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Lodate Dio con arte
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Lodate Dio con arte

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«Vi è una misteriosa e profonda parentela tra musica e speranza, tra canto e vita eterna: non per nulla la tradizione cristiana raffigura gli spiriti beati nell’atto di cantare in coro, rapiti ed estasiati dalla bellezza di Dio. Ma l’autentica arte, come la preghiera, non ci estranea dalla realtà di ogni giorno, bensì ad essa ci rimanda per “irrigarla” e farla germogliare, perché rechi frutti di bene e di pace».

CON NOTA INTRODUTTIVA DI RICCARDO MUTI
LanguageItaliano
Release dateJul 29, 2014
ISBN9788865123645
Lodate Dio con arte

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    Lodate Dio con arte - Benedetto XVI

    biblico

    Titolo

    J OSEPH R ATZINGER

    B ENEDETTO XVI

    Lodate Dio con arte

    Sul canto e la musica

    A cura di Carlo Carniato

    Introduzione di

    Riccardo Muti

    Copyright

    Titolo originale: Im Augesicht der Engel. Von der Musik im Gottesdienst. Im Auftrag der Hochschule für katholische Kirchenmusik und Musikpädagogik Regensburg herausgegeben von Franz Joseph Stoiber

    La quarta ed ultima parte, Musica sacra e profana, è stata aggiunta all’edizione italiana del libro

    © Herder, Freiburg im Breisgau - Basel - Wien 2008

    Per tutti i testi di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI:

    © Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano

    Per la traduzione in lingua italiana:

    © 2010, Marcianum Press, Venezia

    Traduzioni dai testi originali in lingua tedesca, inglese o francese di Carlo Carniato

    Le note contrassegnate da asterischi sono state aggiunte dal Traduttore e Curatore italiano

    Impaginazione e grafica: Linotipia Antoniana, Padova

    Progetto grafico di copertina: Rinaldo Maria Chiesa

    In copertina:

    Organo della Alte Kapelle di Ratisbona dedicato a Benedetto XVI

    ISBN 978-88-6512-364-5

    Introduzione Riccardo Muti

    Senza dubbio non è necessario essere Papa per frequentare il mondo della musica come fa Papa Ratzinger che, alla sua veneranda età e con tutti gli impegni che suppongo comporti il suo alto incarico di Pastore di tutta la Chiesa, non disdegna mettersi lui stesso al pianoforte e alimentare il suo spirito suonando i suoi autori preferiti. È però un grande dono per l’umanità e per la Chiesa all’inizio del terzo millennio avere un Papa che rivendica spazio e rispetto nella Chiesa e nella società civile per quest’alta espressione umana.

    Ha cominciato da bambino a frequentare e ad amare la musica e il canto «fin dai bei tempi» – lo ricorda lui stesso – «in cui, grazie a suo fratello, poté integrarsi nella famiglia dei Domspatzen, i piccoli cantori (letteralmente Passeri) di Ratisbona», che facevano servizio liturgico nella cattedrale. È stata un’esperienza che ha segnato la sua vita, come ha segnato la vita di tanti di noi musicisti. L’esperienza della musica, infatti, arricchisce l’esistenza umana e le apre orizzonti che sconfinano nell’infinito e nell’eterno. «Cantare è quasi un volare – confida il Papa in occasione di un concerto dei Domspatzen – un sollevarsi verso Dio, un anticipare in qualche modo il canto dell’eternità». Chi impara a cantare da piccolo, poi canta tutta la vita e tutta la vita diventa per lui canto.

    Ha ragione il Papa quando in più circostanze lamenta il basso livello della musica da consumo, in particolare della musica e dei canti eseguiti nelle chiese in questi ultimi decenni soprattutto da noi in Italia. Ma la causa è l’inadeguatezza dell’educazione musicale. Quello che si fa nelle scuole è troppo poco e le attività alternative o sussidiarie sono solo per pochi fortunati. Nelle parrocchie, poi, almeno in Italia, l’educazione al canto dei cristiani penso sia una delle ultime preoccupazioni pastorali dei nostri parroci e forse anche dei nostri vescovi.

