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Fame di Vita
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Fame di Vita

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E' davvero possibile, oggi, riuscire a non farsi "vincere" dalla crisi? Si può davvero essere così forti da resistere alla crisi economica, a quella sociale e quella, ancor più grave, di valori?
Alberto, il protagonista del romanzo, capisce fin da piccolo che nessuno di noi può scegliere quale vita vivere. Ognuno sembra avere un destino, e a volte esso è del tutto diverso da come lo immaginavamo.
Alberto, però, decide di non arrendersi, ha nel cuore qualcosa di grande che lo aiuterà a non mollare, a tenere duro, a continuare a vivere.
Proprio la sua grande fame di vita gli permetterà di restare attaccato a questo grande dono. Finché, un giorno...
LanguageItaliano
PublisherMarco Tavassi
Release dateFeb 10, 2014
ISBN9788868857370
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    Fame di Vita - Marco Tavassi

    Le strade intorno ormai deserte, nessun rumore, nessun negozio aperto. E’ calata la brina, è iniziata l’ennesima, desolante serata d’inverno. E’ diversa però dalle altre, nell’aria si avverte quella particolare atmosfera che solo in essa è presente. E’ la Vigilia di Natale, oggi. La Vigilia di un Natale di crisi e di austerità, eppur non privo di spese e regali: un Natale del terzo millennio. Si vedono, alzando gli occhi, le luci dalle abitazioni in festa, quelle intermittenti sui balconi, si ode talvolta una risata, ora fanciulla, ora adulta, che rompe il silenzio magico, irrealistico per ogni altro giorno dell’anno. Non ci sono auto per strada, l’aria sembra più pulita, senza i consueti fumi, e solo l’odore di fritto è facile cogliere nelle vicinanze delle popolate abitazioni. E’ la Vigilia di Natale, oggi. Negli occhi profondi di Alberto l’accendersi e lo spegnersi delle luci a festa è in contrasto col buio della mente, dell’anima, del cuore. Azzurri erano i suoi occhi, e forse lo sono ancora, ma col tempo hanno perso quella lucentezza che li distingueva dagli altri, si sono spenti, sono appassiti. Non sono più i suoi occhi, ma non hanno mai perso quella profondità che induce a leggere dritto nel suo cuore, a capire chi lui veramente è. Purtroppo capita molto raramente, poiché spesso i suoi occhi sono abbassati, verso il suolo, anche quando con gentilezza offre il suo aiuto nel parcheggio di un negozio, anche quando con generosità compie atti di estremo amore. Azzurri e splendenti un tempo, un lontano tempo, erano i suoi occhi. Ascolta senza attenzione le voci provenienti dalle case, porta una mano alla spalla e mette sulla testa il cappuccio del suo unico rifugio dal freddo, un impermeabile non molto pesante trovato in discarica. La barba lunga sopperisce in parte alla mancanza di una sciarpa, ma non per scelta. Le mani, ormai abituate al gelo, hanno un colore sempre violaceo e le unghie, mangiucchiate nelle polari notti, sembrano quasi assenti. Anche i capelli sono lunghi, anche questi non per scelta, neri ma ingrigiti dalla polvere. Il maglione di lana, nero e lungo fino alle gambe, il pantalone, invece, corto alle caviglie. Le scarpe sono nuove, raccolte alla fine di un recente mercato rionale. Cammina per strada, ma nessuno lo può vedere, nessuno può far caso alla sua presenza, perché in questa serata, come in mille altre, lui è un invisibile, solo un invisibile. La magica atmosfera gli riporta alla mente quella che era la sua vita, una volta, quello che lui era, una volta. Silenzioso e immerso nei pensieri, al bordo di un deserto marciapiede, nasconde il corpo sotto un cartone inumidito dalla brina e chiude gli occhi.

    Una luce nella mente, ed ecco delinearsi pian piano i lineamenti di un bambino basso e dal corpo tozzo, grassottello. Si rivede lì, nella prima B, in quel giorno di prima elementare di tanti anni fa. Entra in classe per ultimo, accompagnato frettolosamente dalla madre diretta al lavoro, si guarda intorno, i suoi nuovi compagni sono già tutti seduti, vede lì, in fondo alla classe, vicino alla finestra, un posto libero, e si siede. La maestra invece resta in piedi, tra le mani il registro, e procede all’appello. Chiama i bambini per nome, per metterli a loro agio e far diminuire l’evidente tensione presente in ognuno di essi. Il primo, Antonio, poi il secondo, Giuseppe, e così via fino ad arrivare al suo nome, Alberto, atteso con ansia e trepidazione, ripetendo a mente le risposte alle domande che la maestra gli avrebbe fatto, per evitare di farsi bloccare dall’emozione. Non aveva fatto altro che ripeterglielo la madre fino all’arrivo a scuola: Ti raccomando Alberto, non fare il timido come al solito e non restare muto, come fai quando qualcuno viene a trovarci a casa.

    Così la maestra chiamò: Alberto!.

    Presente, rispose con un tono di voce leggero e già parzialmente bloccato dall’emozione.

    Bene- riprese la maestra- Racconta un po’ a me e ai tuoi nuovi compagni da dove vieni, dove abiti, cosa fanno i tuoi genitori, se hai fratelli e sorelle, i tuoi hobby. Insomma, raccontaci un po’ di te, così, per conoscerci un po’ .

