Eneide
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L’Eneide è il poema di Enea, il figlio della divina Venere e del capo troiano Anchise, che, scampato alla distruzione della sua città (Troia), in compagnia di un piccolo gruppo di superstiti naviga alla volta del Lazio, in Italia, per fondare, per volere del Fato, la stirpe che dovrà dare lustro all’umanità.
Dopo infinite peripezie, Enea giunge sulle coste italiche e sposa la bel-lissima Lavinia, la figlia di Latino, re del Laurento, dando origine alla stirpe della famiglia Giulia, a cui si vantava di appartenere lo stesso Otta-viano Augusto. «Il poema diventa così un’opera celebrativa non solo del-le imprese dell’eroe troiano, ma anche di quelle del suo successore Augu-sto, sotto la cui guida Roma raggiunse la sua gloria più splendida».
L’opera è ampiamente riassunta e suddivisa in brani – presentati in una forma molto chiara – , allo scopo di agevolarne la comprensione e suscitare, nel contempo, l’interesse degli studenti.
Il poema è anche corredato da numerose riproduzioni artistiche e da note a piè di pagina, alle quali è affidato il compito di spiegare parole po-co conosciute e di fornire informazioni sugli aspetti più significativi della società del tempo.
Ampio spazio, inoltre, è dedicato alle proposte di lavoro, finalizzate alla comprensione del testo, all’arricchimento lessicale e alla produzione orale e scritta.
Completa il testo, infine, una illustrazione sul viaggio di Enea che permette di identificare pressappoco le tappe del suo viaggio verso la nuova patria.
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Book preview
Eneide - Umberto Casamassima
testo
Presentazione
E N E I D E
riassunta e commentata da Umberto Casamassima
Nuova Santelli Edizioni
Progetto grafico e videoimpaginazione: Fabio Casamassima
Revisione bozze: Rosa Emilia De Luca
Ideazione e realizzazione della copertina: Annarita Pagliaro
Copyright Nuova Santelli Edizioni
www.nuovasantelli.com
ISBN 9788889013601
In copertina: Lo scudo di Enea
L’Autore è a disposizione degli aventi diritto non potuti rintracciare preventivamente, relativamente a involontarie omissioni e inesattezze nella citazione delle fonti dei brani, illustrazioni e fotografie inserite nel presente volumetto, impegnandosi, fin d’ora, a correggerle nella prossima edizione.
L’Eneide – opera composta da Publio Virgilio Marone, uno dei più alti geni artistici esistito – , è considerata il capolavoro del poeta mantovano. L’Eneide è il poema di Enea, il figlio della divina Venere e del capo troiano Anchise, che, scampato alla distruzione della sua città (Troia), in compagnia di un piccolo gruppo di superstiti naviga alla volta del Lazio, in Italia, per fondare, per volere del Fato, la stirpe che dovrà dare lustro all’umanità. Dopo infinite peripezie, Enea giunge sulle coste italiche e sposa la bellissima Lavinia, la figlia di Latino, re del Laurento, dando origine alla stirpe della famiglia Giulia, a cui si vantava di appartenere lo stesso Ottaviano Augusto. «Il poema diventa così un’opera celebrativa non solo delle imprese dell’eroe troiano, ma anche di quelle del suo successore Augusto, sotto la cui guida Roma raggiunse la sua gloria più splendida». (1) L’opera è ampiamente riassunta e suddivisa in brani – presentati in una forma molto chiara – , allo scopo di agevolarne la comprensione e suscitare, nel contempo, l’interesse degli studenti. Il poema è anche corredato da numerose riproduzioni artistiche e da note a piè di pagina, alle quali è affidato il compito di spiegare parole poco conosciute e di fornire informazioni sugli aspetti più significativi della società del tempo. Ampio spazio, inoltre, è dedicato alle proposte di lavoro, finalizzate alla comprensione del testo, all’arricchimento lessicale e alla produzione orale e scritta. Completa il testo, infine, una illustrazione sul viaggio di Enea che permette di identificare pressappoco le tappe del suo viaggio verso la nuova patria.
