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Gli ultimi cowboys
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Gli ultimi cowboys

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Gli ultimi Cowboys è una storia che considera e focalizza il sentimento della società nei confronti delle novità, con le sue sfide e incognite. L'ambiente è l'estremo Ovest degli Stati Uniti d'America, dove il lavoro di allevatori di bestiame era stato sempre abbastanza redditizio e quello dei mandriani sempre pericoloso e incerto. C'era stato però un passaggio molto importante alla fine dell'Ottocento, difatti, se la modernità rendeva passato ciò che era avvenuto qualche anno prima, quello stesso passato era sfruttato dalle prime industrie cinematografiche e molte furono le opportunità che si offrirono ai giovani amanti dell'avventura, del successo e del guadagno facile, poche le convinzioni dei tradizionalisti.

Larry e Willy sono la perfetta sintesi di queste due visioni della realtà, che li porta a compromessi e a situazioni conflittuali che sfiorano la tragedia, ma non mancano spazi di riflessione e di intesa che li lega sempre più l'uno all'altro, diventando solidi punti di riferimento per le loro famiglie e per i cultori del progresso.
LanguageItaliano
Release dateSep 19, 2015
ISBN9788893066884
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    Gli ultimi cowboys - Annamaria Arletti

    esistere.

    Introduzione

    I primi tentativi del popolo americano di tramandare ai posteri le loro conquiste furono motivati più da un senso di orgoglio che dal rispetto per la storia. Sottomessi all'Inghilterra, la cultura americana non esisteva ancora, quando poi con l'indipendenza i coloni si sentirono liberi e padroni, razziarono le terre dell'Ovest in lungo e in largo. Bisogna ammettere che molte leggi furono emanate in prospettiva universale, come l'abolizione della schiavitù, ma molte altre fecero fermentare guerre civili e spedizioni coloniali per espandere anche sulle coste oceaniche il proprio dominio. La carta vincente che sempre puntavano sul banco dei conflitti internazionali era la bandiera della democrazia e difatti per molti l'America fu considerata un paradiso in terra.

    L’espansionismo americano puntò, è vero, sul sogno antico di tutti i popoli ma questi trovarono in loro stessi la forza e i principi per lottare e quella libertà non fu per niente gratuita. Comunque gli Stati Uniti d'America nacquero non tanto per il senso di espansionismo di pochi politici e mercanti, poiché non c'era ancora l'idea di una confederazione di stati, quanto per una svolta nell'apparato legislativo che metteva al primo posto ogni uomo con i suoi diritti, che per quei tempi era veramente un'utopia.

    Completate le annessioni di territori al Governo confederale, bisognava proteggere i confini territoriali ad Est, sulle Coste atlantiche, e all'Ovest, sulle Coste Pacifiche, per cui alla fine dell'Ottocento all'espansionismo seguì una serie di battaglie per rafforzare i propri confini, liberandosi da ogni autorità straniera che poteva mettere a rischio la sua libertà territoriale. Il motivo era evidente, il Nord America era considerato una polveriera politica, se messo a confronto con le culture millenarie dei continenti dell'Asia e dell'Europa.

    Le battaglie che si consumarono nel Centro America, punto strategico e nodo dolente del Governo confederale, dimostrarono al mondo intero che la nascente democrazia temeva i governi imperiali dei continenti antichi. Non era difficile capirlo, infatti, al centro America i due confini si annullavano, i due oceani si univano, quindi un punto fisico e politico molto debole, poiché da lì poteva entrare e uscire chiunque, facendo spola da un oceano all'altro.

