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Il Concilio “tradotto” in italiano. Vol. 2
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Il Concilio “tradotto” in italiano. Vol. 2

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Questo 2° volume è imperniato su quelle che l’Autore chiama *attestazioni* di recezione del Vaticano II per l’Italia: i Piani/Orientamenti pastorali e i Convegni ecclesiali nazionali promossi dalla CEI. Sulla scorta dello studio operato nel 1° volume, l’Autore verifica in quale misura i nuclei ecclesiologici proposti dal Concilio siano stati recepiti dai Vescovi e “tradotti” per noi. «Uno studio ecclesiologico che merita nel suo complesso un giudizio di encomio: […] limpido nell’intento di servizio alla Chiesa, rigoroso nell’argomentazione teologica e nei riferimenti storico-documentali, di ampio respiro spirituale pur nella ricerca di fedeltà alla lettera, radicato fin dal principio nelle Scritture Sacre. Di

esso si può e si deve dire, al di là di formalismi di circostanza, che costituisce un lavoro scientifico davvero eccellente, che si offre come strumento imprescindibile per comprendere il cammino della Chiesa in Italia fino ai giorni nostri» (Vol. 1, *Prefazione* di D. Bernini).
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateSep 29, 2014
ISBN9788891158239
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    Il Concilio “tradotto” in italiano. Vol. 2 - Roberto Baglioni

    complessiva.

    PARTE PRIMA

    CAPITOLO I

    EVANGELIZZAZIONE, SACRAMENTI

    E PROMOZIONE UMANA

    (GLI ANNI SETTANTA)

    1. La Chiesa, fra l’annuncio del Vangelo

    e la celebrazione dei sacramenti

    Cambia decisamente il registro in questo secondo volume, poiché alla nostra attenzione sono posti ora i documenti pastorali dell’Episcopato Italiano. Accanto alla scelta di considerare come fondamentale e prioritario lo studio dei cosiddetti piani decennali, si è preferito non isolarli rispetto a tutti gli altri, i quali a loro volta saranno studiati, analizzati, e proposti attraverso una presentazione schematica, con metodi e approcci che spiegheremo all’occorrenza¹.

    Caso singolare – occorre precisare – è questo degli anni Settanta, periodo per il quale la cadenza decennale della programmazione ancora non esiste: Evangelizzazione e sacramenti (1973) costituisce il pilastro e il punto di partenza di una esperienza che, almeno inizialmente, si sviluppa in fasi diverse, anno per anno, con la pubblicazione di testi magisteriali che ne costituiscono lo sviluppo e il completamento. A ciò si deve aggiungere che negli anni intercorsi tra la conclusione del Concilio e il piano Evangelizzazione e sacramenti, la Conferenza episcopale ha elaborato e pubblicato importanti documenti, primo fra tutto il cosiddetto Documento Base Il rinnovamento della Catechesi. È sembrata, perciò, inderogabile la scelta di considerare come parte integrante del primo decennio – e di questo capitolo – anche quei documenti che gli sono in qualche modo propedeutici, quelli pubblicati, cioè, durante il primo lustro del post-Concilio. Ne risulterà un quadro senza dubbio vasto e complesso, anche incompleto se vogliamo, ma al tempo stesso più rispondente ad una seria valutazione della recezione di quello che è stato definito come «il tesoro più prezioso da offrire ai fedeli in campo magisteriale»: l’insegnamento del Concilio Vaticano II².

    Al fianco, dunque, del piano Evangelizzazione e sacramenti, si collocano gli altri documenti teologico-pastorali:

    Questa l’impostazione generale del capitolo quanto al metodo: al momento espositivo del programma pastorale Evangelizzazione e sacramenti facciamo seguire altri due momenti: il primo, analitico, approfondisce in chiave ecclesiologica gli elementi di recezione del Concilio presenti nel documento stesso. Il secondo, sintetico, estende la lettura agli altri documenti del decennio appena elencati. Infine il momento ecclesiale: quello, cioè, della celebrazione del Convegno sul tema Evangelizzazione e promozione umana (30 ott.-4 nov. 1976), che costituisce il punto di arrivo del capitolo, ed una delle chiavi ermeneutiche irrinunciabili per l’intero periodo pastorale.

    1.1 Alcune premesse alla lettura

    del documento Evangelizzazione e sacramenti

    Il testo del documento programmatico pastorale Evangelizzazione e sacramenti viene approvato dalla X Assemblea generale della CEI il 12 luglio 1973⁴.

    Ma perché pianificare una pastorale, e a livello nazionale? Non per seguire una «moda» di pianificazione – si legge in una Nota della Segreteria Generale – la Conferenza dei Vescovi sceglie di adottare un «piano pastorale» di carattere nazionale, ma per essere fedele alla «unanime decisione delle conferenze regionali di giungere ad un programma comune di riflessione e di azione»⁵. E ciò non dice «pretesa di risolvere in tempi brevi tutti i problemi, ma decisione concorde di confrontare ogni decisione pastorale con quella fondamentale»⁶.

    In verità – scrivono i Vescovi nel documento – «non si tratta tanto di un piano pastorale vero e proprio. Questo dovrà, se mai, agganciarsi a una Chiesa particolare, con una propria fisionomia, una sua storia, un suo cammino spirituale» (EvS 60). Meglio si dovrebbe parlare, allora, di «linee comuni di azione pastorale, che orientino, sostengano e ravvivino la vita religiosa del nostro Paese» (EvS 59; cfr. EvS 15-16).

    Si noterà, qui come nei documenti orientativi per gli anni Ottanta e Novanta, una struttura tripartita, in cui la prima parte, preceduta da un lancio introduttivo, prende l’avvio dalla «situazione italiana». Questo dato altro non fa che mettere in evidenza che la decisione pastorale fondamentale scaturisce dalla presa di coscienza di una realtà, in questo caso conosciuta mediante la nota indagine-ricerca socio-religiosa sul tema Evangelizzazione e sacramenti⁷.

    È vero, aggiungiamo, che fare un «piano», logicamente, significa conoscere, decidere e agire⁸, per cui nel caso in esame si mostra la volontà di conoscere mediante un approccio tecnicamente ed empiricamente serio: basti ricordare che nell’indagine sono state concretamente impegnate 33.000 persone, distribuite in 2.300 zone pastorali d’Italia, e per un arco di tempo di circa tre anni. «Al tempo stesso, la ricerca deve segnare un momento di presa di coscienza e di partecipazione concreta di tutto il popolo di Dio»⁹, un «esame di coscienza corale» per la Chiesa in Italia, «prova di coerenza e di comunione»¹⁰.

    1.2 L’Episcopato riparte dall’ecclesiologia e dal Concilio

    Se avessimo a che fare con un documento pontificio o conciliare, Evangelizzazione e sacramenti avrebbe senza dubbio la prerogativa di definirsi quasi una costituzione De Ecclesia, stando almeno all’attestazione delle prime parole del piano pastorale. Non il Vangelo, non l’evangelizzazione, non il contesto socio-culturale, e nemmeno i sacramenti, sono offerti in prima battuta all’attenzione del lettore, ma «la Chiesa» in quanto tale e la sua missione. L’opzione dei Vescovi italiani per l’ecclesiologia, infatti, emerge da subito e chiaramente nella stessa Introduzione del documento, quando si dice che «la Chiesa ha nella storia una sua specifica missione: quella di comunicare agli uomini la salvezza annunciata e compiuta da Cristo», attraverso i mezzi fondamentali dell’annuncio del Vangelo e la celebrazione dei sacramenti (EvS 1).

    Mai la Chiesa è venuta meno a questo suo «duplice compito fondamentale», certo indotta da «situazioni varie e concrete istanze del tempo» a «porre l’accento quando su un aspetto, quando su un altro della sua molteplice azione» (EvS 1). Proprio «il giusto adattamento delle forme ai tempi» ne richiede di nuove e più efficaci nell’odierna e «nuova situazione culturale e sociale» (EvS 1).

    Altrettanto esplicita, già al n. 2 del documento, è la scelta dei Vescovi di riferirsi al Concilio Vaticano II, a cominciare dalla «necessità di un continuo e adeguato rinnovamento (LG 8)» della Chiesa: in se stessa, nelle forme di evangelizzazione da adottare, e nel modo della sua presenza nel mondo (EvS 2).

