Vernice fresca
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Book preview
Vernice fresca - Luca Rondolini
Colophon
Tutti i diritti riservati
Copyright ©2015 Oltre edizioni
http://www.oltre.it
ISBN 9788897264620
Titolo originale dell’opera:
Vernice fresca
di Luca Rondolini
Collana * edeia / racconti *
diretta da
Elisa Amadori
Diego Zandel
progetto grafico:
Sara Paganetto
Prima edizione ottobre 2015
L'autore
Luca Rondolini è nato a Perugia nel 1977, dove vive. È laureato in lettere e ha conseguito il dottorato in Italianistica con un lavoro sulla narrativa di Federigo Tozzi. Insegna materie letterarie nelle scuole secondarie.
Ha recitato con il CUT di Perugia, per la regia di Roberto Ruggieri, e con Filippo Timi e il Teatro Stabile dell'Umbria. Da molti anni scrive versi e racconti, finora inediti.
INDICE
Copertina
Colophon
L'autore
BELLEZZA IN BICICLETTA
IL TUNNEL
ESTATI LONTANE
IL VESTITO DA SPOSA
LABBRA ROSSE DI CARNE
VERNICE FRESCA E ALTRE IMPERFEZIONI
L'INCONTRO
NELLE ZONE PIÙ SCURE
VENERE LA PORTALETTERE
CASA SULL'ALBERO
IL RAGAZZO È CRESCIUTO
BELLEZZA IN BICICLETTA
1
Che male c’è se chiedo un bacio
un bacio cosa può cambiar
se veramente non ti piaccio
un piccolo bacio
che mal ti può far?
«Sei stanco?»
«Beh ‘n po’ sì, è da stamatina che...»
«Ti fa lavorare troppo Giovi?»
Daniel non sembrò stupito che il figlio si riferisse al padre con il soprannome di tutti. Luca non riusciva a dire «mio padre», ma soltanto all’idea di pronunciare la parola papà si sentiva catapultato in un telefilm tedesco, dove tutti si chiedono ossessivamente scusi, prego... Trovava tuttavia troppo volgare dire «l’mi babbo» (Giovi toglieva anche la doppia, diceva per esempio, rivolgendosi alla moglie: «C’ha parlato co l’elettricista l’tu babo?»). Allora aveva trovato lo stratagemma ironico del nomignolo, che dava l’impressione del disincanto e al tempo stesso brillava di un segreto affetto.
«Melio se lavoro», rispose Daniel a testa bassa.
Le sopracciglia folte gli ispessivano le ombre del volto, largo e cordiale ma rinchiuso in sé mentre il sole batteva su di loro discretamente, rispettoso. Erano seduti vicini sul muretto quasi finito del retro, con le gambe a penzoloni verso il mastodontico albero di noce da cui si sparpagliavano tremolii di luce e i versi degli uccelli, così aggrovigliati e acuti che frastornavano. C’era nel momento un invito alla calma. Luca però temeva che il tempo passasse, perché a breve i loro genitori sarebbero tornati dalla ferramenta e il ragazzo se ne sarebbe andato e con lui sarebbero volati via quei secondi. Daniel non lo guardava e si ostinava a scrutarsi i piedi, o forse seguiva la fila di formiche che ordinate migravano verso la tana. Luca non si era accorto del suo imbarazzo: più che vederlo lo sognava, tenendolo nel cerchio di fantasie antiche.
«Devo lavorà senò come si fa?», aggiunse Daniel e la frase si spezzò, come scollegata dal resto del discorso. Luca ci pensò su e poi, atteggiandosi a uno che conosce bene la vita, disse: «Beh certo...»
Chissà quanti anni aveva. Ventitré, venticinque? O meno ancora? Sembrava un bambino, ma anche molto più vecchio di lui.
Inaspettatamente Daniel prese l’iniziativa e chiese: «Tu lavori?»
«Ti ho visto sempre in casa...», proseguì e un sorriso gli sfuggì imprevisto.
«Cioè, sento sempre la musica da dietro.»
Poco mancò che la vista di Luca si annebbiasse. Dunque Daniel avvertiva la sua presenza? Non gli pareva vero di essere solido, di entrare nello spazio visuale di qualcuno. Arrossì come se fosse stato scoperto.
