina di tè, per Erika …» si volta a guardarla stringendo le labbra e poi scuote il capo.

    Dev’essere anche lui preoccupato. Siamo entrambi in ansia per lei e per la fine della relazione con Mike.

    «Prendile dei biscotti. Quelli al cioccolato. Le piaceranno.»

    «E da quando conosci i suoi gusti?»

    Mi lancia un'occhiata di rimprovero.

    «Da sempre.» risponde facendo spallucce.

    Scendo al pian terreno, mi dirigo alla macchinetta e scelgo per me un pacchetto di cracker. Giusto per mantenermi in linea, che non guasta mai.

    «Ciao,bellezza!»

    Una voce alle mie spalle mi coglie all'improvviso e mi fa voltare.

    «Oh! Ciao Max. Vuoi qualcosa?» chiedo indicando gli snack, solo per essere gentile.

    Non mi piace molto questo ragazzo, ha la fama di essere un rozzo donnaiolo. A me appare viscido con quei suoi occhi che mi squadrano e mi fanno sentire a disagio, come se fossi sporca. Mi coglie sempre l’istinto di coprirmi in sua presenza; lo farei anche se avessi addosso un maglione della nonna a collo alto.

    «No, grazie. Volevo chiederti se stasera ti va di uscire insieme.»

    Ancora quello sguardo, mi fa rabbrividire!

    «Ehm … mi dispiace non posso. Ho un impegno con Erika.»

    In realtà è una bugia, perché il mio unico mio impegno stasera è stare in compagnia della tv e il divano, ma devo pur trovare una scusante per levarmelo di torno.

    «Allora facciamo domani sera?»

    La sua insistenza mi dà sui nervi. Non so davvero come uscirne.

    «Domani … ehm … domani abbiamo organizzato una pizza solo noi ragazze.» invento.

    «Ma come non sono stato invitato?» domanda quasi offeso.

    Lo guardo, confusa.

    «Dove ci sono tante donne, ci sono anch’io!» ride rumorosamente «Le tue amiche mi vorrebbero con loro, ne sono sicuro.»

    Io invece credo che ne farebbero volentieri a meno, penso maledicendo la sua sfacciataggine.

    «Allora quando sei libera fammelo sapere» alza una mano e tenta di accarezzarmi con le dita una guancia «Potremo divertirci insieme.» sorride lascivo.

    Inorridisco di fronte a quel suo gesto e mi affretto a scansare le sue dita.

    «Ok! Vedremo la prossima settimana.»

    Certo come no!

    Lo saluto, prendo i biscotti, la lattina e vado via, cercando di uscire il prima possibile dal suo campo visivo.

    Sono in ritardassimo. La professoressa stavolta sarà ancora più arrabbiata con me. E’ tutta colpa di Max e delle sue stupide avance. Mi dirigo velocemente all’aula del corso di giornalismo. La porta è aperta, la Jhonson è rivolta verso la lavagna. Mi infilo di soppiatto e vado a sedermi vicino a Kyle. Ho il fiatone. Prendo il mio quaderno degli appunti e lo poggio sul banco.

    «Sempre in ritardo signorina Fisher!»

    Ma come ha fatto a vedermi? È ancora voltata di spalle!

    «Credo proprio che lei abbia qualche problema con gli orologi.»

    Si gira e io mi ritrovo, ancora una volta, al centro dell’attenzione della classe.

    «Non è forse in grado di vedere e capire l’ora?» mi chiede con un sopracciglio alzato, come se davvero aspettasse una risposta.

    Sono davvero imbarazzata. Ogni volta è la solita storia, e come ogni volta arrossisco e rispondo:

    «Mi perdoni professoressa, non accadrà più.»

    «Certo, certo.» fa con la mano un gesto di noncuranza e torna alla sua spiegazione.

    «Perché le permetti di trattarti così? È davvero una donna frustrata quella.»

    Kyle è come sempre dalla mia parte.

    «Non posso farci niente, mi servono i crediti di questo corso.» faccio spallucce.

