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About this ebook

"Essere genitori è un’esperienza assoluta non adatta a tutti.
Essere genitori adottivi è un’esperienza assoluta destinata a pochi.
Un bambino adottato è come un tossico senza colpe o volontà d’essersi trovato in quel tunnel e dal quale ha poche possibilità d’uscire".

Parole dirompenti sono le prime del testo di Paolo Lanzillotto. Questo libro è una narrazione consapevole vera priva di emozioni languide e consuete, colma di realtà.
LanguageItaliano
Release dateOct 25, 2013
ISBN9788868557980
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    Book preview

    Ad8 - Paolo Lanzillotto

    sopportarlo.

    Premessa

    E’ la prima volta che scrivo qualcosa di totalmente autobiografico.

    Fino ad oggi ho raccontato vite di personaggi fantasiosi cercando una linea narrativa che portasse attenzione e curiosità ma nulla è mai come la vita vera dove le storia nascono, si sviluppano, poi si concludono come nessun racconto inventato ad arte potrà mai essere.

    E c’è pure dell’altro.

    Le storie vere sono quelle che riesci ad apprezzare ancor più profondamente quando ne sei il protagonista perché fanno smuovere ciò che hai nel più profondo dell’anima. Nascono in te tante domande alle quali spesso non sai dare immediata risposta. Quesiti che però scopri in grado di regalarti la vera sostanza, dopo aver sfogliato e scartato le parti superflue che tante volte ti hanno distolto, ciò che rimane rivela la pienezza di quello che possiamo intendere come puro senso dell’esistere. Il valore delle persone, delle cose e delle situazioni, dove gioie e dolori si mescolano fino a far emergere davanti agli occhi la tanto desiderata realtà. Esperienze che plasmano e fanno crescere, migliorandosi perché si è solo nella direzione evolutiva, dove si devono necessariamente varcare i propri limiti ed i propri egoismi.

    Scrivendo di una storia come quella che mi sto accingendo a raccontare mi rendo subito conto d’un problema: parlare serenamente ma pure completamente di una vicenda che hai vissuto ti può far toccare punti che, per chi legge, possono apparire volutamente ricercati per un puro intento diffamatorio addirittura vendicativo. Ma parlare di un’esperienza senza raccontarla nei passaggi salienti è un po’ come non raccontarla: ovvero, fare di una storia reale una misera ricostruzione fa correre il rischio di ridurla ad una ridicola parodia. So pure che scrivere nomi e cognomi fa correre dei rischi anche quando sei dalla parte del giusto, ma un po’ mi sento come nel film dei Blues Brothers quando erano in missione per conto di Dio dopo aver visto la luce [ricordi?]…non bisogna guardare in faccia nulla e nessuno quando il fine è buono e giusto. E se parliamo di vita, non la propria ma quella altrui, sfido chiunque a contro battere per attaccarmi. E se qualcuno volesse farlo è facile trovarmi ed incontrarmi per un confronto.

    Quindi situazioni e fatti sono assolutamente reali: i nomi, quando inevitabile, sono fantasiosi [mica sono un kamikaze…] ma facilmente rintracciabili. Detto ciò garantisco che questa scelta necessaria non rovinerà l’integrità della storia e nello stesso tempo non pretenderà di assurgere a verità assoluta come una guida o vademecum da seguire alla lettera [non è mica la mappa del tesoro] perché ogni situazione è diversa e unica. E’ solo il racconto di un’esperienza unita alla voglia di condividerla.

      Ultima riflessione.

      Questa è una storia di strade che s’incrociano.

    Niente di clamoroso o eclatante, solo d’impulso che prevale, la forza d’accogliere e farsi accogliere, tendere la mano senza pensare o farsi condizionare da niente altro che sia la propria natura ed il proprio istinto.

    Come dare cibo a chi ha fame, acqua a chi ha sete, tutto qui.

    Imparare ad apprezzare il piacere dell’essere se stessi senza la sterilità di aggiunte fittizie, condividendo il tempo della propria vita essendo veri e reali senza più ricorrere a paraventi d’opportunità dietro ai quali nascondere i propri vizi e le proprie lacune. Provare ad essere uomini che provano a capire fino in fondo il senso ed il valore, senza surrogati stilistici o culturali, che hanno la voglia di far prevalere l’istinto sulla ragione.

    Senza condizioni.

    Soprattutto perché qui si tratta d’infanzia.

