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Le origini del qualunquismo in Sardegna. Il Fronte dell’Uomo qualunque 1945-1956
Le origini del qualunquismo in Sardegna. Il Fronte dell’Uomo qualunque 1945-1956
Le origini del qualunquismo in Sardegna. Il Fronte dell’Uomo qualunque 1945-1956
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Le origini del qualunquismo in Sardegna. Il Fronte dell’Uomo qualunque 1945-1956

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Quando uscì il primo numero de “L’Uomo Qualunque”, la gente colse soprattutto un aspetto: l’anti- antifascismo; piacque in particolare la polemica che Giannini andava facendo verso la dittatura del Cln non da basi di carattere ideologico ma da sensazioni a pelle, efficacemente rese dallo stile immediato e talvolta volgare del commediografo napoletano. Piacque perché, bene o male, la Resistenza si era qualificata come un movimento fortemente condizionato dal Partito comunista; se, in altri termini, avesse vinto la Resistenza monarchica o quella liberale, la borghesia italiana si sarebbe avvicinata al movimento di liberazione con ben altri sentimenti. Tali meccanismi si ripetono puntualmente in Sardegna, anche nell’isola il movimento nasce attorno al giornale e raccoglie quella classe dirigente che temeva di non avere più cittadinanza politica dopo la guerra, in una regione che non ha praticamente conosciuto la Resistenza ai tedeschi; anche in Sardegna, come in molta parte del Meridione, l’Uomo Qualunque riesce a intercettare i consensi dei monarchici, dei moderati e degli ex fascisti, consentendo, per il breve spazio delle elezioni per la Costituente, la creazione di una forza ragguardevole, in grado di condizionare la politica regionale.
LanguageItaliano
Release dateNov 8, 2014
ISBN9788899121150
Le origini del qualunquismo in Sardegna. Il Fronte dell’Uomo qualunque 1945-1956

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    Le origini del qualunquismo in Sardegna. Il Fronte dell’Uomo qualunque 1945-1956 - Giuseppe Serra

    ricerche.

    Capitolo primo

    «Abbasso tutti», la rivolta degli uomini qualunque

    In Italia ci sono due crisi: una ministeriale e una politica.

    La prima è una sciocchezza di cui si interessano solo poche

    centinaia di persone che sperano di guadagnarci o temono

    di perderci; la seconda travaglia tutti gli italiani.

    Guglielmo Giannini, L’Uomo qualunque, 13 giugno 1945.

    1.1 L’uscita del primo numero de «L’Uomo qualunque»: «nessuno ci rompa più le scatole»

    Nel 1944 la guerra infuria senza tregua, le fortezze volanti americane bombardano impietosamente le città del Nord Italia, gettando nella disperazione le popolazioni civili. Roma è stata ormai liberata e, il 5 giugno 1944, Vittorio Emanuele III riprendendo possesso del Quirinale, firma, come era nei patti, il decreto di abdicazione e nomina il principe Umberto luogotenente del regno, nel tentativo di salvare l’immagine di una screditata monarchia. Mussolini, che ha costituito la Repubblica sociale italiana, combatte le sue ultime sanguinose battaglie, al fianco dei tedeschi. Guglielmo Giannini, un commediografo, autore di diversi romanzi polizieschi, ma anche regista e giornalista, trascorre l’ultimo natale del 1944 in una Roma liberata. Si respira un’aria nuova: le strade sono percorse dalle jeep degli americani; e fanno sentire la loro voce, per la prima volta dopo più di vent’anni, i partiti antifascisti riuniti nel Cln (il Comitato di liberazione nazionale): la Democrazia cristiana, il Partito comunista, il Partito socialista italiano di unità proletaria, il Partito liberale, il Partito demolaburista e il Partito d’azione. IL 18 giugno è nato il terzo governo di Ivanoe Bonomi¹ che è succeduto a Pietro Badoglio, proprio su richiesta dei sei partiti del Cln, e in quel governo ci sono figure che segneranno la storia della Repubblica italiana: Palmiro Togliatti, Alcide De Gasperi, Giovanni Gronchi, Giuseppe Saragat, Meuccio Ruini, Benedetto Croce, Angelo Raffaele Jervolino, Bernardo Mattarella.