    Mi chiamo Alberto, ho sei anni e vivo in una casetta non molto lontana dalla scuola - iniziò così a prendere un po’ di coraggio, notando l’attenzione che maestra e compagni gli rivolgevano- Il mio papà lavora in una fabbrica di materiale elettrico, la mia mamma, invece, è impiegata presso un ufficio, ma non so di preciso che cosa fa. Il mio hobby è il calcio, mi piacerebbe tanto giocare in una squadra e diventare un calciatore, ma non ci sono campetti e squadre per bambini vicino alla mia casa. Per questo mi diverto a giocare a calcio con i videogiochi.

    Capisco- riprese nuovamente la maestra- Quindi ti piace il calcio, anche se non puoi giocare in una squadra, per adesso. E non hai fratelli o sorelle, Alberto?.

    No maestra, sono solo io. Avrei voluto un fratellino col quale giocare ma la mia mamma mi dice sempre che non è facile crescere i bambini, soprattutto quando si lavora perché c’è poco tempo, mentre se non si lavora ci sono pochi soldi. E dice poi che in fondo stiamo bene anche in tre, così tutti i giochi sono solo per me. La maestra s’incuriosì e, colpita anche dalla quasi perfetta esposizione del bambino, disse: Questo è vero, però magari con un fratellino o una sorellina avresti avuto qualcuno con il quale giocare. E resta a lavoro per tutto il giorno la tua mamma?

    Fino verso le cinque, signora maestra. La mattina mi accompagna a scuola e va al lavoro. All’uscita viene il mio papà e con lui torno a casa a mangiare quello che la mamma ha cucinato la mattina presto e lasciato nel forno. Poi anche il mio papà torna al lavoro, ed io resto solo fino alle cinque che torna la mamma.

    Ma come -intervenne alzando il tono di voce la maestra- Ma come solo, sei un bambino di sei anni e stai da solo per metà pomeriggio?.

    Non proprio solo, maestra- rispose Alberto -Mi guarda una vicina di casa, la signora Carla. L’anno scorso stava sempre con me quando non c’erano i miei genitori. Adesso invece che sono un pochino più grande sta in casa sua e ogni tanto viene a controllare che non faccio pasticci.

    Capisco- annuì la maestra, terminando poi l’intervento di Alberto con una considerazione generale- Capisco, mio caro Alberto. Purtroppo i tempi non sono facili e molto spesso non basta più il lavoro di un solo genitore per vivere bene. Ciò non toglie naturalmente che è dovere di tutti noi stare sempre vicini ai nostri figli, soprattutto quando sono piccoli. La presenza dei genitori e della madre in particolare è molto importante per crescere bene. Voi che dite, bambini? Gli alunni risposero di sì con la testa, come per darle ragione senza però aver ben compreso il concetto. Così la maestra stava per passare al bambino successivo, quando Alberto a voce alta esclamò: La nonna! La nonna mi ha cresciuto, è stata sempre brava e gentile con me. Mi portava sempre a fare le passeggiate e mi preparava tante cose buone. La maestra rialzò lo sguardo dal registro e, compresa l’emozione nella voce tremante del piccolo domandò, conoscendo già la risposta: Ah, la tua nonna, e adesso dov’è?.

    E’ andata in cielo. Un giorno, sono tornato a casa e non c’era più. Da quel momento non l’ho più vista e non so il perché. La mamma mi ha detto che è andata in cielo e adesso sta sempre con me, anche se non la vedo. Io però qualche volta vorrei vederla. La maestra fissò Alberto silenziosamente per qualche istante, e colse in quegli occhi così profondi il dolore e la malinconia presenti nel cuore del bambino al solo parlare della nonna. Mai nella sua lunga carriera aveva colto tanta profondità negli occhi di un fanciullo così piccolo d’età. Era il primo giorno di scuola, la classe era formata da bambini appena arrivati in quel nuovo ambiente e non se la sentì di approfondire l’argomento. Restò in silenzio ancora per un po’, poi seguitò a chiamare gli altri bambini in elenco.

    I giorni di scuola passavano veloci e Alberto si trovava bene nella nuova classe e con i nuovi amici. Quando all’uscita il padre andava a prenderlo e fino a quando tornava al lavoro, Alberto gli raccontava meticolosamente tutto ciò che aveva fatto durante la mattinata, cosa le maestre avevano spiegato, con quali compagni si trovava meglio, i compiti da fare per il giorno successivo. Era entusiasta della sua classe, quella prima B unico luogo in cui poteva frequentare altri bambini, parlare con loro, giocare, ridere, scherzare. All’asilo si era trovato bene, si divertiva a giocare e a colorare, ma non era mai stato così entusiasta. La sera dei primi incontri scuola famiglia il padre di Alberto prese un permesso dal lavoro poiché voleva essere presente insieme alla moglie. Così mamma Giovanna, papà Stefano e il piccolo Alberto entrarono nell’aula adibita per le udienze.