    Forse più ancora che per il riferimento al Concilio, il n. 2 si distingue per la scelta di definire senza mezzi termini la Chiesa come il «sacramento di Cristo»¹¹. Immediatamente prima si legge:

    Riprendendo, infatti, dalle antiche fonti patristico-liturgiche il termine «sacramento» per designare la Chiesa (cfr. SC 5; LG 9; 48; AG 5), il Concilio ha inteso non solo affermare il suo rapporto di comunione con Cristo, ma anche la maniera originale con cui essa si colloca nel mondo e vi compie la sua missione (EvS 2).

    Fra la natura della Chiesa e la sua missione nel mondo sussiste quindi «una reciproca induzione e quasi una fusione in unità dinamica», poiché essa da un lato prende coscienza di sé nell’accogliere e nel compiere la sua missione, e dall’altro «è fedele a questa sua missione soltanto nella misura in cui vive il mistero della comunione con Cristo» (EvS 3).

    Ai Vescovi, insomma, sta a cuore certamente l’annuncio del Vangelo nella sua forma più efficace (cfr. EvS 2) e adatta al tempo; certamente sono preoccupati «del rinnovamento interiore dei singoli e della loro attiva e cosciente partecipazione ai riti» (EvS 3), ma a partire dalla Chiesa e da una ecclesiologia di fondo, quella, appunto, mutuata dalla categoria di sacramento.

    Prima di indagare le relazioni tra questo orientamento offerto alle Chiese in Italia, e prima di giungere a conclusioni affrettate, occorre leggere il documento nella sua interezza, per rintracciare gli sviluppi di questa che appare come una scelta programmatica fondamentale.

    1.3 «La situazione italiana: difficoltà e prospettive

    dell’impegno pastorale» (EvS 4-25)

    La parte prima del piano pastorale del ’73 è dedicata alla disamina della «situazione italiana», nel cui contesto l’esperienza di vita cristiana della Chiesa ha saputo esprimersi attraverso i secoli in modo «intenso e multiforme», contribuendo alla formazione di un tessuto sociale «unitario e stabile» e quasi totalmente di ispirazione cristiana (cfr. EvS 4).

    Ma il volto del Paese è cambiato – riconosce chiaramente il nostro Episcopato –, e il fenomeno che più lo caratterizza è quello della secolarizzazione (EvS 5): un fenomeno complesso e positivo in sé, «quando afferma i giusti valori delle realtà terrene»; deleterio e fuorviante quando diventa secolarismo, teorizzando «l’autonomia assoluta dei valori umani», e negando quelli «della trascendenza in genere, e della rivelazione cristiana in particolare» (EvS 5). I toni dell’omelia pronunciata da Paolo VI nella Cappella Sistina, all’apertura dei lavori della X Assemblea generale della CEI, non erano stati meno duri: «il vento della metamorfosi sociale – disse – non sembra spirare in nostro favore»¹².

    «Nuove antropologie» assurgono a «dottrine di salvezza», e contribuiscono a sviluppare nell’uomo moderno «la suggestione a ritenersi autosufficiente» (EvS 6), un assoluto accanto alla natura e alla storia.

    «Non è difficile avvertire quanto serie possano essere le conseguenze della secolarizzazione e quali gravi problemi essa ponga alla missione della Chiesa nel mondo» (EvS 7). Tra queste vi è la pretesa di «escludere la religione dalle strutture e dalle istituzioni», ritenuta addirittura «estraniante» e «alienante» dai compiti «secolari», questi sì preminenti ed esclusivi (EvS 7).

    Di qui scaturisce anche «la difficoltà a comprendere il disegno di Dio nella storia, ad accettare la sua specifica azione e ad avvertire la sua presenza sacramentale nella Chiesa»: l’uomo conosce sempre meno e fa sempre meno riferimento alle celebrazioni liturgiche, arrivando a considerarle «nulla più che una pratica socio-culturale» (EvS 8).

    «Sarebbe un errore credere che il fenomeno della secolarizzazione resti ai margini delle comunità cristiane» – ammoniscono i Vescovi d’Italia. Anche nel loro interno c’è il rischio di ridurre il Vangelo a «messaggio di semplice liberazione umana», e di «un’interpretazione riduttiva e, comunque, unilaterale della missione della Chiesa, e dei mezzi fondamentali – evangelizzazione e sacramenti – con cui essa la compie» (EvS 9). «Nuovi problemi si pongono alla Chiesa in ordine alla promozione umana, la quale è parte costitutiva del messaggio di salvezza (cfr. GM; AA 5)» (EvS 9).

    Nei numeri successivi di Evangelizzazione e sacramenti vengono passati in rassegna alcuni di questi problemi e difficoltà che impediscono al fedele cristiano di vivere una fede autentica.

    Talvolta consolidate tradizioni religiose, non più catechizzate ed evangelizzate, hanno visto, anche nel nostro Paese, la netta «dissociazione fra evangelizzazione e sacramenti nell’azione pastorale» (EvS 10-12). L’annuncio della Parola si è ridotto a «semplice trasmissione di una dottrina e di norme morali» (EvS 11), e i sacramenti sono spesso vissuti come un complesso di riti: «non sapremmo dire se tale pratica sia davvero e sempre una consapevole espressione di fede» (EvS 12), anche se a prima vista «si potrebbe avere l’impressione che il popolo italiano conservi intatto il patrimonio religioso tradizionale» (EvS 13)¹³. La crisi religiosa – questa è l’analisi – non risparmia l’Italia. Eppure nessuno ignora «la ricchezza di una tradizione ecclesiale, permeata di fedeltà alla parola di Dio, sostenuta dal magistero dei Vescovi e del Sommo Pontefice, vissuta da innumerevoli schiere di anime sante» (EvS 14).

    Le tendenze opposte nella valutazione serena di questa realtà, vale a dire lo scoraggiamento da un lato, e un esasperato problematicismo dall’altro, vanno senza dubbio evitati. Ma la linea assunta dall’Episcopato italiano è quella di rispondere a questi problemi come Chiesa, e come Chiesa italiana. Ben tre volte si accenna alla necessità di una azione ecclesiale condivisa, nella ricerca di «concordi linee operative» (EvS 15) e di «una più articolata e organica convergenza su alcuni orientamenti comuni» (EvS 15-16)¹⁴.

    «Rispondere ai nuovi problemi» (16-20), dunque, è necessario alla missione odierna della Chiesa, ma non da soli. Non oscillando tra il rimpianto di «altri tempi» che non sono più, e la corsa a «tutto ciò che si presenta come novità» (EvS 17). Quel «lavorare insieme» di montiniana memoria, «tanto necessario ai fini di una pastorale moderna e incisiva» (EvS 16), lascia esso stesso scorgere lo sfondo ecclesiologico scaturito dalla celebrazione del Concilio¹⁵, nell’interno del quale questo documento è prodotto e al quale esplicitamente invita, rinviando alla ricerca di nuovi interrogativi che pongono al vaglio la fede e la prassi.

    La scelta dei Vescovi italiani di approfondire lo stretto rapporto dinamico fra evangelizzazione e sacramenti, non sembra andare in ultima analisi nella sola direzione di offrire impulsi nuovi all’azione pastorale. La «scelta pastorale fondamentale» (EvS 21-25) consiste nel mettere a fuoco «i contenuti essenziali del cristianesimo e suggerisce il modo concreto con cui la Chiesa intende operare efficacemente fra gli uomini, in piena fedeltà alla sua missione di annunciare la salvezza e di attuarla nei sacramenti» (EvS 21).

    La via della sacramentalità è ribadita negli ultimi numeri di questa prima parte, subito dopo aver dichiarato la necessità di ricercare nuovi linguaggi e nuove vie per raggiungere l’uomo contemporaneo, prima fra tutti quella della testimonianza: le nostre comunità cristiane sono «chiamate ad essere e a manifestarsi, nella loro vita, come visibile segno di salvezza per gli uomini» (EvS 22). «Né meno necessaria è, alla luce della dottrina del Vaticano II, una migliore comprensione e una presentazione più pertinente dei sacramenti, che ne metta in evidenza la connessione con tutta la storia della salvezza, il rapporto con il mistero pasquale del Cristo e con la vita della Chiesa, la rilevanza in ordine all’animazione cristiana del mondo e dell’avvento del regno di Dio» (EvS 23).