    «Oggi ci organizziamo per i gruppi da fare riguardo al progetto sulle bellezze di San Diego. Scegliete voi l’argomento ma organizzo io le coppie.»

    La Jhonson inizia a guardarsi in giro nell’aula

    «Mmmm, vediamo un po’. Jhoanna tu lavori con Sara, Daniel tu con Emma...» passa in rassegna l’intera classe.

    Io aspetto con pazienza il mio turno. So già che farò il mio lavoro con Kyle.

    «Spero ci mettano insieme.» dice lui «Non mi va proprio di studiare con uno di quei cervelloni, che restano a casa a... studiare per davvero!»

    Rabbrividisce a quel pensiero. A volte mi meraviglio di come faccia a stare al passo con gli esami e ritrovarsi al terzo anno di una facoltà che non è per nulla semplice.

    «E lei signorina Fisher...»

    Non so perché, ma sono sempre l’unica di cui pronuncia il cognome.

    «Lei mi farà un lavoro sulle panoramiche marine e potrebbe lavorare con …» il suo sguardo passa a sezionare l’intera aula.

    «Con me! Con me!» interviene Kyle «Miss Jhonson io sono libero!»

    «No Kyle, tu sei in gruppo con Michela.»

    La ragazza al primo banco si volta per guardarlo. Ha un paio di occhiali molto spessi; i suoi capelli sembrano non vedere acqua e shampoo dai tempi della Preistoria. Rivolge un sorriso sdentato al mio amico, e lui d’istinto rabbrividisce e inizia a imprecare qualche parolaccia.

    Non so chi dei due mi faccia più pena.

    «Posso propormi?»

    Oh no, quella voce! La sento provenire dalle mie spalle. Non mi volto, so che è Noah. Ma come ho fatto a non accorgermi della sua presenza?

    «Sono molto bravo con la macchina fotografica e potrei essere utile.» continua.

    La Jhonson valuta la sua proposta. Io intanto prego che non accetti, sarebbe troppo imbarazzante anche solo parlare con lui dopo quello che è accaduto sabato sera. Arrossisco al solo pensiero. Ma come tutte le volte la fortuna non è dalla mia parte.

    «Perfetto. Allora Noah lavorerai con la signorina Fisher.» conclude lei, impettita.

    Sono così impegnata a immaginare tutti gli scenari più imbarazzanti che mi possano capitare mentre faccio questo progetto con lui, che non mi accorgo della fine della lezione. Tutti si sono già diretti fuori dall’aula. Saluto Kyle che scappa via per non incontrare la sua compagna di studio. Sistemo le mie cose in borsa e mi dirigo alla porta.

    «Possiamo avere un appuntamento?»

    Mi blocco sentendo di nuovo quella voce. Mi volto.

    «Un appuntamento di studio, ovviamente.» sogghigna, e io quasi mi sciolgo nell'incontrare di nuovo i suoi occhi.

    Adesso che non porto tacchi Noah è ancora più alto e mi sovrasta. Come potrò lavorare con lui nei giorni a venire? Ha detto che è bravo con le foto; forse potremmo dividerci i compiti, così non sarei costretta a lavorare con lui.

    «Pensavo che forse possiamo lavorare da casa.»

    Lui alza un sopracciglio.

    «Voglio dire, ognuno a casa sua.» mi correggo «Tu puoi occuparti delle foto, io dell’articolo e poi presentare il lavoro.»

    Noah mi guarda con la fronte corrugata.

    «Così potremo dedicarci ai nostri impegni e non per forza farli combaciare.» aggiungo cercando di essere più convincente.

    «Io non ho impegni.» risponde con tono di voce sicuro.

    «Ma …»

    «Sono sempre libero.» mi interrompe «Possiamo vederci quando ti fa più comodo.»

    Ok, ora sono in difficoltà. Credo che non accetterà mai un no come risposta.

    «D’accordo! Allora che ne dici di sabato mattina? Non ci sono lezioni per cui …»

    «Va benissimo.» mi interrompe di nuovo.

    Sorride come se l'idea di lavorare con me lo entusiasmi davvero.