1. Tommasi A., Ambrosio C., Sbrilli G., L’Argante, Bulgarini, p. 739.
Virgilio. Cenni biografici
Publio Virgilio Marone, ritenuto il massimo poeta del mondo latino, nacque il 15 ottobre del 70 avanti Cristo ad Andes, l’odierna Pietole, un piccolo centro del Mantovano, da una benestante famiglia di agricoltori. Grazie all’agiatezza dei suoi genitori, Virgilio, all’età di dieci anni, poté compiere a Cremona i primi studi di grammatica; in seguito si trasferì a Milano per completare la sua istruzione umanistica e, pochi anni dopo, a Roma, per dedicarsi allo studio dell’eloquenza. Ma a causa degli insuccessi oratori (secondo gli studiosi era timido, poco sicuro e quando parlava in pubblico incespicava in modo esasperante
), lasciò anche Roma e si trasferì a Napoli per studiare alla scuola del filosofo Sirone, «le cui dottrine esercitarono un grande fascino nel suo animo avido di sapere». Nella città partenopea Virgilio si trovò molto bene perché il clima giovava molto alla sua salute cagionevole: soffriva infatti spesso di mal di stomaco e di gola, e aveva dolori di testa. In seguito si recò a Roma, ma l’abbandonò allo scoppio della guerra civile e fece di nuovo ritorno nel suo paese natìo dove, a 28 anni, compose le Bucoliche (42-39), una raccolta di dieci canti di ambiente pastorale, in cui celebra la vita dei pastori e il suo amore per la terra e per la quiete della campagna in cui era nato. E qui, nel 41 a. C., venne a sapere che Antonio ed Ottaviano, per mantenere una promessa fatta ai soldati, avevano assegnato ad essi, dopo la vittoria di Filippi avvenuta nel 42 a. C., le terre del Mantovano, rimanendo così privato dei possedimenti di famiglia. Ma grazie all’intervento di Asinio Pollione, oratore, governatore di quelle terre e grande ammiratore del giovane poeta, riuscì a riavere i campi paterni. Sembra però che, in seguito, stesse per perdere di nuovo le sue proprietà a vantaggio dei veterani delle guerre civili, ma per il benevolo interessamento di Augusto poté conservarle. A Roma, Virgilio, che si era fatto apprezzare per le sue Bucoliche, venne presentato da un amico a Mecenate. Questi, amante della poesia, generoso protettore di artisti e poeti, lo accolse benevolmente, provvide alle sue necessità anche materiali e lo fece entrare nel circolo artistico e letterario che aveva costituito a Roma. In seguito lo presentò all’imperatore Augusto. Desideroso di pace e di serenità, Virgilio si ritirò a Napoli, nella villa donatagli da Ottaviano, dove compose le Georgiche (37-30), un poema diviso in quattro libri in cui descrive il lavoro dei contadini nei campi, la coltivazione delle piante (soprattutto vite e olivo), l’allevamento del bestiame (buoi e cavalli, pecore e capre, maiali e galline) e l’apicoltura. L’opera, che aveva lo scopo di risvegliare nei Romani l’amore e l’interesse per la terra, era dedicata a Mecenate, personaggio molto potente, al quale Virgilio chiese di far entrare nel circolo l’amico Orazio, che versava in difficili condizioni economiche. E quando Augusto, tornato dall’Oriente dopo la vittoria di Azio del 31 a. C. contro Antonio e Cleopatra, sbarcò in Italia e, a causa di un mal di gola, fu costretto a fermarsi ad Atella (antica città della Campania, corrispondente all’odierna Orta di Aiella, in provincia di Caserta), Virgilio deliziò il futuro imperatore, leggendogli di persona il suo poema. Intorno al 30 a. C., il poeta mantovano, dietro suggerimento di Ottaviano Augusto – desideroso che venissero celebrate le origini di Roma, che fosse esaltata la famiglia Giulia (la gens Julia
vantava la sua origine da Iulo, figlio di Enea) alla quale l’imperatore apparteneva e la pace finalmente rag-giunta dopo tanti lutti – iniziò la composizione di un poema epico. Questa grande opera, intitolata Eneide, dal nome del protagonista Enea, venne ultimata nel 19 a. C. dopo undici lunghi anni. (A differenza dei poemi omerici destinati alla recitazione in pubblico da parte degli aèdi, l’opera virgiliana sarà letta dalle persone colte). Virgilio però, desiderando perfezionare il poema nei luoghi da lui cantati, compì, a 52 anni, un viaggio in Grecia e in Asia Minore. Ad Atene incontrò Augusto che ritornava dall’Oriente e si lasciò convincere a rientrare a Roma con lui. Mentre stava visitando la vicina città di Mègara, in Grecia, a causa del sole molto forte, fu colpito da malore e si ammalò; durante la traversata le sue condizioni peggiorarono e, sbarcato a Brindisi, si spense colà il 21 settembre del 19 avanti Cristo. Le sue ossa furono trasportate a Napoli e chiuse in un sepolcreto lungo la via di Pozzuoli, dove aveva una casa, mentre sulla tomba venne apposta questa iscrizione dettata dal poeta stesso prima della sua morte: «Mantova mi generò, la Calabria mi rapì: ora mi tiene Napoli; ho cantato i pascoli, i campi, i duci». Prima di spirare, Virgilio aveva espresso la volontà che l’Eneide fosse bruciata, ma Lucio Vario e Plozio Tucca, amici del poeta, non esaudirono il suo desiderio, anzi, per ordine di Ottaviano, ne curarono la pubblicazione, consegnando ai posteri un poema di incomparabile bellezza.