    1.4 «Indicazioni biblico-teologiche» (EvS 26-57)

    Vincolati come siamo all’intenzione di coniugare, a questo primo livello, la lettura integrale del testo con i suoi contenuti prettamente ecclesiologici, proseguiamo nella ricerca delle immagini di Chiesa sfogliando i numeri dal 26 al 57. Non è difficile immaginare quanto maggiori e più numerose possano essere le indicazioni teologiche sulla Chiesa in questa seconda parte di carattere dichiaratamente dottrinale.

    Il punto di avvio si configura già come una risposta ad alcuni interrogativi e problemi messi in evidenza nella prima parte, riguardo ai cosiddetti «mezzi fondamentali» della missione della Chiesa. Là l’evangelizzazione e la celebrazione dei sacramenti, e il loro «rapporto dinamico» intrinseco, attraversano una «crisi» importante, sono dissociati tra loro e alienati dall’ambito della fede. Qui se ne riafferma «l’inscindibile connessione» (EvS 26), «l’unità bipolare» (EvS 29), come «due aspetti e due fasi di un unico processo salvifico» (EvS 27), secondo il comando del Signore di insegnare e ammaestrare tutte le nazioni, «battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19).

    È vero che la reazione cattolica al protestantesimo spinse in passato a sottolineare con forza il valore dei sacramenti, sia sul piano teologico che su quello pastorale, ma mai mancarono iniziative di predicazione, missioni, catechesi agli adulti e ai fanciulli, che è giusto riprendere per mostrare e realizzare «una maggiore pratica connessione fra evangelizzazione e sacramenti, fra fede e prassi sacramentale» (EvS 29-31).

    Che l’immagine della Chiesa-sacramento sia coerente al comune progetto di rinnovamento secondo le intenzioni dei Vescovi, lo si capisce quando il documento introduce come premessa fondamentale al prosieguo della riflessione il concetto di dimensione sacramentale dell’economia salvifica. «Si può dire che la salvezza viene a noi per via sacramentale», e così «ogni realtà, che rientra nell’ambito dell’economia salvifica, assume un valore sacramentale» (EvS 32). Il n. 33 va letto integralmente:

    In questa visione, il concetto di sacramento è analogamente applicato alla parola rivelata, con cui Dio si manifesta al mondo; al Cristo, in cui quella parola raggiunge la sua pienezza; alla Chiesa, che attualizza la presenza di Cristo e, in senso stretto, ai sette sacramenti, quali atti fondamentali con i quali il Cristo ci fa rivivere nella Chiesa e attraverso la Chiesa, il suo mistero.

    La Parola di Dio, dunque, «è parola e avvenimento salvifico insieme» (EvS 35-36), mentre «Cristo è il sacramento del Padre» (EvS 37-38).

    La presenza del Cristo glorioso è continuata ed è resa operante nel mondo dalla Chiesa, che «per una non debole analogia è paragonata al mistero del Verbo incarnato» (LG 8). Animata infatti dallo Spirito Santo, la Chiesa estende a tutte le generazioni e a tutti i popoli la salvezza compiuta dal Signore. Di tale salvezza è insieme «segno e strumento» (cfr. LG 1). Perciò nella sua struttura divina la Chiesa giustamente è proclamata sacramento di Cristo (EvS 39).

    Natura e missione, dimensione misterico-sacramentale e azione salvifica, sono pure ripresi al n. 40, dove si esplicita la figura della Chiesa corpo di Cristo:

    Per questa sua dimensione sacramentale la Chiesa adempie la sua missione con la parola di Dio e i sette sacramenti […]. C’è quindi stretta correlazione fra quello che costituisce la Chiesa e la fa esistere come corpo di Cristo, e quello che la Chiesa è inviata a fare tra gli uomini; cioè fra la sua misteriosa natura umano-divina e la sua missione salvifica. E si può senza dubbio affermare che la Chiesa riscopre il suo vero volto quando annuncia la parola di Dio e celebra i sacramenti.

    La missione della Chiesa può e deve essere espressa, perciò, nel binomio evangelizzazione-sacramenti; una divisione tra l’una e l’altra attività dividerebbe il cuore della Chiesa fino a mettere in pericolo la fede (EvS 41-42). Da una parte Cristo è veramente presente nel ministero della Parola (EvS 43-47)¹⁶. E la Chiesa è realmente una «comunità di salvezza»: nella sua parola evangelizzatrice «l’uomo incontra dunque il Cristo che gli parla, conosce la propria vocazione, si apre all’amore del Padre e al disegno salvifico» (EvS 44).

    D’altro canto la pienezza dell’evangelizzazione risiede nel sacramento (EvS 48-51), secondo quanto attesta la stessa Scrittura: «Allora quelli che accolsero la parola, furono battezzati […] erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2,41-42; EvS 51).

    I sette sacramenti sono espressione diversa dell’unico mistero pasquale del Cristo. La diversità proviene dal fatto che

    i sette sacramenti, comunicando la vita nuova del Risorto, assumono e santificano il dinamismo dell'esistenza umana e si inseriscono nelle fondamentali situazioni dell'uomo. Così nell'evento sacramentale, azioni e momenti della nostra esistenza vengono accolti ed elevati ad atti impegnativi di incontro e di rapporto fra Dio e l'uomo, e fra l'uomo e i fratelli nella comunità ecclesiale (EvS 53).

    Il culmine di questa parte conferma l’intenzione dei Vescovi di orientare verso un rinnovamento della catechesi e della liturgia che trasformi nel profondo la vita personale ed ecclesiale dei fedeli. In questo modo «l'esistenza cristiana, profondamente radicata nel tessuto sacramentale e vissuta con coerente fedeltà, si trasforma in culto spirituale gradito a Dio (cfr. 1Pt 2,5)» (EvS 54)¹⁷.

    La Chiesa tuttavia si impegna nel rinnovamento della catechesi e della liturgia, nell'intento di rendere quel messaggio e quei segni maggiormente accessibili all'uomo d'oggi. Soprattutto, però, la Chiesa confida nella testimonianza dell'intera comunità cristiana, che a somiglianza della Chiesa primitiva, nella vita di gioia, di carità e di sacrificio manifesta la forza del Vangelo (cfr. At 2,46-47) e rende più facilmente intelligibile il linguaggio della fede e il significato dei segni sacramentali» (EvS 56).

    Dietro a queste riflessioni vi è – ormai evidentemente – una ecclesiologia. Ulteriore conferma l’abbiamo nel passo in cui poco sopra è detto, appunto, della Chiesa, che essa «di Cristo stesso è il mistico prolungamento nel tempo e nello spazio» (EvS 54).

    1.5 «Indicazioni pastorali» (EvS 58-112)

    Più indirettamente rispetto ai dati biblico-teologici, elementi di teologia della Chiesa possono venirci dalle successive «indicazioni pastorali», che costituiscono la terza ed ultima parte del piano Evangelizzazione e sacramenti.

    Si tratta di indicazioni per l’appunto, di «linee comuni di azione pastorale, che orientino, sostengano e ravvivino la vita religiosa del nostro paese» (EvS 59), di «direttive fondamentali unitarie» (EvS 60), tanto più utili e urgenti quanto più si condividono quegli aspetti positivi e negativi tratteggiati nel «rapido esame della situazione italiana» (EvS 58). Indicazioni che potranno tradursi in piano pastorale vero e proprio, però, soltanto nella Chiesa particolare. In essa – e qui il documento cita per esteso un passo di LG 27 – «i fedeli devono aderire al vescovo come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre, affinché tutte le cose siano d’accordo nell’unità (s. Ignazio, Ad Eph. 5,1) e crescano per la gloria di Dio» (EvS 60).

    L’annuncio del Vangelo è avvertito come un «primato» assoluto, prima ancora di individuarne forme e metodi, o di elencare situazioni, luoghi, e occasioni concrete in cui poter realizzare l’auspicato rinnovamento-conversione delle comunità ecclesiali in Italia (EvS 113). L’azione apostolica della Chiesa supererà abitudini e stanchezze, e riceverà una spinta vigorosa, grazie alla convinzione profonda di tutti gli operatori della pastorale sulla priorità dell’evangelizzazione, «continuamente rassodata nella meditazione, nello studio, e nell’impegno quotidiano» (EvS 61).