    I libri di testo delle scuole primarie sono pieni di belle dichiarazioni d’intenti e di interessanti indicazioni metodologiche e programmatiche. Ma agli italiani delle ultime generazioni non sembra sia stata data un’adeguata educazione musicale. Musica e canto in Italia sono ancora lasciate per lo più all’iniziativa privata. Sono solo per chi ha predisposizione e talento, ha i mezzi finanziari per frequentare una scuola di musica privata o ha la fortuna di trovare un posto in un Conservatorio.

    Nel nostro paese bisogna far da sé. Anche per la musica e il canto bisogna purtroppo arrangiarsi.

    Più volte, in tantissime occasioni, l’ho denunciato. In una società evoluta l’educazione musicale non può essere trattata in questo modo. Significa non rispettare il valore culturale della musica. Soprattutto significa non riconoscere e non rispettare il valore antropologico del canto nella formazione di persone chiamate a vivere in società, a stare e a comunicare con gli altri. La pratica corale e strumentale, come la pratica dello scrivere e del leggere, dovrebbero accompagnare tutto l’arco della scolarità, dalla scuola materna alle superiori. Come l’educazione all’espressione scritta e orale accompagna dall’inizio alla fine l’itinerario scolastico di una persona, arricchendosi gradualmente di elementi culturali differenti che forniscono le cose da dire e da scrivere per comunicare, non si capisce perché non debba avvenire la stessa cosa per l’educazione all’espressione musicale attraverso il canto e gli strumenti musicali. Se si facesse qualcosa in questo senso, probabilmente si invertirebbe la tendenza a considerare la musica come un’attività per pochi eletti, uno dei possibili sbocchi professionali, una merce da vendere o semplicemente un passatempo. Sicuramente anche nelle nostre chiese si canterebbe di più e si canterebbe meglio.

    Perciò non sarà di troppo auspicare anche da queste pagine un’educazione musicale che non solo non emargini nessuno dalla fruizione della musica e dal piacere dell’ascolto, ma soprattutto favorisca in tutti lo sviluppo della percezione di sé, che raggiunge il massimo di espressione e di autocomprensione proprio nel cantare insieme.

    Non sarà mai di troppo chiedere un’educazione musicale che non solo insegni ad ascoltare la musica, a decodificarne i linguaggi e i messaggi e a farne un bagaglio culturale di valore; non solo insegni a leggere uno spartito e a suonare almeno uno strumento musicale, ma insegni soprattutto a cantare insieme, incarnando con l’esercizio assiduo le regole e le esigenze musicali, per riuscire a far coro anche nella vita.

    Sono davvero grato al Papa per aver riportato al giusto posto, anche attraverso questo libro, l’attenzione alla musica dentro e fuori la Chiesa, ponendola semplicemente come fattore essenziale nella vita degli uomini. I suoi studi sono illuminanti soprattutto per la musica sacra. Sgombrano il terreno da equivoci e fondamentalismi pro e contro, che in questi anni hanno creato scontro piuttosto che dialogo e ricerca comune per il bene della Chiesa e della sua liturgia. Rendono ragione del disagio che tanti provano andando a Messa la domenica. Ma fanno anche sperare in una ripresa dell’arte musicale che faccia un buon servizio alla liturgia e alla vita di questo nostro mondo.

    Condivido totalmente quanto Sua Santità afferma a p. 33: «Se la Chiesa deve trasformare, migliorare, umanizzare il mondo, come può far ciò e rinunciare nel contempo alla bellezza, che è tutt’uno con l’amore ed è con esso la vera consolazione, il massimo accostamento possibile al mondo della resurrezione? La Chiesa dev’essere ambiziosa; dev’essere una casa del bello, deve guidare la lotta per la spiritualizzazione, senza la quale il mondo diventa il primo girone dell’inferno. Si cerchi pure ciò che è adatto alla liturgia e alla partecipazione dei fedeli, ma si faccia di tutto perché ciò che è adatto sia anche bello e degno della più importante azione ecclesiale in cui viene usato».

