Benedetto XVI e le sue radici
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Recensioni su Benedetto XVI e le sue radici
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Anteprima del libro
Benedetto XVI e le sue radici - Alfred Läpple
(1877-1962)
L’OCCASIONE DI QUESTO LIBRO
Questo libro non sarebbe stato scritto se non si fosse verificato un evento del tutto personale, ma rilevante per la storia mondiale e della Chiesa. Vi sono spesso degli avvenimenti – scrive il vescovo di Innsbruck Reinhold Stecher – che per le persone coinvolte hanno un significato addirittura emblematico, carico di valore simbolico.
Qual è stato il mio evento?
Nel tardo pomeriggio del 19 aprile 2005 (era un martedì) sedevo davanti al televisore, come milioni di altre persone sull’intero globo terrestre. Ero nella mia villetta in alta Baviera, a Gilching. Che il Cardinale Joseph Ratzinger fosse già papabile da anni era noto in tutto il mondo, ma il 16 aprile del 2005 aveva ormai compiuto settantotto anni. Il Cardinale Angelo Giuseppe Roncalli, allorché fu eletto Papa il 28 ottobre del 1958, ne aveva settantasette. Perciò si parlò di Giovanni XXIII come di un Papa di transizione.
Quando, quel 19 aprile del 2005, dalla loggia della basilica di San Pietro, fu annunciato: Habemus Papam
, nella confusione dei rumori si poté udire anche il nome Josephum
. Quel che mi passò per la mente fu: può essere solo Ratzinger. Non vorrei essere al suo posto. Poco dopo, allorquando il neoeletto Papa Benedetto XVI apparve sulla loggia, si presentò con le mani sollevate e con un volto raggiante e felice.
A quest’uomo sono legato da più di mezzo secolo. Il 19 marzo del 1997, in una lettera d’auguri per l’onomastico, avevo scritto al Cardinale Ratzinger: Ringrazio Dio di averti potuto incontrare! Ringrazio te per avermi regalato un’amicizia che dura da più di cinquant’anni! E ringrazio Dio di averti chiamato alla posizione, difficile e piena di responsabilità, di Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede!
Nella sua bontà, veracità e umanità, Papa Benedetto XVI, con la sua teologia del cuore, è una roccia nel frangente la quale dà a molte persone sostegno e orientamento.
Perché l’uomo
che nei tempi fluttuanti è disposto a fluttuare anche lui
accresce il male e lo diffonde vieppiù;
ma chi saldamente persevera nella sua idea
si plasma il mondo.
Johann Wolfgang von Goethe (1749–1832)
A seguito di molteplici sollecitazioni, di preghiere verbali e scritte e infine anche a causa di false affermazioni e di inescusabili interpretazioni erronee della sua commercializzazione, e pressato da amici, ecclesiastici ed editori, crebbe in me la considerazione, la considerazione si consolidò in responsabilità e la responsabilità in dovere, di scrivere questo libro. La presente opera non offre una biografia approfondita e nemmeno uno schizzo di biografia.
Durante la stesura del presente scritto ero sempre assalito dal pensiero circa la liceità di riportare citazioni da lettere contenenti molte cose personali, senza aver chiesto il permesso al destinatario. D’altra parte, eventi ed esperienze che in quel modo erano noti solo a me non avrebbero dovuto essere fissati per una successiva biografia che qualcuno con più vocazione di me avrebbe scritto? Ciò che in quella forma era noto solo a me stesso, dall’inizio della nostra amicizia nel 1946, dev’essere fissato per brevi cenni e senza costrizioni né direttive da parte d’una casa editrice. Qui tento di descrivere e di documentare da quali radici si siano sviluppati la sua vita e il suo pensiero, la sua fede e la sua preghiera, cioè di abbozzare un ritratto della sua biografia e teologia che hanno ricevuto impronte decisive in quei primi tempi. Questi testi sono stati scritti e vogliono essere letti partendo da quest’obbligo del cuore, o meglio dal grato impulso del cuore.
