Sa Levadora: La maestra di parto sarda
By Carmen Salis and Ivan Murgana
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Per conoscere meglio se stessi bisogna scavare nel proprio passato. Lo sa bene Peppino Setividas che torna in Marmilla per scoprire chi era Pietrina Murtas, la levatrice che aiutò sua madre a farlo venire al mondo. In questo viaggio scoprirà la storia di una donna fuori dal comune, che grazie alla sua incredibile forza d’animo, riuscirà a condurre la vita che vuole, pur dovendo combattere contro un destino avverso e contro i pregiudizi e le maldicenze della gente. Un racconto che apre lo scrigno dei ricordi di una Sardegna che non c’è più, ma che rivive nelle parole spese davanti al fuoco di un camino. La storia di una levatrice sarda, specchio dell’immagine dell’Isola che dovremmo custodire per non dimenticare mai chi siamo e da dove veniamo. Carmen Salis, cagliaritana, giornalista pubblicista, moglie e madre di tre figli, è alla sua settima pubblicazione. Scrittrice poliedrica, passa dai versi alla prosa senza abbandonare il sogno di poter scrivere per il teatro. Ama il canto, la fotografia e i gatti. carmen.salis@alice.it. www.carmensalis.it Ivan Murgana è nato a Sarroch nel 1978. Giornalista pubblicista, collabora con il quotidiano L’Unione Sarda dal 2004. Nel 2013 ha pubblicato il suo primo romanzo, “Il flebotomo di Rocca Limpia”.
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Sa Levadora - Carmen Salis
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IVAN MURGANA - CARMEN SALIS
SA LEVADORA
LA MAESTRA DI PARTO SARDA
AmicoLibro
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Ivan Murgana
Carmen Salis
Sa levadora
La maestra di parto sarda
Proprietà letteraria riservata
L'opera è frutto dell’ingegno dell'autore
© 2017 AmicoLibro
Vico II Santa Barbara, 4
09012 Capoterra (CA)
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Seconda Edizione Digitale: maggio 2017
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IVAN MURGANA - CARMEN SALIS
SA LEVADORA
LA MAESTRA DI PARTO SARDA
LA STORIA DI UNA DONNA SARDA
Capitolo primo
Capitolo secondo
Capitolo terzo
Capitolo quarto
Capitolo quinto
Capitolo sesto
Capitolo settimo
Capitolo ottavo
Capitolo nono
Capitolo decimo
Capitolo undicesimo
Capitolo dodicesimo
Capitolo tredicesimo
Capitolo quattordicesimo
Capitolo quindicesimo
Capitolo sedicesimo
Capitolo diciassettesimo
Capitolo diciottesimo
Capitolo diciannovesimo
Capitolo ventesimo
Capitolo ventunesimo
Capitolo ventiduesimo
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S'Acadèmia de su Sardu onlus at averiguau ca sa faina Sa Levadora est forma a is Arrègulas po ortografia, fonètica, morfologia e fueddàriu de sa Norma Campidanesa de sa Lìngua Sarda, achìpiu de sa Provìntzia de Casteddu su 17/03/2010
L'Acadèmia de su Sardu onlus attesta che l'opera Sa Levadora è conforme al testo Regole per ortografia, fonetica, morfologia e vocabolario della Norma Campidanese della Lingua Sarda, adottato dalla Provincia di Cagliari il 17/03/2010.
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Quando sei nato stavi piangendo e tutti intorno a te sorridevano. Vivi la tua vita in modo che quando morirai, tu sia l'unico che sorride e ognuno intorno a te piange.
Detto indiano
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A tutte le Nonne, Madri, Zie e Sorelle.
Figlie di un tempo che è il nostro prezioso passato.
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LA STORIA DI UNA DONNA SARDA
La vita non è fatta solo di grandi eventi ma anche di piccole storie, di gioie familiari e di tragedie che non fanno notizia. Persone che sono protagoniste nel loro piccolo di storie normali eppure allo stesso momento eccezionali.
E una donna di questo tipo è protagonista di questo libro scritto brillantemente a quattro mani dalla poetessa e giornalista Carmen Salis, fondatrice di AmicoLibro e Ivan Murgana, giornalista e scrittore. Tratto da una storia vera, racconta la vita di Pietrina Murtas, Ajaja, Sa Levadora, che nella sua lunga vita percorre eventi umani, come i suoi quattro matrimoni, e sociali, come lo sciopero delle miniere di Buggerru di inizio novecento.
La narrazione è articolata in due sezioni parallele. Il ritorno in Sardegna di Peppino Setividas, fatto nascere dalla levatrice sarda e adottato ed emigrato a Torino, e i racconti di Pietrina che percorrono quasi un secolo di vita sarda passando per Baressa, Terralba e Ussaramanna.
Rilevante l’inserimento di vari dialoghi in sardo campidanese che hanno l’importante certificazione de L’Acadèmia de su Sardu Onlus
.
In conclusione la storia di una donna piccola ma grande, semplice ma straordinaria, narrata con sapienza dai due scrittori – alla lettura non si capisce infatti dove sia intervenuto l’uno e l’altra – che coinvolge senza mai stancare.
Così prendiamo a braccetto Pietrina e la sua storia: appunto la storia di una donna sarda.