    «Vogliamo incontrarci fuori l’università e poi prendere il bus?» chiedo.

    «Passo a prenderti io se non ti dispiace. Non hai paura delle moto, vero?»

    Moto? Oh cavoli! Già me lo immagino in tenuta da motociclista mentre corre per le piccole stradine del paese. E io che faticherò a tenermi stretta a lui, anzi no! Sicuramente non mi reggerò a lui … Cavoli, sarà una tragedia!

    «No, per niente! Facciamo per le nove ok?»

    «Perfetto!»

    Gli scrivo il mio indirizzo su un pezzo di carta e glielo porgo.

    Nell’attimo in cui, lui fa per prenderlo le nostre mani si sfiorano. Alziamo lo sguardo contemporaneamente e restiamo a fissarci. Ora non sorride più. Coi suoi occhi mi scruta come se volesse leggermi dentro e io resto ferma come paralizzata. Sono attratta da lui. Dal suo tocco. Dai suoi occhi. Da questo ragazzo apparso dal nulla. Un estraneo del quale conosco appena il nome, e tutto ciò mi spaventa. Prende il pezzo di carta e ritira subito la mano, come se si fosse scottato.

    «Allora … ci vediamo.» recupera la sua borsa in fretta, mi rivolge un sorriso tirato e va via.

    E io resto sola nell’aula. Immobile, a metabolizzare ciò che è accaduto e la velocità con cui è andato via.

    Tornata a casa mi getto nello studio ma è fatica persa; si ripresenta nella mia mente la stessa scena. Dov’è che ho sbagliato? Abbiamo solo preso un appuntamento. Meglio che smetta di farmi domande dopotutto non dovrebbe interessarmi, è solo un compagno di corso col quale ho un progetto di lavoro … e che mi ha prelevato da una mischia inferocita di ubriachi sabato sera …

    Scuoto con forza la testa. No! Non mi interessa affatto. O almeno è di questo che voglio convincermi.

    Bussano alla porta della mia stanza e prima che possa dire qualcosa, Erika fa il suo ingresso e si getta sul mio letto.

    «Facciamo qualcosa stasera? Ho voglia di uscire un po’.»

    «Mi dispiace, ma sono indietro con gli studi.»

    Non ho concluso neppure un capitolo dopo l’incontro di stamattina, ma preferisco non farne parola con Erika o inizierebbe a farsi mille film romantici nella sua testolina.

    «Uhm … ok!» risponde senza insistere.

    «Ma esci pure se ti va, non restare chiusa a casa per causa mia.»

    «No davvero, non fa niente.» risponde in tono triste.

    «Ehi! Cosa c’è che non va?»

    Ora ha tutta la mia attenzione.

    «Niente davvero. Saranno gli esami imminenti, tutto qui.»

    «Se ci fosse qualcosa me lo diresti? Lo sai che con me puoi sempre parlare.»

    «Sì, sì, lo so ma davvero non è niente. Dai, ti lascio ai tuoi studi e torno di là.»

    Ormai la voglia di studiare è scemata. Non ci riuscivo prima figuriamoci adesso.

    «Ho voglia di cioccolata calda, ti va?»

    Spero che la mia proposta le risollevi il morale e sorrido quando noto di aver fatto centro. La sua espressione ora è più distesa.

    «Vado a mettere il latte sul fuoco.» dice uscendo dalla stanza.

    «Ti raggiungo subito!»

    CAPITOLO 4

    Anche quest’ultima settimana è volata via. Dopo l’ultima lezione torno a casa da sola. Erika è a letto con l’influenza ormai da tre giorni. Ho la mia borsa in spalla e inizio a godermi l’innalzamento della temperatura. A gennaio, in California, si riescono a raggiungere i 17 gradi. Mi godo il profumo dell’aria: odore di salsedine che proviene dall’oceano. Riesce a trasmettermi un senso di pace da farmi dimenticare ogni preoccupazione; e anche dopo una giornata stancante e irritante trascorsa in aula per cercare di prendere appunti o anche solo trovare un posto in cui riuscire a seguire una lezione, l’odore dell’oceano riesce ad alleggerirmi la mente. Ha questo effetto su di me.