    «Giustamente una Chiesa che faccia soltanto musica d’uso cade nell’inutile e diviene essa stessa inutile», afferma ancora il Papa. La Chiesa ha e deve svolgere un’incombenza molto più alta: «essa dev’essere luogo della gloria e così anche luogo in cui i lamenti dell’umanità sono portati all’orecchio di Dio. Essa non può appagarsi di ciò che è ordinario e utile: deve destare la voce del cosmo glorificando il Creatore, svelare la di lui magnificenza al cosmo, e rendere il cosmo stesso glorioso, e quindi bello, abitabile, amabile».

    E poi ancora a p. 124: «L’arte musicale è chiamata, in modo singolare, ad infondere speranza nell’animo umano, così segnato e talvolta ferito dalla condizione terrena. Vi è una misteriosa e profonda parentela tra musica e speranza, tra canto e vita eterna: non per nulla la tradizione cristiana raffigura gli spiriti beati nell’atto di cantare in coro, rapiti ed estasiati dalla bellezza di Dio. Ma l’autentica arte, come la preghiera, non ci estranea dalla realtà di ogni giorno, bensì ad essa ci rimanda per irrigarla e farla germogliare, perché rechi frutti di bene e di pace"».

    Indubbiamente la rivoluzione culturale avvenuta nel secolo scorso ha messo in crisi anche i tradizionali codici di riferimento che, convenzionalmente, servivano a stabilire ciò che è bello e ciò che è brutto in musica. Il sistema tonale, eletto per secoli a rappresentare la complicità naturale tra il mondo dei suoni e la coscienza dell’uomo, è stato sistematicamente abbandonato e nuove strade sono state percorse e certamente si percorreranno in futuro; la musica, specialmente negli ultimi decenni del secolo scorso, ha assunto le caratteristiche di un fenomeno estremamente vario e variabile. È avvenuto un rinnovamento e un ampliamento del linguaggio musicale come c’è stato un rinnovamento teologico, liturgico, culturale ed esistenziale. È decaduta l’idea e la pretesa di un unico modello culturale e musicale e ne sono nati infiniti altri. La musica ha cessato di essere una pratica ecclesiastica o del salotto borghese, asservita all’idea religiosa e politica dominante. Ogni idea ha la propria musica e ogni musica pretende il proprio spazio e il proprio riconoscimento alla pari di tante altre espressioni culturali. Giudicarne il valore non è possibile se non si entra nella dinamica umana e religiosa che la ispira e la esprime. E le dinamiche sono molte. Variano da popolo a popolo, da gruppo a gruppo. Spesso perfino da uomo a uomo. Producono una grande varietà di espressioni e di stili, il cui obiettivo non è la trasgressione delle regole convenzionali o naturali, ma la composizione di musiche che meglio esprimano ciò che si vuol dire, pur essendo altro rispetto a quello che l’orecchio è abituato a sentire. Non si può formulare un giudizio di valore senza tener conto di questa pluralità di stili. Non esiste uno stile che possa vantare il primato sugli altri e al quale tutti gli altri debbano adeguarsi per essere legittimamente usati nella Liturgia. Tutti gli stili hanno diritto di cittadinanza nella cultura contemporanea e, oserei dire, anche nella Liturgia, almeno se si pensa che dietro ogni stile non c’è solo il lavoro a tavolino del musicista, ma ci sono soprattutto degli uomini o addirittura dei popoli, che in quel determinato modo esprimono se stessi, la loro vita e la loro fede. Non sarebbe proprio giusto fare una selezione. Vorrebbe dire selezionare gli uomini e l’immagine di sé e di Dio, che essi coltivano e intendono comunicare.

    Tuttavia, pur nella complessità del tempo presente e delle sue espressioni plurali, tutte legittime, oso sperare che mai vengano oscurati o dimenticati i principi ispiratori dell’autentica bellezza, evocati dal Papa, nel rispetto dei quali è stato creato quel patrimonio musicale che appartiene alla nostra cultura e alla nostra storia come un tesoro inestimabile e che riesce ancora in maniera esemplare a parlare al cuore e allo spirito dell’uomo contemporaneo, comprese le giovani generazioni.

    R ICCARDO M UTI

    Presentazione prof. Franz Josef Stoiber

    Per sottolinearne il suo speciale rango come teologo, papa Benedetto XVI è stato definito il Mozart della teologia.

