La chica del bar
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La chica del bar - Alessandro Marzo
Alessandro Marzo
La chica del bar
Copyright © 2013, Alessandro Marzo
Sommario
La chica del bar
Sfida nel complesso fantasma
La signora Maria
Noi vecchi
Anita
Il vecchio e Ramon
Tra fidanzati
Il tentativo di Ramon non va a buon fine
Donne al bar
Una lite violenta
La furia di Ramon
Preoccupazione per il signor Alessandro
Il grande amore
Le colleghe e la padrona
Uomini a confronto
L'orribile lunedì delle donne del bar
Una faticosa riconciliazione
Prime bugie
La colazione dalla chica
Vecchi annoiati
Il gesto inconsulto di Anita
Una delle due è di troppo
Il lavoro può aspettare
Anche i vecchi sono vittime delle circostanze
Il bar deve vivere
Le lamentele della chica su Anita
Anita, passione mia
La chica sola nel bar
Il tormentato amore
Appuntamento al drink bar
La terza incomoda
Alla conquista di Anita
Ragazze che amano
Amiche
Confessioni
Le migliori bariste del mondo
La nuova vita di Ramon
Gli amici di un tempo
Fiore nella notte
Due mesi di tempo per amare
Cosa vogliamo fare, signor Alessandro?
L'ultimo saluto
La resa dei conti
Il fu bar della chica
La chica del bar
Oggi nel bar vicino all'ufficio dove vado a mangiare ha preso servizio una nuova ragazza. Quando appena entrato mi ha sorriso, la titolare le ha detto:
A questo non dare retta.
Ma neanche a farlo apposta, più passavano i giorni e più la giovane mi rivolgeva le sue attenzioni. Un giorno vado alla cassa per pagare, lei mi dà il resto e mi fa:
Ecco, tieni ragazzo.
Poi ci pensa un po' su e dice:
Sì, ragazzo...una volta forse!
- e scoppia a ridere.
Un'altra volta pago alla padrona, faccio per andarmene, ma lei esce da dietro il bancone e mi raggiunge all'uscita.
Aspetta!
- mi dice, trafelata - Scusa per l'altro giorno, non volevo essere scortese...
Di cosa parli?
- cado dalle nuvole io.
Sul discorso che non sei più tanto ragazzo...
Poi mi guarda con i suoi occhietti furbi e mi fa:
E poi lo sai che non sei tanto vecchietto...
Mi dà un bacino sulla guancia e torna dentro di corsa tutta rossa.
Sfida nel complesso fantasma
Insomma, stamattina mi sono alzato male. Sapete quelle mattine in cui non vorreste vedere nessuno? Ecco, proprio così mi sentivo. E poi cominciavo ad averne fin sopra i capelli di cappuccini e ragazzine che arrossiscono.
Almeno oggi voglio stare tranquillo. Ci sarà pure un altro bar in questa zona dove prendere una cioccolata calda in santa pace!
- mi sono detto.
Imbocco a piedi una via laterale e capito in una zona industriale abbandonata. Dappertutto capannoni vuoti, fabbriche con le finestre rotte, cumuli di ferraglia arrugginita. Voglio tornare indietro, ma girando per quel labirinto di strade tutte uguali, mi accorgo di essermi perso. Non nascondo di essere stato assalito da una certa dose di panico. Tantopiù che da un po' avevo la netta impressione di essere seguito. Inizio a camminare più velocemente, con il cuore che batteva a mille, quando alle mie spalle sento una voce roca e profonda.
Il signor Alessandro?
Si può immaginare cos'abbia provato sentendomi chiamare per nome in quel posto tetro e desolato. La mia giornata era iniziata male e stava proseguendo nel peggiore dei modi.
Proprio io, in persona.
- rispondo, girandomi lentamente.
Di fronte a me stava un ragazzone alto e ben piazzato, vestito come se dovesse andare a un matrimonio da quattro soldi, con una giacca di almeno due taglie più grande che lo faceva sembrare un enorme spaventapasseri. Mi osservava attentamente, e non so per quale motivo la sua faccia mi ispirava una certa repulsione, forse perché mi sembrava incapace di ridere anche se ne avesse avuto il motivo. Stiamo lì a fissarci in silenzio, mentre il rumore lontano delle auto mi fa pensare che da lì alla strada c'è almeno un chilometro. Indietreggio di un passo, calpestando dei vetri rotti, ma mi rendo conto che sarebbe inutile scappare. E' troppo giovane per me, mi agguanterebbe subito.