    Varie sono le forme di annuncio, tra cui – si torna a riaffermare – fondamentale è quella più direttamente legata alla celebrazione dei sacramenti. Il nesso vi è meglio esplicitato quando si dice che «l’evangelizzazione prepara il sacramento e ne accompagna la celebrazione: l’evangelizzazione e il sacramento sfociano poi nella testimonianza cristiana della vita» (EvS 63).

    Propedeutici alla preparazione, secondo quanto affermano anche i nuovi riti, sono le riunioni, gli incontri, e i vari sussidi. Finalizzato a ravvivare continuamente la grazia del sacramento a celebrazione ormai avvenuta, e a «richiamarne l’impegno per la vita», è poi l’approfondimento biblico-liturgico, «in vista soprattutto della progressiva formazione apostolica e missionaria di una comunità cristiana veramente consapevole e viva» (EvS 65).

    La celebrazione stessa, inoltre, deve orientarsi a questo fine, motivo per il quale sono importanti, tra l’altro e in special modo, la cura dell’omelia¹⁸ e una «partecipazione attiva e consapevole dei fedeli» (EvS 66), che impegnano più direttamente i ministri ordinati¹⁹.

    Antiche e nuove forme di evangelizzazione hanno caratterizzato e caratterizzano la vita della Chiesa, e sarebbe segno di «ottusa insensibilità pastorale lasciarle cadere senza rimpianto, o non preoccuparsi di ravvivarle a dovere». Così le missioni, i tridui, le novene e gli ottavari, in modo particolare all’interno della viva devozione mariana del nostro popolo e del culto dei morti (EvS 73)²⁰. Così le forme più recenti, come «le celebrazioni della parola di Dio, le veglie di preghiera, la revisione di vita e simili», particolarmente indicate per gruppi giovanili (EvS 75). Senza dimenticare quelle «inserite nel contesto della scuola di religione o della catechesi propriamente detta» (EvS 77)²¹.

    Altrettanto importante, soprattutto per i nostri tempi, è quella forma di evangelizzazione legata al complesso contesto degli strumenti della comunicazione sociale. Anche qui fa scuola il Concilio, quando afferma in proposito che la Chiesa «ritiene suo dovere» servirsi di tali strumenti «per predicare l’annuncio della salvezza» (cfr. IM 3; EvS 80), «per diffondere e consolidare il regno di Dio» (IM 2; EvS 80).

    In tutto ciò non vanno dimenticati, e richiedono un’opportuna valorizzazione, tutti quegli aspetti di promozione umana, «a cui sono tanto sensibili gli uomini del nostro tempo. Tali aspetti restano alla base del messaggio del Vangelo e sono reincarnati e rivissuti nella vita stessa della Chiesa» (EvS 81).

    La sensibilità dell’Episcopato italiano verso le varie forme di catechesi permanente riguarda soprattutto gli adulti. Si impone – leggiamo sempre nel piano pastorale – «un’azione pastorale che conduca alla riscoperta o alla consapevolezza progressiva e personale della propria fede» (EvS 83). Questo catecumenato «si presenta come un cammino di fede e di conversione con cui l’uomo, mosso dall’annuncio della Buona Novella, viene gradualmente introdotto nel mistero di Cristo e nella vita della Chiesa» (EvS 84).

    La fisionomia di questi itinerari è descritta nell’Ordo initiationis christianae adultorum (6 gennaio 1972). Si tratta «di una progressiva esperienza di vita di fede» che si compie, tra l’altro, mediante «la conoscenza della storia della salvezza, che ha il suo centro in Cristo morto e risorto e la sua perenne attualizzazione nella vita e nella missione della Chiesa» (EvS 88).

    «La famiglia è chiamata ad essere il primo luogo di annuncio del messaggio cristiano e di educazione permanente alla fede» (EvS 95), così come, nello stato di vita e secondo la vocazione loro propria, «un ruolo veramente prezioso è rappresentato dai religiosi e dalle religiose, in vario modo presenti ed operanti nelle nostre Chiese particolari» (EvS 97).

    In questo modo emerge con chiarezza la consapevolezza che i Vescovi hanno rispetto alla funzione assunta dalla Chiesa locale, all’interno dell’opera di evangelizzazione di tutta la Chiesa. Leggiamo nel n. 93:

    Tutta l'attività evangelizzatrice e missionaria trova il suo centro propulsivo e unificatore nella Chiesa locale, dove l'economia della salvezza entra più concretamente nel tessuto della vita umana. Intorno al pastore, in comunione e in stretta collaborazione con il suo presbiterio, si fonda, si alimenta e si manifesta la vita del popolo di Dio, perché ivi si celebra con tutta pienezza il mistero di Cristo (cfr. SC 41).

    Con egual forza è detto della parrocchia: «l'attività evangelizzatrice e missionaria trova il suo centro nella parrocchia, la quale è luogo ordinario e privilegiato di evangelizzazione della comunità» (EvS 94).

    Centro propulsore e privilegiato di evangelizzazione, la Chiesa locale lo è anche nella sua responsabilità di formare «operatori qualificati» (EvS 103), con la costituzione di «centri o scuole per la loro formazione dottrinale e spirituale» (EvS 107). Tali sono primariamente i catechisti, stando alle intenzioni dei Vescovi, con l’auspicio, però, di un più esteso e «salutare risveglio della catechesi, come itinerario di fede e di esperienza cristiana», attraverso la realizzazione del diaconato permanente e dei ministeri laicali non ordinati» (EvS 106; cfr. EvS 107)²².

    Altrettanto proficua nell’ambito e nella missione apostolica della Chiesa è a tutt’oggi la «funzione mediatrice» assunta dalle associazioni (EvS 100): «particolare attenzione nella nostra situazione italiana merita l’Azione cattolica, il cui fine immediato è il fine apostolico della Chiesa, cioè l'evangelizzazione e la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro coscienza, in modo da permeare di spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti (AA 20/a)» (EvS 101).

    Giungendo poi all’ultima sezione prima della conclusione, altri ambienti particolarmente significativi, «crocevia» della vita umana e potenzialmente recettivi del messaggio evangelico, sono annoverati nel testo: sono gli ospedali e le case di cura, i centri turistici e termali, i santuari e le case religiose (EvS 108); è «il mondo del lavoro, anzitutto» (EvS 109) e gli ambienti del servizio di leva militare (EvS 110); sono gli emigrati (EvS 111) e sono i carcerati (EvS 112).

    «Rinnovamento della Chiesa in Italia» e «conversione di mentalità delle nostre comunità ecclesiali», risuonano ancora come le parole d’ordine a conclusione del documento pastorale, nuovamente ispirate alle indicazioni del Concilio e al costante appello di Paolo VI. Nel Vangelo «è la forza di Dio per chiunque crede» (Rm 1,16; EvS 113), e certamente non mancherà Dio, nella sua fedeltà, «con la grazia dello Spirito, auspice la vergine Maria, madre della Chiesa, di dare fecondità e incremento alla nostra umile, ma costante e unanime collaborazione, di operai di Dio (cfr. 1Cor 3,9)». Da parte nostra – conclude il documento – non abbiamo che da intensificare, nella sua pienezza, il ministero dell’evangelizzazione» (EvS 113).

    2.  Elementi di ecclesiologia del piano pastorale

    in chiave di recezione del Vaticano II

    2.1 Il problema della secolarizzazione e il dialogo con il mondo

    La lettura del documento Evangelizzazione e sacramenti fa rilevare un dato importante sul quale è opportuno riflettere da subito, e cioè una insistenza pressoché univoca sul fenomeno della secolarizzazione, individuato quale causa principale delle difficoltà pastorali legate all’evangelizzazione e alla celebrazione dei sacramenti.

    Alle prime battute della I parte del documento, nella quale i Vescovi scelgono di soffermarsi sulla situazione socio-culturale, esso è presentato come un «fenomeno complesso», che più degli altri caratterizza il contesto italiano (EvS 5). L’argomentazione, tuttavia, non appare scevra da ambiguità di valutazione su questa non ben definita – e non definibile (EvS 5) – secolarizzazione. Se non è secolarismo, sembra di capire, allora è positiva, – quando, cioè, «afferma il giusto valore delle realtà terrene» e non diventa negazione della religione, del trascendente e di Dio. Ma comunque gravi sarebbero le conseguenze e i problemi che essa comporta alla missione della Chiesa, tra cui la pretesa autosufficienza dell’uomo e della società rispetto a Dio, e la difficoltà a scorgere «la sua presenza sacramentale nella Chiesa» (EvS 7-8).

