Fiorentina come nel ’56. Il primo scudetto non si scorda mai
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Fiorentina come nel ’56. Il primo scudetto non si scorda mai - Raffaello Paloscia
© goWare
Settembre 2013, prima edizione
ISBN 978-88-6797-113-8
Redazione: Serena Di Battista
Copertina: Lorenzo Puliti
Sviluppo ePub: Elisa Baglioni
goWare è una startup fiorentina specializzata in digital publishing
Fateci avere i vostri commenti a: info@goware-apps.it
Blogger e giornalisti possono richiedere una copia saggio a Maria Ranieri: mari@goware-apps.com
Made in Florence on a Mac
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Dedica
A Giuliano Sarti e Ardico Magnini
Giuliano Sarti, 80 anni il 2 ottobre 2013, Ardico Magnini, 85 anni il 21 ottobre. Sarti (portiere) e Magnini (terzino destro) erano due componenti del blocco difensivo ch’ebbe una grande parte di merito nella conquista del primo scudetto viola nel campionato 1955-56 dopo che la Fiorentina aveva vissuto per anni all’ombra delle grandi
del Nord – Juventus, Milan, Inter – che si contendevano il titolo italiano come se fosse una loro questione privata. La vittoria della Fiorentina fu un avvenimento straordinario non solo per questo, ma anche per i diversi record battuti. I viola, guidati in panchina da Fulvio Bernardini, persero una sola partita, a Genova nell’ultima giornata, a causa di un arbitraggio che fu definito scandaloso da tutta la stampa nazionale. Giuliano Sarti è con Ardico Magnini, Beppe Virgili, Alberto Orzan, Claudio Bizzarri, Sergio Carpanesi, Gian Piero Bartoli, Aldo Scaramucci, uno dei superstiti di una squadra entrata nella leggenda, perché riuscì anche a sfiorare un clamoroso successo a Madrid nella Coppa dei Campioni 1956-57. Il secondo e ultimo scudetto arrivò 13 anni dopo.
Il felice anniversario di Sarti e Magnini è il primo motivo che ci ha spinto a sfogliare il diario di quei giorni e a ricordare l’impresa non solo a chi ebbe la fortuna di viverla da vicino minuto per minuto, ma anche alle migliaia di giovani che l’hanno sentita raccontare chissà quante volte dai genitori o dai nonni. Il secondo motivo è che l’attuale Fiorentina, dopo un periodo con poche, memorabili vittorie (e con tante incredibili ingiustizie), sembra finalmente tornata la grande società e la fortissima squadra in grado di lottare senza complessi d’inferiorità con i più famosi club d’Italia e d’Europa. Chissà che l’arrivo di Giuseppe Rossi e Mario Gomez non possa essere paragonato in futuro a quello di Julinho e Montuori, che nel campionato 1955-56 furono le ultime tessere fortemente volute da dirigenti e tecnici per completare un perfetto mosaico costruito nel corso degli anni.
Naturalmente una dedica particolare e ancor più commossa va a coloro che contribuirono con impegno e amore alla conquista del sospiratissimo triangolo tricolore, primo fra tutti Fulvio Bernardini, grande allenatore e maestro di vita per chi, come me, era allora un giovane giornalista. Insieme a Bernardini ricordo i nove fraterni amici di quella fantastica squadra prematuramente scomparsi: Armando Segato, Miguel Montuori, Julio Bothelo detto Julinho, Guido Gratton, Sergio Cervato, Francesco Rosetta, Beppe Chiappella, Maurilio Prini, Bruno Mazza. Con la stessa stima e lo stesso affetto dedico questo libro-diario alla memoria del presidente Enrico Befani (che non lesinò sacrifici economici per costruire in pochi anni la squadra dei miracoli), dei consiglieri Emilio Kraft, Giorgio Murray, Emilio Pallavicino, Mario Pizziolo, Antonio Boni, Rodolfo Gazulli, Renzo Agnoloni, del direttore sportivo Luciano Giachetti, del segretario Elmo Gallo e del suo fedelissimo collaboratore Aldo Corsani, degli allenatori Luigi Ferrero e Felice Levratto, del medico sociale professor Giorgio Giusti, dei massaggiatori Ubaldo e Alberto Farabullini, del supertifoso Mario Fantechi, dei magazzinieri Lando Parenti, Ernesto Paroli e Sghibbe
(un singolare personaggio di cui quasi nessuno ha mai saputo il vero nome e cognome) e di tutti gli altri che resero grande quella Fiorentina con la loro oscura, ma preziosa opera.