    Con la musica, e in particolare con la musica sacra, Papa Benedetto XVI ha molteplici legami. Su di essa egli si espresse ripetutamente in saggi e in conferenze, con asserzioni di permanente importanza. I testi sono sparsi in pubblicazioni disparate e spesso, perciò, anche difficilmente reperibili. Questo libro serve alla riunione e alla schiusura di quei testi. *

    La memorabile udienza a Castel Gandolfo concessa da papa Benedetto XVI a una cospicua delegazione di docenti e studenti dell’Accademia di musica sacra cattolica e pedagogia musicale di Ratisbona il 28 settembre 2007, durante la cui memorabile allocuzione il Sommo Pontefice tese l’arco dal canto gregoriano alla musica contemporanea, costituì l’occasione esteriore per raccogliere i diversi contributi dell’attuale Papa sul tema della musica sacra e di pubblicare il presente volume come omaggio festivo per il 22 novembre (memoria di santa Cecilia) 2008, giorno della benedizione dell’edificio dell’Accademia, completamente risanato.

    Solo ringraziare io posso, e nient’altro, recita un offertorio della Deutsche Messe (Messa tedesca) di Franz Schubert. Ed io ringrazio il signor professor emerito Dr. Konrad Baumgartner per il suo ausilio nella compilazione della bibliografia, il signor Burkhard Menke della casa editrice Herder per la collaborazione costruttiva e scevra di inutili complicazioni, nonché la Direzione diocesana di Ratisbona e innanzitutto S.ecc. rev.ma il vescovo diocesano Dr. Gerhard Ludwig Müller per il generoso sostegno finanziario.

    Ma il mio ringraziamento va soprattutto a papa Benedetto XVI, che ha acconsentito a questa pubblicazione e a cui ora posso riverentemente porre in mano il libro.

    * È stato escluso solo il breve Theologische Grundlagen der Kirchenmusik, in Bruno Moser, a cura di, Das Christliche Universum. Die illustrierte Geschichte des Christentums von den Anfängen bis heute, Südwest Verl., München, 1981, pp. 363s. (testo solo p. 363), in quanto costituisce un condensato, con varianti minime, dei primi due saggi qui riproposti.

    Prefazione vescovo Dr. Gerhard Ludwig Müller

    La tradizione musicale di tutta la chiesa costituisce un tesoro di inestimabile valore. * Con queste parole il Concilio Vaticano II introduce, nella costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium, il capitolo sulla musica sacra. Questo è impregnato di un grande e palpabile apprezzamento della tradizione della musica sacra della Chiesa attraverso tutti i secoli. Una testimonianza in proposito è fornita già dalla Sacra Scrittura. Nella sua lettera alla Chiesa di Efeso, l’apostolo Paolo grida alla comunità: "intrattenetevi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore. Cantate e giubilate di pieno cuore a lode del Signore) ( Ef 5, 19)

    Di una degna celebrazione dei misteri centrali della nostra fede fanno parte in maniera essenziale la musica, l’inno e il canto. La musica compare a lode del Signore laddove il mero parlare e il discorso dell’uomo non bastano più. Vengono toccate e risvegliate delle sfere della sua esistenza, che si trasformano nel suono della musica stessa: cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie! **

    Preghiera e musica sono affini. E se la musica si lega strettamente all’evento liturgico riesce, nel suo servizio all’uomo, ad approfondire interiormente la preghiera, al tempo stesso conferendo all’avvenimento sacro della liturgia una solennità in cui adoriamo il nostro Signore Gesù Cristo, la cui umanazione fu annunciata dalle schiere degli angeli ai pastori: gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama ( Lc 2, 14).

    * N° 112, in EV, I, 419.