    Secolarismo e secolarizzazione, separati nelle intenzioni, restano in parte sovrapposti, quando non confusi, e comunque individuati come unica origine di un unico problema pastorale: la perdita del «riferimento dell’uomo alle celebrazioni liturgiche» (EvS 8), diciamo pure alla pratica sacramentale (EvS 12; 110; 112; cfr. EvS 18). Naturalmente va tenuto in conto che proprio il legame dell’evangelizzazione con i sacramenti rimane in tutto il documento il leit-motiv, lo sfondo e l’obiettivo dei Vescovi; dunque anche il limite-confine dichiarato.

    La stessa dichiarata volontà di orientare la Chiesa in Italia «sospinti» dal Concilio, ci autorizza a porre però una questione, ancor più calzante dinanzi alla lettura del numero 8: l’uomo ha davvero altra possibilità su questa terra se non quella di vivere in una «città secolare» (EvS 8)²³? Perché tale rischia di apparire la conditio sine qua non di tutti i mali, della perduta valorizzazione per gli uomini della parola di Dio, dei sacramenti e della Chiesa stessa.

    Un dato, fra gli altri, è interessante: il Concilio non utilizza mai il termine ‘secolarizzazione’, e nemmeno ‘secolarismo’. Quando si riferisce al secolo lo fa per esprimere il più delle volte, e positivamente, l’indole, il carattere «proprio e specifico dei laici» (LG 31). Le prime battute del capitolo IV di Lumen gentium così descrivono, infatti, la natura e la missione dei laici nella Chiesa:

    è proprio dei laici (ex vocatione propria) cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Essi vivono nel secolo, cioè in mezzo agli impegni e alle occupazioni del mondo e dentro le condizioni ordinarie della vita familiare e sociale di cui è intessuta la loro esistenza (LG 31).

    Il secolo è, dunque, la condizione di esistenza data, non cercata e non scelta, e il luogo proprio dentro al quale i laici «sono chiamati da Dio a contribuire, come dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo», a rendere «il Cristo visibile agli altri, soprattutto con la testimonianza di una vita che splende di fede, di speranza e di carità» (LG 31). La vita dei laici, così impregnata di spirito evangelico, si fa testimonianza e profezia proprio «attraverso le strutture della vita secolare» (LG 35). Ed anzi «questa evangelizzazione o annuncio di Cristo fatta con la testimonianza della vita e con la parola, acquista un carattere specifico e un’efficacia particolare per il fatto di avvenire dentro le comuni condizioni del secolo» (LG 35)²⁴.

    Più di ogni altro commento giova riascoltare le parole di mons. Del Monte nella sua relazione alla X Assemblea generale della CEI: «non lasciamoci tentare di credere che sia nostra missione ostacolare il processo di secolarizzazione in corso perché, ove ci riuscissimo, faremmo semplicemente della gente alienata dal proprio tempo»²⁵. Il fenomeno dilaga ed ha l’ampiezza della storia – prosegue il vescovo di Novara – e grazie a Dio fa parte dell’essere uomo oggi, con costanti umane che ritroviamo persino dentro di noi²⁶.

    Nel decreto Apostolicam actuositatem sull’apostolato dei laici, il Concilio postula la necessità di una loro «formazione specifica e particolare» (AA 28), in ragione della loro propria «indole secolare». Certamente non affermando la estraneazione o il distacco dal secolo: «Il laico, infatti, conoscendo bene il mondo contemporaneo, deve essere membro della propria società e al livello della cultura stessa» (AA 29)²⁷. Non una élite, dunque, di iniziati: fermento, seme, e strumento di dialogo, di testimonianza, di santificazione, ciascun membro del popolo di Dio non può esserlo se non nel mondo e nel secolo²⁸. Fa riflettere la constatazione che il documento menzioni il «popolo di Dio» solo due volte, una delle quali per suggerire di ascoltare le sue istanze nel momento della preparazione dell’omelia (EvS 72; cfr. EvS 93).

    Il Concilio ha gettato nella scelta del dialogo con il mondo contemporaneo uno dei pilastri portanti della nuova immagine di Chiesa, e del suo stile di esistenza tra gli uomini: «realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia», al punto da assumere come proprie le sue gioie e le sue speranze, i suoi lutti e le sue angosce (GS 1). Evangelizzazione e sacramenti, pur non parlando mai di dialogo con questo mondo e con l’uomo contemporaneo, propone la ricerca e la individuazione di vie che lo raggiungano, per poterne interpretare le «esigenze più vere» (EvS 22)²⁹, e farne scaturire una «traduzione, in linguaggio moderno, del messaggio cristiano», soprattutto fondandola sulla «testimonianza di vita» (EvS 22)³⁰ e attraverso il rinnovamento della catechesi. Si impone per questo, anche in un clima culturale avverso e spesso irreversibile, il «dovere della fiducia»³¹.

    «Dobbiamo arrestare il secolarismo, questo sì – afferma ancora il relatore Del Monte –; ma come farlo senza portare il mistero di Cristo nel vivo della cultura contemporanea?»³². Non esiste un Vangelo puro, e «la Chiesa, vivendo nel corso dei secoli, in condizioni diverse, si è servita delle diverse culture, per diffondere e spiegare il messaggio cristiano» (GS 58).

    Coerentemente con l’immagine di una Chiesa popolo di Dio, della cui missione ciascun membro è, a modo suo proprio, corresponsabile, il Concilio così intende la presenza anche dei presbiteri nel mondo: «in forza della loro chiamata e ordinazione, sono in un certo modo segregati in seno al popolo di Dio: non tuttavia per rimanere separati da questo popolo, o da qualsiasi uomo, bensì per consacrarsi interamente all’opera per la quale il Signore li ha assunti». Anzi, «non potrebbero servire gli uomini se si estraniassero dalla loro vita e dal loro ambiente» (PO 3). Parole ispirate alla penna del pontefice Paolo VI, che nella enciclica Ecclesiam suam ricordava questa pedagogia cristiana per la quale «quando la Chiesa si distingue dall’umanità non si oppone ad essa, anzi si congiunge», poiché i discepoli pur non essendo del mondo, vivono nel mondo (cfr. Gv 17,15-16), e «questa distinzione non è separazione»³³.

    Può avvenire, quindi, che demonizzando il secolo e i suoi processi culturali, si offra il fianco non già alla distinzione feconda ma alla sterile separazione, finendo per favorire esattamente quanto nel piano pastorale si contesta alla mentalità secolarizzata e secolarizzante, e cioè una Chiesa «alienante dai compiti secolari»³⁴. Va accolta con favore, finalmente, l’annotazione conclusiva della prima parte, laddove si prende atto che «nuovi problemi si pongono alla Chiesa in ordine alla promozione umana, la quale è parte costitutiva del messaggio di salvezza (cfr. GM; AA 5).

    2.2 La Chiesa, sacramento e mistico prolungamento di Cristo

    Se gli orientamenti pastorali dei Vescovi italiani per gli anni Settanta hanno mostrato l’intenzione di ripartire dal Concilio e dalla teologia della Chiesa, è altrettanto palese l’opzione fondamentale per una Chiesa sacramento.

    La Chiesa è proclamata «sacramento di Cristo» (EvS 2; 39): vivendo infatti «il mistero della comunione» con Lui (EvS 3), è chiamata ad essere «visibile segno di salvezza per gli uomini» (EvS 22), e perciò nella sua natura e nella sua missione «attualizza la presenza di Cristo» (EvS 33; cfr. EvS 8). Una scelta programmatica fondamentale, dicevamo, la cui relazione di continuità o discontinuità con i testi conciliari richiede alcuni approfondimenti.

