La scala di luce
By As-Sulami
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La scala di luce - As-Sulami
I GIOIELLI
testi esoterici del Sufismo
collana diretta da
Paolo Urizzi
6
As-Sulamî
La scala di luce
Tre antichi testi di scuola malâmatî
a cura di
Demetrio Giordani
artIn copertina: Bacino in ceramica smaltata dalla Chiesa di S. Andrea in Pisa, – Spagna, primo quarto del XII sec.
ISBN: 978-88-96720-45-5
© Copyright 2006
Edizioni Il leone verde
Via della Consolata 7, Torino
Tel/fax 011 52.11.790
e-mail: leoneverde@leoneverde.it
http://www.leoneverde.it
Indice
INTRODUZIONE
I Malâmatî di Nîshâpûr
I Guardiani del Segreto (al-umanâ’)
La vita e le opere dello Shaykh Abû ‘Abd al-Rahmân al-Sulamî
LE VIE DEGLI GNOSTICI
TRATTATO SUGLI STADI DELLA VIA DEGLI UOMINI VERI
ESPOSIZIONE DEGLI STATI SPIRITUALI DEI SUFI
Glossario dei termini arabi
Indice dei nomi e dei luoghi
Indice dei versetti coranici citati
Bibliografia essenziale
Demetrio Giordani insegna Storia dell’Islâm all’Università di Modena e Reggio Emilia. Ha curato in questa stessa collana la traduzione di As-Sulamî, Introduzione al Sufismo (Al-Muqaddima fi-l-Tasawwuf), Il leone verde, Torino 2002, e la traduzione di Shah Ahmad Sirhindi, L’Inizio e il Ritorno, Mimesis, Milano 2003.
INTRODUZIONE
I Malâmatî di Nîshâpûr
Quando lo Shaykh Abû ‘Abd al-Rahmân al-Sulamî (m.1021 d.C.) scrisse la sua epistola sui Malâmatî (Risâla al-Malâmatîyya) era già passato un secolo e mezzo dall’apparizione, in una delle principali città del Khurâsân, la regione nord-orientale della Persia ai confini dell’Afghanistân, di quel gruppo di asceti che si era distinto da subito per la pratica di una via spirituale dalle caratteristiche estremamente rigorose, implacabili
, direbbe oggi qualcuno, a cui fu dato il nome di Via del Biasimo
, ben distinta dalla Via del Sufismo
, che era invece la via spirituale degli asceti di Baghdâd.
L’attività dei primi Malâmatî iniziò infatti nella città persiana di Nîshâpûr tra il IX e il X secolo d.C., alcuni dicono come reazione all’ambiente religioso del tempo e alle pratiche ascetiche in voga in alcuni ambienti sufi di quella città. Durante questo periodo Nîshâpûr, assieme a quella di Merv, Herat e Balkh, era una delle più importanti città del Khurâsân, posta al centro di un crocevia di strade che la collegavano, da un lato, alle principali città del mondo islamico di quel tempo, Rayy e Baghdâd, e dall’altro a Mashhad, Samarcanda, Bukhârâ, all’Asia Centrale e all’India.
Durante il regno dei Tâhîridi (820-873 d.C.) e dei Samanidi (X sec.) Nîshâpûr fu la capitale del Khurâsân e la sede del governo provinciale. Durante il periodo in cui il califfato abbaside era sottoposto alla pressante tutela della dinastia sciita dei Buwahidi (932-1055 d.C.), Nîshâpûr divenne di fatto il centro dell’Islâm sunnita, almeno fino alla metà dell’undicesimo secolo, quando i Selgiuchidi, ferventi sunniti, vi si insediarono facendone temporaneamente la loro capitale, prima di riconquistare definitivamente Baghdâd.
In quel periodo Nîshâpûr era una città densamente popolata, formata da più di quaranta rioni, ed era un centro di un fiorente artigianato, con due grandi mercati. La sua agricoltura era prospera a causa soprattutto di un sofisticato sistema di canali sotterranei di irrigazione. La generale prosperità della città si concretizzò nella formazione di un’influente classe media, formata da artigiani, mercanti, funzionari e dotti religiosi delle maggiori scuole giuridiche del Khurâsân, tanto che Ibn Battuta la chiamò la piccola Damasco
, e celebrò nella cronaca del suo viaggio le madâris e la folla di studenti che vi aveva visto circolare.
Già dal nono secolo però il benessere di Nîshâpûr e la sicurezza dei suoi abitanti erano minacciati da violenti disordini di natura settaria che avvenivano per il controllo delle principali istituzioni della città; questi disordini coinvolsero in un crescendo di ostilità soprattutto gli appartenenti alle scuole giuridiche hanafita e shafi‘ita. L’antagonismo tra le due scuole di diritto si estese dalle dispute teologiche e giuridiche alla lotta per il controllo dell’insegnamento nelle madâris e dell’apparato giudiziario, e diede luogo infine a vere e proprie battaglie campali, che mobilitarono vasti settori della popolazione in appoggio dell’uno o dell’altro partito. I disordini scoppiarono anche in altre città del Khurâsân; sembra, comunque, che in particolare Nîshâpûr fosse stata la città maggiormente interessata da questi sconvolgimenti, che furono poi la causa fondamentale del declino sociale ed economico della città intorno al dodicesimo secolo¹. È all’interno di questo clima settario e fazioso che le attività dei Malâmatî di Nîshâpûr ebbero inizio².
