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Bloodhunters: I figli della luna
Bloodhunters: I figli della luna
Bloodhunters: I figli della luna
Ebook451 pages5 hours

Bloodhunters: I figli della luna

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About this ebook

Sheryl è una giovane vampira mezzosangue che, con altri vampiri nomadi, risiede in un'antica dimora fra i boschi di Cedar Falls, ben lontana dalla vita brulicante di città e dai terribili e nobili vampiri Purosangue. Un giorno ad irrompere nella sua monotonia, arriva Jay, un giovane cacciatore che ha attraversato diverse dimensioni per trovare lei, la chiave, l'unica che potrebbe salvare il mondo da una terribile sorte. Sherrie cambierà radicalmente vita, addestrandosi per essere pronta ad affrontare il suo destino, accompagnata dal suo più fidato amico nonché licantropo, Ector Douglas, disposto ad ogni cosa pur di proteggerla. Nel frattempo, strane uccisioni stanno tormentando la città di Seattle, pronti a far vacillare l'equilibrio e la segretezza degli esseri sovrannaturali agli occhi degli umani. La caccia all'assassino è aperta, e forse, Sherrie, non sarà l'unica a nascondere un terribile segreto. E il countdown per la fine di ogni cosa, sarà solo l'inizio...
LanguageItaliano
PublisherIlaria Cosa
Release dateDec 2, 2013
ISBN9788868851965
Bloodhunters: I figli della luna

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    Book preview

    Bloodhunters - Ilaria Cosa

    2013

    Prologo

    Città dell'Ade, flashback. diciassette anni prima

    I respiri affannosi del giovane Richard rimbombavano fra le fredde mura in pietra dei sotterranei della città dell'Ade. Il petto gli si muoveva rapidamente, il volto era sudicio di sudore e polvere. Con gli occhi ambrati sgranati cercava di mettere a fuoco qualsiasi cosa che potesse fornirgli un'uscita fra quelli stretti corridoi immersi nelle tenebre della notte. Qualsiasi cosa che potesse dargli la salvezza.

    «Richard... tutto questo è una follia» Il ragazzo voltò la testa di scatto verso la donna al suo fianco. Riusciva perfettamente a sentire il suo cuore battere all'impazzata attraverso la stretta delle loro mani. Gli occhi castani di lei erano lucidi, stremati. Al suo petto stringeva una coperta. No. Non potevano fermarsi proprio ora. Mancava poco e avrebbero detto addio per sempre a quell'assurdo regno.

    Nell'umido labirinto sotterraneo altri passi avanzavano sempre più rapidi. Urla di comandi facevano eco, le spade e le armi sferragliavano fra i soldati pronti a raggiungerli in una perfetta e intonante marcia di morte.

    «Non fermarti!», ordinò Richard stremato. Quella folle corsa contro il tempo riprese. Entrambi si gettarono in una strada a destra, la proseguirono malgrado fosse claustrofobica e l'odore di muffa penetrava le loro narici. La piccola strada si estendeva in una discesa scivolosa per diversi metri. Richard aiutò la donna a scendere ed insieme ripresero ad avanzare con i polmoni e la milza che iniziavano a bruciare. Sapevano per certo che una strada più difficoltosa non avrebbe di certo fermato quell'armata.

    Improvvisamente Richard si fermò. La strada era terminata e si divideva in un bivio altrettanto buio.

    Cercò di deglutire. La sua gola era secca. La lingua gli pulsava.

    «Lasciami qui! Mettiti in salvo!» la voce della donna era stanca. Rassegnata. I capelli castani erano scompigliati, non più ordinati in uno chignon; il viso di lei, come lui, sudato. Il vestito color porpora era ormai ridotto a brandelli. Il ragazzo riusciva a sentire tutti i suoi pensieri, tutte le sue preoccupazioni. Erano come un grosso macigno sul petto.

    Richard scosse la testa contrariato abbandonandosi ad un sorriso nervoso. «Carmen! Io... non posso!» la donna le rivolse lo sguardo. I suoi sentimenti erano palpabili. Ogni qualvolta che lui le parlava, i suoi occhi si emozionavano e caricavano di luce. «Mettendo in salvo te, metto salvo anche me stesso».