    San Diego ha questo straordinario effetto su di me! Adoro questa città!

    Fuori dal portone del mio palazzo vedo scendere Louis, l’inquilino dell’appartamento sotto al mio. Anche lui è uno studente dell'università, iscritto però alla facoltà di legge. L'ho sempre trovato molto carino. Alto con i capelli castano chiaro quasi biondi. Più volte mi ha invitata ad uscire all’inizio della nostra conoscenza, ma non ho mai accettato. Non rientrava nei miei gusti, ed oggi siamo solo buoni amici. E’ sempre disponibile se io ed Erika abbiamo bisogno di qualcosa, anche se c’è da aggiustare un rubinetto in casa. E’ un ragazzo tutto-fare e per noi è una salvezza averlo a portata di mano quando serve.

    «Ciao Louis. Che fai?»

    «Oh! Ciao Mya» sorride mostrando i suoi perfetti denti bianchi. «Vado al supermarket. Ho un po’ di spese da fare. Tu sei di rientro dalla facoltà?»

    «Sì, oggi era l’ultima lezione, poi inizieranno gli esami. Speriamo di superarli al meglio.»

    Ne ho progettati cinque per i due mesi successivi, ma so già che a malapena ne porterò a termine quattro. Erika mi rimprovera spesso di non lamentarmi, in quanto la quota dei miei esami è molto più alta della media di un qualsiasi studente all’università. Lei riesce a darne appena due!

    «Anche da me i corsi sono finiti da un po’, e ho il primo esame la settimana prossima.»

    Indossa gli occhiali da sole. La luce filtra attraverso i suoi capelli biondi. È davvero un bel ragazzo, peccato che non ci sia quel feeling particolare tra noi, quella scintilla che fa scoppiare una passione.

    «Vado, prima che il negozio chiuda.»

    «D’accordo, ci vediamo in questi giorni.»

    «Salutami Erika.» dice prima di salire in macchina e allontanarsi.

    Arrivo al mio appartamento imboccando le scale. Non prendo l’ascensore perché si è guastato, quindi salire tutti questi scalini mi costa un po’ di fatica. Arrivo alla porta con il fiatone, busso e viene ad aprirmi Erika, che non è per niente un bello spettacolo. Ha gli occhi rossi, i capelli arruffati e si è avvolta un piumone sulle spalle. Questa maledetta influenza non vuol proprio saperne di abbandonarla.

    «Scusa.» dico «Ho dimenticato le chiavi.» cerco di sorriderle per farmi perdonare.

    Lei fa spallucce e torna di nuovo nella sua stanza. Le preparerò un tè. Mentre aspetto l’acqua bollire sul gas il mio telefono prende a squillare. E’ mia madre.

    «Pronto Ma!» esordisco.

    «Ciao tesoro, come stai? Come va? Studi? Stai mangiando?»

    «Ok mamma, una domanda per volta.» dall’altra parte del telefono non c’è mia madre ma la personificazione della parola ansia. «Mangio, studio e va tutto bene, a parte forse per Erika, che ha l’influenza, credo.» Mi volto verso la sua stanza e mi rattristo nel vederla così a terra. Non stava passando un bel momento, e la febbre non ha fatto altro che abbatterla ancora di più.

    «Come credi?» strilla a tal punto che sono costretta ad allontanare il cellulare dal mio orecchio per non rimanere sorda. «Chiama il medico no? Comprale delle medicine, fate qualcosa!»

    Perché non sto zitta?

    «Ho detto credo? Volevo dire sicuramente. Sicuramente ha l’influenza. Il medico l'ha già visitata e prende tutti gli antibiotici che le servono. Sta tranquilla.»

    «Mi verrà un infarto prima che tu possa prendere la laurea, Mya.»

    La detesto quando fa la melodrammatica!

    «Comunque tesoro volevo sapere se questo week-end riesci a passare da noi.»

    Il suono della sua voce è ritornato normale e ora racchiude speranza.