    Siamo molto soddisfatti del comportamento e della voglia di apprendere di vostro figlio- iniziò la maestra di italiano, coordinatrice di classe -Devo dire che fin dal primo giorno sono rimasta piacevolmente sorpresa dal modo in cui Alberto si esprime. Solitamente i bambini appena terminato l’asilo hanno comunque delle difficoltà a esprimersi e a comporre frasi, invece devo riconoscere che Alberto ha dimostrato grande bravura da subito. Naturalmente i bambini sono qui per imparare e tante sono le nozioni che dobbiamo trasmettergli, ma per il momento siamo molto soddisfatti. Complimenti a voi genitori, il bambino ci ha detto che lavorate entrambi e per esperienza personale so che non è facile coniugare lavoro, casa e famiglia, quindi davvero complimenti.

    Già, è vero- rispose la madre -E’ proprio vero. Sono certamente necessari dei sacrifici, ma noi cerchiamo sempre di dare priorità alla crescita del bambino, considerando anche la delicata età in cui si trova. Sono felice di sapere che i nostri sacrifici sono ripagati dal suo comportamento e dalla sua educazione. Volevo però chiederle, considerando la timidezza che Alberto manifesta talvolta anche con noi genitori, crede che con il tempo possa superare questo problema?

    Non lo definirei problema -rispose la maestra- Si tratta di uno stato d’animo che molti bambini e anche molti adulti manifestano a contatto con persone o situazioni nuove. Alberto con i compagni di classe si trova bene e vedrà che col tempo si scioglierà sempre più. Stia tranquilla. I genitori, visibilmente soddisfatti per le belle parole dell’insegnante, salutarono tutti e uscirono dalla scuola.

    Durante il ritorno a casa, in macchina, la signora Giovanna e il signor Stefano si complimentarono più volte con Alberto, che sorrideva, non dimostrando, però, di essere del tutto felice. Che cos’hai?-gli chiese il padre- Non sei contento di quello che hanno detto a scuola, del fatto che sei bravo e sai parlare molto bene? Non sei contento?.

    "Sì papà, certo che sono contento, ma…

    Ma cosa? Che cosa è successo?, chiese, voltandosi verso il sedile posteriore, la signora Giovanna.

    Niente mamma, niente, sono contento, molto contento. I genitori presero la titubanza del figlio come un evidente segno di stanchezza e, senza approfondire, tornarono a casa e prepararono la cena. Alberto però non era stanco. Non era la stanchezza a impedirgli di essere completamente felice. Alle udienze un suo compagno di classe, Gianni, era stato accompagnato dalla nonna, e la malinconia aveva preso il sopravvento.

