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Ho trasformato il veleno in medicina
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Ho trasformato il veleno in medicina

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Poche parole dedicate soprattutto alle donne, a quelle donne che hanno vissuto o che vivono una vita d’inferno. Si può e si ha il diritto di essere felici. Io la felicita l’ho trovata e spero che queste mie parole e quello che leggerete in seguito vi potranno essere di aiuto per una vita felice. Non arrendetevi, non vi fossilizzate nel pensiero che siamo nati per soffrire. Io ho sofferto tanto ma posso assicurarvi che non e cosi! Noi donne siamo degli essere speciali, pieni di amore. Dobbiamo solo ricordare che nessuno ha il diritto di calpestarci!
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateDec 14, 2012
ISBN9788891100566
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    Ho trasformato il veleno in medicina - Dilly Cantore

    calpestarci!!!!!!!!!!

    Capitolo 1

    Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, ma, non me lo immaginavo cosi. Il giorno in cui avrei cominciato a mettere nero su bianco la mia vita. Per anni me lo sono immaginato come un giorno sereno, un giorno di pace, o come dicevo sempre io: il giorno in cui andrò in pensione. Sono ancora molto lontana dalla pensione, ma, qualcosa ieri ha scaturito il mio bisogno di cominciare ad imprimere o forse a fissare nella mia mente punti salienti della mia vita.

    Sono nel mio ufficio, già! mi dico! Il mio ufficio! Una conquista! Guardo il mio computer e le prime righe scritte, piango e penso: andrò in fondo? Sarò all’ altezza? Chissà! Se poi leggerete, il tutto si commenterà da solo.

    Per ovvi motivi userò uno pseudonimo : Diletta.

    Ieri sera ho rotto con mia madre...si, mia madre la chiave di tutto.

    Meglio andare per ordine mi dico!

    Diletta, 8 anni papa e malato, l’ ha conosciuto cosi, malato.

    Un miscuglio di ricordi, un marasma di emozioni, ma soprattutto tanta paura, paura dell’ uomo che l’ ha messa al mondo, paura della sua voce, del suo sguardo ma soprattutto delle sue mani. No, cari lettori, non è quello che si potrebbe a prima vista pensare, suo padre era solo manesco pronto a risolvere ogni cosa a suon di schiaffoni quando andava bene, un uomo violento, tante volte Diletta aveva visto sangue sul corpo e sul viso di sua madre e suo fratello... si Diletta ha un fratello. Ma la vita di Diletta ruota intorno a quella di sua madre, ma, soprattutto all’ assenza di sua madre. Gran bella donna, slava di nascita, sposa soli 17 anni contro il volere della suocera, perche incinta e perche la sua famiglia era ospite di un campo profughi; quindi una Profuga cosa molto spregevole per la famiglia Nino. Tradotto una poco di buono. Un amore sviscerato nei confronti del figlio maschio. Ma andiamo per ordine:

    Non ci sono soldi in casa, una casa in costruzione accanto a quella della matriarca di famiglia: la nonna paterna. Sua madre e costretta ad andare a lavoro contro il volere di suo padre dei cognati e della suocera E’ disonorevole che una donna lavori! E’ una poco di buono agli occhi della gente! Si dirà male della famiglia diceva sua nonna, in un ospedale poi!

    Questo era l’ ambiente in cui Diletta cresciuta parrebbe il medio evo! No, era solo il 1969 in una cittadina del casertano. A quei giorni, anche se in tenerissima età, una figlia femmina era considerata una donna fatta. Diletta, smise di giocare e cominciò a tirare avanti la casa, lavare ( non avevano lavatrice ma il lavatoio) cucinare stirare.

    Possibile a soli 8 anni vi starete chiedendo! Certo per la gente del sud era quasi una normalità tra le famiglie meno abbienti. Non si può dire che la presenza del padre sia mancata, anzi!, fin troppo presente nei giorni di Diletta tenuta sotto sorveglianza costante dai suoi occhi duri e freddi ( ancora oggi non ricorda ne’ un bacio ne’ una carezza).

    Diletta cresceva, studiava, badava alla casa, accudiva le bestie, mieteva l’ erba medica per i conigli, zappettava e curava il piccolo orto di casa, accudiva la nonna che ogni tanto si ammalava di reumatismi,( passava interi pomeriggi con lei ringraziando tanto storia e geografia che la esoneravano da lunghissimi rosari) allevava i cugini più piccoli. Sei la più grande le dicevano devi farlo tu , sei tu la donna di casa tua madre non c’è!

    Già! Sua madre...dov’era sua madre? A lavoro sarebbe la risposta più ovvia. Si, vero, la madre di Diletta era a lavoro.

    Lavorava tanto per mandare avanti la baracca ma lo faceva volentieri perche proprio sul lavoro aveva trovato un amore.

    L’amore di un uomo, quello che lei non aveva mai avuto, quello che le dava la forza di andare avanti e sopportare le ostilità e le botte di suo marito , quello che le dava speranza per una vita migliore futura, quello che la faceva sentire donna, amata, apprezzata, valorizzata, ma, che le aveva fatto perdere di vista: Diletta. Dina ( la chiameremo cosi) ...(Faccio fatica a ricordare una carezza o un consiglio di mia madre). Vero che tante volte si schierava contro suo marito per difendere Diletta e il fratello, ma erano più le volte che ne prendeva prima lei.

    Diletta cresceva, era una bella bimba, capelli lunghi biondo scuro, occhi verdi e qualche ragazzo cominciava a guardarla, ma non appena se ne accorgeva il fratello o il babbo per lei erano guai.

    A scuola tutto bene (era il suo rifugio) quattro ore lontana da casa! Che sollievo. La sua vita scorreva tra un pianto ed un lamento.

    (non dovrebbe essere questa l’adolescenza mi dico oggi) ma per lei era cosi.

    Non ha mai saputo cosa significasse frequentare un’ amica, studiare con lei, passeggiare in città oppure andare a mangiare una pizza tra amici. No, Diletta non poteva non le era concesso.

    Aveva solo 14 anni quando un giorno sua madre le disse:< mettiti in ordine oggi pomeriggio, papà ti porterà

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