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Khalil Gibran
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E-book222 pagine3 ore

Khalil Gibran

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Info su questo ebook

L'affascinante e avventurosa vita dell'autore di uno dei libri più noti e amati di tutti i tempi ("Il Profeta"), scritta con stile e amore da un suo conterraneo. Alexandre Najjar, suo connazionale, ci narra l'eccezionale destino di quel visionario ribelle che emancipò la letteratura araba e seppe usare con eleganza la lingua inglese. Un uomo segnato dalle tragedie familiari, ma sempre pronto a difendere le proprie convinzioni per amore della vita, che ci ha trasmesso un messaggio di pace e di speranza.
LinguaItaliano
Data di uscita1 dic 2009
ISBN9788896720486
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    Anteprima del libro

    Khalil Gibran - Alexandre Najjar

    1

    BESHARRÉ

    Nel Mediterraneo orientale, dove s’incontrano tre continenti e tre religioni, nel nord del Libano: Besharré. Una nebbiolina densa sale dalla valle, come da un incensiere. Al ritmo del nay³ di un pastore sperduto tra i pascoli, scala le rocce, s’insinua tra querce e cipressi, e giunge ad assediare le case dai tetti color arancio. Ma ci vuol altro per sottomettere il villaggio. Perché Besharré l’indomita ha la tenacia dei suoi figli dalla pelle bruna e dai baffi fieri; ha la forza dei cedri di Dio – Arz er Rab – che s’innalzano, due leghe più in là, nobili e forti, benché la loro testa s’incurvi, gli stessi cedri che ispirarono ad Alphonse de Lamartine uno dei più bei passi del Viaggio in Oriente:

    Quegli alberi sono i monumenti naturali più famosi del mondo. Sono stati celebrati sia dalla religione che dalla poesia e dalla storia… Sono esseri divini sotto forma di alberi.

    Battezzata Buissera dai Crociati, che ne fecero uno dei feudi della contea di Tripoli, alla fine del XIX secolo Besharré si presenta come un borgo austero al centro di un paesaggio aspro. Lamartine, che ha colto questo aspetto, annota nel suo diario:

    Il villaggio di Bescierai, con le case che si distinguono appena dai massi levigati dal torrente… Vi si scende per sentieri scavati nella roccia e talmente ripidi che è difficile immaginare che gli esseri umani vi si avventurino…

    Vecchie foto⁴ offrono l’immagine di un luogo sospeso tra cielo e terra, con le tradizionali abitazioni serrate l’una contro l’altra per far fronte comune contro l’invasore, che sia l’inverno o l’Ottomano. Perché gli Ottomani sono sempre nemici: sebbene dall’arrivo delle truppe francesi comandate dal marchese di Beaufort d’Hautpoul, nel 1860, il paese sia retto da un regime speciale, cioè da un governatorato autonomo o mutassarefiat, guidato da un suddito ottomano, il mutassarref, nominato dalla Porta e responsabile di fronte a Istanbul, i cristiani del Nord rifiutano di cooperare con uno straniero e non tollerano che il territorio libanese sia privato della Beqa, di Beirut e delle regioni di Tripoli e di Sidone⁵.

    Non lungi di là, la valle sacra della Qadisha, considerata dai fratelli Tharaud⁶ come la valle per eccellenza della spiritualità maronita… Sulle vette, sui pendii, sul fondovalle o scavati nella roccia, non si vedono che chiese, cappelle, monasteri e celle. Un’intensa vita mistica si è sviluppata, abbarbicata ai rovi sospesi sui precipizi… Ma chi sono i Maro niti che abitavano – e abitano ancora – quel luogo sacro? Alla fine del IV secolo, vicino ad Antiochia, un santo anacoreta di nome Marone divenne famoso per la sua sapienza fuori dal comune, per lo stile di vita austero e perché possedeva il dono di fare miracoli⁷. Venerato da San Giovanni Crisostomo, fu la guida spirituale di un gruppo di eremiti che alla sua morte, verso il 410, fondò il primo nucleo della Chiesa maronita ed eresse un monastero in suo onore sulle rive dell’Oronte. I maroniti, perseguitati fin dal VII secolo, si rifugiarono sulle montagne nel nord del Libano e, all’epoca delle Crociate, resero preziosi servigi ai Franchi. La loro Chiesa, legata a Roma dove nel 1584 papa Gregorio XIII fonda il Collegium Maronitorium, utilizza come lingua liturgica il siriaco, dialetto derivante dall’aramaico, la lingua del Cristo. Essa conta oggi quasi quattro milioni di fedeli sia nel paese dei Cedri (in cui si celebra ogni anno, il 9 febbraio, la festa di San Marone) sia a Cipro, Rodi e in altri paesi della diaspora libanese.

