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DONNE PALESTINESI IN GUERRA: da madri della nazione a shahidat.
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Ebook159 pages2 hours

DONNE PALESTINESI IN GUERRA: da madri della nazione a shahidat.

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About this ebook

Da una bella tesi e da un'importante esperienza personale nasce un testo dedicato a nuove situazioni e nuovi ruoli della donna in questo secolo complesso.
LanguageItaliano
Release dateOct 3, 2015
ISBN9788893157360
DONNE PALESTINESI IN GUERRA: da madri della nazione a shahidat.

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    Book preview

    DONNE PALESTINESI IN GUERRA - Maria Antonietta Crapsi

    famiglia.

    Introduzione

    L’obiettivo di questo lavoro è quello di analizzare il ruolo delle donne palestinesi in guerra dagli anni ’20 del Novecento fino al 2002, anno in cui inizia il fenomeno delle donne palestinesi kamikaze.

    Il desiderio di occuparmi di donne alla fine del mio percorso di studi è diventato più forte negli ultimi quattro anni in seguito a esperienze personali e alla presa di coscienza sullo status delle donne della mia famiglia e la volontà di riscatto per esse, per me e per le donne di tutte le parti del mondo ancora intrappolate in strutture patriarcali e maschiliste.

    L’interesse per la ricerca sulle donne palestinesi si è concretizzato nel corso del mio periodo di studi presso la Marmara University di Istanbul dove da settembre 2011 a gennaio 2012 ho frequentato diversi corsi grazie al progetto Erasmus. Il corso che ha fatto partire le mie ricerche sulle donne palestinesi si chiamava Foreign Politics of Middle East e l’insegnante era una donna che chiedeva ai suoi studenti di analizzare la politica estera di un determinato paese del Medio Oriente partendo dal ruolo giocato da un particolare attore o gruppo sociale di questo stesso paese. Ricordando un acceso scontro tra una donna palestinese e una donna israeliana proposto dalla trasmissione Annozero di qualche anno prima, non ho esitato a proporre l’analisi della partecipazione delle donne palestinesi nella politica estera. In seguito, ho ristretto il campo ad un aspetto specifico del ruolo che le donne palestinesi hanno svolto nel processo di nation-building concentrandomi sul loro apporto nell’ambito del conflitto con Israele, chiaramente un fattore prioritario del processo di definizione dell’identità nazionale palestinese dai primi decenni del ventesimo secolo sino ad oggi. Si trattava di stabilire se le donne avessero preso parte alla guerra, in che misura e di come il loro grado di partecipazione fosse cambiato a seconda delle diverse contingenze storiche. Si trattava di capire quanto le donne avessero partecipato spontaneamente alla guerra e quanto fossero state manipolate dagli uomini o da altri attori. A queste questioni si è cercato di rispondere nei tre capitoli della tesi, analizzando estensivamente la letteratura sul tema. La mia incapacità di comprendere la lingua araba mi ha precluso la possibilità di analizzare i concetti di guerra, resistenza, lotta nazionalista, terrorismo e martirio definiti direttamente dalle donne palestinesi. Nonostante ciò molte informazioni preziose derivano dalle interviste effettuate da studiose occidentali a donne che hanno assunto un ruolo militante nel conflitto e hanno passato in carcere molti anni della loro vita, esposte a violenze psicologiche e fisiche.

    La tesi sostenuta in queste pagine è che le donne hanno avuto ruoli importanti in guerra e sono passate da essere "care giver" a guerrigliere a kamikaze e hanno avuto come obiettivo primario quello della liberazione della Palestina contribuendo ad essa in diversi modi. Non sono mancate le rivendicazioni femministe e le iniziative di pace ma in generale la lotta di liberazione nazionale ha fatto passare in secondo piano la lotta di liberazione di genere e le donne sono rimaste intrappolate in schemi sessisti e sono state manipolate in vario modo per il raggiungimento di fini politici e strategici.

    Dagli anni ’20 a oggi c’è stata la sovversione del mito della madre: la donna palestinese vista come madre della Nazione, come madre che mette al mondo i propri figli affinché possano combattere contro l’occupazione israeliana, che trasmette ad essi i valori della cultura palestinese e si dedica alla loro cura e a quella dei mariti, la donna identificata con la terra generatrice capace di mettere al mondo palestinesi come la terra palestinese fa fiorire i frutti profumati citati in ogni testimonianza, diventa una guerrigliera negli anni ’70 e una sorella degli uomini negli anni ’80 come dimostra la partecipazione all’Intifada. Dal 2002 la donna palestinese si allontana dalla famiglia per diventare una shahida, una martire che commette attentati suicidi per la liberazione della Palestina. Inizia il crollo del mito della madre, nato al tempo del mandato inglese in Palestina, camuffato ma mai veramente scomparso fino al momento in cui, nel 2006, la prima mamma palestinese abbandona i suoi figli per amore di Allah diventando una suicide bomber.