Ci conosciamo?
- gli chiedo, cercando di dare alla mia voce tutta la fermezza di cui posso disporre.
Direi di no.
- fa lui, inespressivo.
Non credi che dovresti darmi delle spiegazioni? Finisco in questo posto dimenticato da Dio, mi arrivi alle spalle e mi chiami per nome, ma dici di non conoscermi. Se per te tutto questo è normale, beh...per me non lo è, amico, proprio per niente. Quindi faresti bene a parlare.
Calma, vecchio, non è il caso di agitarsi tanto.
Al diavolo! Me ne sto qui a perdere tempo quando a quest'ora dovrei essere già in ufficio.
Gli giro le spalle, non faccio a tempo a fare pochi passi che quello mi fa:
Fermo! Non ti muovere.
A quelle parole, il cuore dev'essermi salito alla gola, perché non riuscivo più a respirare. Mi blocco sul posto come una lucertola al sole e gli chiedo:
Chi sei?
Mi chiamo Ramon e sono il ragazzo della chica del bar.
La signora Maria
In quello stesso momento, nel bar della Chica c'era meno movimento del solito. A parte un vecchietto seduto a leggere il giornale e una signora grassa che giocava alla slot, non c'era anima viva.
La Chica, il cappellino calcato sui suoi occhietti furbi, asciugava i bicchieri pensierosa.
Non ci voleva molto a capire che qualcosa la preoccupava, lei che di solito si faceva prendere dall'entusiasmo con niente.
La padrona, la signora Maria, una donna abbondante e sorniona che solo a vederla ti metteva in pace col mondo, era da un po' che la osservava. Le si avvicina con la sua andatura pesante.
Un giorno ci sono così tanti clienti che non riesci a vedere più in là del tuo naso e il giorno dopo potresti anche chiudere bottega! Vai a capire cosa passa per la testa della gente. Del resto, il nostro lavoro è così e non ci si può fare niente. Che ne dici, tesoro, di portarti avanti con i tramezzini? Ai bicchieri ci penso io.
Subito, signora. Finisco l'ultimo e vado.
Qualcosa non va?
- le chiede, scrutandola con la sua aria bonaria.
No, cosa dovrebbe esserci? E' tutto a posto, come sempre.
E allora mi spieghi come mai sono dieci minuti buoni che asciughi lo stesso bicchiere?
Per la prima volta quella mattina, la Chica si illumina in viso, avvampando di vergogna.
Che ti succede, cara? Non ti ho mai visto così. Oggi, se non sbaglio, è un mese che lavori da me e se proprio la vuoi sapere tutta, non ho di che lamentarmi, davvero. Mi è bastato poco per capire che eri una brava ragazza. In certe faccende è difficile che mi sbagli e i fatti mi danno ragione. Sei volenterosa, attenta e, cosa fondamentale per il nostro mestiere, ci sai fare con i clienti, perché quello che trasmetti ti nasce dal cuore. Certe cose non si possono insegnare, o ce le hai o non ce le hai. Ora, ti starai chiedendo perché ti dica queste cose. E io potrei risponderti: perché non dovrei dirtele? Dovrei forse tenerti nel dubbio o addirittura farti credere il contrario? Ah! Tutte sciocchezze! Quella è roba per falliti. Finché ci sarò io in questa baracca, dobbiamo essere un'unica famiglia. Però, sincerità esige sincerità, Chica. E' una questione di giustizia. Su, dimmi cosa ti preoccupa e vediamo cosa si può fare.
Oh, signora Maria, lei è così buona che non credo di meritarmi tanto. Sono stata fortunata a trovare questo lavoro e lei stessa ha potuto vedere come ho ripagato la sua fiducia, lavorando con impegno ed entusiasmo.
Certo, bambina mia, altrimenti non ti avrei detto queste cose. Ma non sono così sprovveduta da non capire che qualcosa ti tormenta.
Tutto quello che la Chica aveva cercato di nascondere fino a quel momento esce con una tale forza che lei non ci può fare niente. Piange a dirotto, di lacrime che le inondano la faccia. La signora Maria cerca di calmarla in qualche modo.
Me lo sentivo, me lo sentivo!
- dice, stringendola a sè - Meno male che ci sono qui io...Aspetta, lascia che ti asciughi...Ecco che entrano due clienti...vai di là, che non sta bene farsi vedere così. Li servo e arrivo subito.
La Chica corre nel retrobottega, coprendosi il viso con le mani per la vergogna e la disperazione.