    I territori del Centro America erano stati per secoli sotto il dominio della Spagna, perciò la guerra tra gli Stati Uniti d'America e la Spagna non si fece attendere molto, infatti, la Spagna possedeva isole e arcipelaghi come Cuba, Portorico e le Antille, che si affacciavano sull'Atlantico, e l’arcipelago delle Filippine, incastonato nell'oceano Pacifico, per cui era temuta ma anche combattuta. Era temuta dagli Stati Uniti ed era combattuta dai popoli sottomessi alle dittature spagnole, sembrò a quei tempi una manna dal cielo l'intervento americano che liberò gli indigeni dalla dittatura spagnola ma in effetti metteva lei la bandiera su quelle terre. Le perdite umane furono molte da entrambe le parti.

    Nei libri di scuola si scrive una storia più che altro politica, ma la vera storia dei popoli la racconta la tradizione, la raccontano i paesi, i borghi, le singole persone, i racconti degli anziani. La storia tramandata da documenti e dalle cronache è asettica, non smuove la mente, tanto meno il cuore. Far parlare le storie dà invece un senso di serenità, anche se molte turbano la coscienza. Dà serenità, perché le storie ci dicono che da sempre l'uomo è ipocrita, insaziabile e smemorato: ha gridato la sua libertà e poi l'ha tolta ai suoi simili. Raccontare le storie però è praticamente impossibile, le persone comuni non hanno mai fatto parlare di sé m se avessero potuto, cosa ci avrebbero tramandato?

    Qualche storico del cinema ha sostenuto che nella grande maggioranza dei casi, i fatti portati sul grande schermo erano storie di fantasia, impiegando personaggi ai quali si attribuivano capacità più grandi del reale, rendendoli quindi dei miti. Ma se dal punto di vista storico il cinema non è stato un mezzo fedele di lettura della storia, è però vero il contrario e cioè che da quando il cinema ha fatto il suo ingresso nel panorama culturale mondiale, il genere western americano è stato identificato come genere filmico più illustre, il solo capace di creare il mito attraverso l'immaginazione.

    L'archeologia del cinema porta con sé una storia di costume, di società, di economia, poiché ha investito a tutti i livelli. Iniziato con riprese di pochi secondi, senza suoni né voci, man mano il Cinema si è evoluto, prima con documentari, poi con le prime trame. Prima con scenografie, poi con veri scenari e addirittura con la ricostruzione di vere cittadine. Insomma, il Western americano, più che far rivivere le storie, ha fatto la Storia: il mitico torna di moda e affascina grandi e piccoli, colti e illetterati.

    I . Le ultime diligenze

    Tascosa, in Texas, è una cittadina fondata da pastori e carrettieri del New Mexico e territorio insano per la presenza di paludi disseminate lungo il Canadian River. Per questo motivo era attraversata solo dai mandriani che facevano sosta durante la traversata da una regione all'altra e di certo essa fu la vera ragione perché fosse battuta dai ladri di bestiame. Nessuno tornava indietro senza mandria e ciò voleva dire cambiare proprio regione, mentre gli allevatori di bestiame erano costretti a dire addio agli affari. Molti furono gli allevatori che si trovarono indebitati fino al collo, d'altronde i mandriani non avevano a che fare solo con i ladri, c'erano anche i diritti degli indiani che non volevano bestie sui loro territori a causa delle malattie che portavano. L’allevatore dovette allora attrezzarsi in casa sua, assumendo uomini disposti a guardare e guidare le mandrie nelle praterie e fu così che nacque la figura-icona del cowboy americano che insieme al bue e al cavallo era anche lui un perfetto animale, così si diceva. Tuttavia esisteva un codice di onore tra i cowboy, una specie di decalogo, ma anche nel vecchio West la norma più difficile da rispettare fu quella di non impicciarsi dei fatti altrui, se si voleva vivere. Tra i cowboys pertanto c'era massimo rispetto, sapendo che se qualcuno avesse dubitato della sua parola, del suo onore, per lui sarebbe stata la fine.

    La vita del cowboy era durissima e niente affatto romantica come nei film. Generalmente portava una Colt, come strumento di lavoro, infatti era usata per difendersi dagli animali selvaggi, contro il bestiame inferocito e contro gli indiani. Non avevano voglia di duellare con i loro colleghi, ma la vita errabonda e dura a volte li portava a regolare con le armi faccende che la legge non contemplava o era a miglia di distanza.