    Il luogo che più colpisce in quella valle è probabilmente il convento di Sant’Antonio di Qoshaya⁸, santuario che ospita uno dei primi torchi da stampa in Oriente. Un tempo, in una grotta oscura e profonda situata all’ingresso del monastero, si incatenavano i pazzi, credendo così di esorcizzare i loro dèmoni. Come se la pazzia fosse un’eresia…

    "Dammi il nay e canta

    Il canto è il segreto dell’eternità

    E il lamento del nay resterà

    Dopo la fine dell’esistenza…

    Anche tu, come me,

    Hai scelto per dimora

    La foresta invece dei castelli

    Per seguire i ruscelli e scalare le rocce?

    Ti sei bagnato nel profumo

    E asciugato nella luce?

    Ti sei inebriato dell’alba

    In coppe riempite d’aria pura?

    Ti sei seduto, come me,

    Nel crepuscolo

    Tra i filari di vite

    E i grappoli appesi

    Come lumi dorati?

    Ti sei sdraiato, di notte,

    Nell’erba

    Con il cielo per coperta,

    Rinunciando al futuro

    Scordando il passato?

    …Dammi il nay e canta,

    Dimentica mali e rimedi

    Poiché gli uomini sono parole vergate

    Solo con l’acqua⁹".

    Gibran Khalil Gibran vede la luce il 6 gennaio 1883¹⁰, proprio in questo scenario che ha poi saputo così magistralmente cantare. Il padre, Khalil Saad Gibran, esattore di professione, passa il tempo a bere e a giocare a carte. Discende da una famiglia maronita originaria della Siria che, nel XVI secolo, si stabilì prima a Baalbek, quindi a Bshi’lé e poi a Besharré. Aveva un temperamento autoritario e non era una persona dolce, ricorderà Gibran che subì le umiliazioni e l’incomprensione del genitore.

    La madre, Kamlé Rahmé, appartiene a una famiglia molto nota nella regione. Figlia del prete Estephan Rahmé, ha sposato Khalil dopo la scomparsa del primo marito, morto in Brasile dove erano andati insieme a cercar fortuna, e dopo l’annullamento del suo secondo matrimonio con un certo Youssef Elias Geagea. Ha un figlio di primo letto, Butros, nato nel 1877. È molto bruna, delicata, e ha una bella voce, ereditata dal padre.

    Kamlé accudisce amorevolmente i suoi quattro figli (le due figlie, Mariana e Sultana, sono nate nel 1885 e nel 1887). Cerca di impartire loro una buona educazione e le piace raccontar loro storie e leggende del Libano. Gibran rievoca quei momenti deliziosi in una lettera indirizzata al cugino Nakhlé il 27 settembre 1910:

    Ricordi quando ascoltavamo quei racconti avvincenti, seduti intorno al focolare, nei giorni freddi e umidi in cui fuori cadeva la neve e il vento soffiava tra le case? Grazie a sua madre, il piccolo Gibran impara l’arabo, apprende i rudimenti della musica, del disegno e scopre la Bibbia. L’accompagna in chiesa ogni domenica, assiste alla messa celebrata secondo la liturgia maronita e cerca di ricordare, sebbene non le comprenda sempre, le litanie in siriaco. Kamlé capisce che il figlio è attratto dall’arte e gli regala un album dedicato a Leonardo da Vinci. È una folgorazione: Gibran ammutolisce per l’ammirazione di fronte all’opera grandiosa dell’artista italiano. Non ho mai guardato un’opera di Leonardo da Vinci senza provare l’intima sensazione che una parte della sua anima penetrasse nella mia, scriverà molto dopo. Ero un bambino quando vidi per la prima volta i dipinti di quell’uomo straordinario. Non dimenticherò mai più quel momento finché vivrò; e, in quel periodo della mia vita, ciò fu per me come l’ago di una bussola per una barca perduta nella nebbia…

    La madre lasciò una traccia profonda nell’animo del futuro scrittore che le renderà omaggio ne Le Ali spezzate:

    La parola più dolce che labbra umane possano pronunciare è ‘madre’. ‘Mamma!’ è il più bel richiamo. ‘Madre’ è una parola, piccola ma grandissima, piena di speranza, di amore, di tenerezza, che esprime tutta la sensibilità e la dolcezza contenute nel cuore dell’uomo. La madre è tutto nella vita: è consolazione nel dolore, speranza nella disperazione, forza nella debolezza. È sorgente di affetto, di bontà, d’indulgenza e di perdono. Chi perde la madre perde una spalla su cui appoggiare il capo, una mano che benedice, uno sguardo che protegge.