    Carmen gli rivolse un ampio sorriso che lampeggiò nell'oscurità. Le avrebbe gettato le braccia attorno al collo se avesse potuto. Ma non c'era tempo per il sentimentalismo ora. Richard diede un'occhiata agli ampi corridoi che si estendevano ai suoi lati. Indicò quello alla sua sinistra, gli sembrava di aver visto uno spiraglio di luce.

    «Seguimi! Ci siamo quasi» tenendo stretta la mano della sua compagna, si catapultò nuovamente nella fuga. Riusciva quasi ad intravedere l'ampio spazio dove era possibile attraversare la città e lasciarla attraverso un portale magico. Due soldati apparvero in un vicolo parallelo al loro. Richard tirò dal braccio la donna nascondendola nell'ombra, al sicuro, ai piedi di un muro crollato per metà.

    Con le spalle contro il muro, Richard si affacciò.

    «Non possiamo proseguire. Aspettami qui».

    «Richard!» chiamò lei, ma il ragazzo si era già dileguato.

    Richard avanzò con passo incalzante verso di loro. I pugni serrati e impolverati. Lo sguardo determinato di chi sa come agire. Percepiva perfettamente l'energia oscura scorrere nelle sue vene, talmente potente da non essere più contenuta. Tese le orecchie della sua mente, si spinse oltre mettendosi in contatto con i pensieri di quei soldati.

    Odio questo lavoro. Voglio tornare fuori, all'aria fresca.

    Richard aggrottò la fronte. No, non era questo ciò che voleva sapere. Doveva concentrarsi ancora, doveva scoprire quali fossero le loro intenzioni.

    «Chi va là?», un altro soldato si stava facendo avanti sbucando fuori da una strada subordinata. Richard sentiva il freddo fucile puntato dietro la sua testa. «Fer...», ma il soldato non riuscì a terminare la parola che Richard con un ringhio fu su di lui; i canini affondati nel suo collo intendo a staccargli via la testa. Il vampiro lasciò cadere in ginocchio il corpo esanime del soldato. Il corpo senza testa spruzzava via sangue dal collo, ancora scosso da fremiti. La testa rotolò via fino alle altre due guardie posizionate più avanti.

    Carmen, spaventata, ancora nascosta nell'ombra, udii diversi rumori che durarono diversi istanti. Dei grugniti, alcuni ringhi felini, un muro crollare ed infine il silenzio. Quando Richard le si materializzò di fronte, sussultò dallo spavento. Il vampiro le tenne coperta la bocca con una mano, fino a quando la gola di lei non iniziò a bruciare a causa delle urla.

    «Sono io», rassicurò lasciandola libera.

    Si udirono alcuni spari e urla.

    «Oh mio dio, dov'è Ethan!?» urlò lei cercando di guardare attraverso l'oscurità. Richard avrebbe voluto tornare indietro ad aiutare il suo amico dai lunghi capelli neri e dalla carnagione scura. Lui era l'unico ad essere dalla sua parte. Ethan era l'unico ad essere suo amico.

    Grazie per i corpi, sono un ottimo diversivo! La voce del secondo vampiro rimbombò nella sua testa. Richard abbozzò un sorriso. Ethan ne sapeva una più del diavolo! Era certo che stesse usando quei cada- veri animandoli con la telecinesi per confonderli.

    Scosse la testa «Andiamo!» ruggì trascinandosi dietro la ragazza.

    Con passi pesanti intrapresero il corridoio principale. Sul pavimento erano presenti chiazze di sangue ancora caldo. Era qui che Richard aveva ucciso le guardie.

    Il pavimento iniziò ad illuminarsi come una rete fitta di luce e collegamenti che ricordavano tanto un microchip. Richard sorrise, ricordava quel posto. Questo voleva dire che avevano raggiunto finalmente il portale. Al confine per la loro libertà. L'oscurità era finita.

    Carmen finalmente poté guardare Richard dopo tanta cecità. Il volto di lui era macchiato di sangue su di un lato. La camicia inzuppata di sangue così come i pantaloni neri. Gli stivali producevano uno strano rumore appiccicoso. I suoi bellissimi capelli neri erano scompigliati e sudati; alcuni ciuffi scendevano ribelli sulla sua fronte madida di sudore. Nonostante le condizioni, i suoi occhi caldi come l'oro risplendevano rassicuranti come sempre.