    L’elaborato è strutturato in tre capitoli in ognuno dei quali sono presenti degli elementi di innovazione e degli elementi di conservazione.

    Il primo capitolo analizza il ruolo delle donne nella resistenza all’amministrazione inglese e allo stabilimento sempre più consistente degli ebrei nei Territori Palestinesi. Prende in considerazione poi il ruolo di care giver assunto dalle donne durante la nakba e l’attivismo degli anni ’50 e ’60 stimolato dal nasserismo e dal panarabismo.

    Nel capitolo si spiega infine la richiesta delle donne di partecipare alle milizie armate in seguito alla Guerra dei Sei Giorni e si individua un particolare tipo di resistenza nella prigionia a cui diverse donne palestinesi sono costrette.

    Si analizza inoltre la figura di Leila Khaled una guerrigliera che ha partecipato al dirottamento di aerei per la promozione della causa palestinese.

    Il secondo capitolo analizza il ruolo delle donne nella resistenza all’occupazione israeliana sia nei Territori Occupati sia all’infuori di essi e in particolare in Libano.

    Si occupa poi dell’esplorazione del ruolo dei quattro comitati delle donne palestinesi affiliati ai diversi partiti dalla fine degli anni ’70 all’Intifada.

    1qDell’Intifada vengono analizzati sia gli aspetti positivi per le donne (la partecipazione delle donne di tutte le classi e di tutte le età) sia gli aspetti negativi (il ritiro dalla sfera pubblica e l’imposizione dell’hijab da parte di Hamas).

    Il terzo capitolo cerca di rispondere a due principali domande. La prima è se ci siano stati progressi o arretramenti nel ruolo delle donne palestinesi nella resistenza dagli anni ’90 agli anni 2000 e per rispondere alla domanda si analizza il ruolo di Hanan Ashrawi nel processo di pace e altri sviluppi politici che hanno portato all’allontanamento delle donne dalla sfera pubblica.La seconda domanda riguarda il ruolo di Hamas nell’arretramento delle donne dalla resistenza e nell’utilizzo della tattica degli attacchi suicidi. Si è scoperto che esistono numerose spiegazioni che hanno provocato un ritorno delle donne alla domesticità e la politica di Hamas è solo una di queste. Diverse concause spiegano anche gli attacchi suicidi e Hamas arriva in ritardo rispetto a milizie come le Brigate di Al Aqsa che reclutano le future donne kamikaze.

    Questo elaborato si propone di dimostrare la pervasività della guerra nella vita delle donne palestinesi che non ha visto queste ultime solo come spettatrici passive ma anche come protagoniste (aspetto largamente sottovalutato in letteratura) nonostante gli evidenti tentativi di manipolazione da parte degli uomini.

    Si cerca poi di dar vita a una ricostruzione storica completa, utilizzando un approccio di tipo cronologico, perché la maggior parte dei lavori sulle donne palestinesi si concentra solo su determinati periodi storici senza fornire una visione d’insieme.

    In conclusione ci tengo a sottolineare che nonostante questo lavoro si concentri sulle sofferenze del Popolo Palestinese, non sono mai state dimenticate le violenze subite dal Popolo Israeliano. Sebbene questo lavoro si occupi per la maggior parte di guerra e faccia solo brevi cenni alle iniziative di pace, ci si auspica che una maggiore consapevolezza sui problemi del Medio Oriente possa portare a soluzioni pacifiche e veramente realizzabili per il conflitto arabo-israeliano-palestinese.

    Dall’attivismo alla resistenza: lotta nazionalista e guerra per le donne palestinesi.

    The mother’s generation: 1920 – 1948 lotta anticolonialista e nazionalista delle donne palestinesi.