Infine è un mio dovere ricordare i tanti carissimi colleghi con i quali ho diviso ore e ore di lavoro quotidiano nella redazione della Nazione
o nelle tribune stampa e negli spogliatoi del Comunale di Firenze e degli stadi più importanti d’Italia: Giordano Goggioli, Beppe Pegolotti, Nuto Innocenti, Mario Liverani, Nerio Giorgetti, Loris Ciullini, Roberto Gamucci, Tarcisio del Riccio, Dante Nocentini, Amerigo Gomez, Giorgio Moretti e Paolo Melani. Raccontando le imprese della Fiorentina li ho sentiti ancora vicini a me come quasi 60 anni fa. Ed è stata la cosa più bella e più emozionante.
1
Contro la Dinamo la prova generale
Compagni, domani tutti allo stadio
. Cartelli come questo furono appesi, il 7 settembre 1955, in molte Case del Popolo di Firenze e dintorni.
Era la vigilia di Fiorentina-Dinamo Mosca, una partita amichevole dai significati politici, oltre che sportivi. Per la prima volta la squadra più importante dell’Unione Sovietica era impegnata in una tournèe
in Italia. Tre giorni prima aveva giocato allo stadio di San Siro contro il Milan campione d’Italia e aveva mobilitato i compagni
del Nord, tifosi e non tifosi. Ora toccava a quelli dell’Italia centrale. Erano stati organizzati treni speciali non solo da diverse città della Toscana, ma anche da Bologna. Dirigenti e calciatori della Dinamo ebbero accoglienze trionfali già dal loro arrivo. L’allenatore viola Fulvio Bernardini, per tenere lontani i giocatori da un ambiente così vivace, continuò a farli allenare fino ala sera della vigilia nel ritiro di Abbadia San Salvadore [Figura 1 – Cervato e Rosetta (col massaggiatore Farabullini) si preparano al campionato sui sentieri di Abbadia San Salvadore].
Al pranzo ufficiale, organizzato dalla Fiorentina in un ristorante del centro, il capocomitiva della squadra sovietica, Antipenk e il vicepresidente Milokraft pronunciarono un applauditissimo discorso e consegnarono all’onorevole Orazio Barbieri, presidente dell’associazione per i rapporti tra URSS e Italia un premio per i suoi meriti di sagace organizzatore e assertore della ripresa delle relazioni sportive tra le due nazioni
. Poi la comitiva fu ricevuta dall’assessore comunale, Tocchini, ed ebbe anche il tempo di fare una visita a un’industria di confezioni di Empoli. Un regalo per tutti: un elegantissimo impermeabile, capo introvabile a quei tempi, anche nei più eleganti negozi di Mosca.
La mobilitazione delle Case del Popolo ebbe un successo straordinario. Alle 16.30 dell’8 settembre, ora fissata per l’inizio della partita, lo stadio comunale di Firenze era pieno come un uovo. I 70 mila spettatori (tanti poteva contenerne l’impianto di allora, grazie anche alle tribunette montate con tubi Innocenti) portarono nelle casse viola la bellezza di 46 milioni e 875 mila lire, un record per un’amichevole. Al momento dell’ingresso in campo delle due squadre cominciarono a sventolare, nelle due curve e in Maratona, più bandiere rosse che vessilli viola.