    «Il portale! È laggiù!», indicò lui entusiasta.

    La strada terminò a strapiombo. Sotto di loro – a circa cinquanta metri – era presente un ampia arena. La luce azzurra ad intermittenza pulsava come un cuore. Erano nel pieno centro del regno della città dell'Ade.

    Il portale era come un cerchio ovale, ma sospeso in aria. Le sue linee arricciate ai bordi erano luminose, di un intenso blu–elettrico. Ogni linea di energia era incisa con simboli antichi alchemici altrettanto luminosi. Oltre ad essi, i punti cardinali – sud, nord, est, ovest – erano segnati da dischi rotanti neri fluttuanti agli estremi del portale, in una seconda linea bianca attorno a quella blu.

    Al suo interno quella strana stregoneria sembrava un danno buco nero.

    Richard si era aspetto che il portale producesse un qualunque rumore, ma gli unici suoni che riuscii ad udire furono solo le gocce d'acqua dell'ampio sotterraneo toccare terra.

    Il vampiro fu il primo ad avanzare. Scese uno dei primi scalini della grande scalinata rocciosa e rivolse alla sua compagna un sorriso di trionfo. Gli occhi gli brillavano di luce.

    Si, ce l'avevano finalmente fatta.

    «Come fai ad essere sicuro che finiremo in posto simile a questo?» domandò lei una volta di fronte al portale.

    Richard tergiversò. «Esistono diversi mondi paralleli al nostro. Città dell'Ade, regno e mondo di ogni vampiro come me. Il mondo degli Inferi, sede di ogni demone, angelo caduto e creatura dannata, e...», si fermò udendo in lontananza nuovi spari e le guardie avanzare più assettate di sangue che mai. «La Terra. Ti riporto a casa», irruppe frettoloso.

    Richard allungò una mano nel bel mezzo del portale. L'aria era carica di elettricità. Era pronto per andarsene via di lì. Era pronto per iniziare una nuova vita con la donna che amava, lontano dalle dure leggi del Consiglio e degli Anziani.

    D'un tratto il portale lo respinse con forza, restringendosi.

    Prima che la sua mano venisse risucchiata via, Richard la ritrasse.

    «Non... capisco», mormorò fissando il portale ormai chiuso. Voltandosi scoprì che la sua donna osservava un qualcosa che la turbava dritto di fronte a sé. I caldi ed espressivi occhi castani erano terrorizzati.

    Voltandosi cautamente, Richard non poté fare a meno di restare senza parole. Le guardie corazzate avevano circondato l'intera area e continuavano a disporsi a decine decine lungo le scale con i fucili puntati contro i due giovani che si affrettarono a raggiungersi e a stringersi in un solido abbraccio.

    Senza proferire parola Richard, lanciò un'ultima occhiata alla sua donna. Avrebbe tanto desiderato risucchiare via tutta quel terrore dai suoi occhi. Le abbozzò un debole sorriso. Era finita per davvero. Carmen si immerse in quegli occhi color oro, alla ricerca di un ancora di salvezza. Richard non avrebbe mai più dimenticato quel stanco sguardo; un misto di rassegnazione, malinconia amore e pace. Lo stesso sguardo di chi sa di essere condannato ad una dura sentenza: quella della morte.

    «Prenditi cura della bambina...», gli occhi di Carmen erano velati di uno spesso strato lucido.

    Il mondo sembrò non avere più cielo né terra. I colpi di fucile partirono con un rumore assordante che disorientò Richard. Con sguardo vendicatore voltò il viso impressionando nella sua mente la fredda espressione delle guardie e strinse con forza fra le braccia la sua donna. L'avrebbe protetta fino all'ultimo istante.

    I proiettili in argento perforarono i tessuti dei loro abiti, penetrarono ardenti nelle loro carni con una tale forza che gli separò da quell'eterno e apparentemente, indissolubile abbraccio.

    La ragazza cadde di schiena ad occhi aperti. Dal centro esatto del petto il sangue sgorgava dai vari fori. Respirava a fatica, emettendo gorgoglii.

    Un attimo più tardi, Richard sbatté una guancia contro il freddo e duro pavimento in pietra. Attorno al suo corpo, si espanse in fretta una pozza di liquido scuro.

    Mise a fuoco Carmen, lei lo stava guardando con sguardo implorante.