    Le camminate al parco, le caramelle, le cioccolate, le favole, le storielle. Tutto, ad Alberto mancava tutto della sua nonna. Tra loro si era creato un rapporto speciale. Tutte le nonne hanno con i propri nipoti un forte legame, ma il loro andava oltre, si capivano anche senza parlarsi, si coccolavano a vicenda, stavano bene l’uno con l’altra. Alberto non sapeva con precisione cosa era successo alla nonna. Sapeva che era volata in cielo, come più volte i genitori gli avevano ripetuto, ma non sapeva come, non sapeva perché, ed era questo che ogni sera le domandava: Perché? Perché sei andata in cielo, nonna? Non stavi bene qui? E perché non vuoi tornare? Io sono qui ad aspettarti. Buonanotte nonnina! E chiudeva gli occhi inumiditi dalle lacrime. Aveva solo sei anni Alberto, ma era troppo sveglio per non capire, troppo sveglio per non chiedersi il perché. E forse il non sapere con precisione i fatti gli faceva ancora più male. Forse i suoi genitori avrebbero dovuto dirgli che la nonna era andata via non perché non stava bene insieme a lui, non perché lui aveva fatto qualcosa di male, ma perché un crudele morbo, di quelli che colpiscono il sistema nervoso e degenerano, talvolta rapidamente, se l’era portata via. Non aveva mai mollato la nonna di Alberto. Era una donna minuta nel fisico ma forte nell’animo e nel cuore. Dalla morte del marito era andata a vivere con suo figlio per essere ancora utile, per dare una mano a crescere e ad accudire quel nipote che stava per nascere. Nell’ultimo periodo sapeva che le rimaneva poco tempo, sempre meno, e così cercava di vivere ogni giorno al massimo, dedicandosi completamente al suo più grande amore: Alberto. La mattina lo svegliava con un bacio, e con dolcezza gli preparava la colazione, il latte con quei biscotti a rettangolo che tanto piacevano al suo adorato nipote. Con un bacio lo salutava augurandogli una buona mattinata all’asilo, e accompagnandolo fin sull’uscio della porta, con la mano un bacio, dolcemente, gli mandava dalla finestra. E Alberto ricambiava sempre quel bacio. E Alberto manda sempre quel bacio, ogni mattina, anche se la sua nonna, da due anni, affacciata alla finestra, non c’è più. Finché la forza nelle gambe lo permetteva, era lei che andava a prenderlo all’asilo. Si avviava quasi un’ora prima per non rischiare di fare tardi, e passo dopo passo giungeva fin davanti alla scuola, si sedeva sulla panchina e attendeva l’uscita di Alberto prendendo qualche gustosa caramella dalla borsa. Arrivati a casa, pranzavano chiacchierando della mattinata, e di quello che insieme avrebbero fatto durante la giornata. E quando il tempo era buono, verso le quattro del pomeriggio, mano nella mano, nonna e nipote uscivano per andare al parco. Lì Alberto si divertiva molto a giocare sullo scivolo, sull’altalena, e a fare qualche divertente dispetto alla nonna. Una volta, si nascose dietro un cespuglietto per non farsi vedere. La nonna si accorse subito del nascondiglio, ma fece finta di non vederlo, girando in lungo e in largo l’intero parco, mentre Alberto rideva a crepapelle. Alla fine saltò fuori facendo spaventare la nonna, che lo rincorse fino ad acciuffarlo, abbracciandolo e dandogli tanti baci come solo lei sapeva fare. A cena poi la famiglia era al completo. Molto spesso Stefano e Giovanna finivano per mettersi a parlare di lavoro, di carte da firmare, bollette da pagare, commercialista, ragioniere e quant’altro. Così la nonna, notata la noia che segnava gli occhi di Alberto, appena finito di mangiare, lo prendeva per mano e lo portava con sé nell’altra stanza, dove insieme giocavano con i pupazzi, o con quel camper delle macchinine che Alberto amava tanto. Arrivata l’ora di andare a dormire, era solitamente la nonna che lo accompagnava a letto, facevano insieme la preghiera della sera e gli raccontava tante favole, molte delle quali inventate da lei. Ad Alberto piacevano molto le favole della nonna, tanto che non si addormentava senza averne prima ascoltata almeno una. Quando i suoi occhi si chiudevano, la nonna dolcemente lo baciava, sussurrandogli: Buonanotte tesoro, gli rimboccava le coperte, e andava a dormire anche lei, in camera sua. La domenica era sempre un giorno speciale. Di buon mattino l’intera famiglia era sveglia, si faceva colazione, tutti insieme, e poi si andava a Messa. Proprio la Fede è uno dei valori trasmesso dalla nonna ad Alberto. Gli parlava spesso di Gesù, di quello che ha fatto per noi, del vero senso del Natale, della Pasqua, di ogni giorno. Alberto era piccolo e non aveva di certo ancora l’età per comprendere appieno quei discorsi, per coglierne il senso, ma la nonna era convinta che certi valori fosse opportuno trasmetterli fin da subito, a piccoli bocconi, come diceva lei. Certo, nell’educazione e nei valori sono indispensabili i genitori, e la nonna di Alberto questo lo sapeva bene, e aveva massimo rispetto dei ruoli. Riteneva fondamentale il tempo che il bambino doveva trascorrere con la mamma e con il papà, l’educazione che loro dovevano insegnargli, e anche i rimproveri che talvolta papà Stefano faceva ad Alberto. La nonna, buona di cuore qual era, non sarebbe mai riuscita a rimproverare il suo amato nipote, ma sapeva che nella crescita del bambino era importante anche quello, e per questo non interveniva mai quando il signor Stefano o la signora Giovanna redarguivano Alberto.

    E poi c’erano i dolci, quei dolci belli alla vista e buoni al gusto che la nonna di Alberto spesso preparava. Ciò che al bambino piaceva, oltre al sapore, era che sua nonna non li preparava solo nei giorni di festa, ma quando le veniva voglia, e le veniva spesso. Torte di mele, crostate, dolcetti al cioccolato, al cocco e tanti altri, che delizia per Alberto, forse anche per questo un po’ grassottello, ma sicuramente felice, felicissimo della sua vita e dello splendido rapporto con la sua adorata nonna.

    Quella felicità si spezzò quando Alberto aveva quattro anni. Già da qualche mese la nonna non stava bene, ma non aveva mai dato modo al nipote di accorgersene. Sopportava in silenzio l’atroce dolore pur di vederlo sorridere, pur di vedere la gioia nei suoi occhi azzurri. Avrebbe voluto tante volte rimanere a letto, la sofferenza aumentava e la forza le mancava ogni giorno di più, ma non le venne mai meno la forza interiore, quella del cuore, quella forza straordinaria che ogni mattino la faceva alzare dal letto e le faceva vivere appieno la giornata con la sua famiglia, con il suo unico e amato nipote. La sera, quando andava a coricarsi, rivolgeva sempre una preghiera a Dio. Lo pregava di assistere sempre la sua famiglia, lo pregava di rimanere con i suoi cari anche quando lei non avrebbe più potuto, lo pregava soprattutto di non far soffrire Alberto, il suo nipotino. Lo sapeva la nonna di Alberto, lo sapeva che quel bambino dai capelli lucidi per la gelatina e dagli occhi profondi si sarebbe chiesto tante volte dov’era sua nonna, perché non lo svegliava più, perché non lo andava più a prendere a scuola, perché non pranzava più con lui e non preparava i dolci, perché non era più accanto a lui a Messa, non lo portava più a giocare al parco quando c’era il Sole, perché non gli raccontava più le favole e non faceva più insieme a lui la preghiera della buonanotte a Gesù. Lo sapeva la nonna di Albero che la sua vita terrena era ormai giunta al culmine, e sapeva che gli adulti avrebbero sofferto ma capito, mentre Alberto no, non avrebbe potuto capire. Lo sapeva ed era questo più del dolore fisico che durante la notte le procurava atroce sofferenza. Ma all’alba del nuovo giorno questa sofferenza doveva nasconderla, e così faceva, cercando di non pensarci, e sorridendo all’immagine di Gesù, appesa nel salotto, quando vedeva il suo nipotino tornare dall’asilo. Non fu così quel giorno, quel diciotto Maggio. Alberto vide la madre entrare in classe, e si meravigliò. Era strano, solitamente era il padre che lo andava a prendere da quando la nonna non riusciva più ad arrivare fino a scuola, e poi non era ancora ora di uscire, dato che la campanella non era ancora suonata. La signora Giovanna disse quasi sottovoce qualcosa alla maestra, che la abbracciò e, in tono altrettanto silenzioso, le rispose. A quel punto Alberto si avvicinò alla madre e chiese, strattonandole la giacca: Mamma, mamma, perché sei qui? Che cosa stai dicendo alla maestra?. La donna, asciugandosi frettolosamente le lacrime, chinò il capo verso il figlio e, con voce tremante, rispose: Alberto, non è successo niente, dobbiamo solo tornare a casa prima, oggi. Papà è impegnato e così sono venuta a prenderti io. Non sei contento?. Alberto non capiva il motivo di quelle lacrime scese dagli occhi della madre, ma fu felice di tornare prima a casa, così corse a mettere il gilet, prese lo zainetto e salutò amichetti e maestra.