Durante la stesura, la mia massima è stata la divisa araldica scelta da John Henry Newman allorché fu creato Cardinale nel 1879: Cor ad cor loquitur
(Il cuore parla al cuore
).
Scritto a Gilching, ove Joseph Ratzinger nel 1943 fu impegnato come ausiliario della Flak[1].
[1] Abbreviazione di Flugzeugabwehrkanone (cannone antiaereo
e, per estensione, contraerea
).
PRIMO INCONTRO NEL 1946
Nessuno può scegliersi l’epoca in cui vive, i genitori, la lingua madre o la patria. Esiste la grazia della nascita in un tempo anteriore o posteriore?
A trent’anni, il 20 novembre del ’45, festa di San Corbiniano da Frisinga, fui congedato dalla guerra (e dalla prigionia americana) in cui la mia generazione era stata trascinata da quell’uomo di Braunau [1] che soccombette all’orrenda tentazione non solo di essere come Dio (Gn 3,5), ma addirittura di assumerne il ruolo.
Solo dopo la Seconda guerra mondiale venni a conoscere le parole dell’Arcivescovo di Friburgo in Brisgovia Gröber (1932-1948), che espresse l’umore d’allora di molti cattolici:
Siamo troppo seri e troppo attaccati alla nostra patria e al nostro popolo per salutarla (la guerra) con giubilo… Possa questa guerra non estorcere fiumi di lacrime dagli occhi della gente e arrossare la terra con maree di sangue. Vogliamo bensì pregare Dio in ginocchio, col fervore delle nostre anime: fa che la guerra sia breve, o Signore! … Fa che sia una guerra, o Signore, dalla quale scaturisca una pace duratura!
Arcivescovo Conrad Gröber, Allocuzione pastorale del 4 settembre 1939
Mentre ero nella Luftwaffe, dal 1939 al 1945, mi accompagnava una preoccupazione: come e quando finirà la guerra e cosa verrà dopo? Nel 1942, a un corso allievi ufficiali a Baden presso Vienna rinunciai alla carriera di ufficiale: se vince Hitler, non ci saranno per me né lo studio della teologia né l’accesso al sacerdozio. Solo una sconfitta, una guerra persa poteva aprirmi la via allo studio della teologia e alla consacrazione sacerdotale…
Già durante la guerra circolavano molte domande: perché non si è detto di no? Nel dramma Draußen vor der Tür (Fuori davanti alla porta) Wolfgang Borchert (1921-1947), uno scrittore che partecipò alla guerra, formulò alcune di quelle domande che tormentavano me come tanti altri: Buon Dio, non hai sentito quando cadevano le bombe… ti abbiamo cercato in ogni cratere di granata
.
Alfred Läpple, in servizio nella Luftwaffe dal 1939 al 1945
L’11 novembre 1945, pochi giorni prima del mio ritorno a casa dalla guerra e dalla prigionia, Ernst Wiechert (1877-1950) tenne una conferenza al Teatro da camera di Monaco, che in seguito ebbi in mano. In essa manifestava ciò che molti pensavano e facevano in silenzio.
Consideriamolo, amici, e gridiamolo anche a coloro che hanno ottenuto la vittoria sul popolo… Noi sappiamo che a migliaia volsero le spalle ai dèmoni e che pian piano divennero centinaia di migliaia e milioni… dei quali so che non osarono schiudere le labbra perché ciò avrebbe significato la morte… Ubbidirono e tacquero, ma ogni passo della loro vita era su un sentiero di spine e nelle notti in cui nessuno vedeva giungevano le mani verso il loro Dio pregando per la vittoria dei nemici. Lo sa il mondo cosa significhi tale preghiera? Sa cosa un popolo ha dovuto soffrire per pregare così?
Ernst Wiechert, Rede an die deutsche Jugend (Discorso alla gioventù tedesca), 1945, pp. 34-35.
Fu una guerra lunga, di sei anni, che resterà scritta con sangue e lacrime negli annali de