    Guglielmo Giannini, in questi giorni, è indaffaratissimo: sta per uscire il primo numero di un suo settimanale di quattro pagine: dovrà essere in edicola la mattina del 27 dicembre 1944. La testata è originale e provocatoria allo stesso tempo, perché contiene una curiosa vignetta che sta all’interno della grande «U» rossa di «Uomo»: alcune mani anonime manovrano un torchio che schiaccia un ometto dalle cui tasche escono le ultime poche monete. È il povero italiano qualunque.

    Giannini, ideatore e autore di gran parte dei testi, nel 1944 ha 53 anni, essendo nato a Pozzuoli il 14 ottobre del 1891. Dal padre Federico, un giornalista napoletano brillante e colto, ha imparato l’arte dell’ironia e del sarcasmo; ha combattuto due guerre, quella italo-turca del 1911 e quella del ‘15-18, ha perso un figlio, nel 1942, di appena ventidue anni, ha visto le stragi dei nazifascisti e i bombardamenti indiscriminati degli alleati e ha deciso di dire la sua: ora, il 27 dicembre, «L’Uomo qualunque» fa la sua comparsa nelle edicole italiane.

    Le forze politiche dell’epoca non comprendono subito il tenore degli articoli e lo scambiano per uno dei tanti giornali satirici dalla vita breve, nonostante la nota in quarta pagina:

    Questo non è un giornale umoristico pur pubblicando caricature e vignette; non è un giornale pesante pur volendo onorarsi della collaborazione di grandi scrittori su argomenti di drammatico interesse […]. È il giornale dell’Uomo Qualunque, stufo di tutti, il cui solo ardente desiderio è che nessuno gli rompa più le scatole².

    Il modo di comunicare è nuovo, è semplice e diretto, e punta ad entrare in sintonia con l’uomo della strada, stanco delle guerre e sfiduciato. La sua stanchezza morale viene immortalata, sempre nel primo numero, da un’altra celebre vignetta che ritrae un ometto nel tentativo di scrivere su di un muro un evviva ai partiti delle più diverse tendenze, ma alla fine, preso dallo scoramento, si decide per un sonoro «Abbasso tutti». L’«Abbasso tutti» è, nelle intenzioni di Giannini, una sorta di formula magica, uno slogan capace di attirare l’attenzione di una parte dell’opinione pubblica sui veri, e non presunti, responsabili del disastro economico e morale in cui versa l’Italia del 1944: i partiti.

    Il giornale va a ruba, in poche ore vengono vendute diecimila copie e subito Giannini corre in tipografia per una ristampa. Cos’è accaduto? Possibile che un generico attacco contro tutti gli uomini politici abbia miracolosamente catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica? Autore popolare, Giannini coglie uno stato d’animo diffuso una protesta silente che entra subito in sintonia con le sue idee, che troveranno una forma in un libro, La Folla. Seimila anni di lotta contro la tirannide, pubblicato nel 1945 e dedicato al figlio scomparso.

    Il testo, scritto dal settembre 1943 al giugno 1944, contiene la summa ideologica del commediografo, non priva di accenti originali come questo: la guerra non è altro che il punto d’arrivo di un percorso di oppressione dei «Capi» nei confronti della «Folla» e i «Capi» altri non sono che «upp», «uomini politici professionali» («i parassiti del lavoro comune»³); La «Folla», invece, sta in basso e subisce le angherie dei primi, nonostante il suo «buon senso, buon cuore e buona fede»⁴.

    «Questo professionismo politico, in forza del quale accade che qualche migliaio di uomini possa vivere del mestiere di reggitore di popolo sacrificando i popoli»⁵, mette in pratica una tirannia e «dev’essere eliminato come sono state eliminate la sifilide ed altre malattie già mortali»⁶. «Quarantacinque milioni [di italiani] soffrono da quasi un secolo per la rissa di cinque o seimila uomini intorno a cinquecento posti di deputato e quasi altrettanti di senatore […] Che importa a noi di quei cinquemila uomini, e perché dobbiamo non dico prenderci a fucilate ma solo incomodarci ad uscire di casa in una mattina di domenica per eleggere non un Mosè o un Romolo, ma un mediocre personaggio non superiore alla media di ciascuno di noi?»⁷.