«No, studio. Preparo l’ultimo esame. A novembre ho finito.»
Stavolta era Daniel che si era incantato e forse lo guardava con la coda dell’occhio. La sua maglietta risaliva sopra i fianchi in una leggera tensione: là sotto si nascondeva senza dubbio una deliziosa pancetta. Luca non pensò più a niente e si slanciò, mosso da un istinto irresistibile.
«Ahia, hai anche tu un po’ di pancia, come me, che è la birra?», disse facendo un cenno con il mento verso di lui e ridacchiando nervosamente.
«No che birra, io non bevo.»
«Davvero? Non bevi niente?»
«No, solo 'l babbo beve, la birra tutta lui l’ha bevuta. Anzi, grazie che gliel’hai data.»
«E di che." Luca non voleva lasciare afflosciare la smania che lo trascinava, per cui aggiunse: «Guarda quanta ce n’ho io!» e sollevò la canottiera. La brezza calda gli solleticò i peli, facendoli contrarre leggermente. Anche Daniel tirò su la maglietta e disse, con un sorriso di piena soddisfazione: «Io più.»
«Fa’ sentire», disse Luca d’impulso e gli appoggiò la mano sopra l’ombelico. Il calore di un altro corpo, vivo e pieno, gli accese nello sguardo una tale febbre che Daniel gli scansò il braccio, turbato. Luca arrossì violentemente e si alzò come se il muretto fosse coperto di carboni ardenti. Ebbe paura di aver combinato un disastro. Daniel restava immobile e non diceva una parola. Il rossore di Luca era passato al suo viso. Mordicchiandosi le pellicine, attendeva che qualcuno sbloccasse il noce e il muretto e perfino i versi degli uccelli che parevano inceppati anch’essi.
Ci pensò Luca, tirando fuori una sicurezza che ignorava di avere e che saliva dal buio dentro di sé. Aiutò con gentilezza Daniel ad alzarsi, poi lo portò in casa, sussurrandogli: «C’avemo poco tempo."
Al sicuro dietro la persiana chiusa si spogliarono in un secondo e si stesero sul letto, tenendo le gambe vicine, la coscia destra di Daniel sopra quella sinistra di Luca. Ansimando forte, si spingevano i corpi l’uno sull’altro come a sovrapporli interamente, finché non vennero insieme. Luca fece finire qualche schizzo su Daniel. Poi si abbracciarono nudi, covando nelle loro pance unite lo sperma perché non si congelasse, come avveniva nelle loro seghe solitarie. Luca nella penombra avrebbe voluto un bacio, ma non si azzardò. A breve i loro genitori sarebbero tornati.
2
Se passa una bellezza che va in fretta
non hai l’anima nera, per non averla stretta.
Tu guardi al cielo verde nella prima
sera. Passata è la Bellezza in bicicletta.
Era da qualche tempo che il caso, quando Luca andava a piedi a fare le fotocopie dei libri presi in prestito, gli consegnava un regalo piccolo piccolo ma consolante per lui, sempre troppo solo tra i desideri che raggiavano da ogni corpo. Un ragazzo che girava con la bici, scuro di capelli, con occhi marroni calmi e antichi, da lui soprannominato Bellezza in bicicletta.
Quasi tutti gli uomini erano fantasmi che gli si appiccicavano alla pelle e gli entravano dentro anche se non voleva. Dalla sua posizione adorante spiava i maschi, i solidi, gli inguainati in divise: meccanici, autisti, operai, imbianchini, astri di una costellazione dell’amore fulgida e remota, appuntata su un cielo inviolabile. In basso, nella materia fangosa del mondo sublunare, Luca annaspava.
Bellezza in bicicletta passava e si lasciava guardare per così poco che non restava tempo per la vergogna. Quando spingeva sui pedali, i muscoli delle gambe si contraevano appena e Luca immaginava di passargli la mano sulle cosce.
Il suo amico ignoto compariva in punti sempre diversi dell’esiguo quadrilatero dei suoi movimenti: casa/tabaccheria, tabaccheria/casa, casa/Minimarket, Minimarket/casa, casa/corsa lungo il giro della Torre, corsa lungo il giro della Torre/casa. Non una volta che mancasse all’appuntamento. Era spuntato dal nulla, sembrava straniero, era solo come lui. Non parlava con nessuno, nessuno lo salutava. Pareva che scappasse e nello stesso tempo il suo sorriso timido nascondeva la speranza di essere fermato. Luca pensò che facesse il muratore, perché lo vedeva sempre con la maglietta e i pantaloncini macchiati di calce.