    Di solito ogni quindici giorni vado a trovarli e trascorro nella mia vecchia casa un fine settimana. Ma stavolta credo proprio di non poterlo fare. Ho già preso un impegno con Noah. Da quell’incontro in aula non l’ho più visto, spero non si dimentichi del nostro appuntamento. Più ci penso e più mi sento nervosa. Non dovrei esserlo no? È solo un articolo, un lavoro di coppia per l'università. Perché allora sono così agitata?

    «Mamma mi dispiace ma non posso, ho un …»

    «Manchi tanto a me e a papà.» dice in tono malinconico, interrompendomi.

    E non riesco a dirle di no. Per quanto possa essere molto spesso apprensiva e a tratti un po’ fastidiosa, è pur sempre mia madre, per questo alla fine decido di accettare. In caso contrario mi avrebbe comunque riempito di telefonate.

    «Ok! Non verrò sabato ma posso restare da voi domenica e lunedì.»

    «Fantastico! George hai sentito? Domenica viene Mya» dice rivolgendosi a mio padre. «A pranzo preparerò tutto quello che ti piace!»

    «No mamma, sono a dieta.» mi lamento.

    «Ma se sei magra come un grissino.» Alzo gli occhi al cielo. Siamo alle solite. «Vieni e non fare storie. Ti aspetto domenica. Ciao tesoro. Oh! Salutami tanto Erika.»

    «Lo farò! Ciao mamma.»

    Una volta chiusa la telefonata, posso dedicarmi alla caraffa del tè che bolle sul gas. Appena pronto, lo porto subito ad Erika. Alza appena gli occhi e mugugna un grazie. Poi si mette a sedere e prende la tazza fumante. Intanto io le accendo la tv.

    «Ti senti un po’ meglio?» le chiedo.

    «Non molto, credo che la febbre sia salita. Mi sento a pezzi!»

    Mi dispiace così tanto vederla in quello stato che decido di restare un po’ con lei.

    «Domani hai quel famoso progetto vero?» mi chiede, e anche se sta male riesce a farmi quel suo sorrisetto malizioso.

    Mi fingo indifferente.

    «Sì è domani, credo non ci vorrà molto. Forse un’oretta di tempo.» rispondo, ed ecco che ritorna quella mia stupida ansia.

    «Avete già deciso dove andare?»

    Oh mio Dio! Sento che sto per impallidire.

    «Me ne sono dimenticata. Non ho progettato niente. Non ci posso credere. E adesso come faccio? Devo vederlo domani, e ora sono già le sette di sera.»

    In preda al panico balzo subito giù dal letto.

    Ma dove ho avuto la testa tutto questo tempo? Cioè sì, più o meno conosco già la risposta, ma sono stata così concentrata sull’incontro con Noah che ho dimenticato di scegliere il luogo chiave su cui sviluppare il progetto.

    «Non preoccuparti, hai ancora tempo. Collegati ad internet e vedrai che qualche idea ti verrà in mente.»

    Decido di seguire il consiglio di Erika. Vado in camera mia, accendo il pc e mi collego. Fortuna che il palazzo ha la connessione wireless, anche se è un po’ lenta poiché tutti gli studenti ne usufruiscono.

    Inizio la mia ricerca su Google, e dopo svariati tentativi e attese decido che probabilmente il posto più adatto sia il centro storico. Potremmo arricchire l’articolo con la storia e lo sviluppo di quei luoghi; è stato uno dei miei ultimi esami, qualcosa ricordo ancora, quindi potrei essere avvantaggiata. Ci inseriremo poi alla fine le foto. Sì! credo che potrebbe andar bene. Appunto gli ultimi dati che mi saranno utili per il giorno seguente e spengo il computer. Sono esausta, mi fanno male gli occhi e non ho neppure cenato. Vado a dare un'ultima occhiata a Erika, che sembra essere tranquilla. Spero che possa sentirsi meglio domani. Vado a letto, imposto la sveglia e mi infilo sotto le coperte.

    Domani mi aspetta una lunga mattinata.