    Arrivati davanti casa, Alberto guardò verso la finestra e si meravigliò molto di non vedere la nonna affacciata. Stava per chiedere alla madre dov’era andata sua nonna e come mai non lo aspettasse alla finestra, come sempre faceva, ma il padre non gli diede tempo di parlare. Era, infatti, uscito subito davanti casa, prima ancora che madre e figlio scendessero dall’auto e, accennando un buongiorno, esclamò: Tieni Giovanna! Sono le chiavi della casa in campagna di un mio caro amico e collega, quella che t’indicai l’altro giorno. Vai lì con Alberto, magari passa prima a prendere qualcosa da mangiare!. Poi guardò Alberto che lo fissava da quando aveva iniziato a parlare e disse: Sto facendo dei lavori a casa e non si può stare perché c’è polvere. Andate a mangiare in campagna, io vi raggiungo appena ho finito. Alberto non riusciva a comprendere quella situazione così strana ma, sicuro che la nonna fosse in campagna ad attenderlo, sorrise e disse: Va bene papà, allora noi andiamo, ci vediamo quando finisci. Il signor Stefano abbozzò un sorriso e si avviò verso la porta di casa ma Alberto, affacciatosi dal finestrino urlò: Papà, papà …. Temendo di sentire quella domanda cui non avrebbe saputo dare una risposta, il signor Stefano si voltò e, con un filo di voce, disse: Dimmi Alberto, dimmi. Non sporcare i miei pupazzi, e attento al camper delle macchinine, non farlo rompere!. Il padre, sollevato dalla leggerezza di ciò che Alberto gli aveva appena detto, lo rassicurò: Stai tranquillo, ho sistemato le tue cose dove non si rompono e non si sporcano, stai tranquillo!. L’auto con a bordo la signora Giovanna e il piccolo Alberto si allontanò, e dopo una breve sosta per comprare della pizza, arrivò alla piccola casa che Giacomo, collega di Stefano, possedeva in una contrada a una quindicina di chilometri dalla città. Quando il bambino vide la madre aprire la porta con la chiave che il padre le aveva dato e, entrato nella rustica abitazione, non vide la nonna, per l’ennesima volta si meravigliò, e immediatamente chiese alla madre: Mamma, mamma, ma se papà sta lavorando a casa, ed è tutto sporco, perché la nonna è rimasta li? Non poteva venire con noi? E poi perché non si è affacciata alla finestra come fa sempre quando torniamo?. La signora Giovanna, donna e madre forte e determinata, non avrebbe mai pensato di sentirsi così a disagio. Per la prima volta da quando era diventata madre non sapeva cosa fare, né cosa dire. Aprì il cartone della pizza e, cercando di distrarre Alberto da quei pensieri e da quelle domande, disse: Wow, vieni a vedere, Alberto, la pizza è ancora fumante, senti che buon profumo. Dammi solo un minuto che apparecchio e poi la gustiamo insieme. Nel frattempo va a lavarti le mani e poi subito a tavola, d’accordo?. Alberto era sempre più confuso, ma voleva sapere, voleva sapere dov’era sua nonna, perché non l’aveva vista, perché tutto era così strano. Sì, mamma, vado a lavarmi le mani, tu però non hai risposto alla domanda che ti ho fatto. Siete tutti così strani oggi. E si diresse verso il bagno. La signora Giovanna, apparecchiando, rifletté sul da farsi, e arrivò alla conclusione che non poteva andare avanti così, che prima o poi Alberto avrebbe dovuto sapere. Dopo pranzo avrebbe parlato con il figlio, gli avrebbe detto, nel modo più semplice e meno traumatico per un bambino della sua età, cosa era successo alla nonna. I due mangiarono in silenzio, in un clima surreale, la casa era deserta e muta, e solo il rumore della sedia di Alberto che si allontanava dal tavolo riportò la signora Giovanna nella dura realtà.