Beppe Virgili, centravanti ventenne di quella Fiorentina, ha oggi superato di parecchio i settant’anni, ma ricorda ancora la partita e lo spettacolo offerto dal pubblico: Avevamo la strana sensazione di giocare in trasferta e forse fu uno stimolo in più. Avevamo di fronte una squadra che era considerata imbattibile e col Milan aveva giocato come il gatto con il topo. Io volevo far gol a tutti i costi a un mito come Jascin, il più forte portiere del mondo. Quando ci riuscii, corsi come un folle a ricevere l’applauso dei tifosi che, invece, rimasero freddi. Ricordo anche che quando Montuori sbagliò un rigore, pochi minuti prima del fischio finale, fu applaudito a lungo. Quella vittoria, anche per le singolari condizioni ambientali, fu importantissima per noi: ci convinse che eravamo sulla strada giusta per diventare una grande squadra
.
La sera, alla cena di gala, furono ancora i giocatori sovietici i veri protagonisti. In loro onore si esibirono anche Gino Bechi, il grande baritono fiorentino passato alla storia della lirica per le sue eccezionali interpretazioni del Barbiere di Siviglia e Luciano Tajoli che contendeva a Claudio Villa il primato della popolarità tra i cantanti melodici. I dischi di Bechi e Tajoli furono i regali più graditi fra i tanti ricevuti dalla comitiva moscovita.
Sessant’anni dopo, episodi come quelli accaduti per la visita a Firenze della Dinamo fanno sorridere. Ma per comprenderli bisogna tornare al clima di quell’epoca, quando l’Unione Sovietica apparteneva quasi a un altro pianeta per la difficoltà delle comunicazioni e i rapporti tra le due nazioni erano rarissimi, non solo nello sport. Vedere da vicino un personaggio come Jascin era un avvenimento eccezionale, da raccontare agli amici e ai compagni
meno fortunati che non avevamo avuto questa possibilità.
A Fulvio Bernardini, allenatore della Fiorentina, interessava soltanto il significato sportivo di quella partita e non nascose la sua soddisfazione ai giornalisti che riuscirono ad avvicinarlo pochi minuti dopo che l’arbitro danese Amussen aveva fischiato la fine dell’amichevole. Per la Fiorentina era la prova generale dieci giorni prima dell’inizio del campionato e Bernardini riconobbe che meglio di così non poteva andare. Le indicazioni fornite dal test
erano state positive, sia sul conto della difesa, già collaudatissima, sia per l’attacco, con Julinho già all’altezza della sua fama, con Montuori sempre più impegnato nell’inserimento nella nuova squadra e con Virgili trasformato rispetto alla stagione precedente.
Contro la Dinamo, la Fiorentina aveva giocato in questa formazione: Sarti, Magnini, Cervato, Chiappella, Rosetta, Segato, Julinho, Mazza, Virgili, Montuori, Gratton. Nella ripresa era uscito Mazza ed era entrato Prini, e Bernardini aveva cominciato a provare tattica e schieramento che sarebbero diventati definitivi dopo pochissime settimane, con Gratton interno e Prini ala tornante. La vittoria con una sola rete di scarto non espresse chiaramente la superiorità dei viola che, oltre a segnare il gol decisivo con Virgili su lancio di Chiappella e a sbagliare il raddoppio con il calcio di rigore tirato fuori dall’emozionato Miguel Montuori, crearono molte altre occasioni da rete.
Il grande Jascin fu il migliore in campo [Figura 2 – Il grande portiere russo Jascin]. I calciatori sovietici, che speravano di ripetere la clamorosa vittoria di Milano (4-1 con un fantastico poker
del centravanti Mamedov) rimasero malissimo, anche se lasciarono il campo tra gli applausi e lo sventolare di bandiere con la falce e il martello. Il giorno dopo i giornali andarono a ruba. Nessuno si aspettava che la Dinamo, capace di umiliare i campioni d’Italia, finisse ko con una Fiorentina che nella precedente amichevole aveva stentato a battere la squadra jugoslava dell’Hayduk Spalato, di fronte a poco più di 10 mila spettatori [Figura 3 – I calciatori della Dinamo in allenamento].