    Il cowboy è stato simbolo di eterna giovinezza e di autostima, difatti nessun tipo di uomo nella storia ha dimostrato prima di lui che è impossibile conquistare e difendere la libertà senza coraggio e senza violenza. Questa però era la morale degli adulti, ma i bambini? In quei territori selvaggi i più deboli erano proprio loro, spesso orfani di entrambi i genitori. Imparavano da piccoli a sopravvivere rubando qualche frutto e un tozzo di pane e crescevano senza educazione e quando poi pensavano di aver trovato una persona a cui voler bene, allora si accorgevano di essere stati venduti come schiavi e crescendo odiavano il mondo intero.

    La città di Tascosa, particolarmente restia alla Legge, aveva tenuto lontani i vili e i furbastri con un avvertimento ben scolpito sulla prima lapide del cimitero.

    ''Solo i più coraggiosi meritano un posto a Tascosa''.

    Non si sapeva però cosa volesse dire, se un posto al cimitero o una casa e un lavoro per vivere. Molti furono quelli che vollero informarsi e molti di loro andarono a far compagnia al defunto portavoce di quell'avvertimento.

    Sul tratto Tascosa-El Paso le diligenze continuarono a fare il loro duro lavoro, nonostante la presenza delle ferrovie. Qualcuno le prendeva per percorsi riservati, per viaggi di lavoro e di ricerca o per esercitare il lavoro dei primi investigatori, infatti nelle diligenze si parlava ancora e si sapeva tutto di tutti, mentre nei vagoni ferroviari ognuno si faceva gli affari suoi. Anche i carri coperti con tendoni erano ancora in funzione e con quelli molti specialisti si muovevano con le loro famiglie, specie i medici, i monaci e gli educatori.

    È una bella giornata di sole. Un uomo ben distinto guida un carro. Dentro vi è la moglie che sta ascoltando una poesia del figlio. Lei gli fa i complimenti per la sua bravura e vuole sentire ancora, ma il padre lo chiama e lo fa sedere a suo fianco. Gli chiede se voleva guidare i cavalli. Il bambino ci prova poi chiede al padre se poteva rimandare quelle lezioni, perché era stanco. La mamma chiude il libro e lo lascia riposare.

    Il carro si ferma nei pressi di un torrente per una breve sosta. Il bambino si sveglia, scende dal carro e chiede se erano arrivati a casa e il padre lo informa che era solo una sosta. La madre gli chiede di andare al torrente a riempire un secchio d'acqua. Il bambino è alto ed energico per la sua età, quel secchio l'avrebbe fatto volare e infatti la madre lo vede saltellare gioioso e se ne rallegra. Anche il padre lo osserva e sorride alla moglie.

    Il bambino gioca con l'acqua. Ha già riempito il secchio ma gli piace sguazzare con i piedi. Sente all'improvviso degli spari ed esce dall'acqua. Si era però allontanato troppo, se non riusciva ad orientarsi per raggiungere i genitori. Ai successivi spari, il suo sguardo è smarrito, poi sente le grida della madre ed urla dal terrore.

    «Mamma... papà!».

    Raggiunge il carro. Riesce solo a vedere un gruppo di uomini fuggire e, dai sombreri, gli sembrano messicani. Scrolla i corpi dei genitori, vorrebbe urlare, piangere, ma non gli riesce di dire una parola e i suoi occhi si serrano.

    Non sa quanto tempo era rimasto accanto ai cadaveri dei genitori, dovevano essere diversi giorni, se alcuni soldati, al suo risveglio, gli sorridevano e sospiravano, temendo che non ce l'avrebbe fatta.