    Buona la pizza, mamma, anche se mi piace di più quella che il mercoledì fa la nonna. Papà quando viene a mangiare?. La madre, all’ennesimo riferimento del proprio figlio alla nonna, si fece forza: Alberto, vieni qua, vicino a me, devo dirti una cosa importante.

    Dimmi mamma, che cosa è successo?, domandò Alberto avvicinandosi alla sedia dove, con le braccia tese per prendere in braccio il bambino, era accomodata la madre. Devo dirti una cosa che riguarda la nonna, Alberto, ma mi devi promettere che non pensi cose brutte perché non c’è motivo, e mi devi promettere anche che non stai male. Promesso?. Abbastanza spaventato da quelle parole e senza ben comprendere il significato di quelle promesse, Alberto esclamò: Sì mamma, promesso. Dimmi, dimmi pure, cosa è successo alla nonna?.

    Ecco vedi, Alberto, ognuno di noi, nasce, poi diventa grande, trova un lavoro, una persona alla quale vuole bene, poi mette al mondo dei figli e poi…

    Sì mamma, ma cosa c’entra questo con la nonna? -la interruppe Alberto- E poi papà mi ha sempre detto che a noi bambini ci porta la cicogna, non ho capito cosa stai dicendo, mamma.

    Sì Alberto, ha ragione tuo padre, rispose la signora Giovanna in uno stato di tensione mai provato fino quel momento. Lei, che aveva sempre pensato di essere forte abbastanza da affrontare ogni tipo di situazione, si stava accorgendo di quanto difficile fosse il compito di una madre in certi momenti. Ha ragione ed è vero, i bambini li porta la cicogna. Però sono comunque i genitori a volere il bambino che poi la cicogna porta. Ma questo non centra con la nonna, Alberto. Quello che voglio dirti è che dopo aver fatto tutte queste cose, arriva un momento in cui ognuno di noi deve tornare in cielo. E tua nonna, oggi, è tornata in cielo. Ha fatto tutto ciò che doveva fare qui sulla Terra, e adesso è tornata in cielo. Per questo non l’hai vista a casa e non c’è nemmeno qui. E’ una cosa bella, che prima o dopo succede a ognuno di noi, per questo ho voluto dirtela e per questo non voglio che tu sia triste.

    In cielo… - disse dubbioso Alberto -Ma tu stai parlando del cielo che sta in alto, quello azzurro e grigio, mamma?

    Sì tesoro, proprio quello. E’ un posto bellissimo, dove la nonna si troverà sicuramente bene.

    E come si arriva in cielo, mamma?, chiese incuriosito il bambino.

    Caro Alberto, innanzitutto bisogna essere brave persone per tutta la vita, e quando arriva il momento di andare viene un Angelo invisibile, con le ali, che ti prende in braccio e ti porta fino al cielo.

    Capito, mamma. E noi quando andremo a trovare la nonna? Se vuoi, possiamo andarci la domenica oppure quando finisce l’asilo, non manca tanto.

    Vedi tesoro mio, purtroppo in cielo possono andare solo le persone che hanno finito la loro missione sulla Terra. Noi abbiamo ancora delle cose da fare qui, e dobbiamo farle bene, affinché un Angelo venga anche da noi e ci porti dalla nonna.

    Però almeno poteva salutarmi prima di andarsene. Aspettava che tornavo dall’asilo e poi partiva.

    Avrebbe voluto, Alberto -continuò, con voce tremante, la donna- Credimi, avrebbe voluto, ma devi sapere che l’Angelo che viene dal cielo a prendere i bravi è un pochino dispettoso, perché non avvisa prima. Si sveglia la mattina e decide di portare con sé qualche bravo della Terra, e scende a prenderlo. Questa mattina ha deciso di venire a prendere la nonna. Lei non lo sapeva.

    Ma quindi mamma, quando vedrò la nonna?.

    Vedi tesoro, fisicamente non la potremo vedere fin quando non saliremo in cielo anche noi, ma c’è una cosa importante che devi sapere: lei è e sarà sempre con te, anche se tu non la puoi vedere. Non sei contento?.

    Ma, mamma! -esclamò secco Alberto, con tono quasi di rimprovero- Ma se non la vedo, non c’è! Quando a casa non vedo te o papà, non ci siete, se no vi vedo.

    Sì Alberto, hai ragione, ma non è la stessa cosa per chi va in cielo. Per loro è diverso. Loro possono stare in qualsiasi posto anche senza farsi vedere, e soprattutto possono stare sempre insieme alle persone cui vogliono bene. Ecco perché tua nonna già adesso è vicina a te, anche se non la vedi, e sarà sempre vicina a te, a casa, all’asilo, per strada, di giorno, di notte, sempre.

    Ma almeno però la posso sentire? Lei mi parla ed io posso parlare a lei?

    Lei ti ascolta sempre, piccolo mio. Credimi, davvero sempre, e siccome adesso è, diciamo così, invisibile, e non può risponderti con la sua voce, lo farà sempre attraverso il tuo cuore.

    Il cuore? Ma il cuore non parla! Disse con tono nuovamente di rimprovero, Alberto.