    Frastornato, allungò una mano verso quella di lei racimolando le ultime forze rimaste. Erano così terribilmente distanti.

    Man mano il peso nella mente del vampiro, quel contatto di pensieri, andava via via scemando.

    Con un ultimo respiro, il cuore di Carmen cessò di battere. Una lacrima rigò il viso della ragazza, mentre gli occhi catturarono per un ultima volta quel viso tanto amato e quegli occhi ambrati di sempre. La mano di lui cercò di raggiungerla, ma cadde pesantemente a metà strada. Richard rimase immobile, privo di vita.

    «Lex omnium par est. La legge è uguale per tutti, Richard.» dalla lunga scalinata scese un alto vampiro pallido dai lunghi capelli neri. I suoi occhi erano inghiottiti dalle pupille dilatate. Tipico segnale di un vampiro assettato di sangue.

    Era Salazar. Richard riconobbe subito la sua voce profonda. Un tempo aveva creduto il vampiro suo amico, avevano vissuto insieme per diverso tempo, condiviso insieme donne, sangue... potere. Un amico che aveva creduto fidato, ma adesso avido di potere.

    Richard non era seriamente morto. La sua anima era imprigionata nel corpo ormai immobile. Riusciva ancora ad udire suoni... a sentire diversi odori. Era imprigionato in una cella fatta di carne e tessuti. Aveva bisogno di alcuni minuti per rigenerare le sue ferite.

    Salazar si inginocchiò di fronte al vampiro gli sollevò il viso e gli strinse la mascella in una solida presa. «Credevi davvero che non mi sarei del vostro stupido piano? Di quello che cercate di nascondere? Tu ed un inutile umana, pessima mossa per un Royals come te, amico mio!» fissò gli occhi esanimi di Richard «Sei uno sciocco. Solo pochi secoli di vita... all'aspetto poco meno che un trentenne...», si alzò lasciando sbattere per terra la testa ciondolante di Richard. Avrebbe tanto voluto urlare, piangere per la sua imperdonabile perdita, scatenare la bestia che era in lui. Ma non poteva fare nulla di tutto ciò. Poteva unicamente registrare quegli attimi, senza agire. Costretto nello oblio.

    «Dimmi dov'è, e forse sarò clemente mettendo fine alla tua agonia strappandoti via il cuore.» Salazar si mise in ascolto. Cercò di frugare nella mente del vampiro un qualsiasi indizio che potesse condurlo al compimento della sua missione. «Gli Anziani sono qui Richard, al tuo cospetto per decidere la tua sentenza» ma nulla, la mente di Richard era come oscurata, taciturna. Preferiva morire piuttosto che aiutarli e dar loro la bambina.

    «Parla, Richard.», la voce autoritaria di un terzo vampiro rimbombò fra le mura vuote.

    Padre...

    «Procedi», ordinò un altro.

    Salazar non se lo fece ripetere due volte.«In qualità di Guardiano della Città dell'Ade, Richard Nox, vampiro di sangue blu appartenente alla stirpe dei Royals, ti esilio del mio regno e ti condanno per centinaia e centinaia di anni a vagare nell'oblio, affinché sia fatta la volontà degli Anziani...»

    Il soffitto iniziò a tremare, così come il pavimento. Salazar si fermò guardandosi attorno.

    «Che diavolo sta succedendo?», sbraitò.

    «Non ne ho idea, signore.» Rispose una guardia.

    Gli Anziani allarmati indietreggiarono, mentre il soffitto iniziò a crollare.

    Salazar sussultò, e urlò ordini cercando di mantenere in postazione i suoi uomini. Un enorme crepa si fece largo e lo divise dal vampiro accasciato al suolo.

    Ethan si materializzò accanto al suo amico. Gli occhi ardenti, i capelli scuri fluttuanti attorno al viso. Con un braccio teneva stretto gelosamente un neonato strillante avvolto in una coperta, ben attento a proteggerlo. Con la mente spingeva il suo potere nelle viscere della terra, scuotendola, provocando così un enorme terremoto che riempì di polvere e macerie i sotterranei. Ethan si avviò e iniziò a toccare i simboli alchemici ai bordi del portale. Sapeva perfettamente la combinazione per riattivarlo, merito di ore di studio su alcuni volumi proibiti.