    Nel contesto prossimo del documento la chiave di lettura è senz’altro da ricercare non soltanto nelle definizioni di Chiesa che il testo pone a premessa e fondamento teologico di ciò che sviluppa poi in orientamenti pastorali. Vi è da considerare, contestualmente, la nuova visione teologica della parola di Dio, della sua «sacramentalità», della «presenza reale ed operante in essa di Cristo Signore», e quindi del «nesso inscindibile tra Parola e sacramento»³⁵. Vi è da considerare tutta la discussione intorno all’efficacia attualizzante dei sacramenti, quali celebrazioni dei «mysteria carnis Christi», degli atti, cioè, compiuti da Cristo nella sua vita terrena, atti vissuti come «segni della fede» e «celebrazioni della Chiesa»³⁶. Si tratta comunque di una riflessione che i Vescovi non rimandano altrove, ed anzi sviluppano in modo articolato all’interno del piano stesso.

    A motivo della «sua dimensione sacramentale la Chiesa adempie la sua missione con la parola di Dio e i sette sacramenti, che sono atti ed eventi privilegiati, ai quali Cristo ha attribuito la singolare efficacia di comunicare agli uomini la salvezza» (EvS 40). Dopo aver chiarito, rifacendosi alle «acquisizioni teologiche del Concilio Vaticano II» (EvS 26), che l’annuncio della Parola e la celebrazione del sacramento devono essere considerati «come due aspetti e due fasi di un unico processo salvifico» (EvS 27), il testo rende esplicito, ancora rimandando al Concilio, il fatto che questo legame intimo affonda le sue radici «nella stessa dimensione sacramentale dell’economia salvifica» (EvS 32).

    In questa economia rientra in primis la rivelazione di Dio (EvS 35-36), compiuta «gestis verbisque» (DV 2), mediante la quale egli «nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé» (DV 2; EvS 35). Ma tale rivelazione è conclusa e compiuta nella persona del Verbo incarnato (DV 4; EvS 37), e «così nella sua umanità santissima, Cristo è il sacramento del Padre» (EvS 38).

    Esattamente in riferimento alla relazione Cristo-Chiesa è possibile ai Vescovi parlare del corpo ecclesiale come di un sacramento. Posta l’evidenza di un continuo riferimento dogmatico al Vaticano II, è opportuno chiedersi anche in quale misura avvenga questa recezione.

    Si possono evidenziare alcune novità rispetto al Concilio. Innanzitutto si scopre che DV 4 non usa mai il termine ‘sacramento’, e che lo stesso non compare mai riferito a Cristo, in nessuna Costituzione, Decreto o Dichiarazione. Sacramento, nei testi conciliari, è riconducibile solo al settenario e alla Chiesa³⁷. Ciò detto, neanche la Chiesa è mai designata come sacramento di Cristo. Considerando la cautela dei Padri nell’affermazione che la Chiesa «sit in Christo veluti sacramentum» (LG 1), in sostanza i Vescovi italiani rendono ora esplicito, ciò che di fatto rimaneva implicito nell’utilizzo dei genitivi «sacramento di salvezza», «di redenzione» e «di unit໳⁸.

    Almeno di primo acchito saldamente ancorato al «De Mysterio Ecclesiae» di Lumen gentium, con la citazione quasi in inclusione dei numeri 1 e 8, appare il numero 39 di Evangelizzazione e sacramenti, il primo di una serie di passaggi che costituiscono un vero e proprio sunto di ecclesiologia (EvS 39-42). Colpisce, in particolare, la forza evocativa di certe espressioni, quando si afferma, per esempio, che «la presenza del Cristo glorioso è continuata ed è resa operante nel mondo dalla Chiesa» (EvS 39): richiamando così la «non debole analogia» con il mistero del Verbo incarnato di LG 8, correttamente la si interpreta in chiave di presenza. Nella «comunità di salvezza» che è la Chiesa, e nella sua parola evangelizzatrice, realmente l’uomo incontra il Cristo (EvS 44).

    Si vede perciò che il programma pluriennale dei Vescovi recepisce, riafferma, ed anzi sviluppa il modello Chiesa-sacramento, ponendosi in linea tra l’altro con la teologia pre- e post-conciliare. Ne è conferma l’ulteriore designazione della Chiesa quale «mistico prolungamento» di Cristo nel tempo e nello spazio (EvS 54), forte eco peraltro della teologia del Corpo mistico, che ritroviamo pure al numero 40: è «la sua misteriosa natura-umano divina» che fa esistere la Chiesa «come corpo di Cristo»³⁹.

    Si osserverà, come è giusto, il possibile rischio di una regressione al misticismo e alla divinizzazione del corpo ecclesiale. Per allontanarlo occorre riandare a due passaggi importanti.

    Il primo, che richiama la felice sintesi operata dal Concilio nel capitolo I di Lumen gentium, riguarda il concetto di sacramento applicato a Cristo e alla Chiesa: esso – e quindi essa, la Chiesa-sacramento – «indica una realtà unitaria e complessa, umana e divina, terrestre e celeste, visibile e invisibile. Quello che è umano, terrestre e visibile, è segno di realtà invisibile, celeste, divina. Questa realtà appartiene all’ordine della salvezza» (EvS 34).

    All’ordine della salvezza, quindi, appartiene propriamente il divino. E ciò che si intende è chiarito dal secondo punto, anche se la formula utilizzata appare abbastanza impropria: è nella sua «struttura divina» – si legge nel documento – che «la Chiesa giustamente è proclamata sacramento di Cristo», essendo cioè «animata dallo Spirito Santo» (EvS 39). La salvezza, allora, è «compiuta dal Signore» e di tale salvezza la Chiesa è insieme «segno e strumento» (LG 1; cfr. EvS 39).

    «Esiste una maniera di parlare della Chiesa, corpo di Cristo – afferma Del Monte nella sua nota relazione, citando fra l’altro Y. Congar –, che finisce di assimilarla talmente al Signore impeccabile e glorioso, da lasciare credere che la Chiesa possa sfuggire alla condizione di umiliazione – kénosis – alla quale neppure Cristo è sfuggito»⁴⁰. Va riconosciuto che Evangelizzazione e sacramenti non molto articolatamente si adopera per evitare questa deriva ecclesiologica, ma altrettanto seriamente andrebbe ponderato ciò che i Vescovi pongono da subito come prioritario nell’impegno missionario della Chiesa, e cioè «l’esempio della vita» (AG 5; EvS 2) e la necessità di un continuo e adeguato rinnovamento (LG 8; EvS 2) di tutti i suoi membri.

    2.3 Evangelizzazione: quale missione per la Chiesa?

    Parlando giustappunto dell’impegno missionario della Chiesa, si giunge a nostro avviso ad un’altra questione cardine del documento, se è vero che dalla coscienza che si ha della naturaessenza della Chiesa dipende di conseguenza il modo di intenderne la missione nel mondo. Come è vero il viceversa. È quanto emerge dall’introduzione dello stesso piano pastorale, e soprattutto al n. 3, dove si afferma l’evidenza di «una reciproca induzione e quasi una fusione in unità dinamica fra la natura della Chiesa e la sua missione nel mondo»⁴¹. Con un occhio rivolto al Concilio e l’altro su Evangelizzazione e sacramenti, crediamo non sia superfluo porre ad entrambi questa domanda: qual è la missione della Chiesa? Se è l’evangelizzazione, poi, cosa intendiamo con questo termine?

    L’incipit del documento recita così: «La Chiesa ha nella storia una sua specifica missione: quella di comunicare agli uomini la salvezza, annunciata e compiuta da Cristo». «Mezzi fondamentali» sono «l’annuncio del Vangelo e la celebrazione dei sacramenti», presentati anche come il «duplice compito fondamentale della Chiesa» (EvS 1).

    Risulta senz’altro lodevole lo sforzo dei Vescovi di recuperare uno scollamento pericoloso fra la celebrazione dei riti sacramentali e la fides ex auditu: quelli, invece, devono supporre questa, così come la fede attraverso di essi deve alimentarsi ed esprimersi (cfr. EvS 10; 12; 13; 20; 31; 45; 48; 88). Ma qui la posta in gioco è un’altra, poiché si tratta di discernere l’immagine della Chiesa in quanto missionaria⁴². Il testo stesso ribadisce il valore di questa «scelta pastorale fondamentale» di approfondire il nesso tra evangelizzazione e sacramenti: «È una scelta che mette a fuoco i contenuti essenziali del cristianesimo e suggerisce il modo concreto con cui la Chiesa intende operare efficacemente fra gli uomini, in piena fedeltà alla sua missione di annunciare la salvezza e di attuarla nei sacramenti» (EvS 21).