    Lo so Alberto, lo so che il cuore non parla, ma voglio dire che senti dentro di te quello che tua nonna vuole dirti. Facciamo così tesoro mio: per adesso tu devi sapere che tua nonna è andata in un posto bello e in cui sta molto bene, e che sta sempre con te, in ogni momento. Quindi non devi essere triste o preoccupato non vedendola, devi essere felice sapendo che si trova in un luogo bello e che sta sempre al tuo fianco. Poi le altre cose, più complicate, le capiremo insieme man mano. D’accordo tesoro? Alberto, ignaro delle cose complicate cui la mamma alludeva e confuso da quel discorso così impegnativo e così complesso per un bambino della sua età, annuì e disse: Va bene mamma. Ho capito. I due si strinsero in un lungo abbraccio, con le lacrime della signora Giovanna che bagnavano la maglia blu scuro del piccolo Alberto. Uno squillo del telefonino interruppe quel delicato momento. Era Stefano, che informava la moglie che di lì a poco avrebbe accompagnato in campagna la vicina di casa, la signora Carla, per fare compagnia ad Alberto mentre loro avrebbero badato ai doveri da compiere a seguito del triste avvenimento.

    Starai un po’ di tempo con la signora Carla, la nostra vicina, mentre io e tuo padre sistemeremo la casa. Questa notte dormiremo qui tu ed io tesoro mio, nel lettone grande, ti piace l’idea?

    Sì mamma, mi piace. Allora ci vediamo dopo.

    Sì Alberto, a dopo, così prendo anche il tuo pigiama azzurro e lo spazzolino per lavarti i denti.

    Va bene mamma. A dopo.

    Ciao tesoro mio. Ci vediamo fra poco. Alberto salutò dalla finestra il padre che non era sceso dall’auto e immediatamente quel saluto gli fece pensare al gesto mattutino della nonna. Per fortuna la Signora Carla interruppe sul nascere quel pensiero, entrando ed esclamando, quasi gridando: Buonasera Albertone mio! Sono venuta a farti compagnia per un po’, e non immagini cosa ti ho portato per farti divertire.

    Buonasera signora Carla. Grazie per essere venuta a farmi compagnia. Che cosa?

    Devi indovinare bellissimo bambino dagli occhi azzurri, devi indovinare. E’ una cosa che ti piace tanto e con cui giochi spesso. La signora aveva subito compreso che Alberto era in quel momento molto confuso dalla situazione, e in ogni modo cercava di distrarlo da quei pensieri che un bambino di quell’età non dovrebbe mai avere.

    Il camper! -esclamò a gran voce Alberto- Che bello, il mio camper. Vuoi giocarci insieme a me? Lo facevo sempre con la nonna, ma adesso lei è andata in cielo ed io non la posso vedere più, ma lei c’è sempre, però non può giocare con me come faceva prima di andare in cielo. La signora trattenne a stento le lacrime e, ripiegando la busta in cui era avvolto l’amato gioco del bambino, riuscì a dire, con voce tremante: Certo Alberto, certo che giochiamo insieme. Tua nonna adesso è insieme a Gesù. E’ sempre insieme a te come hai detto tu, anche se non può fare più alcune cose che faceva prima -e frettolosamente si asciugò una lacrima scesa giù lungo il viso- Dai, apriamolo e fammi vedere quante macchinine ci sono dentro.