Roberto Sanna
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Capitolo primo
L'aria tiepida che l'accompagnava nel suo ultimo viaggio annunciava che la primavera era ormai ben inoltrata: in quel giorno di maggio del 1976, già s’intravedevano i primi caratteri dell’estate: presto i grilli avrebbero fatto sentire il loro canto fino a tarda sera, i campi si sarebbero tinti del colore del sole, e la luce avrebbe dominato sulla notte.
Desiderava di poterla guardare negli occhi, ringraziarla, e soprattutto chiederle scusa per non aver saputo prima della sua esistenza.
Rimase fermo a tormentare quel berretto tenuto fra le mani, osservando con muta commozione quella piccola bara muoversi, portata a spalla da uomini elegantemente vestiti.
Tutta quella gente l'aveva seguita con passo lento sin dalla sua abitazione. Un morto si accompagna così nel suo ultimo viaggio, non lo si lascia da solo, soprattutto in un paese attento alle tradizioni e fedele ai riti della Chiesa. Qualcuno piangeva, altri sgranando un rosario muovevano le labbra, lasciando uscire un suono che ricordava un canto muto, altri ancora parlavano fra loro, raccontando dei momenti trascorsi insieme a lei nel tempo che fu.
Si sedette, Peppino, su quel muretto che circondava la fontanella e che serviva per riempire d'acqua pulita i vasi dei fiori, e tirando un lungo sospiro intonò a modo suo una preghiera per quella donna che, dopo sua madre, gli aveva dato la vita.
Si incamminò a fatica verso l'uscita del piccolo cimitero prima che il Sacerdote spendesse le ultime benedizioni e che quella folla si disperdesse facendo tornare ognuno alle proprie abitudini; Pietrina Murtas aveva trovato la pace in un giorno di maggio, e probabilmente quel sole e quel tepore le avrebbero illuminato il cammino verso una nuova vita, non terrena. In questo la donna ci aveva sempre creduto, e lo sperava fermamente in cuor suo anche Peppino.
"Ddoi fiat totu sa bidda a s'interru, ma unu frori no ddoi fiat![1]"
Questo avrebbe detto qualcuno, nei giorni a seguire.
Tuttavia, non sono i fiori che rendono meno difficile il trapasso di un essere umano, e questo Pietrina Murtas l’aveva sempre pensato. I cuscini di rose bianche e le vistose corone di lilium, con tanto di fascia per ricordare chi si è preso tanto disturbo per onorare il morto, sono l’estremo segnale per dimostrare agli altri un rispetto che magari non c’era quando ancora era in vita. Ecco perché ogni volta che si era recata nella casa di un morto per portare una parola di conforto ai parenti, si era sempre preoccupata più di trovare le parole giuste per lenire un dolore difficile da sopportare, che arrivare con un mazzo di fiori. Non lo sapeva la gente, ma se avesse potuto scegliere, Pietrina Murtas, non avrebbe cambiato nulla del suo funerale. Si era congedata dalla vita quando le campagne del paese che l’aveva accolta, come tante farfalle a lungo nascoste nel loro bozzolo, si mostrano in tutto il loro splendore. E chi se ne frega se, nelle strade polverose di Ussaramanna quanto nelle botteghe dove le donne del paese si fermavano a raccontare i particolari del suo funerale, si parlava dell’assenza dei fiori. In cimitero sarebbero marciti, trasformando in un maleodorante ricordo l’immagine di ciò che erano stati quando danzavano sospinti dal vento. Che stiano sui campi a godersi il sole, che il cimitero è un posto per i morti non per i fiori, fu l’ultimo pensiero di Pietrina Murtas, mentre con un sorriso serafico saliva verso l’alto sbarazzandosi per sempre del suo corpo e dell’ipocrisia che aleggia su questo mondo.
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Capitolo secondo
Tu sei vecchio?
La voce squillante del bambino lo distolse dal torpore che quel sole, unito alla stanchezza del viaggio, aveva costretto l'uomo a un sonno troppo leggero.
Peppino sollevò il capo lentamente, si tolse il berretto e accarezzò, spettinandoli, i pochi capelli bianchi rimasti.
Certo che sono vecchio. Non lo vedi? Chiederesti mai a un cane se è un cane?
rispose con voce bassa e calma.
E cosa fai qui? Dormivi, ti ho visto. Per strada dormono i mendicanti e i matti...
Gli occhi grandi del bambino risaltavano sul viso scarno e scuro, non aveva più di cinque anni, a Peppino sembrò di rivedere se stesso quando, con le biglie in tasca, riusciva a fuggire all'attenzione della mamma per correre nel cortile di Luigino a far le gare.
Come ti chiami?
gli chiese Peppino.
Salvatore
, rispose, "ma mamma mi chiama Tetteddu, "e tu chi sei? Hai visto che Ajaja[2]
è andata in cielo? Tu la conoscevi? Perché non vai a casa?" disse tutto in fretta con un unico respiro, come se avesse avuto paura di dimenticare le parole, e avrebbe anche continuato se una voce, probabilmente quella della madre, non l'avesse richiamato.
Si rese conto a quel punto che tutto era finito e che forse sarebbe stata l'ora di riavviarsi verso casa. Il destino un po' si era preso gioco di lui. Quel tempo alla ricerca di Pietrina Murtas: giorni spesi a chiedere, interrogare le persone, sfogliare documenti e a guardare foto ingiallite per poi, una volta trovata, non riuscire ad abbracciarla. Si alzò,