    Un bambino è sempre un bambino, non ha deciso lui di nascere, la sola responsabilità è di chi l’ha generato. E chi l’ha fatto se ne deve fare carico come chi, in mancanza di questa possibilità, deve prenderne atto ed essere animale sociale evoluto per accoglierlo ed introdurlo nella comunità. E molti già a questo punto pongono condizioni. E’ oltrepassare una linea che demarca la natura umana perché sei obbligato a confrontarti con te stesso, con quello che sei, senza possibilità di scappatoie di comodo.

      Ma io sento d’essere fortunato: un privilegiato che ha potuto percorre un viaggio che oltre a tutto il resto rappresenta un’imperdibile occasione di conoscenza profonda di se stessi. Ringrazio il destino d’avermi dato questa possibilità, non smetterò mai di farlo, anche quando mi parrà avverso perché la voglia di seguirlo mi farà sentire vivo godendo d’ogni istante che mi vedrà protagonista. Non è un discorso buddista o simili (con tutto il rispetto e l’ammirazione possibili) ma solo una costatazione oggettiva: come ci facciamo sfuggire le cose importanti quando ci passano davanti scambiandole per ulteriori frammenti appartenenti a ciò che ci siamo abituati a chiamare la nostra noiosa routine quando invece sono solo occasioni perse di sentire tutta la forza possibile della vita. Ci blocchiamo perché siamo saturi di terrore, ricchi di illusioni, in noi abbondano vizi e lacune, fragilità e silenzi. Abbiamo paura di quel momento, quello in cui dovremo gettare la maschera e che sappiamo arriverà, attimo in cui non sapremo cosa fare. Spaventati dal dover affrontare qualcosa di più grande di noi, con l’idea latente d’avere la possibilità di scappare di fronte alla responsabilità, con il terrore di poterci trovare realmente davanti a noi stessi. E saltar giù da un treno in corsa sperando di non farsi troppo male quando toccheremo terra pur sapendo che nulla avrà più senso dal momento successivo al tonfo, che niente varrà forse più la pena, pregustando amaramente una sorta di fine prima della fine.

    Eppure per la maggior parte della nostra vita facciamo questo.

    Cose ironiche quelle che spesso accadono: è ed proprio questo forse il vero senso.

    Sapere che si dovrà cadere da quel treno in corsa facendosi tanto male non dovrà essere percepito come un dolore ma semplicemente come una scossa che segnerà l’inizio d’un nuovo percorso. Dove si guarderà tutto con spirito e senso diverso. La capacità di prendere distanza ed osservare, nel momento della difficoltà, tutto da un’ottica differente e provare così a ripartire per affrontare anche ciò che sembra insormontabile.

    Si può fare?

    Io credo proprio di si.

    Quella che segue è la mia storia unita a quella di mia moglie Katja. Che poi ha incrociato intrecciandosi per sempre quella dei nostri figli.

    Ringrazio chi ha speso [e mi auguro farà spendere raccomandandomi perché questo progetto ha pure un senso solidale] il suo denaro ed anche un po’ del proprio tempo per leggermi.

    Tutto quello che segue è dedicato ai bambini che ancora vivono in Brasile e che attendono fiduciosi che una mamma ed un papà li vadano a conoscere.

    Parte scura

    1. Giungere a una decisione

    Oggi ho 44 anni.

    Quando mi fermo e guardo avanti devo, soprattutto in questo periodo storico, fare un respiro profondo e non smettere mai di sentire il bello che esiste e che ogni giorno posso ancora gustare.

    Anche se la vita può apparire una sorta di corsa ad ostacoli, con traiettorie corte o lunghe, dove la cosa giusta la puoi comprendere soltanto alla fine e fidarsi del proprio istinto è forse l’unica cosa per cui vale sempre la pena, io non mi fermo mai e continuo ad immaginare.

    Quando invece provo a ricordare il mio passato mi pare d’aver vissuto tante vite diverse, la moltitudine di persone e situazioni che ho incrociato nel mio percorso mi hanno reso più forte, attento, forse saggio.

    Forse.

    Ho conosciuto il male più profondo e la deviazione più aberrante ma ciò che mi ha sempre salvato è stata la leggerezza che solo la bellezza di ciò che accadrà mi ha saputo regalare.

    Non penso d’essere uno sprovveduto sognatore ma un uomo consapevole che il meglio deve ancora venire.

    Quando incontrai Katja capii quasi all’istante che lei sarebbe stata la donna della mia vita.

    L’unica e sola.

    E senza un motivo particolare, ne ero certo come mai in vita mia, seppur lei nemmeno mi avesse dato conferma dello stesso interesse nei miei confronti.

    Eppure, nonostante momenti alti e momenti bassi l’unione si è sempre andata fortificando, è andata

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