Dopo un po', la signora Maria va a vedere se la ragazza si è calmata. La trova seduta su uno sgabello, la testa bassa. La Chica alza i suoi occhi gonfi e arrossati e dice, tirando su con il naso:
Signora...io...io temo che sia successo qualcosa di terribile!
Noi vecchi
Noi della vecchia generazione ci portiamo addosso qualcosa che si sente a chilometri di distanza. Non parlo di quei padri di famiglia che se ne vanno in giro con il loro portamento signorile senza degnarti di uno sguardo. Quelli sono fuori dalla mischia, lo sono sempre stati, perché sanno già cosa devono fare e dove devono stare. Ma a noi vecchi, possono metterci in qualche banca o a dirigere il traffico, in una catena di montaggio o a fare il sindaco, ma non ci servirà a niente. State certi che anche con quella divisa ci riconosceranno subito. Perché ce lo si legge in faccia che noi ci sguazziamo nei guai, siamo sempre stati abituati così e lo sarà sempre. E forse, sotto sotto, ci piace. A noi dovrebbero chiuderci in casa a doppia mandata e legarci a una sedia. E' più forte di noi. Non appena mettiamo piede in una strada finiamo dritti dritti in qualche impiccio come un topo col formaggio. E i giovani lo sanno, te la annusano addosso questa predisposizione ad evitare il quieto vivere e ti si attaccano addosso come le mosche.
Da noi i giovani vogliono imparare, carpire il nostro segreto. Vogliono capire come si fa ad avere il colpo d'occhio giusto, a riconoscere quando è il momento di parlare, come farlo e con chi. Noi queste cose le sappiamo bene, è il nostro patrimonio genetico. Per finire nei guai con un certo stile bisogna conoscerle a menadito. La fregatura dei giovani è che rispettano i tempi giusti e quindi non ci finiranno mai nei guai, parlo dei veri guai. In certi casi la loro diventa una fissazione, ti seguono in modo morboso alla ricerca di quelle note tutte sbagliate, di quella scioltezza nel fare il contrario di quello che andrebbe fatto. Arrivano a maledirsi per questo e prima o dopo, amici, puntuale come un treno svizzero, nella vita di un vecchio arriva sempre un giovane che ha deciso di sfidarlo.
Ma io sono stanco di questa vita e già da un po'. Per questo, senza che sia venuto a saperlo nessuno, fra due mesi me ne vado. E' un anno che sto dietro al mio progetto, ho preparato tutto nei minimi dettagli, perché non voglio più essere riconosciuto.
E invece, neanche a farlo a posta, ad allietare i miei ultimi mesi da vecchio, arriva questo trasferimento di sede, in questa statale dove a parte il monotono andirivieni delle auto, il bar della Chica e questo cumulo di rovine, non c'è niente di niente.
Come se non bastasse, devo stare dentro a questo girone di fabbriche diroccate a sentire cosa deve dirmi questo ragazzino con le braccia che gli ballonzano, le mani che neanche gli escono dalle maniche. Sei venuto a reclamare la tua parte, non è vero Ramon? E sia, farò di tutto per accontentarti.
Anita
La Chica non era la sola a lavorare nel bar. Veniva a darle una mano o a sostituirla nel suo giorno di riposo Anita, una studentessa universitaria magretta e ben fatta, che con quel lavoretto passava qualcosa ai genitori per pagare i suoi studi.
Il giorno prima del mio strano incontro con Ramon nel complesso fantasma, di domenica pomeriggio, una bella domenica di ottobre con il cielo pulito e il sole che scaldava come si fosse a fine agosto, la Chica se ne andava per le vie del centro, affollato di gioventù proveniente un po' da tutti i paesetti del circondario. I negozi erano aperti e la Chica se ne tornava alla macchina con le buste dello shopping.
In scarpe da ginnastica e jeans larghi, la giovane passeggiava, immusonita e altezzosa, gettando occhiate ai ragazzi che a gruppi di tre o quattro sciamavano per il centro ridendo e spintonandosi. Ogni tanto si fermava davanti a una vetrina, guardando la merce esposta con fare distaccato, la testa di tre quarti, come se lei avesse ben altro da fare che star lì a guardare quegli articoli.
Proprio mentre si trovava davanti a un negozio di intimo, esce svelta dall'entrata Anita, che già di suo era radiosa, figuratevi quando vede la Chica. Mancava poco che si slogasse una mascella da quanto spalanca la bocca.
"Non ci posso credere, non ci posso credere! Tu qui...e chi se lo sarebbe aspettato? La