Memorie di un soldato siciliano
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Memorie di un soldato siciliano - Paolo Morsellino
devastante.
PARTE I
LA PARTENZA PER L’ALBANIA
Il 27 gennaio del 1943, noi militari del 343° Regg. Fanteria, ci siamo imbarcati a Bari su una nave di 7000 tonnellate diretti in Albania, con mare grosso, immagino forza nove. Sembrava che le onde sommergessero tutto, i due cacciatorpedinieri di scorta,sbattuti a destra e a sinìstra, andavano in profondità e riaffacciavano ancora, sfuggendo alla sorveglianza della flotta inglese.
L’indomani, giorno 28, nella mattinata, siamo sbarcati a Durazzo. Il nostro trasferimento è stato ordinato per rinforzare le truppe di occupazione che presidiavano l’Albania, dove i partigiani albanesi, sempre in movimento, operavano per il riscatto e l’indipendenza della loro patria. Il governo italiano nel 1939, con uno sbarco di truppe, senza nessuno sforzo, con una guerra lampo, aveva occupato l’Albania impossessandosene, così l’Italia estendeva il suo dominio all’altra sponda dell'Adriatico, nei Balcani, ai danni della patria di un altro popolo. In seguito ha fatto peggio occupando ai confini meridionnali dell’Albania, la Grecia nazione guida di civiltà millenaria nata molto prima dell’Impero ROMANO. Tutte le nazioni mediterranee sono testimoni dì ciò e in special modo la nostra Sicilia con ì suoi templi e anfiteatri greci, meraviglia dell’umanità di oggi. Scesi dalla nave ci fecero prendere posto sui camions per condurci ad Elbasan, una delle migliori cittadine albanesi, con popolazione mista, cristiani e musulmani, la quale è costruita in una pianura vicino ad un monte, tutta alberi da frutta e olivi secolari, che si estende fino al mare, con clima mediterraneo. Per me che ho vissuto sempre in Italia è stata tutta una novità conoscere quella terra, la sua gente per la maggior parte di religione musulmana, con le sue moschee e minareti, con modi e costumi diversi dai nostri. Ci alloggiarono in una caserma costruita dopo l’occupazione italiana dove si stava discretamente.
Vi presidiavano altri militari, arrivati qualche mese prima di noi, e un piccolo reparto di ex combattenti della guerra contro la Grecia. Poco distante vi era un fiume alimentato dalle acque piovane invernali, il quale in estate si asciuga, salvo qualche pozzanghera qua e là, dimora di molte anatre selvatiche. Dopo un paio di settimane dal nostro arrivo, due plotoni mitraglieri e due fucilieri del nostro battaglione (i plotoni mitraglieri facevano parte della quarta compagnia ove ero io), sono stati comandati in un'azione di rastrellamento contro i partigiani, in una zona a sud-est di Elbasan. I militari preparati furono fatti salire sui camions, dopo qualche ora di viaggio scendevano dove erano stati segnalati i partigiani. Ppoco dopo, venuti a contatto con loro, si sono trovati di fronte a forze maggiori, bene armati e, nell’attraversare un fiume per prendere una buona posizione al lato opposto, non fecero in tempo che, circondati da tutte le parti, sono stati fatti prigionieri sensa nemmeno sparare.
Disarmati, obligati a seguirli, internati in profondità in mezzo ad un bosco e alloggiati in un vecchio casolare, sotto forte sorveglianza, sono stati spogliati della divisa e delle scarpe ed in cambio ebbero stracci borghesi. Durante il periodo della prigionia, hanno ricevuto diverse personalità, che sapevano parlare bene l’italiano e che, detto da loro, provenivano dalle nostre università.
Questi criticavano il fascismo per avere buttato l'Italia in una guerra che di sicuro si sarebbe conclusa in un disastro per noi italiani e li incitavano a disertare fa» cendo propaganda comunista. Dopo alcune settimane, i nostri soldati sono stati rilasciati per accordi presi fra la delegazione partigiana e il nostro comando, il quale aveva provveduto ad inviare loro, divise, scarpe e camions per il rientro. Arrivati in caserma i soldati e i sottoufficiali sono stati isolati da noi e per parecchi giorni hanno subito diversi interrogatori da parte delle nostre autorità militari venute da Tirana (capitale dell’Albania) senza subire alcuna condanna, gli ufficiali, invece, sono stati inviati in Italia per essere processati. Con uno di questi ufficiali mandati sotto processo avevo avuto delle questioni quando eravamo in Italia, a Catanzaro, e così cogliendo l’occasione voglio raccontare questa e un’altra ingiustizia ancora del comandante della compagnia.
Io e l’ufficiale, mandato in Italia per essere processato, un sottotenente, abbiamo litigato l’8 dicembre del’1942, giorno dell’Immacolata. Lui era in servizio di giornata ed assisteva alla distribuzione del primo rancio, essendone rimasto ancora molto disse ai componenti del suo plotone di rimettersi in fila per prendere il supplemento, mentre gli altri potevano andare via.Io, che non ero del suo plotone mi misi insieme a loro, più o meno verso il centro e, arrivato il mio turno, porsi la gavetta, ma lui mi fermò dicendo: tu non sei del mio plotone, è solo per i miei
; gli dissi: sono uno, non sono tanto di peso
. Il sottotenente mi rispose che non era possibile. Protestai energicamente perchè il rancio era di tutta la compagnia e se avesse voluto fare un trattamento speciale al suo plotone se li sarebbe dovuti portare al ristorante.
