Sulle strade del Mondiale di Ciclismo. Storia, curiosità e percorsi del Campionato del Mondo di Ciclismo dagli anni Venti a Toscana 2013
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Anteprima del libro
Sulle strade del Mondiale di Ciclismo. Storia, curiosità e percorsi del Campionato del Mondo di Ciclismo dagli anni Venti a Toscana 2013 - Enrico Pace
© goWare
Settembre 2013, prima edizione
ISBN 978-88-6797-114-5
Redazione: Alice Mazzoni
Copertina: Emiliano Bacci
Sviluppo ePub: Elisa Baglioni
goWare è una startup fiorentina specializzata in digital publishing
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Breve storia del ciclismo
Affrontando un libro sul ciclismo, non si può certo prescindere dal fornire una breve e sintetica storia di questo sport. Chi furono i primi a gareggiare? Quando nacque il ciclismo?
Una storia ha un inizio – talvolta anche una fine, ma l’argomento al momento non interessa le nostre ricerche – quindi il viaggio parte dalla nascita e dall’evoluzione dello strumento principale che permette a questo sport di esistere: la bicicletta.
Innanzitutto un sentito grazie al popolo sumero per aver perfezionato la ruota, che rimane la più grande invenzione di tutti i tempi. Per quanto riguarda la bicicletta, le prime intuizioni si possono trovare a cavallo del XV-XVI secolo a opera di ingegneri illustri e talvolta poco noti come il padovano Giovanni Fontana e i toscani Jacopo Mariano, Francesco di Giorgio Martini e dulcis in fundo Leonardo da Vinci [Figura 1 – La bicicletta di Leonardo da Vinci]. Nel 1420 Fontana infatti ideò un veicolo a quattro ruote che veniva azionato dalle braccia dell’uomo grazie a una fune avvolta a due verricelli a lanterna [Figura 2 – La bicicletta di Giovanni Fontana]. Questa primissima versione di bicicletta aveva le due ruote anteriori più piccole rispetto a quelle posteriori. Jacopo Mariano (1382-1453), detto il Taccola o l’Archimede senese, è una figura fondamentale e ancora poco nota del Rinascimento italiano, eppure sui suoi scritti di ingegneria studiò il da Vinci e anche Francesco di Giorgio Martini. Anch’egli senese, fu ingegnere, scrittore e scultore. Si occupò di ingegneria militare e idraulica. I suoi studi, grazie alla molteplicità delle problematiche trattate, servirono non solo a un’intera generazione di ingegneri successivi, ma anche al Brunelleschi per la costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore.
Nel 1791 ci dobbiamo spostare in Francia dove il conte Mede de Sivrac realizza il celerifero [Figura 3 – Il celerifero]. Nel 1816-18 è il tempo della draisina del barone Karl Freidrich Drais von Sauerbronn che introduce un’innovazione molto importante: lo sterzo a canotto. Questi macchinari presuppongono già la spinta dei piedi. Di bicicletta vera e propria si può cominciare a parlare dal 1855 quando i fratelli francesi Michaux applicano un paio di pedali al mozzo anteriore della draisina, che fu quindi ribattezzata michaudine [Figura 4 – La michaudine]. Questo accorgimento rappresenta la vera e propria rivoluzione: il velocipede infatti grazie a questa spinta riesce a sfruttare al massimo la propulsione data dalla spinta del pedale sulla ruota. Nel 1868 fu grazie all’orologiaio francese Andrè Guilmet e del meccanico tedesco Edoardo Mayer, che si sviluppa il meccanismo di trasmissione dai pedali alla ruota posteriore attraverso la catena. È nata la bicicletta, che nel corso degli anni ovviamente subirà modifiche strutturali, ma non sostanziali. Un buon colloquio dunque, ancora e fin da allora, tra Francia e Toscana.
Il 1868 è anche l’anno delle prime corse di velocità in Francia (che si tennero a Grenoble e nel parco parigino di Saint-Cloud), che dall’anno seguente diventeranno una costante annuale. La prima corsa su strada sarà proprio in Toscana: nel 1870, la Firenze-Pistoia, lunga 33 chilometri e vinta dallo statunitense Rynner Van Heste in 2 ore e 12 minuti.
Ed è la velocità, la vera protagonista della storia dello sport, e del ciclismo in particolare, se la definizione recita: Raggiungere il traguardo nel minore tempo possibile, precedendo l’avversario
. La velocità può cambiare forma ma non sostanza. Giacomo Leopardi diceva che nella velocità c’è il balenio dell’infinito
: sono cambiati i mezzi, si è affinata la tecnologia, ma la fiamma della passione sportiva di superare i limiti, di alzare le braccia al cielo, non si spegnerà mai.
La storia dei Mondiali di ciclismo
Il ciclismo è uno sport antico, vanta corse ultracentenarie che da sempre hanno attirato la passione di tanti. Di coloro che riuscivano ad assistere alle corse a bordo strada e di chi, invece, si appassionava alle gesta dei campioni ascoltando la radio, magari ritagliando le figurine dei ciclisti da un settimanale che ha fatto la storia del giornalismo sportivo come Il Ciclismo illustrato
.