    I soldati lasciano ai cittadini del vicino paese il compito di dare sepoltura a quelle salme ma non sanno a chi affidare il bambino. In quel tempo c'è una grande epidemia e nessuno ha la testa di educare orfanelli. I soldati devono anche ripartire subito per non contagiarsi.

    Il bambino comprende che si parlava di lui e si chiude sempre di più nel suo dolore.

    «Ora ti portiamo da un uomo di Dio. Lui non potrà rifiutarti, vedrai!» gli assicura un ufficiale.

    Il reverendo lo prende con sé ma non promette niente. L'ufficiale è astuto e gli dà una risposta alla quale non c'era da replicare.

    «Non dovete promettere a me e neppure al bambino, ma al vostro Dio».

    I soldati ripartono e il reverendo si trova a condividere il suo modesto alloggio con un bambino muto.

    Il reverendo lo porta sempre con sé, sperando che gli torni la voce. Il bambino vede il paese e la gente passeggiare e accenna un sorriso, il religioso attende invece che parli, inutile. Lo fa visitare dall'unico dottore del paese e il modesto luminare della scienza non gli dà speranze. Gli ricorda un espediente in voga nella credenza popolare e cioè che a seguito di un'altra paura, di pari intensità, la voce sarebbe ritornata. É però così difficile far spaventare quel bambino. Il reverendo le prova tutte e non riuscendovi china la testa. Lo tiene con sé e gli assegna il compito di pulire la chiesa e di passare tra i banchi per la questua domenicale. I cittadini si abituano al suo viso pulito e schivo e mettono sempre qualche moneta in più nella cesta delle offerte, accennandogli un sorriso.

    Dopo qualche mese, alla prima festa in paese, il reverendo fa salire il bambino sulla sua carretta e si apparta ai margini dell'emporio. In quell'angolo c'era stato sempre un via vai di bambini e ragazzini e l'uomo di Dio spera che il bambino faccia amicizia con i coetanei o che attiri l'attenzione di qualche famiglia disposta ad adottarlo. Il bambino è invece indifferente e si annoia. Stava addirittura addormentandosi sul carro. D'improvviso raffiche di mitragliatrici e boati svegliano il bambino. È traumatizzato, va in cerca della mamma, del papà e li chiama balbettando. Il religioso lo vede tremare e rabbuiasi in viso. Lo afferra e lo tira giù, riparandosi dietro al carro. Il bambino si divincola, riesce a liberarsi e corre in strada dove s'imbatte nel primo cadavere. Ricorda che una banda di messicani avevano ucciso i genitori, forse erano gli stessi, vuole vendicarli. Tira dalle mani del morto il fucile e lo punta in direzione dei fuggitivi. Spara con tutte e due le mani e fino all'ultimo colpo. Ne uccide tre, gli altri quattro riescono a fuggire con la refurtiva. Il bambino voleva ucciderli tutti, credendo di poter dimostrare così ai genitori che gli mancavano tanto, perciò quando vede che alcuni gli sono sfuggiti si inginocchia in strada e inizia a frignare.

    Lo sceriffo e gli altri lo raggiungono e si preoccupano della sua salute. Lo scrollano, gli sollevano delicatamente la testa per accertarsi che stia bene.

    «Non è ferito, mi pare!» osserva lo sceriffo.

    «No!» risponde il bambino.

    Il reverendo capisce che aveva rivissuto il suo dramma e spera che la voce gli ritorni e perfettamente.

    «Come ti chiami, figliolo?» chiede lo sceriffo.

    «Fa-a-tti mie-e-e-i!».

    C'è chi ride e chi si trattiene dal farlo, di certo un balbuziente in canonica non era un bel pregare e il reverendo se ne renderà conto molto presto.

