Fede nella Ragione
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Anteprima del libro
Fede nella Ragione - Matteo Rampin
2009
1.
Domande
Che cosa so di Dio e del fine della vita?
So che questo mondo è.
Che io sto in esso come l’occhio nel suo campo visivo.
Che qualcosa in esso è problematico:
ciò che chiamiamo il suo senso.
Che questo senso non risiede in esso, ma al di fuori di esso.
Che la vita è il mondo […].
Il senso della vita, cioè il senso del mondo,
possiamo chiamarlo Dio.
LUDWIG WITTGENSTEIN
Interrogarsi
L’esistenza è un enigma per ogni persona: un enigma che si presenta sotto forma di domande in cui tutti, prima o dopo, ci imbattiamo.
Ognuno avverte che queste domande riguardano direttamente ciò che chiamiamo me: la mia persona, questo mio corpo, il mio oggi e il mio domani, i miei sentimenti, i miei pensieri, il mio comportamento, gli eventi che toccano la mia personale situazione, la mia attuale presenza nel mondo. In sintesi: ciò che sono, tutto ciò che sono, chi sono.
Si tratta di domande la cui importanza e centralità è legittima, proprio perché riguardano quel me. Esse riaffiorano con tutta la loro prepotente urgenza quando la vita è scossa da impedimenti e difficoltà, o dal crollo delle sicurezze su cui poggiava l’abitudinaria quotidianità.
Queste domande, pur differenti, riguardano tutte il senso del mio esistere.
Constato che la mia vita è intessuta di risorse, energie e forze capaci di esprimersi modificando me e il mondo: per quale obiettivo vale la pena investire queste forze, energie e risorse?
Constato che nella vita non vi sono certezze, che ogni mossa, ogni decisione, ogni progettazione si fonda su un terreno instabile, e che ogni risultato conseguito è precario: su quali basi fonderò i miei calcoli, dove cercherò la sicurezza di cui sento il bisogno quando pianifico le mie azioni e progetto i miei disegni?
Constato che molte mie decisioni comportano cambiamenti irreversibili nella vita mia e di altri, e che ogni decisione implica una dose di rischio: come devo decidere, e per che cosa devo rischiare?
Constato che una parte di dolore e sofferenza è inestirpabile dalla vita: a quale fine sopporto il dolore? Quando saetta la sofferenza e vivere diventa una pena, quando sembra che la vita non sia più quella di prima o addirittura che non sia più vita
, per quale motivo dovrei darmi la pena di continuare a vivere?
Ognuno avverte dentro di sé il bisogno, profondamente radicato, di conoscere come deve orientare la propria esistenza. Perché si possa orientare l’esistenza, si deve poter vedere un senso in ciò che accade: solo se riconosco un significato in ciò che vivo, posso controllare in quale direzione mi sto muovendo e, del resto, solo se so in quale direzione mi sto muovendo riesco ad attribuire di volta in volta un significato a ciò che mi accade.
Attribuire significato
implica che la realtà non mi viene data in sé
, nella sua interezza, con un senso intellegibile certissimo ed evidente: in effetti, non posso cogliere la realtà se non attraverso la mediazione della mia mente, che però inevitabilmente la distorce, come una lente deformante. La realtà è sempre interpretata dalla mia mente, e i modi per interpretarla sono infiniti: qual è allora quello più adeguato?
Ogni senso
fornito dalle mie interpretazioni è limitato, locale
e temporaneo, parziale: dunque, esistono solo sensi parziali? Oppure ogni senso parziale
è relativo rispetto a un senso ulteriore
, più grande? Esiste un senso talmente grande da poter garantire il senso di tutti gli altri sensi, di tutti gli eventi e di tutte le realtà che sperimento? Ogni certezza si basa su altre, ogni valore è relativo ad altri: ma esiste un fondamento incondizionato, un Assoluto rispetto al quale tutto il resto è relativo?
Se un Senso Ulteriore esiste, esso non è affatto evidente. È quindi legittimo chiedersi: esiste davvero un significato diverso rispetto a quello esibito dalla realtà in se stessa, esiste una realtà
diversa da quella che sperimento direttamente, una realtà che oltrepassi la mia? O invece non vi è altro significato se non quello legato alla realtà in se stessa, non vi è alcuna realtà celata oltre l’evidenza dei fatti?
Da dove nasce l’interrogarsi?
Questi interrogativi universali e drammatici possono essere ricondotti a un grande interrogativo che li comprende tutti e senza il quale, forse, nessuno degli altri esisterebbe: il mistero della morte.
In quanto esseri razionali, siamo consapevoli della nostra morte; in quanto mortali, siamo consapevoli che la nostra esistenza è problematica. È la morte ciò che ci chiama prepotentemente a confrontarci con le domande sul senso dell’esistenza, e questo accade ogni volta che cessano i clamori delle distrazioni quotidia