    Alla morte della madre, scrive al cugino Nakhlé, a Besharré:

    Per quanto riguarda i vestiti che hai trovato nel baule della mia defunta madre, sebbene non abbiano un gran valore e non comprendano capi pregiati, vorrei con tutto il cuore averne la maggior parte. Venero la memoria di mia madre e onoro le sue reliquie.

    E a May Ziadé, amica del Cairo, confiderà:

    Ho ereditato da mia madre il novanta per cento del mio carattere e delle mie attitudini (ma non posso vantarmi di possedere la sua dolcezza, la sua gentilezza né la sua generosità).

    Gibran trascorre i suoi primi anni nella spensieratezza, nonostante i litigi tra i suoi genitori e una grave caduta di cui fu vittima mentre camminava lungo una scogliera in compagnia di un cugino e che gli causerà una lussazione alla spalla, obbligandolo a rimanere sdraiato su un asse, con le braccia incrociate, per quaranta giorni.

    Il ragazzo viene notato da un medico-poeta del luogo, Selim Daher¹¹, che lo prende sotto la sua protezione. Gibran non lo dimenticherà mai. Quando apprese la notizia della sua morte, nel 1912, scrisse alla sua famiglia queste parole sincere: I suoi talenti e le sue qualità erano unici… Gli devo quella consapevolezza morale che, attraverso il suo affetto e la sua benevolenza, ha segnato la mia adolescenza…. E nell’elogio funebre redatto il 22 luglio 1912, inviterà i suoi concittadini a non piangere per il Figlio dei Cedri, perché la morte dà nuova vita a colui che le va incontro con animo nobile e generoso, e lo rialza nella luce del sole…

    Gibran frequenta dapprima il monastero di Mar Lisha (Sant’Eliseo), in cui padre Germanos gli inculca i fondamenti dell’arabo e del siriaco. Poi s’iscrive alla scuola elementare di Besharré, tenuta da padre Semaan che gli insegna a leggere e a scrivere. Esiste una folta schiera di aneddoti legati a questo periodo, ma è difficile verificarli: si racconta, per esempio, che un giorno il prete gli impose di copiare dieci volte la lezione di siriaco che non aveva studiato. Avvicinandosi allo scolaro per controllare il suo lavoro, lo sorprese a disegnare un asino addormentato con una berretta da prete in testa! Lo scrittore Mikhail Naimeh, suo amico, riferisce che Gibran usava un pezzetto di carbone per tracciare i suoi primi disegni sui muri. Afferma inoltre che Gibran fu ritrovato un Venerdì Santo al cimitero del villaggio, con un mazzo di ciclamini. Troppo piccolo per accompagnare gli altri bambini, che erano andati a raccogliere fiori per deporli sul crocifisso durante la funzione in chiesa, era misteriosamente scomparso, causando un grande spavento ai genitori. Quando sono arrivato in chiesa per deporre i fiori che avevo raccolto da solo, il portale era chiuso, spiegò alla madre. Allora, mi sono recato al cimitero per cercare la tomba del Cristo! Barbara Young, la compagna dei suoi ultimi giorni, racconta invece che Gibran, all’età di quattro anni, seppellì della carta nella terra, pensando che germogliasse!

    Gibran cresce in una società conservatrice e, ben presto, si distingue per il talento artistico e per la sfrenata immaginazione, per la quale i compagni lo deridono, definendolo un sognatore… Quella fantasia sfrenata sarà, al tempo stesso, una qualità per il Gibran scrittore – tutta la sua opera è pervasa di simboli e di allegorie – e un difetto per l’uomo, sempre che si possa dissociare lo scrittore dall’uomo. Come molti artisti, Gibran è narcisista: talvolta è supponente e si esprime alla terza persona. Perciò, per compensare i suoi difetti, stimola la propria fantasia. Come la maggior parte degli Orientali, ha una tendenza innata all’affabulazione. In diverse occasioni, e talvolta senza una ragione, non esiterà a trasfigurare la realtà per quanto riguarda la sua vita: ad esempio, sosterrà di essere nato in India, a Bombay, o che le ballate romantiche scritte durante l’infanzia erano diventate famose in Siria e in Egitto oppure di essere stato discepolo di Auguste Rodin o ancora di esser stato vittima di un attentato ad opera dei turchi a Parigi… Come volergliene per questo? Quanti scrittori s’inventano altre vite, si creano dei ruoli che non gli somigliano per niente? Non è forse vero che ogni scrittore, sull’esempio di Hemingway, di Swift, di Yeats o di Malraux, può rivendicare il diritto di creare – o di ricreare – il proprio personaggio, esattamente come quello di romanzare la storia (si veda la celebre frase Violento la storia, ma le faccio dei bei figli attribuita a Dumas)? O di ambientare il proprio romanzo in luoghi inesistenti, proprio come Rabelais o Jules Verne? In una recente intervista rilasciata a Le Monde, Robbe-Grillet non dichiara forse In un’autobiografia, trovo assolutamente normale inventare delle cose, trasfigurandole attraverso la memoria? In Oriente, si definisce bugia bianca una menzogna inoffensiva, senza conseguenze. Ho raccontato molte bugie nella mia vita, ma non sono mai stato disonesto: se gli capitava di mentire, Gibran lo faceva in bianco, come uno che spara in aria.