    Da quel giorno i pochi credenti che andavano in chiesa, sentendo il bambino balbettare qualche preghiera, invece di pregare ridevano segretamente. Per recitare un padre nostro, il bambino ci metteva un'ora, a cantare non gli piaceva e neppure ci riusciva, insomma il reverendo comprende di essersi preso una grande responsabilità ma il problema maggiore non era tanto il suo silenzio, quanto la reazione del bambino a chi faceva finta di non capirlo, quando lui si sforzava di parlare. Si era attrezzato con una pistola che teneva nascosta e con quella impallinava chi rideva di lui. Lo sceriffo, non potendo denunciare il bambino, denuncia il reverendo, poiché gli permetteva una pistola in mano.

    «Ma io non so dove la tenga nascosta e dove prenda i proiettili» si giustifica il reverendo.

    «Tu lo hai preso in custodia e tu ne rispondi».

    Il continuo battibecco tra il reverendo e lo sceriffo attira l'attenzione dei superiori del religioso, che lo destinano in un altra località dove non poteva portarsi un bambino. Il sostituto non ha le stesse virtù del suo predecessore, così il piccolo ospite decide di andarsene, approfittando dell'invito di un postiglione che lo sedere accanto a lui e gli fa tenere le redini in mano.

    «Ti piacerebbe?» chiede l'uomo.

    «No-o so-o!» risponde il bambino.

    Il postiglione guarda meglio il piccolo compagno di viaggio e, accortosi del difetto, pensa di sbarazzarsene. Alla prima fattoria lo fa scendere con gli altri passeggeri e quando riparte lo lascia a terra. Il bambino si trova solo nel grande spiazzo e ai primi rumori si nasconde nel pollaio.

    Vi resta per tutta la notte poi al mattino si rifugia nella stalla. Intravede un ragazzino nella fattoria che ogni tanto gioca a tiro a bersaglio, e una persona anziana che lo sgrida perché lavori. Gli sarebbe piaciuto quel posto ma teme di essere cacciato per il suo difetto. Scoraggiato, si addormenta sulla paglia. Dopo qualche giorno lo trova il proprietario della fattoria.

    Nikolas Monroe, vive con Larry, figlio di suo figlio, morto misteriosamente. Il nonno l'aveva praticamente cresciuto lui, ma quel cosino che vede nella paglia, denutrito e lacero, di sicuro non aveva nessuno. Ne ha compassione e perciò lo tiene in casa, insieme a suo nipote.

    II. Prima sparo poi parlo

    Willy ha diciotto anni e Larry ventitré. In otto anni di convivenza ognuno ora conosce molto bene l'altro, tuttavia Larry non riesce ancora a non sorridere quando Willy balbetta, anzi a volte lo fa innervosire apposta per sentirlo, e allora c'è bisogno dell'intervento dell'anziano di casa perché la serata non termini con qualche osso rotto. Willy infatti buttava in faccia a chiunque tutto quello che aveva tra le mani, fosse anche un candelotto di dinamite acceso, purtroppo era la sua reazione al difetto che aveva.

    Se in casa sembrano cani e gatti, fuori casa però si guardano le spalle l'un l'altro e guai a guardare storto Willy o bisbigliare al vicino mentre lui passa, fischiano pallottole da ogni parte. Larry è meno bravo di Willy a sparare ma difficile che rimanga a corto di argomenti per farsi rispettare.

    Lo sceriffo più volte aveva raccomandato a Willy di non usare le armi ma lui diceva che se parlava tutti ridevano, perciò sparare per lui era come parlare seriamente.

    Negli otto anni trascorsi insieme, Larry aveva tenuto a freno la lingua, lasciando al nonno il compito di capire ciò che diceva l'amico, l'importante per lui era che non russasse e tenesse pulita la stanza, e per questo Willy era proprio fissato. Non aveva voglia invece di prendere lezioni da un maestro che prometteva miglioramenti al suo problema. Si scocciava e non lo credeva possibile. Il nonno di Larry gli ripeteva che da adulto avrebbe avuto difficoltà, poiché da sempre il balbuziente aveva fatto ridere.