    Un primo approccio al testo lascia abbastanza perplessi sulla rigidità con la quale viene circoscritta e definita la missione ecclesiale: basta tornare a tutti quei passaggi in cui traspare la pretesa di esaurirla nel binomio che dà il titolo al documento (EvS 1; 9; 21; 40; 41; 42; 59; 63)⁴³. Missione ed essenza umanodivina, peraltro, vi appaiono talvolta quasi giustapposte, senza che si sia pervenuti ad accogliere quella compiuta sintesi che Lumen gentium, Ad Gentes e soprattutto Gaudium et spes hanno delineato⁴⁴.

    Effettivamente i due termini del binomio, evangelizzazione e sacramenti, hanno una loro forza nei documenti conciliari, quando si tratta di affermare la missione della Chiesa.

    La Chiesa «riceve la missione di annunciare il Regno di Dio e di Cristo e di instaurarlo fra tutte le genti; di questo Regno essa costituisce sulla terra il germe e l’inizio» (LG 5). Una missione che «dovrà durare fino alla fine dei secoli (cfr. Mt 28,20), perché il Vangelo da trasmettere è per la Chiesa principio della sua vita in ogni tempo» (LG 20).

    Inviando senza sosta araldi del Vangelo, che adempiano il «solenne comando di Cristo di annunciare la verità della salvezza […], la Chiesa dispone gli uditori alla fede e alla confessione della fede, li prepara al battesimo [e] li incorpora a Cristo» (LG 17). «Ad ogni discepolo di Cristo incombe il dovere di diffondere la fede, per la parte che spetta a lui» (LG 17; cfr. LG 30; 31; 33; 43)⁴⁵, così come «il battesimo può essere amministrato ai credenti da chiunque» (LG 17). Tuttavia «è al sacerdote che spetta procedere all’edificazione del corpo mediante il sacrificio eucaristico» (LG 17).

    Pastori del gregge, maestri della dottrina, sacerdoti del culto sacro e ministri del governo, sono i Vescovi, che «hanno assunto il ministero della comunità con i presbiteri e i diaconi loro collaboratori» (LG 20). Insieme col Sommo Pontefice e sotto la sua autorità, «sono inviati a perpetuare l’opera di Cristo» (CD 2). «Tra le funzioni (munera) principali dei Vescovi eccelle la predicazione del Vangelo» (LG 25)⁴⁶ ad ogni creatura, che l’accoglie «per l’azione dello Spirito Santo» (LG 19), «affinché per mezzo della fede, del battesimo e dell’osservanza dei comandamenti, tutti gli uomini ottengano la salvezza (cfr. Mt 28,18-20; Mc 16,15-16; At 26,17ss.)». Si tratta di un ufficio, di una missione in favore del popolo di Dio, «verum est servitium», chiamato significativamente dalle Scritture «diaconía» o ministero (LG 24).

    Il Concilio, dunque, «ha ribadito più volte che compito essenziale della Chiesa è l’evangelizzazione»⁴⁷. Tale missione essenziale viene di fatto recepita dall’Episcopato italiano e attuata operativamente negli impegni pastorali della CEI, tanto da far affermare al presidente Antonio Poma che «non vi è Chiesa, non vi è comunione senza la previa conoscenza e l’accoglimento della Parola di Dio»⁴⁸. Tale missione è senza dubbio orientata alla celebrazione dei sacramenti, nella direzione di quel «culmine», la liturgia, verso «cui tende l’azione della Chiesa», che è insieme «fonte da cui promana tutto il suo vigore» (SC 10). L’eucarestia, in particolare, racchiude in sé «tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo», risultando così «fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione» (PO 5; cfr. CD 30). Neanche la Gaudium et spes fa mistero di questo orientamento finale della missione della Chiesa, quando afferma che dalla Chiesa-sacramento sono largiti «i tesori della grazia a tutte le genti» (GS 89)⁴⁹, e che la famiglia umana «è chiamata a diventare in Cristo Gesù la famiglia dei figli di Dio» (GS 92)⁵⁰.

    Evangelizzazione e sacramenti contiene nei tratti essenziali questa recezione, non solo nella scelta delle linee generali adombrate dal titolo, ma soprattutto nelle riflessioni biblicoteologiche ivi presenti, con l’affermazione chiara che «nel segno della Parola» la Chiesa rende presente il Cristo (EvS 43-44): Parola che è «un dono, un appello, mediante il quale Dio nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé (DV 2)» (EvS 35); Parola la cui forza «crea e promuove la storia […]; parola e avvenimento salvifico insieme» (EvS 36). Questa recezione si rintraccia anche nel principio teologico che sottende alle indicazioni pastorali, dichiarando i Vescovi, in sintonia con il Vaticano II, il «primato dell’evangelizzazione» (EvS 61).

    Molto si potrebbe dire, poi, su passaggi significativamente importanti del documento che riguardano i soggetti della evangelizzazione: dopo i ministri ordinati⁵¹, i laici; la famiglia nei confronti dei figli; le associazioni laicali e in particolare l’Azione cattolica. La Chiesa che evangelizza, poi, è soprattutto la Chiesa locale, «centro propulsivo e unificatore […] in cui si celebra con tutta pienezza il mistero di Cristo (SC 41)» (EvS 93), e che vede nella parrocchia la cellula centrale, il «luogo ordinario e privilegiato di evangelizzazione» (EvS 94).

    Rispetto al Concilio, tuttavia, «il principio che fa essere la Chiesa sembra individuato fondamentalmente nel sacramento, a cui è orientata la stessa evangelizzazione, definita nella sua funzione di preparazione, introduzione, spiegazione del sacramento. Si riconosce all’evangelizzazione una priorità, ma essa è fondamentalmente cronologica»⁵². Se il momento liturgicocultuale costituisce – come dicevamo leggendo il Concilio – il culmine, il vertice dell’evangelizzazione (cfr. EvS 70), vi dovranno pur essere delle tappe, e una strada da percorrere per raggiungerlo. E qui parliamo non già di chi, cercando la verità, gradualmente viene condotto a incontrarla nella persona del Cristo⁵³ – diciamo pure i non credenti⁵⁴ o i catecumeni –, ma di coloro che, evangelizzati e già membra del popolo di Dio, sono chiamati ad essere evangelizzatori. Non si tratta qui di contrapporre in maniera banale sacramentalismo a profeticismo. Poiché l’individuazione dei canali, dei «momenti forti», Parola e Sacramento, «attraverso i quali, principalmente, il mistero di Cristo si fa presente pienamente e attualmente nella storia», non può far perdere di vista «l’intero itinerario: la Parola genera la fede, il Sacramento inserisce nel corpo di Cristo, lo Spirito opera il cambiamento della vita [come carità]»⁵⁵.

    Sono celebri le parole di Ad Gentes, laddove i Padri presentano l’immagine di una Chiesa pellegrinante, e missionaria «per sua natura» (AG 2). Ma la Chiesa – si aggiunge subito – «trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo» (cfr. AG 3; 4). Appunto per questo, «sotto l’influsso dello Spirito di Cristo, deve procedere per la stessa strada seguita dal Cristo, la strada cioè della povertà, dell’obbedienza, del servizio e del sacrificio di se stesso fino alla morte, da cui per la sua resurrezione uscì vincitore» (AG 5; cfr. AG 24; LG 5; 8)⁵⁶.

    Il documento dei Vescovi che qui stiamo esaminando, pur mostrando i tratti acerbi tipici di una stagione nuova e giovane per la CEI, non esorta ad un rinnovamento che concerne solo ed esclusivamente quella forma particolare di evangelizzazione che è la catechesi (EvS 56; 79). Forse ancora timidamente l’afferma, e come in un crescendo, ma a giocare il suo ruolo fondamentale di «convalida» dell’annuncio (EvS 22) vi è la testimonianza della vita nuova, tanto quella personale (EvS 3; 8; 11; 63; 79; 83; 88; 92; 96) quanto quella comunitaria (EvS 8; 22; 51; 53; 54-56; 63; 65; 101).