C’è chi afferma che il metodo spirituale dei Malâmatî rappresenta una decisa reazione nei confronti di movimenti famosi per il loro estremismo che ebbero un’enorme influenza nel Khurâsân intorno al nono secolo; in particolare, la loro energica disciplina introspettiva era in contrasto con l’ascetismo estremo ostentato dalla setta dei Karrâmiyya, che in quel periodo aveva una grande influenza a livello popolare, specialmente tra i tessitori e gli artigiani poveri del distretto di Mânishâk, nella parte Nord Ovest della città. Questa setta aveva preso il nome dal suo fondatore Muhammad b. Karrâm (m. 869 d.C.) originario del Sîstân, ed era un movimento militante, dalla regola quasi monastica, e dalle dottrine spesso giudicate troppo letteraliste³.
Il gruppo originario dei Malâmatî si costituì tra gli artigiani della città e le notizie più importanti su di esso ci pervengono attraverso Sulamî, che era stato tra i pochi a ricevere oralmente, da un numero imprecisato di appartenenti alla terza generazione di Malâmatî, informazioni sulla vita e le sentenze dei fondatori del gruppo e sui loro discepoli. Tra questi informatori, una trentina di personaggi circa⁴, fa spicco chiaramente il nome del nonno di Sulamî, Abû ‘Amr Ismâ‘îl ibn Nujayd (m. 977 d.C.), che faceva parte del gruppo di quelli che mettevano in pratica il principio malâmatî della dissimulazione dell’esperienza interiore
(talbîs al-hâl)⁵.
I primi Malâmatî di Nîshâpûr si riunirono intorno alle figura di Hamdûn al-Qassâr (m.884 d.C.), che secondo Sulamî è stato il vero fondatore del movimento⁶ e che forse è il rappresentante della sua tendenza più autentica. Anche se non ha lasciato nessun’opera scritta, si tramandano alcuni dei suoi detti più significativi. Diceva: «La conoscenza che Iddio ha di te è migliore di quella che hanno gli uomini» (bâyad ke tâ ‘ilm-i Haqq – ta‘âlâ – be-to nîkûtar az ân bâshad ke ‘ilm-i khalq)⁷.
Hamdûn sosteneva che era caratteristico della natura dell’essere umano preoccuparsi della popolarità mondana più che del puro compiacimento divino, e che questo era il velo più grande che si interponeva tra Iddio e l’uomo devoto. Chi si preoccupa del giudizio degli uomini – diceva – evita di agire in modo riprovevole solo per non attirare su di sé il biasimo; mentre chi si preoccupa del giudizio di Dio non tiene conto di quello che dicono gli uomini⁸. L’evitare di diventare famosi a causa della propria pietà religiosa, e quindi il pericolo concomitante dell’ipocrisia (riyâ’), rendeva indispensabile per i Malâmatî mascherare i loro atti di culto supererogatori: compiacere gli uomini e compiacere Iddio per loro erano infatti obiettivi inconciliabili e opposti. Il Malâmatî doveva in primo luogo cercare di non discutere con la gente per quello che essi dicevano di lui, né rammaricarsi di essere criticato o disprezzato, ma anzi fare di tutto per attirare il biasimo della gente, senza che tale azione fosse in sé un peccato grave o un’offesa, ma solo un espediente per essere respinto.
L’enfasi sulla devozione interiore e segreta portò i Malâmatî a respingere deliberatamente una qualsiasi forma di abito che li distinguesse, ma anche le riunioni di samâ‘⁹, e perfino il dhikr¹⁰ vocale, in quanto forma esemplare e pubblica di devozione esteriore.
Hujwîrî riporta il seguente aneddoto su Hamdûn al-Qassâr, il quale racconta di un suo incontro con uno degli esponenti di spicco del movimento della Futuwwa:
«Un giorno, mentre camminavo lungo il corso del fiume Hîra a Nîshâpûr, incontrai Nûh al-‘Ayyârî, noto per la sua virtù cavalleresca (futuwwa), che era a capo di un gruppo di giovani cavalieri (‘ayyârân)¹¹ della città. Lo vidi per la strada e gli dissi: "O Nûh, cos’è per te la generosità (javânmardî)? Disse:
Quale delle due, la mia generosità o la tua? Dissi:
Parlami di entrambe. Rispose:
La generosità per me è che io tolga questo vestito e indossi l’abito rattoppato (muraqqa‘a) e agisca in modo appropriato a tale indumento, cosicché io possa essere un sufi e astenermi dal peccato per la vergogna che provo di fronte a Dio. Mentre per te la generosità è che tu tolga il vestito rattoppato affinché la gente non ti inganni e tu non inganni la gente. Di conseguenza la generosità mia è l’osservanza formale della legge rivelata, mentre per te è custodire la Realtà in segreto" (hefz-i haqîqat bar asrâr)»¹².