    Un giorno Nikolas cerca di spaventarlo, di prenderlo per il verso giusto e gli fa una domanda.

    «Se una bella ragazza si innamora di te e ride per la tua balbuzie, che fai, le spari?».

    «Vo-o-o glio pro-o-prio vee-de-re se ri-i-de, co-on- questa in cu-u-lo!» risponde Willy, impugnando la pistola e volteggiandola a meraviglia.

    Il vecchio gli molla una paterna pedata nel fondo schiena.

    «Sporcaccione! Parli come un animale!» gli urla Nikolas, rincorrendolo.

    Willy apre la porta e scappa.

    Entra Larry, saluta il nonno poi indica il fuggitivo.

    «Niente, le solite scemenze!».

    «Ho saputo che in un certo ospedale vi è un famoso uomo di scienza che potrebbe aiutare Willy. Me lo ha detto il dottor Crowford. Che ne dici se tentassimo?».

    «Non ne vuole sapere di medici e di scienziati. L'ho anche intimorito, parlandogli di fidanzate, ma sapessi cosa mi ha risposto!».

    «Cosa?»

    «Fattelo dire da lui, vedi che faccia fa!».

    «Certo che sei misterioso anche tu, ma parla, dimmi. Lo sai che quando deve parlare deve prendere la rincorsa».

    «Vuoi proprio saperlo? Se una donna di cui lui è innamorato dovesse ridere del suo modo di parlare le sparerebbe in un certo posto».

    Larry si mostra turbato. Il nonno lo scrolla.

    «Prepara la tavola, non pensarci!».

    Larry invece ci pensa, infatti tornava dal paese con una notizia che voleva condividere con il nonno. La figlia del proprietario dell'emporio gli aveva confidato di sentire un certo affetto per Willy. Il nonno gli aveva parlato invece di come Willy avrebbe trattato le femmine che avrebbero riso di lui, perciò fa i conti e non sa se dirglielo o lasciar perdere. Il nonno lo scruta ben bene e poi gli fa segno di sedere e di confidarsi.

    «Tu non me la conti giusta. Cosa nascondi?».

    Larry gli racconta del desiderio di una ragazza di conoscere Willy. Il nonno non può crederci, e non perché il ragazzo non meriti attenzione ma, con la mania che aveva, poteva anche scapparci il morto, perciò lo dissuade.

    «Non dirgli niente. Non è ancora pronto e poi ha solo diciotto anni. Lascialo stare con i suoi sogni per ora. Anzi, vedi dove si è ficcato. I fagioli sono cotti. Chiamalo».

    Larry rientra con Willy dopo una mezz'ora, quando i fagioli sono ormai crema. Il nonno ha già terminato di mangiare e sulla tavola ha lasciato due piatti coperti, il cesto del pane e una bottiglia di vino.

    I due si siedono a tavola, alzano il piatto che faceva da coperchio e contemplano il loro pasto. Willy affonda il cucchiaio nell'impiastro, gira e rigira ma non mangia. Larry invece si versa il vino nel bicchiere e dopo qualche girata di troppo inizia a mangiare la crema di fagioli, accompagnandola con fette di pane. Neanche a lui piacevano scotti ma per riguardo al nonno li mangia. Dà pedate a Willy perché mangi anche lui, ma lui si limita ad alzare il cucchiaio per poi far ricadere pian piano la crema di fagioli nel piatto. Nikolas non ci vede più dalla rabbia, gli si avvicina e chiede cos'è che non andava.

    «No-on ve-e-di... è crema?».

    «I fagioli erano cotti a puntino quando Larry è venuto a chiamarti. Se sono diventati crema è perché forse non eravamo degni di averti a tavola, signor marchese! Mangia... o quanto è vero Iddio te lo rompo in testa questo piatto» alza la voce il capo di casa.

    Willy alza lo sguardo verso il suo educatore e poi guarda Larry. Ancora una volta l'amico gli fa cenno

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