Le pentole di Don Chisciotte
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Anteprima del libro
Le pentole di Don Chisciotte - Marina Cepeda Fuentes
Le pentole di Don Chisciotte
Leggere è un gusto!
percorsi tra cucina, letteratura e…
26
Marina Cepeda Fuentes
Le pentole di
Don Chisciotte
A tavola con il Cavaliere
della Triste Figura
w
A mia figlia Clara, luce dei miei occhi, artista chisciottescamente sognatrice e un po’ folle, buongustaia ma pessima cuoca che con la sua golosità ha fatto sempre onore alla mia cucina.
In copertina: maiolica di Valencia (sec. XVIII).
ISBN: 978-88-96720-86-8
© Copyright 2006
Edizioni Il leone verde
Via della Consolata 7, Torino
Tel/fax 011 52.11.790
e-mail: leoneverde@leoneverde.it
http : //www.leoneverde.it
Indice
PROLOGO AL LETTORE
In cui l’autrice spiega al lettore il perché di questo libello, parafrasando il conosciuto prologo che Miguel de Cervantes scrisse nel celebre romanzo, L’Ingegnoso hidalgo Don Chisciotte della Mancia.
PREMESSA
- La Spagna di Miguel de Cervantes Saavedra
Dove si racconta brevemente l’avventurosa vita di Miguel de Cervantes Saavedra, autore del Don Chisciotte.
INTRODUZIONE
- Le pentole di Don Chisciotte
Che tratta dei tanti riferimenti gastronomici che troviamo nell’immortale opera di Cervantes.
DON CHISCIOTTE A TAVOLA
- I cibi di Don Chisciotte e Sancio Panza
Che tratta dei cibi e delle pietanze che prediligevano il Cavaliere della Mancia e il suo fedele scudiero Sancio Panza.
- La cucina di Castiglia-La Mancia
Che tratta della cucina tipica dei luoghi della Mancia
percorsi da Don Chisciotte nelle sue varie avventure.
LE RICETTE
Che tratta di come devono essere preparati i piatti citati da Cervantes.
APPENDICI
- Il formaggio mancego
- I vini di Castiglia-La Mancia
- I mulini a vento
INDICE DELLE RICETTE
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Avvertenza
Tutti i brani citati dal Don Chisciotte sono stati tradotti da Marina Cepeda Fuentes.
Prologo al lettore
In cui l’autrice spiega al lettore il perché di questo libello, parafrasando il conosciuto prologo che Miguel de Cervantes scrisse nel suo celebre romanzo L’Ingegnoso hidalgo Don Chisciotte della Mancia.
Desocupado lector, sfaccendato lettore, potresti credermi senza che lo giuri, ch’io vorrei che questo mio componimento, come figlio del mio intelletto, fosse il più bello, il più gagliardo e il più intelligente che si potesse mai immaginare. Ma non mi fu dato alterare l’ordine della natura secondo la quale ogni cosa produce cose simili a sé. Perciò, che poteva mai generare lo sterile e incolto mio ingegno, se non semplicemente la storia di quel che mangiava un tale Don Chisciotte, un figliolo secco, grossolano, fantastico e pieno d’idee balzane, da nessun altro immaginate se non dal suo creatore Miguel de Cervantes Saavedra? Una storia di cibarie, ricette, e roba varia da ingerire nella quale, naturalmente, occupa un posto rilevante quel suo scudiero, grasso, pancioso e popolano, detto Sancio Panza.
D’altronde è quanto si conviene a un librino come questo, che la mia mente ha generato in una cucina, ove ogni odore domina e ove ha propria sede ogni sorta di sapore.
Certamente il riposo, un luogo delizioso, l’amenità delle campagne, la serenità dei cieli, il mormorare delle fonti, la tranquillità dello spirito, sono cose efficacissime a rendere feconde
le più sterili Muse, affinché diano alla luce cose che riempiano il mondo di maraviglia e di gioia.
Ma io, lettore caro, passo le mie giornate in cucina e perciò non potrei parlare d’altro che di quel che contengono le pentole di Don Chisciotte
e non posso che invitarti alla Tavola del Cavaliere della Triste Figura
, che sto apparecchiando ma che avrei preferito offrirti pulita, semplice, senza l’ornamento di un inutile prologo come questo che di solito, però, si usa mettere nei libri.
Anche perché, devo confessare, che sebbene siami costata parecchia fatica comporre il tutto, molto di più ho faticato per scrivere questa prefazione che stai leggendo ora: molte volte ho aperto quel diabolico strumento che chiamano computer per cominciarla e tante altre l’ho spento per non saper come fare.
Ebbene, trovandomi un giorno davanti allo schermo, un gomito sul tavolo, la mano sulla guancia, pensando, incerta, a quello che avrei potuto scrivere, ecco che rammento l’autore dell’immortale romanzo cui mi sarei ispirata per questo mio componimento. Ed è una vera rivelazione!
Anche lui, il principe delle lettere spagnole, l’inventore della lingua castigliana moderna, l’ideatore di quel personaggio ghiribizzoso, folle, sognatore, diventato nei secoli un vero e proprio archetipo, un modello per coloro che lottano fino in fondo per i loro ideali; anche lui, Miguel de Cervantes Saavedra, aveva avuto tante incertezze e ripensamenti nello scrivere il suo celebre prologo al romanzo più tradotto nel mondo, il Don Chisciotte della Mancia!
Perciò, oh lettore mio, ho voluto rileggermi il suddetto prologo, quello che Cervantes rivolge a un suo probabile lettore, che lui chiama desocupado, sfaccendato
, perché nella sua modestia immagina che soltanto chi non ha niente di meglio da fare potrebbe occupare il tempo leggendo il suo celeberrimo romanzo.