    Immerso nella natura, Gibran trascorre giorni felici in compagnia del fratellastro e delle due sorelle. Gli piacciono le tempeste che si abbattono sulla regione durante l’inverno e che gli ispireranno in seguito un quadro (Tempesta), il titolo di un libro (Le Tempeste) e parecchi testi. In una lettera a May Ziadé, scrive:

    Oggi c’è una terribile tempesta di neve. Sa quanto mi piacciono le tempeste, specialmente quelle di neve!

    E in una lettera a Mary Haskell:

    La terribile tempesta che aspettavo è appena arrivata. Il cielo è nero, il mare burrascoso, e gli spiriti di dèi sconosciuti fluttuano tra cielo e mare… Mary, perché mai una tempesta mi sconvolge così? Perché mi sento migliore, più forte, più vivo quando si scatena una tempesta? Non lo so. Amo la tempesta più di qualsiasi altro aspetto della natura…

    Gibran è catturato dalla magia dei paesaggi circostanti, dalla Valle sacra di Baalbek e dal mare, che scopre per la prima volta all’età di 8 anni a Marjhine, nell’Hermel, dove suo padre possiede una fattoria e dove, d’estate, ritrova gli amici musulmani di nome Ahmed Allau e Sadek Allam¹². Serba nella memoria immagini che, in seguito, daranno vita al suo universo poetico. Si è parlato abbastanza dell’influenza di Besharré nell’opera di Gibran? Tutte le immagini che ne popolano i libri traggono origine dal villaggio natale dell’autore, specialmente i simboli de Il Profeta: il sole, i temporali, i pastori, il grano, il mirto, la nebbia, il vento, i ruscelli, i segreti delle colline e i canti della foresta, l’aratro, il flauto, i giunchi, i gesti degli abitanti del villaggio (che vagliano, setacciano, pestano…). Anche alla fine della vita, ne L’Errante, Gibran continuerà ad ambientare le sue parabole nella città di Besharré (I tre regali), nella valle della Qadisha (Il Fiume) o su un versante del Monte Libano (La ricerca), confermando il suo attaccamento viscerale all’universo dell’infanzia. L’opera pittorica non è da meno, infatti gli sfondi e i paesaggi somigliano sempre a quelli che si possono vedere a Besharré: aspre montagne che si tingono di rosa e di azzurro, massicci rocciosi, valli profonde, sorgenti… Quadri come Danza e ritmo, Il Dono, Nascita della tragedia o Donna che scopre la natura riflettono perfettamente l’ambiente che il piccolo Gibran ebbe occasione di conoscere.

    "Anch’io – scriverà ne Le Ali spezzate – ricordo quella bella regione nel nord del Libano e, appena chiudo gli occhi di fronte all’oceano che mi separa dal mio paese, vedo quelle magnifiche valli piene di magia, quelle montagne che la gloria e la nobiltà innalzano verso i cieli; non appena chiudo le orecchie per non sentire il baccano prodotto dalla società in cui sono in esilio, sento il mormorio dei ruscelli e il fruscio del fogliame. Tutte le bellezze di cui vi parlo, sogno di rivederle, come un neonato anela al seno materno".

    Poco per volta, il bambino impara che la tolleranza è amore malato di orgoglio. In un paese in cui convivono diverse comunità religiose (Il Libano è più che una nazione, è un messaggio, affermò papa Giovanni Paolo II), scopre il senso del vivere insieme, l’accettazione dell’altro. Lo scrittore libanese Marun Abbud ha ben interpretato tutto questo: "Da questo paese sono passati tutti i popoli della terra. Si sono combattuti, poi se ne sono andati lasciandoci le loro eredità culturali… La nostra mentalità si

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