    Riteniamo in tal senso significativa la recezione di AG 5, in cui «l’esempio della vita» precede – intanto testualmente – la predicazione e i sacramenti nell’impegno missionario della Chiesa di farsi «pienamente e attualmente presente a tutti gli uomini e popoli, per condurli […] alla fede, alla libertà e alla pace di Cristo (AG 5)» (EvS 2).

    L’evangelizzazione secondo il dettato conciliare assume veramente un respiro ampio difficilmente confinabile in poche righe e in una definizione. Anzitutto è annuncio della Buona novella a tutti⁵⁷. L’evangelizzazione prevede come tappe la predicazione ai non credenti – l’annuncio del kerygma⁵⁸ – e la formazione religiosa dei credenti – la catechesi in primis, e anche l’omelia –, formazione intesa con finalità sia didattica che liturgica (PO 4), e orientata a tutta quanta l’azione pastorale, tanto dei preti quali «educatori della fede» (PO 6), tanto dei laici nella loro attività «secolare» (LG 35)⁵⁹.

    L’annuncio, inoltre, si «adatta» alle lingue e alle culture dei popoli (cfr. GS 44; 58); è convalidato e reso credibile dalla testimonianza della vita e dalla professione di fede (cfr. LG 17; 35; AA 6; AG 6; 14; 27; 36; 41; PO 17)⁶⁰. E ancora, è dialogo che non esclude nessuno (GS 43; AG 11; AA 31/a; NAe 3), è servizio e carità verso tutti (GS 42; AG 12), è promozione dell’uomo, di tutti gli uomini e di tutto l’uomo (cfr. GS 58; AG 8; 12; 21)⁶¹, ed è promozione dell’unità e della pace tra le nazioni (GS 76).

    Evangelizzare, scriverà Paolo VI nella esortazione Evangelii Nuntiandi a conclusione dell’Anno Santo del 1975, «è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda». Se è vero che essa esiste per «essere il canale del dono della grazia» (EN 14), essa sempre e di nuovo «comincia con l’evangelizzare se stessa […], mediante una conversione e un rinnovamento costanti, per evangelizzare il mondo con credibilità» (EN 15)⁶².

    3. Concilio e recezione: prospetti sintetici dei documenti dell’Episcopato italiano fino agli anni Settanta

    3.1 Un metodo di lettura per un orizzonte ampio di recezione

    Sarebbe stato fin troppo semplice confinare la nostra indagine di recezione al piano pastorale Evangelizzazione e sacramenti. Diverse ragioni ci hanno condotto ad orientarci verso una scelta differente.

    La prima è chiara sin dall’inizio di questo capitolo, allorché si è notato che i primi passi della Conferenza episcopale italiana nel post-Concilio non contemplavano ancora un piano di orientamento pastorale pluriennale⁶³. In secondo luogo non si poteva non tenere in considerazione una possibilità di lettura ampia e globale su tutto il decennio, con tutte le valutazioni che si possono fare in merito ad una evoluzione nelle scelte dei Vescovi, ad un contesto socio-culturale ed ecclesiale in continuo divenire, sulla base anche – perché no – di rettifiche in itinere suscitate magari dalla ricezione-risposta ai medesimi documenti pastorali da parte di componenti del popolo di Dio. Così scrivono i Vescovi in Evangelizzazione e ministeri, documento pastorale del 15 agosto 1977:

    Non abbiamo lo spazio per riportare le voci, udite durante la nostra assemblea di maggio, circa le sperimentazioni in corso in parecchie diocesi. Possiamo riferire di aver intravisto con gioia, grazie alla buona e tenace volontà di chi crede al Concilio e si dona con amore a tradurlo in atto raccogliendone già i frutti, comunità ecclesiali nuove quali i tempi e le circostanze reclamano (EvM 85).

    Questo orizzonte ampio sul decennio di osservazione, insomma, appare a nostro avviso assolutamente necessario, e si caratterizza per un’altra singolarità: quella di rintracciarne i prodromi e la provenienza da documenti che nel decennio non rientrano solamente per un fattore cronologico. «L’impegno primario della C.E.I. – rilevava in questo senso il Vice Presidente, Enrico Nicodemo, nella sua relazione alla IX Assemblea generale – è stato, in effetti, quello del magistero pastorale⁶⁴. Lo stesso relatore affermava l’importanza di tali documenti: la lettera Magistero e teologia nella Chiesa e la dichiarazione I cristiani e la vita pubblica (16 gennaio 1968)⁶⁵, il documento pastorale di studio La missione dei sacerdoti nel momento presente (20 aprile 1969)⁶⁶; poi i documenti pastorali Matrimonio e famiglia oggi in Italia (15 novembre 1969)⁶⁷, il documento-base per Il rinnovamento della catechesi (2 febbraio 1970)⁶⁸, Vivere la fede oggi (4 aprile 1971)⁶⁹, L’impegno morale del cristiano (11 marzo 1972)⁷⁰.

    Fatte le dovute premesse, occorre ad un tempo collocare questo paragrafo entro i suoi limiti: lo studio che abbiamo fatto dei singoli documenti oltre il piano programmatico Evangelizzazione e sacramenti, non poteva pretendere, in questa sede, di essere esaustivo, approfondito, completo, se non entro i limiti di schematici prospetti di sintesi. Potrebbe invece configurarsi quale instrumentum laboris per ulteriori letture e ricerche⁷¹.

    È vero anche che il lettore quasi condiziona la lettura: nel momento in cui approccia il testo e ricerca, pone contestualmente un filtro, che nel nostro caso può chiamarsi Concilio, o recezione del Concilio: più precisamente ancora recezione delle sue prospettive ecclesiologiche.

    Avevamo diverse possibilità, e ne abbiamo scelte fondamentalmente due: un approccio ecclesiologico e un approccio globale. Nel primo caso abbiamo focalizzato tutti quei passaggi nei quali i Vescovi italiani esprimono più o meno esplicitamente una figura, una immagine della Chiesa, escludendo a priori il documento programmatico Evangelizzazione e sacramenti, per facilitare un eventuale e successivo raffronto.

    Per approccio globale, invece, intendiamo la semplice individuazione di tutti e singoli i riferimenti espliciti ai sedici documenti conciliari, talvolta riproposti tra virgolette, più spesso citati tra parentesi dopo averne recepito il contenuto nel testo⁷². Un pregio di questa scelta, d’altro canto, può essere questo: offrire spunti per il superamento del confine ecclesiologico della nostra ricerca, innestando le riflessioni sui modelli di Chiesa nel più vasto campo teologico del Vaticano II.

    3.2 Approccio globale al piano Evangelizzazione e sacramenti

    Per ciascun documento conciliare indichiamo dapprima genericamente la frequenza delle sue citazioni (1a riga, 2a colonna)⁷³. Dalle righe immediatamente successive indichiamo nella colonna di sinistra l’articolo del documento del Concilio, e, nella destra, l’elenco degli articoli del documento CEI nei quali questo compare. Si vedrà che la scelta di specificare nell’uno e nell’altro caso la titolazione del numero in esame, o della parte che lo contiene – quasi sempre assente nelle edizioni tipiche e nei testi originali, e qui ripresa dalle versioni dell’Enchiridion Vaticanum – sarà utile affinché una prima lettura dei dati oltrepassi la semplice considerazione statistica⁷⁴.

    L’ordine dei documenti è dedotto dal numero delle frequenze delle citazioni, dal maggiore al minore, fino ad enucleare quei documenti che non sono mai stati citati: anche questo dato può fornire spunti interessanti per ulteriori e successive valutazioni.

    3.3 Prospetti di sintesi degli altri documenti del decennio

    3.3.1 Approccio ecclesiologico

    Presentiamo il prospetto sintetico delle principali figure di Chiesa esplicite presenti nei documenti dell’Episcopato italiano per il periodo dal post-Concilio agli anni Settanta, ad esclusione del piano Evangelizzazione e sacramenti⁷⁵.

    a) La Chiesa nella sua dimensione liturgica ed eucaristica

    b) La dimensione misterico-sacramentale e la Chiesa comunione

    c) Il Corpo e la Sposa

    d) La Chiesa come popolo di Dio e altre immagini

    e) Il sacerdozio ministeriale nella Chiesa: gerarchia e comunione

    f) Chiesa universale e Chiesa locale/particolare

    g) La Chiesa e la Parola di Dio

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