La voglia di ricercare la considerazione nell’opinione altrui e la compiaciuta stima di se stessi, avevano come antidoto sperimentato l’assoluta sincerità (ikhlâs), che i Malâmatî adottavano per smascherare in modo spietato i trucchi dell’anima inferiore (nafs); diceva Dhû-l-Nûn l’egiziano, uno dei primi asceti cui è stata attribuita sempre una spiccata tendenza malâmatî: «La nafs ha un rosario e un Corano nella mano destra, una scimitarra e un pugnale nella manica»¹³.
Il concetto di biasimo (malâma) trae la sua origine sostanzialmente da un passaggio coranico in cui viene menzionata l’anima che biasima se stessa
(al-nafs al-lawwâma) (Cor. 75: 2) e che ritroviamo anche nel versetto della Sura della Mensa
:
«Iddio susciterà della gente (qawm) che Lui amerà e che Lo amerà, umile con i credenti e fiera con i miscredenti, che lotterà per la Causa di Dio e che non teme il biasimo di nessun biasimatore» (Cor. 5: 54).
L’espressione al-nafs al-lawwâma indica un grado intermedio nella progressione dell’anima umana verso il suo perfezionamento, essendo all’inizio nient’altro che l’anima che istiga al male
(al-nafs al-ammâra bi-l-sû’), fino a diventare al termine l’anima pacificata
(al-nafs al-mutma’inna). Il senso del biasimo allora, nella prospettiva del perfezionamento propria dei Malâmatî, era sia l’esporre se stessi al biasimo degli altri, ma soprattutto il biasimare quella parte della propria anima, che istiga al male
, impedendole di ricavare qualsiasi soddisfazione dalle cose di questo mondo.
Nella sua opera sulla Malâmatîyya Sulamî riporta le parole di Muhammad ibn Mûsâ al-Wâsitî:
«Guardatevi dall’anima in ogni stato; è meglio che arriviate a sottometterla al punto di salutare chi vi risponde di malagrazia e non farlo con chi risponde con gentilezza, non frequentare chi mostra piacere in vostra compagnia, propendendo invece per la frequentazione di chi vi disprezza, chiedere a chi vi rifiuta e non a chi vi dà soddisfazioni, rivolgervi a chi si allontana e allontanarsi da chi si rivolge a voi, fare doni a chi non vi ama e non a chi vi ama, alloggiare presso chi vi trova sgradevole e non alloggiare presso chi vi desidera, unirvi a chi vi detesta e non unirvi a chi vi vuole bene, mangiare con chi vi è antipatico e non mangiare con chi desiderate, viaggiare quando desiderate restare e stare fermi quando desiderate viaggiare»¹⁴.
Quanto si legge nel trattato che lo Shaykh al-Sulamî ha dedicato alle varie malattie dell’anima e ai loro rimedi, si colloca nettamente nella prospettiva di rettifica psicologica tipica della scuola malâmatî, in cui l’aspirante viene messo in guardia dal pericolo dell’ipocrisia, come nel caso che segue:
«Una delle malattie dell’anima è la parvenza di pietà che assume il murîd senza esigere dal cuore la sincerità.
Il rimedio corrispondente è che il murîd abbandoni l’umiltà esteriore se non nella misura in cui essa riflette l’umiltà interiore del suo cuore e della sua interiorità segreta. Poiché il Profeta – che Dio prodighi su di lui benedizioni e pace – ha detto: Chi è pervaso da ciò che non possiede rassomiglia a qualcuno che indossa dei vestiti rubati
»¹⁵.
«Una delle malattie dell’anima è che essa favorisce il proprio aspetto esteriore per farsi notare, e trascura la propria realtà interiore che è invece sotto lo sguardo di Iddio Altissimo.
Il rimedio corrispondente è che il murîd sappia con certezza che gli uomini non lo onorano se non a misura di quel che Iddio ha messo loro nei cuori; sappia, quindi, che la sua realtà interiore è l’oggetto dello sguardo di Iddio Altissimo, ed è dunque questa la prima cosa da correggere, prima del proprio aspetto esteriore, che è invece l’oggetto dello sguardo degli uomini. Iddio Altissimo ha detto: Poiché Dio è su di voi che vi osserva
(Cor. 4: 1). E il Profeta – che Dio prodighi su di lui benedizioni e pace – ha detto: Certamente Iddio non guarda il vostro aspetto né le vostre azioni, guarda invece i vostri cuori
»¹⁶.
Un altro importante personaggio appartenente al nucleo originale dei primi Malâmatî di Nîshâpûr era Abû Hafs al-Haddâd (m. 874 d.C.), originario di Kordâbâdh, un sobborgo alle porte di Nîshâpûr¹⁷. Anche da lui non sono pervenuti scritti di sorta, ma una serie innumerevoli di detti tra cui: «Da quando ho conosciuto