    CAPITOLO 5

    Il suono della sveglia arriva puntuale alle otto, ma i miei occhi hanno deciso di aprirsi già molto tempo prima. Faccio colazione e cerco di mascherare con il trucco le poche ore di sonno. Mi dirigo verso l'armadio e indosso un jeans chiaro. La temperatura è in lieve aumento, ed oggi è una giornata soleggiata. Dovendo restare tutta la mattinata fuori, decido di abbinarci una maglia a maniche corte bianca con disegni floreali e di chiuderci una felpa dello stesso colore sopra.

    Saluto Erika con un bacio sulla fronte, che sembra stare un po’ meglio, e scendo di corsa le scale temendo di essere in ritardo.

    Non appena spalanco il portone trovo fermo vicino al marciapiede Noah, a gambe divaricate, su una Harley nera, che mi attende. Deve essere appena arrivato perché indossa ancora il casco. Quando mi vede lo toglie. Con una mano scompiglia i capelli neri, mi scruta da capo a piedi e sorride. Mi sembra di assistere ad una pubblicità per motociclette! Gli rivolgo un sorriso ebete e vado verso di lui.

    «Buongiorno.» mi dice scendendo dalla moto.

    «Buongiorno.» gli rispondo mentre tira fuori un altro casco dalla custodia posteriore e me lo porge. Lo prendo restando quasi ipnotizzata dalle vene visibili del suo avambraccio. Il mio sguardo sale più su per ammirare i muscoli delle sue braccia scoperte.

    «Allora.» deglutisco e cerco di volgere l’attenzione altrove «Per il nostro progetto avevo pensato di trattare i luoghi più vecchi della cittadina, che ne dici?»

    Lui sembra preoccuparsi a quelle mie parole.

    «I luoghi più vecchi?» dice quasi meravigliato «Ma Miss Jhonson non ti aveva affidato l’articolo sulle panoramiche marine?»

    Alza un sopracciglio e mi scruta curioso.

    «Oh caz … ehm cavoli! E’ vero. Me ne ero completamente dimenticata.»

    Dove diamine ho la testa ultimamente!

    «Per questo avevo programmato di comporre un articolo sulle nostre spiagge, fare foto ai surfisti o ai bagnanti, qualcosa di un po’ più … vivo!» dice sorridendo.

    Mi sento quasi irritata per la sua battuta ma anche imbarazzata per aver scelto un tema così stupido. Penserà che sono una di quelle ragazze solo concentrate sullo studio, che si chiudono in casa come fossero nonne!

    «Oh! Va bene.» arrossisco un po’ «Dove avevi pensato di andare?»

    Lui si ferma come incantato a fissare il rossore delle mie guance. Il che mi mette ancor più in imbarazzo, ma alla fine risponde:

    «Ocean beach. Non è molto lontana, ma prima devo passare a casa per recuperare la macchina fotografica.»

    «D’accordo!»

    «Salta su!» Si posiziona il casco sulla testa e accende la moto.

    E adesso come salgo su questo affare? Mi sento impacciata! Allaccio il mio casco sotto il mento e penso a come salire senza sembrare troppo goffa. Noah nota la mia esitazione.

    «Guarda.» dice, puntando il dito su un piccolo pedale laterale in basso «Metti un piede lì e datti lo slancio, ti do una mano io.»

    Faccio come dice. Poggio un piede sul pedale e mi dò uno slancio, ma istintivamente per non cadere, afferro subito la sua mano. Con un tonfo poco aggraziato, finalmente riesco a sedermi. Ma Noah non lascia andare la mia mano. Le nostre dita sono ancora intrecciate. Sento una forte scarica elettrica provenire dal calore della sua presa. Molto lentamente e con gli occhi di entrambi fissi ancora su quel contatto, facciamo scivolare i nostri palmi l’uno sull’altro, fino a staccarci.

    E dopo un attimo di silenzio, partiamo. Noah si mette in strada e io ho già difficoltà nel mantenermi salda alla moto. Stringo con forza i lati della sella, ma quando lui più volte è costretto a frenare finisco per cadere con il petto sulla sua schiena. Il che è alquanto

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