    La signora Carla era una donna sui cinquanta, di bell’aspetto. Viveva da sola in una casetta vicina a quella di Alberto. Sempre curata, un martedì sì e uno no si recava dalla parrucchiera, e di tanto in tanto dall’estetista. A vederla nessuno le avrebbe dato l’età che aveva, e nessuno avrebbe mai immaginato che quella signora attenta alla linea e dall’abbigliamento giovanile non avesse marito. E invece era proprio così. Secondo le dicerie del vicinato, da giovane Carla era pazzamente innamorata di un uomo, molto più grande di lei, con il quale trascorse bellissimi momenti e dal quale già sognava una famiglia, dei figli e poi dei nipoti. Ma, sempre secondo le voci del piccolo paese lucano, il sogno svanì presto, quando l’uomo dovette trasferirsi per lavoro in una grande città dell’Italia settentrionale e lì s’innamorò di un’altra donna. Del suo passato la signora Carla non parlò mai a nessuno. Di certo si sa che ha sempre rifiutato la corte di numerosi uomini, e che si è chiusa nella sua riservatezza proprio in quella discreta casetta, un tempo lontana da tutti. Con il passare degli anni, infatti, la zona si è popolata di numerose abitazioni, e la signora Carla ha assistito alla costruzione della casa dei genitori di Alberto dalla prima pietra. All’inizio non era molto felice. Preferiva restare lontana dalla gente, e quella casa in costruzione proprio lì a pochi metri dalla sua la preoccupava non poco. Ma quando Stefano, Giovanna, il neonato Alberto e sua nonna andarono ad abitarci, lo stato d’animo di Carla cambiò radicalmente. Una famiglia, quella casa appena costruita era abitata da una famiglia, proprio il suo sogno. Un marito e una moglie innamorati, con un bambino appena nato, e una nonna forse rimasta sola ma non abbandonata. Due persone con il frutto del loro amore tra le braccia che, sicuramente con tanti sacrifici, decidono di andare a vivere, in una casa di nuova costruzione, non di loro proprietà ma certamente molto bella e accogliente. E decidono di condividere la vita insieme alla madre di uno dei due. Non è da tutti, ed è lodevole davvero. Quella famiglia, nuova nel quartiere e da poco arrivata, era il sogno di Carla, che da subito, al contrario di quanto lei stessa avrebbe immaginato, si rese gentile e disponibile con i vicini. Stefano e Giovanna non erano persone che davano retta alle dicerie di paese, né avevano intenzione di turbare quella simpatica vicina con domande sul suo passato e sulla sua vita privata, e questo era un altro aspetto che a Carla piaceva molto e che fece nascere fin da subito uno stupendo rapporto di buon vicinato. Man mano si passò da tale rapporto a una vera e propria amicizia, con la nonna, con Stefano e Giovanna, e con il piccolo Alberto. Spesso si mangiava tutti insieme, d’estate molte volte la signora Carla andava con Alberto e sua nonna al parco e sempre la Domenica a Messa, tutti insieme. La gratitudine, mista anche a un pizzico d’invidia, a quella famiglia, Carla non la nascondeva mai. Senza quelle persone così piene d’amore e prive di rancore non avrebbe ritrovato un senso della vita che aveva perduto da ormai troppo tempo. Quando la nonna di Alberto morì, Carla perse un’amica, una persona ormai di famiglia, l’unica alla quale aveva confidato tutto del suo passato e della sua vita, sicura che quelle confidenze sarebbero rimaste tra loro, sicura che quella donna così innamorata del suo nipotino le voleva bene davvero. Stette male quando apprese della malattia della sua amica e il dolore la bloccò completamente quando quella mattina Stefano bussò alla sua porta, per comunicarle la tragica notizia. Ma quando, nel primo pomeriggio, Stefano tornò da lei per chiederle se potesse fare compagnia per un po’ ad Alberto in campagna, sentì dentro una forza, la forza della sua amica che dal Paradiso era già impegnata ad assicurare la felicità e la serenità del suo unico nipotino. Non esitò quindi a dire di sì, a mettere il camper nella busta e a salire in macchina con Stefano alla volta della casetta in campagna.

    Quella notte Alberto e sua madre dormirono insieme in campagna, nel letto grande, mentre papà Stefano rimase a casa, adagiato di fianco alla madre defunta. Un padre ha un compito molto difficile nella vita, quello di mostrarsi forte anche quando lo sconforto prende il sopravvento, e non sempre è cosa semplice. Non va dimenticato che un padre è anche un figlio, e un figlio ha bisogno della propria madre, e un figlio è inevitabilmente distrutto quando la mamma non c’è più. Piangeva Stefano, con la sua mano stretta a quella della madre, distesa sul letto. Piangeva e continuava a chiedersi perché. Nessuno poteva dargli risposta, nessuno poteva sollevarlo da quel dolore atroce, da quel pensiero che non avrebbe mai più rivisto sua madre, la donna che lo aveva messo al mondo e che lo aveva accudito, la donna che lo conosceva più di ogni altra e che sempre lo aveva ascoltato e capito, la donna che lo aveva da sempre amato incondizionatamente e senza mai chiedere nulla in cambio. Il mattino dovette farsi forza. Non aveva chiuso occhio per tutta la notte, ma adesso doveva andare a prendere la moglie e il figlio in campagna, e con loro andare al funerale, facendo il padre forte e non il figlio straziato dal dolore, per non turbare il suo piccolo bambino.

    Buongiorno tesoro -disse quasi in silenzio alla moglie, appena arrivato in campagna- Com’è andata la notte? Alberto ha dormito?.

    Buongiorno Stefano. Sì non preoccuparti, siamo stati entrambi nel letto matrimoniale e ha dormito. Adesso è sopra e attende che vado a vestirlo. Tu piuttosto come stai? Hai riposato almeno un po’?.

    Ho riposato, stai tranquilla. D’accordo, allora ti aspetto qui fuori.

    Giovanna sapeva e vedeva che suo marito non aveva chiuso occhio e che stava male, tanto male. Non trovando altre parole e con un nodo in gola si strinse al suo Stefano in un breve abbraccio e poi andò sopra a vestire e lavare Alberto.

    Buongiorno papà. Questa notte ho dormito nel letto grande. Tu che hai fatto da solo a casa?, chiese il bambino appena uscito, accingendosi e salire in macchina.

    Buongiorno Alberto. Mi ha detto la mamma che hai dormito nel lettone grande. Visto com’è comodo? Io ho finito di sistemare tutto a casa, così dopo la Messa ci possiamo tornare insieme.

    La Messa? Quale Messa, papà? E’ domenica oggi?. Stefano non rispose, nel tentativo di evitare un discorso che in quel momento non riusciva a fare. Ma all’insistenza di Alberto, la signora Giovanna trovò coraggio: No Alberto, non è domenica oggi, è venerdì. Ma dobbiamo andare a Messa. Ricordi quello che ti ho detto ieri della nonna, che è andata in cielo?.

    Sì mamma, mi ricordo. Questa notte prima di dormire ho fatto la preghierina, come facevo sempre con lei e l’ho salutata, le ho dato un bacio.

    "Bravissimo tesoro mio. Hai fatto benissimo. Ed è quello che adesso anche noi dobbiamo andare

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