    I mestieranti della politica, incapaci di «procacciarsi i mezzi di vita con l’utile ed onesto lavoro»⁸ hanno dato vita ad una «rissa […] che ci è già costata due guerre mondiali, parecchie rivoluzioni, massacri, rappresaglie, vendette, ritorsioni»⁹. Quindi bisogna «distruggere l’upp: dichiarare reato il professionismo politico, e perseguirne il professionista come si perseguono gli sfruttatori di prostitute»¹⁰.

    Come si può notare, sono argomenti che, in particolari momenti della storia italiana, faranno la loro comparsa nei dibattiti e nelle campagne elettorali, in quel frangente, però, Giannini intende colpire alla cieca: il professionismo politico è tale sempre, a qualsiasi colore appartenga: rosso, nero o bianco. Scrive infatti sul primo numero dell’«Uomo qualunque»:

    Il fascismo che ci ha oppressi per ventidue anni, era una minoranza. Lo abbiamo combattuto con la resistenza passiva e lo abbiamo logorato, tanto che è andato in frantumi al primo colpo serio che gli anglo – americani gli hanno vibrato […]: l’antifascismo ha retto enormemente meno […]. Antifascisti e fuorusciti erano e sono costituiti da uomini politici professionali che costituivano il fascismo, questa minoranza non ha fatto contro il fascismo che una parte infinitesimale di quanto ha voluto e saputo fare l’Uomo Qualunque rimasto sotto il concreto giogo della tirannide¹¹

    Fascismo e antifascismo sono quindi la stessa cosa: due minoranze di upp pronte a qualsiasi cosa pur di impadronirsi del potere. Scrive Giannini su La Folla:

    Fra democrazia e dittatura non c’è nessuna differenza se non di forma, ma la sostanza è la stessa: uno circondato da pochi, comanda: tutti debbono obbedire. Sia il partito unico delle dittature, sia i vari partiti del regime democratico, hanno il monopolio della politica nel paese, nel quale non costituiscono che una minoranza. Essi propongono dei programmi che il paese deve votare in regime democratico, accettare senza discutere in regime totalitario. Ma l’importante, per il paese, non è accettare con le buone o con le cattive un programma fatto da altri ma farselo da sé¹².

    Ma come farselo questo programma? Con quali contenuti? Risponde ancora Giannini:

    Noi non abbiamo bisogno che d’essere amministrati e quindi ci occorrono degli amministratori, non dei politici. Ci vogliono strade, mezzi di trasporto […], una politica rispettabile che ci renda sicuri dello scarso bene rimasto, e ci incoraggi a crearne dell’altro liberandoci dal timore di poterne essere spogliati da nuovi brigantaggi di stato partito. Per far questo basta un buon ragioniere che entri in carica il primo gennaio, che se vada il 31 dicembre, che non sia rieleggibile per nessuna ragione. Siamo disposti a chiamarlo anche re e imperatore: a patto che cambi ogni anno e che, una volta scaduto dalla carica, non possa ritornarvi almeno per altri cinque […]. Ecco, nel minimo delle pesate parole, il nostro pesato pensiero, che fondamentalmente riteniamo condiviso dalla maggiore e migliore parte degli italiani e non italiani. E, certamente, dei fatti importanti lo seguiranno¹³.

    È quindi lo Stato amministrativo la soluzione per risollevare economicamente e moralmente i milioni di uomini qualunque. Basta con politici, dunque, perché è giunta l’ora, per i cittadini, di imparare l’arte di amministrare la cosa pubblica.