    Il portale si aprì e si allargò provocando un forte vento.

    «Non temere amico, ti porto fuori da qui» con l'altro braccio sollevò il corpo inanimato del nobile e giovane vampiro.

    Salazar avanzò, ma Ethan lo respinse via con un turbine di vento. Il famelico vampiro ringhiò scoprendo i canini.

    «Non avrai scampo Richard!», rise con occhi iniettati di sangue «Vi cercherò, non mi darò pace. Fino a quando non vi ucciderò entrambi!»

    Con un ultimo sforzo Ethan attraversò il portale, ben attento a non abbandonare entrambe le prese. Furono risucchiati in un buco e teletrasportati via, in un mondo diverso dalla città dell'Ade.

    Richard lentamente riprese vita e si sedette sulle ginocchia, frastornato, alla luce dell'alba di quel freddo bosco. Infine strinse forte al suo petto la neonata e quando Ethan gli posò una mano di conforto sulla spalla, si lasciò andare in un pianto liberatorio.

    Capitolo 1

    Primo Incontro

    Il mio nome è Sheryl. Per dirla tutta, Sheryl Morgan Nox ed ho diciassette anni. Agli occhi di tutti sarei potuta apparire come una normalissima studentessa del liceo, ma conoscendomi capireste che la mia età, il mio invecchiare, sono il fattore meno strano ed importante della mia esistenza.

    Avevo solo sette anni quando incontrai Ector Douglas per la prima volta. Non ero come le altre bambine della mia età, questo lo sapevo bene. Mio padre me l'aveva sempre detto che ero una bambina speciale, diversa dalle altre. E questo non per dirmi un qualcosa di carino.

    Ironia della sorte i miei ricordi partivano da quel gelido autunno di dieci anni fa. Prima di quell'incontro non c'era nessuna immagine, nessun suono, nessun colore che riaffiorava dai meandri della mia mente. Solo flashback indistinti, come quando non ricordi il nome di un oggetto e sfidi te stessa a scavare nella tua testa. Corrughi la fronte, strizzi gli occhi per ricordare, sei quasi lì per pronunciare la parola... ti senti così vicina, ma poi tutto svanisce e ti ritrovi distante chilometri dal ricordo. Blackout. Amavo definire così la mia amnesia durata sette anni, o qualunque cosa fosse.

    Quel giorno, era un giorno piovoso come gli altri. La pioggia picchiettava sordamente dalle ampie vetrate creando un sottofondo unico, i lampi creavano giochi di luce nel bosco ad intermittenza e dentro la nostra dimora – la nostra casa – la luce calava di tensione dai lampadari in cristallo appesi al soffitto. Sembrava lo scenario perfetto per l'alluvione del secolo. Smisi subito di preoccuparmi del tempo, dopotutto all'epoca ero solo una bambina. Seduta sul freddo pavimento in marmo nero, avvolta dal silenzio – rotto solo dallo scoppiettare del fuoco a legna del camino e dalla pioggia – ripresi a pettinare con cura la mia nuova bambola, i capelli lisci e sintetici erano di un biondo sbiadito e innaturale. Guardai i suoi occhi dalle ciglia sintetiche azzurri ed esanimi, le labbra plastificate incurvate in un sorriso eterno. Quando involontariamente posai lo sguardo sul suo collo roseo, fui colpita dal desiderio irrefrenabile di affondarvi dentro i canini.

    Conoscevo fin troppo bene quella sensazione. I denti dolevano dalla voglia di mordere, i sensi diventavano più acuti, i respiri affannosi, la lingua era esitante di assaporare del dolce liquido rossastro... il sangue.

    «Papà?» chiamai timidamente «Ho... fame», mi mancò il fiato. Era come se un grosso macigno mi stesse comprimendo il torace. Mi voltai per accertarmi che mi avesse ascoltato.

    Richard era seduto sul divano in pelle scura vicino al camino. Era immerso in un album di vecchie fotografie che mi aveva mostrato infinite volte. Ogni volta che guardava la mamma era come se lui fosse in un altro mondo. Le sue dita snelle e chiare sfogliarono una nuova pagina di quell'album, e la sua espressione si ammorbidì. Le sopracciglia si rilassarono ed un lieve sorriso comparve sulle sue labbra contornate da una lieve barba scura. I suoi capelli erano sistemati in un elegante acconciatura all'indietro, mentre alcuni ciuffi ribelli ricadevano sulla sua fronte perfetta priva di rughe.