Fra le grandi corse, però, il Campionato Mondiale di Ciclismo è una delle ultime a fare la sua apparizione nel panorama internazionale.
Ma non da subito la corsa si connota come un appuntamento dedicato ai professionisti del pedale. Per 6 anni, infatti, dal 1921 al 1926, la gara è solo per i dilettanti. La vincono, in ordine cronologico, lo svedese Gunnar Skoeld (a Copenaghen), il britannico Dave March (a Liverpool), l’italiano Libero Ferrario (a Zurigo) il francese André Leducq (a Parigi), il belga Hoevenaers (ad Apeldoorn in Olanda) e ancora un francese, Octave Dayen (a Milano). [Figura 5 – Libero Ferrario]
I Mondiali fino alla Seconda guerra mondiale
✔ La prima
nel 1927, poker azzurro. Il primo Mondiale di Ciclismo per professionisti si corre in Germania in un circuito intorno alla pista del Nurburgring. Domina il colore azzurro: a vincere è il leone di Cittiglio
, Alfredo Binda, che mette alle spalle i compagni di squadra Girardengo, Piemontesi e Belloni. Binda vincerà tre edizioni della corsa iridata: oltre al 1927, anche nel 1930 e nel 1932.
✔ Dal belga Ronsse il primo bis consecutivo. Il grande rivale degli italiani nelle corse mondiali prima della guerra è George Ronsse. Vince lui le ultime edizioni degli anni Venti, da Budapest e Zurigo. In Ungheria addirittura rifila oltre 20 minuti al secondo classificato. Ma erano altri tempi.
✔ Il Mondiale si decide a cronometro. Per una sola volta nella storia dei campionati del mondo il titolo professionisti è stato assegnato soltanto a cronometro. Era il 1932 e a vincere fu la locomotiva umana
, Learco Guerra.
✔ Anche la Francia nel medagliere. Fino al 1937 solo due francesi si inseriscono nel duello classico
fra Italia e Belgio. Sono Georges Speicher, un outsider che riesce ad arrivare a braccia alzate sul traguardo di Montlhéry, nel 1933 e Antonin Magne che arriva in solitario nell’edizione del 1936.
La fine degli anni Venti: l’Italia si illude con Binda, il belga Ronsse bussa due volte
1927 Il primo campionato del mondo per professionisti si corre in Germania, una nazione non proprio votata alle due ruote, almeno quelle a pedali. È un circuito, un anello proprio all’interno della pista per moto del Nurburgring . A conferma che non si tratta di una competizione che ha un grande appeal, schiacciata com’è fra Giro d’Italia e Tour de France (si corre il 21 luglio), c’è il parterre de rois dei partenti. Sono solo 55 al via. Ed è dominio italiano. Anche perché alla partenza c’è, fra gli altri, Alfredo Binda [ Figura 6 – Alfredo Binda ], il campione di Cittiglio che ha appena finito di dominare il Giro d’Italia conquistando il record, ancora imbattuto, di dodici vittorie in quindici tappe, coronando la cavalcata anche con la vittoria della gara a tappe. Con lui, a rappresentare il tricolore ci sono anche Domenico Piemontesi, il rivale Costante Girardengo , Michele Orecchia, Gaetano Belloni e Allegro Grandi. La gara è tutta di impronta tricolore. Al sesto giro, infatti, rimangono in cinque a lottare per il titolo grazie al forcing di Girardengo che si porta dietro Binda, Piemontesi, il tedesco Rudolf Wolke e il francese René Brossy. Ma Alfredo Binda è in grandissime condizioni, al penultimo giro saluta e stacca tutti. Chiuderà a braccia alzate con oltre 7 minuti di vantaggio su Girardengo e 10 su Piemontesi. Quarto ancora un italiano, Gaetano Belloni, mentre Michele Orecchia conquista il bronzo nella categoria dilettanti dietro al belga Aerts e al tedesco Wolke.
[Classifica finale]
1928 Si attende il bis ma cambiano le regole e i piani degli azzurri saltano in aria rovinati dalla rivalità fra i protagonisti della prova in linea, in programma a Budapest, stavolta d’agosto. La Federazione ciclistica internazionale decide da una parte di dividere la prova dei professionisti da quella dei dilettanti, quando l’anno prima avevano corso nella stessa gara. I tre portacolori italiani (i partecipanti in totale sono 16) sono Alfredo Binda, ancora una volta reduce da una vittoria al Giro d’Italia, Girardengo e Belloni. Tre galli in un pollaio, tre primedonne che non badano alla tattica ma fanno surplace. E intanto gli avversari se ne vanno, soprattutto il belga Georges Ronsse che, vincitore della Parigi-Roubaix l’anno prima, rifila quasi 20 minuti ai tedeschi Herbert Bene e Bruno Wolke e umilia gli azzurri, che non solo finiscono fuori dal