Come d’altronde sta accadendo ora anche a te, mio sfaccendato lettore, che avrai – spero – la pazienza di leggere fino in fondo questo mio libello. Sicché, continuerò a parafrasare il suddetto prologo cervantino, che ti consiglio però di leggere se ancora non lo hai fatto.
E così, ti dirò, mio soave lettore, che non ho voluto scrivere nessun erudito trattato, pieno di citazioni di cuochi e gastronomi o di antiche ricette scritte con termini fuori uso; bensì ho cercato di raccontare con semplici parole, con discorsi chiari e comprensibili, il desinare dei protagonisti del romanzo, seguendo, là dove è stato possibile, le descrizioni dell’autore stesso, capitolo per capitolo delle due parti che compongono il romanzo.
Certamente mi sentirei lusingata se, leggendolo, il lettore svogliato cominciasse ad avere fame, e quello goloso a sentirsi ingordo più che mai. Ma mi piacerebbe nondimeno che quello di gusti semplici non si irritasse per le ricche ricette riportate, e che il ghiottone si compiacesse invece delle tante prelibatezze citate, e che il sobrio non le disprezzasse; e infine vorrei che il buongustaio non mancasse di lodarle.
Insomma, mio buon lettore, con questo librino non desidero sottolineare la grandezza del favore che ti faccio dandoti a conoscere la frugale tavola e la modesta dispensa di un così nobile e così onorato gentiluomo come Don Chisciotte della Mancia, il quale visse all’insegna della sobrietà; ma spero, almeno, che tu mi sia grato per le tante curiosità che ti svelerò sulla tipica cucina della Mancia, ricca di manicaretti e ghiottonerie, e su altre cose.
E vorrei anche incontrare il tuo gradimento per la conoscenza che farai della smodata intemperanza a mensa di Sancio Panza, l’eternamente affamato scudiero: nei suoi gusti culinari troverai d’altronde sintetizzate le ricette più semplici e gustose dell’antica cucina popolana mancega, e che si trovano sparse nella caterva dei tantissimi libri che esistono al mondo.
E con ciò, Iddio ti conceda salute per leggermi e non si scordi di me. Ecco tutto! Vale! ¹
Marina Cepeda Fuentes
Santa Marinella, Anno del Chisciotte 2005
¹Cervantes utilizza la popolare esclamazione vale!, che vuol dire letteralmente Va bene, questo è tutto
, per porre fine sia al suo prologo, sia alla seconda parte del romanzo.
Premessa
LA SPAGNA DI MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA
Dove si racconta brevemente l’avventurosa vita di Miguel de
Cervantes Saavedra, autore del Don Chisciotte.
Miguel de Cervantes Saavedra nasce nel settembre del 1547 nelle vicinanze di Madrid, ad Alcalà de Henares, in seno a una famiglia che discendeva da ebrei convertiti, i cosiddetti cristianos nuevos, cristiani nuovi
, cioè di ebrei o musulmani convertiti dopo l’editto di espulsione del 1492. La Spagna di quegli anni si lasciava alle spalle la prestigiosa età dell’Imperatore Carlo V, e cominciava a nutrire dubbi sulle ambizioni di unificare l’Europa di Felipe II, il re triste
. Quando Cervantes morì, nell’aprile del 1616, era già cominciato il malinconico tramonto cui si avviava la potenza spagnola. Lo scrittore fu testimone dunque, sia dello slancio degli anni più maturi del Rinascimento, sia dell’agonia che ispirò il dramma barocco, quando i sogni di universalità degli spagnoli stavano cominciando a svanire.
Quarto di sette fratelli, si crede sia nato il 29 settembre, festività di San Michele Arcangelo, per l’usanza dell’epoca d’imporre ai neonati il nome del santo del loro giorno di nascita, sebbene non esistano documenti che lo confermino. Si sa invece che il 9 ottobre fu battezzato nella chiesa di Santa Maria: un fatto accertato ampiamente perché, quando appena ventenne Miguel de Cervantes partì per Roma, dovette chiedere alla sua famiglia un certificato di battesimo per essere ammesso al servizio del Cardinale Giulio Acquaviva e anche uno di limpieza de sangre, cioè di purezza del suo sangue cristiano
. Quest’ultimo documento, dove si certificava anche che Miguel de Cervantes Saavedra è persona pura di sangue che non è mai stato incarcerato né castigato dal Santo Uffizio...
, sarebbe giunto a Roma poche settimane dopo l’arrivo di Cervantes: era controfirmato oltre che dal padre, Rodrigo de Cervantes, da un prelato di Madrid e da due amici di famiglia italiani, Pirro Bocchi e Francesco Musacchi, residenti allora in Spagna. Ma per Giulio Acquaviva quella certificazione era solo una questione di burocrazia ecclesiastica, poiché fin dal primo incontro con quel suo coetaneo, quell’ingegnoso hidalgo spagnolo, aveva deciso di portarlo con sé in quella Roma, sacra e magica per il giovane poeta spagnolo, ma che un cronista straniero dell’epoca descriveva come un letamaio con le strade piene di puttane
.
In varie altre occasioni venne chiesto a Miguel de Cervantes di certificare la sua purezza di sangue
per dimostrare che la sua famiglia non discendeva da ebrei convertiti. Ma più di una volta, non potendolo confermare, nonostante le false testimonianze scritte del padre, gli fu negata la possibilità di fare carriera, come gli fu detto di no alla richiesta – più volte sollecitata al re Filippo II – di andare a lavorare nel Nuovo Mondo.
In effetti Miguel de Cervantes discendeva da ebrei convertiti. Lo si può appurare anche semplicemente dai mestieri di alcuni suoi antenati, fra cui molti commercianti di tessuti e cambiavalute: mestieri riservati allora agli ebrei. Ma anche dai continui spostamenti della sua