Successe un finimondo, (non scrivo quello detto l’uno e l’altro) però lui, protetto dai suoi gradi di ufficiale, chiamò le guardie ordinando di mettermi in prigione; una guardia, mio amico, mettendomi sottobraccio, mi disse di non farci caso e di entrare in prigione, tanto fra breve l'ufficiale mi avrebbe dovuto chiedere scusa e fammi uscire . Infatti così è stato, lui dopo lungo ragionare con l’amico mio che era di guardia, accortosi dell’errore, alle ore 16 scusandosi, mi ha rimesso in libertà esono andato in libera uscita. L’altra ingiustizia fatta dal comandante della compagnia, è stata subita a Carolei, piccola cittadina in provincia di Cosenza. Era il mese di giugno e noi eravamo sotto le tende, in un castagneto. Un militare che aveva buoni rapporti con me, alla ritirata delle ore 21 non è risultato presente all’appello, ed il sottoufficiale di servizio fece il rapportino mettendolo assente.
Il comandante se ne accorse e si mise all’ingresso, per aspettare il rientro del ritardatario. Quando questo arriva ordina alle guardie di legarlo ad un albero con la corda di un basto di mulo, dopo di che si è ritirato sotto la sua tenda, sistemata tra la mia ed un altra funzionante da fureria, accomodandosi sul pagliariccio. Io come se nulla fosse, con la massima calma, mi avvicino all'uomo legato e tirando la punta della corda, fatta a nodo scorsoio, libero chi subiva tanta umiliazione. Con la corda in mano vado dal comandante e porgendola gli dico che vedere un militare le» gato è umiliante per se e per chi guarda, e con modo sarcastico gli faccio capire di legare me al posto suo. il comandante di coricato si mette seduto, sempre sul pagliariccio, e guardandomi disse che avevo fatto bene, infatti avevo preceduto quello stesso che stava per fare anche lui.
Nessuno deve pensare che ero troppo facile a ribellarmi o rivoluzionario, io, che ho appena la licenza elementare, pur avendo letto tanto, non ho mai letto nel codice della disciplina militare uno che porta un poco di ritardo al rientro dalla libera uscita, debba essere tanto umiliato da essere legato con una corda di basto ad un albero di castagno. In certi casi era giusto opporsi a certi atteggiamenti disciplinari assunti arbitrariamente dal comandante, ma io, che portavo sopra le spalle tanti anni di servizio militare, delle volte mi domandavo se fossi nato e cresciuto soldato, ormai dopo tanti anni, non temevo a reagire ad un abuso fatto da un superiore. Colgo l’occasione per scrivere in merito ad alcuni ufficiali delle nostre Forze Armate che pretendevano troppo e poco davano, rigorosissimi sull’ordine e la disciplina e su cose inutili. Alcuni erano il terrore dei subalterni trovando sempre un motivo per punire e sgridare, non accettando mai di venire a ragionamento, imponendo sempre di fare silenzio. In guerra autoritari e troppo pretendenti hanno sacrificato molti uomini sensa alcun motivo, certi altri credevano di essere superuomini nei confronti degli altri, al punto da rendersi malevoli,antipatici, sciocchi e ridicoli.
IL TRASFERIMENTO A POGRADEC
Dopo che i nostri plotoni furono fatti prigionieri dai partigiani e rilasciati, il nostro reggimento subì delle modifiche. I militari,terminato l’interrogatorio durato diversi giorni, sono stati divisi per tutto il nostro battaglione, con nuovo personale sempre preso dallo stesso battaglione, con nuovi ufficiali e nuove armi hanno rifatto i plotoni, così l’organico è stato al completo come prima. Nei primi di marzo con nuovo ordine, il nostro regimento è trasferito da Elbasan a Pogradec. Il viaggio è stato per una strada di montagna, in una zona impervia e accidentata ed i camions addetti al nostro trasporto, sembrava dovessero andare giù per i burroni. Il viaggio è durato circa 12 ore, non si incontrava nessuno, solo ogni tanto si vedeva qualche piccolo gruppo di case nei pezzetti di terreno fra un monte e l’altro. Gli abitanti si univano accanto allo stradale per osservare il nostro passaggio e venderci qualcosa. Esponevano le uova nei cestoni così da sembrare di essere in un nostro mercato di frutta, infatti, quello che abbonda di più in Albania, sì da esportarne in abbondanza a’ll'estero erano le uova, la lana, il tabacco; infatti vi era un forte allevamento di polli, pecore e bovini di razza media. Pogradec, tra i monti e il lago di Ocrida, era piccolissima, con circa mille abitanti misti, cristiani e musulmani come ad Elbasan. Nei suoi pressi e lungo la strada che costeggia il lago che porta al passo di Ciaftà vi era un cimitero con molte croci che raccoglieva i resti dei morti di tutti e due gli eserciti, italiano e greco, caduti in una sanguinosa battaglia. Numerosi sono stati i Cimiteri italiani in Albania,lungo i confini con la Grecia e in tutto il meridione. La guerra con la Grecia per noi è stata molto sanguinosa. Mentre noi eravamo impegnati nei diversi fronti,