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Filosofia del fascino
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Filosofia del fascino

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Cosa può rendere un essere umano dotato di fascino in un mondo dominato dalla routine quotidiana e dalle banalità della comunicazione virtuale? Come si può avere uno stile individuale se tutto appare logoro, già visto, prevedibile? Si può costruire una vita unica, irripetibile? A queste domande prova a rispondere il saggio Filosofia del fascino, offrendo proposte che interpellano la voce di pensatori del Novecento come Gilles Deleuze, Michel Foucault, Erich Fromm e individuando nella disponibilità al cambiamento, nella ricchezza dell’immaginario e nella potenza del desiderio, le vie da percorrere.
LanguageItaliano
Release dateAug 22, 2014
ISBN9788898062560
Filosofia del fascino

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Filosofia del fascino - Francesco Pala

FILOSOFIA DEL FASCINO

Francesco Pala

Edizioni

Logus mondi interattivi

www.logus.it

© 2014

ISBN: 9788898062560

eBook design

Pier Luigi Lai - Logus mondi interattivi

pllai@logus.it

©Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione, anche parziale.

In copertina: © olly - GS Studio

Francesco Pala

FILOSOFIA DEL FASCINO

* * *

Edizioni

Logus mondi interattivi

A Roberto Bolaño, Gilles Deleuze,

Pier Paolo Pasolini, più vivi dei viventi

Premessa

Tutti hanno una idea intuitiva di cosa sia il fascino. Ciascuno potrebbe rispondere ad una domanda in materia e probabilmente molti sosterrebbero che ognuno ha un’ idea soggettiva così come accade per il bello. Io stesso potrei rispondere d’istinto: "il fascino è 2066 di Roberto Bolaño". E potrei argomentare con dovizia di tesi. Ma la filosofia è un’altra cosa. Filosofare è scegliere la via lunga ed impervia. Il lettore di questo libro perciò vedrà crescere la definizione di fascino a poco a poco, capitolo dopo capitolo, attraverso la mediazione di alcuni altri concetti che sono elementi essenziali del fascino medesimo e che serviranno a rendere chiaro perché la questione che trattiamo è oggi centrale più che mai.

La guida implicita e spesso esplicita di questo percorso è il pensiero di Gilles Deleuze, grande parabola filosofica dai riverberi infiniti e sempre lucenti.

Alla fine del libro vorremmo aver fornito elementi utili a smentire la seguente affermazione dell’amato Michel Houellebecq: «Il mondo era tutto tranne un soggetto di emozione artistica; il mondo si presentava assolutamente come un dispositivo razionale, privo di magia come d’interesse particolare»¹.

Una lucente preistoria

Un’insopprimibile sensazione di banalità diffusa, espansa, proclamata, fatta di ripetizioni, luoghi comuni, déjà vu, emotività a buon mercato, comunicazione ossessiva e pervasiva. Questi possono essere gli standard di una vita media nel circuito tecnologico e mediatico dell’Occidente sviluppato. Niente a che vedere con la libertà, la differenza e la molteplicità che la società multimediale agli albori annunciava come pane quotidiano per tutti e che tuttora resiste nelle aspettative diffuse. Ciò che finora si è diffuso grazie alla rivoluzione tecnologica è un passo svelto e insensato per ciascuno, intelligenze stimolate in continuazione da protesi tecnologiche al servizio di un’interattività che estenua per ridondanza e volume. Uomini ridotti a recettori di stimoli di ogni genere, a volte incapaci di coordinarli, a volte inconsapevoli amplificatori dei desiderata della società multimediale. Ma c’è dell’altro. Accanto a questa incessante propulsione tecnologica si muove la vita di ogni giorno, quella che si pratica con la carne e con le ossa, negli uffici, nelle strade, nei posti di lavoro. Una vita lenta, compassata, svuotata progressivamente di senso dall’immaginifico circuito virtuale, pervasa da un’irrequietezza che progressivamente diventa insoddisfazione oppure da una passiva e abulica accettazione del procedere routinario con intere vite che si trasformano in sequenze di abitudini per diventare mere quinte teatrali per la vita vera e scoppiettante della virtualità. La nevrosi mediatica prosciuga l’esistenza di ogni giorno, la rende banale, indesiderabile, per catalizzare ogni energia vitale e convogliarla nel vuoto spinto e comunicativo.

Tra mondo materiale e mondo virtuale si è aperto un divario che prima di tutto è estetico: le volute infinite della realtà immateriale contro gli intonaci screpolati dei palazzi, gli habitat luccicanti della comunicazione via internet contro gli interni disadorni di un appartamento medio, le istantanee ritoccate sprizzanti bellezza contro la faccia di ogni giorno e di ogni ora.

Il divario è anche pratico, il mondo virtuale è intuitivo, rapido, a prova di desiderio, il mondo materiale spesso è opaco, ostacolante, frustrante. Il divario, infine, è sociale: il virtuale appare inclusivo, coinvolgente, un flusso che non lascia fuori nessuno, che non discrimina; il materiale è segnato da gerarchie, diffidenze, distanze e solitudini. Il fatto che l’inclusività sia spesso solo una parvenza non ostacola, visto che nell’alveo del virtuale l’apparenza è l’unico pane quotidiano richiesto e accettato.

Rispetto a questo contesto ci si divide ancora, come direbbe Umberto Eco, tra Apocalittici ed integrati². I nuovi apocalittici assumono posizioni di retroguardia a difesa del mondo materiale e della sua autentica solidità: le piazze concrete, la gente reale, i libri di carta, la natura e il suo calore, la lentezza del cuore, la bellezza della riflessione. Gli integrati puntano l’accento sulle nuove possibilità comunicative, sull’emancipazione diffusa prodotta dalla condivisione di prodotti culturali e giornalistici, sulla comoda rapidità di un mondo a portata di mano in ogni momento e ad ogni ora della vita.

Il presente non sembra militare a favore degli apocalittici, non sembra cioè che il dilagare della virtualità possa arrestarsi e quindi non è facile credere che posizioni resistenziali o nostalgiche possano innestare contro-tendenze,

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