    "Voglio... sangue" pensai fra me e me. «Non adesso piccola, non è il momento...», mi mormorò distrattamente. Il suo petto ampio si muoveva lentamente cullato dai respiri mentre si sistemava con risvolti le maniche della camicia bianca. Compiendo questo gesto non abbandonò la sua postura aristocratica.

    Sospirai distogliendo da lui lo sguardo. Lo stomaco continuava a brontolarmi senza sosta. Non resistevo più, avevo bisogno di nutrirmi...

    Richard mi aveva da sempre raccomandato di non avventurarmi mai da sola nel bosco. Ma se fossi rimasta nei dintorni, questo non avrebbe di certo significato avventurarmi, giusto? Mi alzai da terra sistemandomi il vestito azzurro ormai sgualcito. Come un abile felino, mi mossi silenziosamente. Mi sarei solo procurata del cibo e sarei tornata a casa. Erano questi i miei piani.

    Guardai la porta alle mie spalle e dopo lanciai un'occhiata a mio padre; era ancora immerso fra i suoi ricordi. Mi sentivo adulta, non avevo bisogno di nessuno per cacciare, avrei dimostrato che ero in grado di poter far da sola. Con un'ultima occhiata, uscii fuori di casa furtivamente imbattendomi con il bosco che circondava l'intera dimora. Le fronde innevate dei giganteschi arbusti si muovevano accompagnate dal vento. Nell'aria, i profumi mi inondarono le narici fino a riempirmi i polmoni risvegliando sensazioni che dovevo tacere. I miei occhi ardevano, mentre distinguevo ogni odore della foresta: la felce, la terra umida e cruda, i tronchi, il muschio, la fresca fragranza dei pini e degli animali.

    Una sensazione mi pervase, era diversa. Mi sentivo osservata. Richard. Poteva avermi scoperta? Mi voltai di scatto con il cuore in gola verso la casa roteando lo sguardo dal maestoso cancello a battenti, al viale, agli alberi, alle ampie vetrate... ma non vidi nessuno.

    Mi armai di coraggio e procedetti impavida nel cuore bosco.

    Inutile dirvi che ci misi poco a perdermi. La notte scese a padroneggiare il cielo scacciando via il sole in pochi minuti. La foresta era proprio come me l'ero immaginata: un buco nero. Buia e inquietante.

    C'erano suoni al quale ancora non ero abituata come il canto delle cicale e il gracchiare inquietante dei corvi.

    Il bosco era un labirinto, avevo vagato e vagato ma ogni strada sembrava la stessa.

    Ogni albero si assomigliava ad un altro. Mi ero persa e non c'era nient'altro che sapessi fare che aspettare.

    Mi sentivo dispersa ed impaurita senza la presenza costante di mio padre Richard. Con le gambe strette al petto, ad ogni minimo e più innocuo rumore sussultavo. Tutto mi sembrava così amplificato e nitido, avrei volevo tapparmi le orecchie per non sentire più nulla; ma non ci riuscivo. I miei cinque sensi erano troppo sviluppati mentre il bruciore allo stomaco e gola erano insopportabili.

    La pioggia, sordamente, riprese a picchiettare sul terreno. Una goccia mi sfiorò gentile una guancia, un'altra cadde sulle mie labbra, un altra su i piccoli pugni che stringevo attorno alle ginocchia snelle.

    «Papà!», chiamai la prima volta «Papà! Dove sei, ho paura!» la voce echeggiò fra le mura del bosco, le ombre spettrali degli alberi mi fecero da eco. Non vi fu nient'altro. Mi sollevai da terra stringendomi. Le mie intenzioni erano di rimettermi in cammino e di ritrovare casa. Che altra scelta avevo?

    Papà, papà, papà. Sibilò il vento deridendomi.

    «Ehi ragazzi, finalmente ho trovato del vero cibo» Qualcuno con un balzo uscì allo scoperto.

    Rimasi immobile. Bloccata. Senza fiato.