    1.2 L’epurazione

    Ma il successo di Guglielmo Giannini è legato anche a uno degli avvenimenti più controversi del dopoguerra: l’epurazione. Se la vita sociale si muove attorno ai due poli contrapposti, i «Capi» e la «Folla», nell’universo qualunquista è logica conseguenza che i regolamenti di conti e le vendette non siano affare di quest’ultima ma solo degli upp:

    Ritornati alla vita pubblica d’Italia con la vittoria militare anglo-americana come le mosche tornano alla stalla sulle corna dei buoi, antifascismo e fuoruscitismo pretendono, come il fascismo, il diritto di fare epurazione = ossia di sopprimere gli u. p. p. (uomini politici professionali) concorrenti e chiunque altro sia d’impaccio o fastidio. Contestiamo rivendicazione e pretesa: il fascismo ha offeso e ferito tutta la massa degli italiani, non soltanto gli antifascisti e fuorusciti. Sono 45 milioni di esseri umani che hanno diritto di fare giustizia, non una più o meno numerosa quota parte dei 10.000 politicanti ansiosi di rifarsi delle occasioni mancate […]¹⁴

    Sulla necessità (e l’urgenza) di un allontanamento dalla vita pubblica dei responsabili diretti della dittatura e dei suoi fiancheggiatori concordano tutte le forze politiche; naturalmente esistono discrepanze sulla maniera di intenderne l’estensione e le mete finali. La condanna dei maggiori responsabili del fascismo significa, infatti, per le sinistre, punire principalmente quell’alta borghesia capitalistica che del fascismo è stata la principale sostenitrice e quindi farne crollare il predominio: l’epurazione è cioè presa in considerazione solo in quanto strumento in grado di avviare un processo di sovvertimento dei ruoli politici e sociali esistenti in quel momento. Più limitato deve essere il campo d’azione dell’epurazione per democristiani e liberali che rifiutano l’obiettivo finale, perseguito dalle sinistre e mirano, piuttosto, a una ricostruzione della classe dirigente italiana, epurata dei suoi elementi più pericolosi e compromessi¹⁵.

    I primi provvedimenti vengono presi dagli anglo – americani, i quali, nella parte liberata della penisola, danno inizio, applicando le clausole contenute nella «Dichiarazione d’Italia» formulata a Mosca nell’ottobre 1943, all’allontanamento dall’amministrazione e dalle istituzioni pubbliche di tutte le persone direttamente coinvolte nel fascismo o che ne siano state in qualche modo fiancheggiatrici ¹⁶.

    Priva di incisività, invece, è l’azione dei governi Badoglio: solo dietro la persistente sollecitazione dei partiti antifascisti si riesce ad avere la promulgazione di una serie di provvedimenti più efficaci. Un energico impulso all’epurazione viene dato, altresì, dal governo Bonomi, il cui decreto del 27 luglio 1944 costituisce la legge basilare sulle sanzioni contro il fascismo¹⁷.

    Questa legge subisce diverse modifiche, ma quello che conta in questa sede è il risultato complessivo delle applicazioni delle sanzioni.

    A conti fatti, nel 1945, prima del ritorno alla legalità voluta dagli alleati, viene effettuata una «epurazione selvaggia» che prevede non solo l’allontanamento dal posto di lavoro ma anche esecuzioni sommarie e omicidi di fascisti che solo marginalmente possono essere ritenuti responsabili dei crimini del regime¹⁸. I procedimenti epurativi più numerosi vengono ovviamente istruiti contro i dipendenti della pubblica amministrazione. I casi in cui si può essere allontanati dal posto di lavoro sono moltissimi e vanno dalla «faziosità fascista» alla «incapacità» e al «malcostume», dalla «nomina per il favore del partito o dei gerarchi» alla «partecipazione attiva alla vita del fascismo»¹⁹: insomma, quasi tutti gli italiani possono trovarsi nelle condizioni di essere epurati, dato che non sono molti coloro che in vent’anni di fascismo sono riusciti a rimanere immuni da ogni coinvolgimento, tanto più, quando questo coinvolgimento è stato un atto obbligatorio per mantenere il posto di lavoro. Nelle nella rete epurativa restano così impigliati migliaia di piccoli impiegati e funzionari, solo le società controllate dallo stato (ad esempio l’Agip, la Banca commerciale, il Credito italiano) sono più di 2.200 e queste contano, nelle zone già liberate, circa 90.000 tra operai ed impiegati²⁰. A gennaio del 1945 vengono effettuate circa 580.000 verifiche per istruire i procedimenti epurativi²¹. Inoltre, alla base dei licenziamenti, non ci sono sempre serie motivazioni politiche: si può perdere il posto per una delazione o un semplice sospetto, l’obiettivo è quello di liquidare concorrenti o di rendere liberi posti per i partigiani rimasti senza lavoro²².