    La guerra può assumere molte forme. Per capire una guerra si deve aver ben presente la sua contestualizzazione storica, le cause e le conseguenze, si devono individuare gli attori locali e esterni che vi prendono parte. Dalla dichiarazione Balfour a oggi la Palestina ha affrontato numerose guerre e battaglie e, nonostante i più recenti tentativi di arrivare a soluzioni pacifiche dei vari conflitti e a una stabilità duratura, esse non si sono mai effettivamente verificate tanto che ha preso piede una guerra continua interrotta da periodi di pace solo apparente. Una guerra che ha cambiato forma, che si è evoluta e che ha visto anche l’evoluzione del ruolo dei suoi partecipanti e in particolare l’evoluzione del ruolo delle donne di cui si vuole discutere in queste pagine. La militarizzazione della vita delle donne di cui parla Cynthia Enloe nel libro Maneuvers: The International politics of militarizing women lives che si è diffusa a partire dalla prima guerra mondiale ha riguardato anche la Palestina: le donne palestinesi hanno partecipato a una guerra mutante (intesa come guerra che cambia forma) fin dagli anni ’20 cercando da un lato di essere protagoniste e sfruttando l’educazione di cui avevano potuto usufruire e dall’altro lato restando legate a una politica di genere che soprattutto nei primi anni le vede al servizio delle ideologie tipicamente maschiliste come quella del nazionalismo. Esse rafforzano l’immagine della donna come madre, una donna che mette al primo posto i diritti sulla terra e non quelli sulla propria persona.

    Nel paragrafo si descriverà l’attività delle donne nelle prime lotte evidenziandone le contraddizioni.

    Il ruolo dell’istruzione nello sviluppo del primo attivismo femminile.

    Gli accordi Sykes – Picot e la fine della Prima Guerra Mondiale sanciscono definitivamente il controllo della Gran Bretagna sul territorio palestinese, un controllo che assume la forma dell’amministrazione militare dal 1917 al 1920 e che poi diviene un vero e proprio mandato della Lega delle Nazioni.

    Il periodo inglese è abbastanza ambiguo per la società palestinese in generale e per le donne in particolare. Dal 1920 al 1948 la colonizzazione inglese assume la forma dell’indirect rule, che crea spaccature sociali affidando il controllo territoriale e amministrativo a poche tribù e si propone come obiettivo una europeizzazione che non servirebbe tanto a migliorare la qualità di vita dei palestinesi quanto a inserire la piccola economia palestinese nel sistema degli scambi europei. Tutto ciò ha avuto anche un’influenza sulla vita delle donne in quanto la diffusione dei progetti educativi proposti dagli inglesi riguarda solo una parte di esse e ha caratteristiche ben precise.

    È molto importante partire dal ruolo che l’istruzione ha giocato nella formazione delle donne anche perché questo permette di fare delle distinzioni tra le varie figure di donne che hanno partecipato al primo movimento nazionalista: quello che sembra in generale un movimento filantropico e che è descritto così nella maggior parte della letteratura sul tema, nasconde anche aspetti di partecipazione diretta e di violenza delle donne nelle prime lotte nazionaliste e nella guerriglia e poi nella guerra vera e propria. Anche se nei primi anni questi episodi sono limitati e la partecipazione delle donne in guerra è di tipo più tradizionale essi non sono assenti. Partiamo con ordine.

    L’indirect rule inglese e il desiderio di mantenere lo status quo per facilitare l’amministrazione e imporre il controllo legislativo, giudiziario, militare, delle relazioni esterne e dell’effetto della religione sulla popolazione si affiancano a una politica esplicita sulle donne. Anche essa si pone in linea con il desiderio di mantenere lo status quo e quindi non riguarda miglioramenti politici ed economici ma solo un adeguamento dello status sociale che deve essere in linea con i principi illuminati riguardanti il trattamento delle donne e dei bambini previsto dall’Amministrazione Inglese. Il ruolo prestabilito assegnato alla donna è quello di madre, ruolo rafforzato dal sistema scolastico e dai programmi di welfare. Viene regolamentato anche il ruolo delle donne delle classi inferiori come le infermiere, le domestiche, le levatrici e le prigioniere (che spesso pagano con la prigione l’aver commesso crimini di piccola portata).

    L’immagine della donna araba e più in generale della donna palestinese pervenuta agli amministratori inglesi viene spesso trasmessa dai viaggiatori e dai missionari che raccontano di una donna arretrata, non in linea con i costumi inglesi e che ha bisogno di essere civilizzata essendo lo status di incivile attribuibile alla religione islamica. Su queste immagini si basa la politica del governo inglese e degli amministratori inglesi presenti sul territorio: la parola d’ordine è modernizzare, facendo uscire la donna dall’isolamento tipico dell’harem e liberandola dai costumi tradizionali e quindi dal velo, facendola socializzare con altre donne e avvicinandola ai costumi occidentali e più specificamente inglesi.

    In questo quadro

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