    «Non prendermi in giro, Phil»

    «E chi ti sta prendendo in giro!», sbraitò. Indossava un paio di jeans sudici di terra e sangue e una T–shirt sbiadita. I capelli corti e castani mettevano in risalto il viso cereo e stanco. «Ciao», mi disse ridendo divertito. Intravidi i canini gialli e appuntiti come lame.

    I suoi occhi erano grandi, si. Ma erano inghiottiti dalle pupille dilatate. Ne apparvero altri tre come lui.

    Di istinto indietreggiai e il primo, Phil, produsse un lamento felino per esprimere la sua disapprovazione.

    «No... non fare così», minacciò leccandosi le labbra e muovendo la testa a scatti nell'osservarmi. Gli altri tre vampiri risero isterici e in un modo inquietante. Potevo solo immaginare a quale sorte stessi andando incontro. Mi limitai a fissarli con occhi traboccanti di paura.

    «Che cosa c'è?» mi domandò uno dei tre vampiri socchiudendo gli occhi in due fessure oscure.

    Le parole mi si bloccavano in gola. «V–voglio tornare a casa...» ciò che dissi diede sfogo a nuove risa.

    «Sentito Phil? Vuole tornare a casa...» Mi ricordava le movenze di un corvo mentre osservava la propria preda. «Hai un cuore davvero veloce», sussurrò sarcastico. Riuscivo a sentirlo anch'io mentre mi rimbombava nella piccola cassa toracica.

    D'un tratto, come se fosse un leone, un lieve ringhio di impazienza nacque nel petto di Phil. I suoi occhi famelici mi guardarono con voracità. Un attimo dopo si lanciò all'attacco verso di me. Ma qualcosa lo bloccò a pochi passi dall'afferrarmi. I vampiri furono colpiti da raffiche di pietre che gli infastidì oltre che deconcentrarli da me.

    «Voi! Andatevene via di qui!» urlò una voce dagli alberi. Alzai lo sguardo verso gli alberi e vidi qualcosa muoversi fra il fogliame.

    «Prendilo e fallo a pezzi!» disse Phil infastidito. Successivamente si voltò dandomi le spalle guardandosi attorno.

    «Presto!», fui afferrata improvvisamente per mano e trascinata via di lì. Non sapevo chi fosse, né dove stessimo andando. Mi sforzavo solo di muovere quelle dannate gambe e di correre il più velocemente possibile via, lontano da quei vampiri bramosi di sangue.

    «Uccideteli entrambi!», udimmo entrambi quelle parole.

    Inciampavo fra la vegetazione, lo rallentavo. Ma niente, non mi lasciava. Quella stretta era una delle più solide che mi fosse stata mai data.

    «Non fermarti! Corri e basta!», mi urlò voltando il viso verso di me. In quel istante vidi i suoi occhi. Non ne avevo mai visti di così luminosi e freddi allo stesso tempo. Erano argentei, racchiusi da folte ciglia scure.

    Subito dopo fummo divisi. Phil mi afferrò con forza da un braccio e mi spinse con veemenza per terra, fra la terra e la polvere. Nello stesso istante in cui provai a rialzarmi, mi afferrò e mi sbattè contro un tronco d'albero.

    «Basta giocare ora», mi sussurrò.

    «Lasciami stare!», urlai scalciando.

    «Lasciala! Lurido succhiasangue!»

    «Uccidete quel dannato moccioso!», ordinò.

    «No!» ruggii. Con il pollice e le unghie incrostate di terra Phil mi accarezzò la carotide.

    Con le lacrime che ormai mi dilaniavano le guance osservai il bambino dagli occhi argentei che avevo di fronte circondato dagli altri due vampiri. Gli allungai un braccio, cercando di aiutarlo. I suoi occhi, duri e severi, si infransero nei miei.

    Qualcosa in quel momento cambiò. Non era il vento, non era la paura e il panico. Avvertii una strana energia elevarsi nell'aria con carica. Il bambino dagli occhi argentei iniziò buttare fuori aria dalle narici con rabbia stringendo i pugni. Inarcò la schiena in un modo disumano. Quello che successe successivamente mi lasciò letteralmente senza parole.

    Il viso tondo e latteo si trasformò allungandosi sempre più. Dalle sue mani spuntarono fuori artigli affilati.