    In questo modo, l’epurazione, anche se di fatto risulterà nella sostanza inefficace, appare agli occhi degli impiegati come un’impietosa vendetta, una terribile ghigliottina che prelude a un radicale

    sovvertimento sociale dettato dalla piazza.

    Nasce così e si diffonde, nel corso del 1945, una protesta contro «l’epurazione selvaggia» che viene abilmente sfruttata da Giannini, che, per primo, percepisce che la rivolta è ancora silente, mimetizzata all’interno della base elettorale dei due più importanti partiti moderati, il Pli e la Dc²³. Per giunta, come vedremo fra poco, lo stesso commediografo rimarrà impigliato nelle strette maglie dei procedimenti epurativi.

    1.3 Il grido di dolore

    Il primo numero dell’«Uomo qualunque» ha un successo incredibile e travolgente e va subito esaurito: con le ristampe, il giornale vende in appena due giorni 80.000 copie. Ma la fama di questo periodico di appena quattro pagine è destinata a crescere: a due mesi dall’uscita del primo numero la tiratura del giornale si attesta intorno alle duecentomila copie, mentre nell’autunno del 1945 raggiunge le ottocentocinquantamila²⁴. In questo arco di mesi vari episodi contribuiscono ad aumentare la popolarità del commediografo napoletano e del suo settimanale.

    Come accennato, il 5 febbraio 1945, ad opera dell’alto commissariato aggiunto per l’epurazione, il comunista Ruggero Grieco, Giannini viene tacciato di fascismo e quindi sospeso dalla professione giornalistica. Il 20 febbraio, con una ordinanza del prefetto demolaburista di Roma, Giovanni Persico, su disposizione del sottosegretario alla Stampa e Propaganda, Libonati (liberale), «L’Uomo qualunque» viene soppresso con l’accusa di avere organizzato una campagna di stampa contro l’intervento dell’Italia a fianco degli Alleati ²⁵.

    Questo fatto suscita una vasta ondata di solidarietà nei confronti di Giannini: una parte consistente dell’opinione gli dimostra una simpatia aperta, ma è anche grazie agli interventi in suo favore e in difesa della libertà di stampa di molti grossi personaggi di allora, come Mattei e Gonella che, il 25 aprile 1945, a furor di popolo, il settimanale può ritornare nelle edicole. Giannini, sospeso per un solo mese, a giugno ne riprende la direzione con più successo di prima.

    La fama dell’inventore del torchietto aumenta di giorno in giorno e nella redazione del suo giornale si accumulano a migliaia le lettere di cittadini che lo incitano a dar vita ad un movimento politico. Giannini comprende che nei suoi confronti vi è un’enorme ondata di simpatia e capisce, altresì, che le sue critiche contro l’antifascismo e l’epurazione non sono cadute nel vuoto, perché ora, anche guardano con sempre più attenzione alla sue battaglie anti-antifasciste. L’appoggio diventa convinto quando Parri, tentando di dare uno sbocco alle aspirazioni della sinistra, dirige la sua azione contro la grande industria privata, cercando di estendere l’epurazione agli imprenditori che avevano sostenuto il fascismo.

    Le intenzioni del Presidente partigiano vengono immediatamente, con grande energia, contrastate da Giannini che ridicolizza Ferruccio Parri chiamandolo Fessuccio Parri: per il commediografo l’alta borghesia rappresenta la parte più attiva e intelligente del paese e non è possibile che alcuni «professionisti politici» appartenenti alla «classe pagnottizia» limitino la sua libertà d’azione. Il commediografo napoletano prende per primo le difese degli imprenditori italiani, criticando duramente l’arresto di Pirelli e Donegani (9 maggio 1945) e incitando l’alta borghesia a prendere in mano la guida del Paese per realizzare finalmente lo «Stato amministrativo», ovvero il governo dei tecnici in contrapposizione a quello dei politicanti²⁶.