L'Eneide e i poemi omerici
L’Eneide, ovvero la storia di Enea che fugge dalla natìa Troia in fiamme alla ricerca di una nuova patria, presenta delle affinità con le opere di Omero, composte alcuni secoli prima. Elenchiamo le principali concordanze. La struttura, innanzitutto. L’Eneide è composta di dodici libri: i primi sei si ispirano alle vicende dell’Odissea in quanto narrano il lungo viaggio di Enea attraverso mari sconosciuti fino alla foce del Tevere; gli ultimi sei richiamano l’atmosfera guerresca dell’Iliade: essi, infatti, descrivono le battaglie sanguinose sostenute dai Troiani al loro arrivo nel Lazio, contro le popolazioni latine ostili, per conquistare la terra assegnata loro dal Fato. La protasi. La protasi, o introduzione, contiene nei primi versi l’argomento che il poeta tratterà: le imprese guerresche di Enea, l’unico eroe troiano scampato all’incendio di Troia, che, dopo molte peregrinazioni, giungerà in Italia per compiere la missione cui è stato predestinato dal Fato: fondare una nuova patria e la stirpe da cui trarrà origine la progenie romana. I versi successivi contengono l’invocazione a Calliope, la musa della poesia epica, affinché, ispirando il suo canto, riveli anche i motivi (2) dell’ira di Giunone verso i Troiani. 1°) L’affronto del principe troiano Paride che aveva giudicato Venere, anziché lei, la dea più bella. 2°) L’umiliazione inflittale da Giove, suo sposo, che, invaghitosi della bellezza del giovane Ganimede, figlio di Troo, re di Troia, ritenuto il più bello dei mortali, l’aveva rapito (secondo un’altra versione l’aveva fatto rapire da un’aquila) e portato accanto a sé nell’Olimpo, per farne il coppiere degli dèi in sostituzione di Ebe, figlia di Giunone e di Giove; il suo compito consisteva nel versare nelle coppe il nèttare, la bionda bevanda degli dèi che contribuiva a dare il dono dell’immortalità e della giovinezza eterna. 3°) Elettra, madre di Dàrdano, il capostipite dei Troiani, era stata amata da Giove. 4°) Cartagine, città a lei molto cara, era destinata ad essere distrutta dai Romani, discendenti dal troiano Enea. La tecnica narrativa. Anche l’Eneide come l’Odissea si apre in medias res (letteralmente a metà del racconto
) cioè quando gli avvenimenti sono già iniziati. Come Ulisse fa naufragio, approda alla terra dei Feàci e racconta le sue disavventure al re Alcinoo e alla regina Arete, così Enea, gettato da una tempesta sulle rive di Cartagine, racconta alla sovrana Didone, già innamorata di lui, le sue peripezie. Altre affinità si ravvisano in alcuni episodi.
Ulisse ed Enea incontrano i Ciclopi.
Entrambi sono costretti ad abbandonare una donna per volere degli dèi (Ulisse lascia Calipso ed Enea Didone).
Ulisse si reca alle soglie dell’Ade per consultare l’indovino Tiresia sul proprio ritorno a casa; allo stesso modo Enea, accompagnato dalla Sibil-la, scende nell’Averno dove incontra l’ombra del padre Anchise che gli infonde coraggio e «gli rivela la sua missione: dare origine alla stirpe che dominerà il mondo, cioè i Romani, dei quali rivela il futuro glorioso».
Ettore nell’Iliade uccide Patroclo e viene a sua volta trafitto con la lancia