Ko il grande Jascin: gol di Virgili, tifosi in delirio.
Elogi su elogi arrivarono dagli inviati dei grandi quotidiani nazionali. Mario Zappa, uno dei giornalisti sportivi più famosi (e più severi) di quegli anni, scrisse frasi come queste: Si è assistito oggi al graduale sfaldamento della Dinamo sotto la pressione crescente della Fiorentina, che ha già raggiunto un notevole grado di preparazione fisica, anche se ancora non si può dire di avere toccato il massimo dell’intesa tra i reparti avanzati
; o ancora: Indipendentemente dal risultato di misura e pur tenendo conto di qualche occasione fallita dagli ospiti nel primo tempo, la valutazione della praticità di gioco nel bellissimo stadio fiorentino torna tutta ad onore degli allievi di Bernardini
; La Fiorentina proiettata all’attacco ha voluto dare via libera all’arte di Julinho, un palleggiatore di fama mondiale
; e infine: C’è da pensare che le prime avventure di campionato saranno rose e fiori per la Fiorentina
[Figura 4 – Virgili segna il gol della vittoria nell’importante amichevole].
L’entusiasmo non diminuì nei giorni successivi. Anzi per la prima volta cominciò a circolare nei commenti e nei titoli la parola magica, sconosciuta a Firenze: scudetto
. Le pagine riservate al calcio dalla Gazzetta dello sport
si aprivano con questo titolo a quattro colonne: Euforicamente scatenati i tifosi della Fiorentina. Contro la Dinamo viola da scudetto
. L’articolo cominciava con questa frase: Gli entusiasmi suscitati dalla vittoria e dal gran gioco sviluppato dalla Fiorentina con continuità, con freschezza, con fantasiosa vitalità non accennano a spegnersi
. Nella cena di saluto alla comitiva della Dinamo Gino Bechi, dopo essersi esibito in alcune romanze di opere liriche, aveva chiuso la serata con la canzone più popolare del momento, scritta dal maestro Cesare Cesarini, Firenze sogna. Un titolo che rispecchiava più di qualsiasi altro l’umore, le ambizioni, le speranze dei tifosi della Fiorentina [Figura 5 – Montuori alle prese con Jascin].
2
Befani presidente moderno
Ma come nacque la squadra che, dopo aver dato spettacolo contro l’invincibile armata della Dinamo Mosca, cominciò a far sognare i tifosi fiorentini?
Sicuramente dipese dalla programmazione
(parola mai usata nel calcio fino a quel momento) voluta dal presidente Enrico Befani. Erano tempi in cui i presidenti di calcio erano definiti ricchi scemi
, per la maniera dilettantistica con cui gestivano le società. Milioni su milioni venivano gettati dalla finestra, soprattutto all’estero, per acquisti costosissimi e troppe volte inutili. Una delle prime dichiarazioni di Enrico Befani dopo la sua nomina a presidente della Fiorentina fu questa: Io non sono né ricco, né scemo
. Una bugia riguardo alla prima parte: Befani era uno dei primi industriali lanieri pratesi come fatturato. Gestirò la Fiorentina come la mia azienda
fu il suo proclama [Figura 6 – Il presidente Enrico Befani al microfono subito dopo l’elezione a presidente della Fiorentina].
Spese folli non le fece mai, anche se non si tirò mai indietro se c’era da battere, nell’acquisto di un giocatore, la concorrenza di società economicamente più potenti della Fiorentina. Il più grande pregio di Enrico Befani fu quello di scegliere collaboratori, tecnici e funzionari all’altezza della situazione. Enrico Befani (presidente), Fulvio Bernardini (allenatore), Luciano Giachetti (direttore sportivo) composero la prima triade del calcio professionistico italiano. Poi non mancarono proseliti, a cominciare dalla triade interista (Angelo Moratti, Helenio Herrera, Italo Allodi), per finire alla discussa triade juventina (Antonio Giraudo, Fabio Capello,