    È una difesa dai toni populistici, accesi e appassionati: la borghesia, in tutti i suoi settori, medi e piccoli, deve essere difesa, bisogna restituirle la tranquillità e la pace, bisogna difendere i valori in cui crede. Perché questo accada bisogna creare una organizzazione politica vera. Eppure, in un primo momento, Giannini si dimostra titubante e pensa di offrire il suo appoggio al Partito liberale, ma dopo il netto rifiuto di Croce²⁷; decide di fare da solo e senza appoggiarsi ad altre formazioni politiche, lancia l’idea di un movimento con un’identità ben definita.

    L’8 agosto 1945, con un articolo-appello intitolato «Grido di dolore», Giannini incita gli italiani a fondare nuclei qualunquisti: la prima ossatura di un movimento politico nuovo, in grado di ridar voce a quella vasta parte del Paese che non si riconosce nei Cln.

    All’appello rispondono migliaia di persone e migliaia sono i nuclei che nascono in tutta Italia. Anche la Sardegna, come vedremo fra poco, non rimane insensibile al richiamo delle sirene gianniniane: i gruppi sardi iniziano già nel 1945 la propria attività e contribuiscono, in maniera non trascurabile, al successo elettorale del movimento. Giannini, inoltre, nel numero del 29 agosto 1945 illustra quale dovrà essere l’organizzazione del Fronte:

    […]Noi dobbiamo basare la nostra organizzazione su un SISTEMA NUCLEARE, che si differenzia da quello cellulare solo in quanto non è confessionale, segreto o clandestino. La base dell’organizzazione è dunque il NUCLEO, che può essere TERRITORIALE e AZIENDALE, secondo che si formi su un territorio (un paese, una strada, un fabbricato) o in un’azienda, fra Amici addetti a una particolare lavoro.

    Il NUCLEO si compone di un minimo di cinque Amici, con un massimo, per ora, di cinquanta. Chiunque, e senza alcuna autorizzazione, può farsi PROMOTORE di un nucleo. Riuniti cinquanta Amici e Amiche si procederà all’elezione del Capo – Nucleo, che diviene tale solo dopo essere stato ELETTO A MAGGIORANZA. Dell’elezione si farà un verbale in doppia copia, firmato dai votanti; una delle due copie rimane in possesso del Caponucleo, l’altra è inviata a mezzo lettera raccomandata, all’Ufficio Politico dell’Uomo Qualunque.

    Due o più nuclei (per ora non più di sette) formano un GRUPPO, e qualunque Caponucleo può farsi PROMOTORE di un gruppo. Il gruppo, che ha sede in un capoluogo di mandamento, deve avere un SEGRETARIO DI GRUPPO, e un CONSIGLIO DIRETTIVO nel quale tutti i nuclei debbono essere ugualmente rappresentati. Sia il Segretario sia il Consiglio Direttivo debbono essere ELETTI A MAGGIORANZA dai Capinucleo; e dell’avvenuta elezione dev’essere redatto un verbale, firmato dai votanti, in doppia copia, di cui una rimane alla Segreteria del gruppo, un’altra è inviata, con lettera raccomandata, all’Ufficio politico dell’U.Q.

    Tutti i gruppi di una provincia formano un CENTRO, il quale ha un SEGRETARIO DI CENTRO e un CONSIGLIO DIRETTIVO. La sede del centro è nel Capoluogo di Provincia. La nomina del Segretario e del Consiglio direttivo di Centro avviene per elezione: e Segretario e Consiglieri sono eletti dai Segretari di gruppo della provincia. Tutti i gruppi devono essere ugualmente rappresentati nel Consiglio direttivo del Centro Provinciale; e come sempre, delle elezioni dev’essere redatto un verbale in doppia copia firmato dai votanti, di cui una rimane alla Segreteria di Centro, un’altra è inviata, con lettera raccomandata, all’Ufficio Politico dell’U.Q.

    Tutti i centri di una provincia formano una UNIONE REGIONALE, che ha sede nel Capoluogo di regione. L’Unione Regionale ha un presidente, un segretario, un Consiglio Direttivo regionale in cui debbono essere ugualmente rappresentati tutti i centri provinciali. Il Presidente dell’Unione Regionale è PROPOSTO dai Segretari dei Centri che fanno parte di diritto del Consiglio Direttivo dell’Unione Regionale,

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