    ** Sal 98 (97), 1.

    PARTE PRIMA: MUSICA SACRA, BIBBIA E CONCILIO

    PARTE PRIMA

    Musica sacra, Bibbia e Concilio

    Conclusione: Principi nella crisi attuale

    1

    Sul fondamento teologico della musica sacra

    Introduzione

    Osservazioni sulla disputa postconciliare a proposito della musica sacra

    Nell’edizione in lingua tedesca, largamente diffusa, dei testi del Concilio Vaticano II curata da Karl Rahner e Herbert Vorgrimler, il breve commento al capitolo sulla musica della costituzione liturgica è introdotto dalla sorprendente osservazione che l’arte pura, quale si trova nella musica sacra, sarebbe a stento conciliabile, per la sua natura esoterica nel senso buono del termine, con l’essenza della liturgia e col principio supremo della riforma liturgica. ¹ Questa tesi è sorprendente in quanto il testo che dovrebbe commentare – la costituzione sulla liturgia – vede nella musica non solo un accessorio e un abbellimento della liturgia, considerandola bensì essa stessa liturgia, parte costitutiva integrativa di tutta l’azione liturgica. ² Certamente Rahner e Vorgrimler non vogliono bandire dal servizio divino ogni tipo di musica; ciò che a loro sembra incompatibile con la sua essenza è solo l’arte vera e propria, cioè la musica tramandata nella Chiesa occidentale. Perciò essi ritengono che la raccomandazione del Concilio si conservi e si incrementi con somma cura il patrimonio della musica sacra ³ non dica che ciò dovrebbe avvenire nell’ambito della liturgia. ⁴ Conseguentemente, poi, riguardo la raccomandazione conciliare dei cori vocali, si evidenzia particolarmente che si riferirebbe soprattutto alle chiese cattedrali e che dall’intero contesto sorgerebbe l’impressione che il Concilio tenda propriamente a volerla vedere soltanto lì, con l’ulteriore limitazione che essa non intralci la partecipazione attiva del popolo. ⁵ Secondo Rahner e Vorgrimler, perciò, quella che normalmente fa parte della liturgia non è la musica sacra vera e propria, ma la cosiddetta musica d’uso. ⁶

    Ora, è da concedere che nell’intero testo conciliare si percepisca una certa tensione, in cui si rispecchia la tensione fra le diverse forze presenti nell’aula conciliare, ma forse anche la tensione della cosa stessa. In quel testo vi è una chiarissima raccomandazione di quella che Rahner e Vorgrimler chiamano la musica sacra vera e propria: accanto ai principi già menzionati, bisogna tener presente il vigore con cui è pretesa la formazione alla musica sacra dei sacerdoti, dei musicisti sacri e dei piccoli cantori; si raccomanda espressamente l’erezione di istituti superiori di musica sacra. ⁷ Viene poi la speciale raccomandazione del corale, ma anche l’esplicito sì alla polifonia; ⁸ un elogio quasi entusiastico dell’organo a canne, la cui formulazione induce Josef Andreas Jungmann a osservare che quell’antichissimo strumento dell’arte musicale sacra è qui lodato con parole che si discostano alquanto dal linguaggio giuridico, per il resto sobrio. ⁹ Ma fra le consuetudini tramandate sono affermati nella musica ecclesiale anche altri strumenti. ¹⁰ D’altro lato non si deve trascurare che, a questo sì alla crescente dovizia di elevatissime esigenze, sono congiunte la richiesta d’incondizionata chiarezza per tutti della liturgia e di collaborazione di tutti all’evento liturgico, dunque anche nel canto, e così si attivano elementi di remora alla dominanza dell’aspetto artistico.