Nel lavoro preparatorio alla sua tesi si era imbattuto nella tavola di Colantonio San Gerolamo nello studio e da allora non faceva che guardarla, intenerito dal gesto familiare con cui il leone appoggiava la zampa destra sul ginocchio di Gerolamo, mentre il santo si dedicava a estrarre una spina conficcata nella sinistra. Prima si erano imposti i particolari (i polpastrelli della zampa ferita, l’espressione concentrata di Gerolamo, la criniera classicamente impostata), poi l’aveva affascinato la scena intera, che gli era diventata familiare come una sua allegoria privata.
Era lui Gerolamo, chiuso nel suo studio tra libri accatastati l’uno sull’altro. Una stanza simile a una prigione, fatta non solo delle pareti che la sua casa opponeva al sole di giugno, ma anche dei suoi pensieri irrigiditi e distanti. Il leone era la belva che aveva nel sangue. Davanti alla vastità del suo progetto di lavoro si riduceva a un gattone addomesticato che gli posava la zampa sul ginocchio in segno di fedeltà. Lasciava dunque che le sue letture si espandessero, libere da troppe costrizioni. In quel modo la sua mente evadeva dalla prigione e volava nell’aria sottile. Se avesse concluso la tesi, ne era sicuro, l’incantesimo si sarebbe spezzato. Finché divagava in compagnia del suo leone il senso di colpa scompariva, ma tornava intatto quando Luca riponeva i libri e si riaffacciava al mondo esterno. Gerolamo aveva visioni terribili in cui Cristo lo rimproverava di essere più ciceroniano che cristiano; Luca si faceva condannare dal suo tribunale interno per non saper esistere nella vita reale. Non sarebbe mai potuto diventare l’uomo che desiderava, il maschio perfetto. Non c’era una divisa per lui. C’erano solo le pareti del suo studio e le pareti della sua mente.
La primavera scorsa nella tabaccheria del paese aveva visto il tecnico della slot machine inginocchiato per cercare un guasto: i pantaloni della tuta erano scesi, scoprendo la spaccatura del culo peloso. Mentre lo contemplava a bocca aperta, sentì che il tecnico apparteneva a un mondo di armonie che non era il suo, un mondo compreso in una sfera perfetta. Qui sulla terra, non altrove, in ogni caso lontano dalle sue dissonanze. Per lui Eros era solo povertà, una fitta che lo faceva tendere verso la spaccatura di quel culo come a volerci entrare tutto dentro. L’inno per celebrare quel corpo, tutti i corpi che l’estate gli depositava davanti, restava impigliato nella sua bocca.
Con Bellezza però era diverso, il suo sorriso lo accoglieva senza giudicarlo. La leggerezza dei raggi della sua bicicletta scintillanti al sole lo sollevava dall’asfalto pieno di crepe. Senza accorgersene, socchiudeva la bocca e lasciava entrare il vento della giovane estate.
Bellezza aveva le gambe sottili di un adolescente, ma dalla vita in su era un uomo dal corpo pieno e reale. Luca si dilettava con l’idea che Bellezza passasse per lui; e che magari anche lui lo desiderasse. Quando lo vedeva, tutto sembrava possibile.
3
Se avrò da te quel solo bacio
nessuno al mondo lo saprà
domani tu l’avrai scordato
e il bacio che hai dato
così per pietà
in me resterà
Erano sdraiati con i gomiti puntati sull’erba e sperdevano lo sguardo tra le stelle aperte a ventaglio sopra di loro; accanto i bicchieri della birra vuoti facevano colare la poca schiuma rimasta. La gente, a gruppi sempre più radi e sfilacciati, stava ancora al bancone del bar a passare il peso da una gamba all’altra nella sterpaglia sabbiosa. Ma loro non vedevano nessuno, rintanati nel buio dietro il campo di calcetto che per il periodo della Sagra del Crostone fungeva da pub. La musica alla fine si spense con un gracchio, dopo gli interminabili saluti e ringraziamenti di una cantante dai capelli rosso fuoco, capace di