    Se si confronta il testo conciliare stesso col commento di Rahner e Vorgrimler, si riscontra fra i due un rapporto che, al di là di questo caso particolare, può essere considerato caratteristico della differenza tra il proprium dei testi conciliari e le modalità di appropriarsene della Chiesa conciliare. Nel dibattito conciliare si compie la sensibilizzazione per un problema fino allora mai avvertito con tale acutezza: si fa consapevole la tensione fra l’esigenza dell’arte e la semplicità della liturgia; nel contrasto fra specialisti e curatori d’anime nasce il sopravvento dell’esigenza pastorale, che inizia a spostare unilateralmente la visione d’insieme. Il testo stesso mantiene, nella lotta per l’univocità, un equilibrio che è arduo, ma poi magari viene letto a partire dalla nuova sensibilità per un solo lato del problema, cosicché l’equilibrio si tramuta in una ricetta molto svelta: musica d’uso per la liturgia; della musica sacra vera e propria si può aver cura altrimenti, ma alla liturgia non è più adatta. Solo, però, che allora la musica sacra ( Kirchenmusik) vera e propria non è più musica da chiesa ( Kirchenmusik) e nelle chiese non vi è più musica sacra vera e propria. Questo per il momento si è disposti a tralasciarlo. È evidente che negli anni da allora trascorsi si è fatta sempre più tristemente percepibile la spaventosa depauperazione che subentra quando in chiesa si mostra la porta al bello non utilitaristico assoggettandosi, invece, esclusivamente all’uso. Ma i freddi brividi che incute l’ormai opaca liturgia postconciliare, o semplicemente la noia che essa suscita con il suo gusto del banale e con la sua mediocrità artistica, non valgono a chiarire il problema; questo sviluppo ha comunque creato una situazione in cui bisogna sempre nuovamente porre dei problemi.

    Seguiamo dunque la questione: la vera arte è, secondo Rahner/Vorgrimler, esoterica nel senso buono del termine; la liturgia è semplice, dev’essere eseguibile da chiunque, anche dai semplici. Dunque la liturgia sopporta la vera e propria musica sacra, ne ha forse addirittura bisogno, o invece l’esclude? Chi cerchi risposta a tali domande nella tradizione teologica non si trova certo in eccessiva abbondanza di fonti. Il rapporto fra teologia e musica sacra sembra essere stato sempre piuttosto freddo. Tuttavia è all’interno dell’identità storica del cristianesimo, cioè nell’ambito della tradizione, che bisogna cercare una risposta sensata, poiché solo allora il problema è risolto e poiché solo allora occupa una posizione rispetto alle realtà trattate, alla liturgia maturatasi nel corso della storia e alla musica sacra sviluppatasi in quella stessa storia.

    Certo, nel corso del tempo, gli aspetti della questione sono cambiati. In Rahner/Vorgrimler si tratta certamente della contrapposizione fra l’esoterico e l’utile, col voto a favore di quest’ultimo. Forse in questo modo di vedere non si dovrebbe cercare troppo di filosofico: è un riflesso degli atteggiamenti pastorali medi, nei quali si può avvertire la disputa dei pratici e pragmatici con gli specialisti. Certo, esistono profonde correlazioni storico-spirituali: al naturale entusiasmo del barocco era seguito l’Illuminismo con la sua tendenza al pedagogico, all’intelletto ( Verstand) e all’informare ( Verständigen); al cecilianismo seguì il movimento liturgico, dappri ma con un’enfasi piuttosto esagerata per il corale, che corrispondeva all’inclinazione arcaicizzante di gran parte di quel movimento; poi di nuovo con la tendenza all’utile, al facile, alla partecipazione di tutti a tutto. Qui può avere influito la particolare situazione di un’epoca in cui l’arte si rifugia sempre più nello specialistico, nel massimo rendimento, lasciando come via d’uscita, oltre all’astrusa astrattezza quantitativa, solo la canzone sdolcinata. Qui si può avvertire profondamente la miseria di un’epoca dilacerata, la cui razionalità ha costruito il dilemma fra specialismo e banalità e il cui funzionalismo sottrae largamente il terreno al senso per il tutto e insieme anche alla primordiale-vivente espressione artistica. Qui si può infine intuire un’idea di attività, di comunità e di uguaglianza in cui la potenza unificatrice dell’ascolto comune, dello stupore comune, dell’impressione comune in una profondità inattingibile alla parola non è più sperimentata come realtà. Comunque sia, nelle esperienze degli ultimi anni una cosa di sicuro si è fatta evidente: il ripiegamento nell’utile non ha reso la liturgia più chiara, ma solo più povera. La semplicità necessaria non va stabilita con l’impoverimento.

    La musica sacra come problema teologico

    nell’opera di Tommaso d’Aquino e delle sue autorità

    Sarebbe troppo facile voler ritenere che con tale esperienza la questione abbia già ricevuto risposta. Come già detto, l’antitesi fra l’esoterico e l’utile formulata da Rahner/Vorgrimler è solo una variante, segnata dalle condizioni del nostro

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