    Poco dopo quell'orribile visione fu sovrapposta dalla figura di un bellissimo lupo bianco con sfumature grigiastre dagli occhi di ghiaccio. Rivolse il viso al cielo ed ululò. Dopo, arricciò il muso ringhiando e schioccando la lingua di fronte ai due vampiri.

    Fra gli alberi si espansero ululati aggressivi ma confortanti alle mie orecchie. Maestosi lupi uscirono allo scoperto correndo con foga fra gli alberi. Erano forse venuti in nostro soccorso?

    Il candido lupo si sferrò insieme al branco ringhiando contro i vampiri. Phil, che mi aveva aggredita, fu allontanato da me. «Dannati licantropi!», gridò fra i denti sporchi di sangue dimenandosi dal dolore mentre lembi di carne venivano staccati a morsi dal suo corpo dai lupi.

    A quell'orribile visione scappai e mi rannicchiai dietro ad un tronco. In quell'istante capii perché mio padre mi volesse sempre al suo fianco. Il mondo, lontano da casa, era davvero pericoloso come mi aveva sempre detto. Fui catturata da un nuovo odore, era mischiato alla felce e ai pini. Era fresco e mi travolse. Sollevai lo sguardo. Attraverso gli alberi e riuscii ad intravedere il bambino–lupo che mi aveva salvato. Era a diversi metri da me, muoveva il muso nero e dilatava le narici mentre mi scrutava con quei suoi enormi occhi di ghiaccio. Avrei voluto essere invisibile, in modo tale che la smettesse di osservarmi. Sperai che non mi attaccasse. Il lupo bianco cominciò a muoversi lento e sinuoso fra i tronchi. Sentivo le sue zampe calpestare le foglie con lievi tocchi. Si avvicinò a me cauto, annusandomi.

    Chiusi gli occhi con forza per non assistere a quello che stava per succedere. Mi avrebbe mangiata come gli altri, ne ero certa...

    Avvertii qualcosa di caldo e ruvido sfregare le mie guance. La sua lingua stava lavando via le mie lacrime. Riaprii gli occhi intimidita. Mi feci coraggio e presi la tua testa pelosa fra le mani. Mi beai di quel calore che pulsava sotto i polpastrelli. La sua pelliccia bianca era morbida e soffice, così come l'avevo immaginata.

    Il lupo sfuggì di colpo dalla mia presa, forse contrariato di quella vicinanza; ma continuavo a specchiarmi nei suoi occhi luminosi e limpidi. Con cautela cercai di avvicinarmi, non avevo più paura. Ero conscia che non mi avrebbe fatto del male. Protesi un braccio per toccarlo nuovamente, ma lui ringhiò.

    Il lupo rimase rigido proteso verso le zampe anteriori, come se volesse balzarmi addosso.

    «Ti ringrazio per avermi salvata», speravo che potesse capire il mio linguaggio anche in quella forma.

    Mosse le orecchie appuntite e roteò la testa di lato. Quando il lupo indugiò verso di me, allungai una mano per accarezzarlo facendo scorrere le dita fra le folte guance, catturando ciuffi bianchi fra le dita.

    Quel lupo, in uno strano modo, scaturì in me un senso di protezione e fiducia. Mi rannicchiai contro di lui abbracciandolo posando la guancia sul suo torace. Era caldo. Il dolce pulsare del suo cuore fu il solo in grado di tranquillizzarmi.

    Con il tempo io ed Ector diventammo amici. Ma la sua vita era diversa dalla mia; i licantropi riuscivano a mischiarsi fra le gente comune con più facilità di noi vampiri. Ogni pomeriggio ci incontravamo nel bosco, giocavamo insieme, ci rincorrevamo alla velocità della luce. Adoravo ascoltarlo mentre mi raccontava delle sue giornate di scuola o mi raccontava del suo branco di come fosse la vita di un lupo.

    Andammo avanti così per diverse settimane, vedendoci di nascosto, fino a quando Richard e non ci scoprì nel bosco. Da allora i nostri pomeriggi si sono spostati nella nostra villa davanti ad un caldo camino.

    Le mie notti fin da bambina, erano state tormentate dalla ricorrenza di strani incubi. In quell'assurdo sogno tutto appariva così nitido, nonostante l'incessante pioggia che battendo sul terreno creava schizzi di fango ad ogni colpo. Il bosco era immerso in una bolla di nebbia e oscurità. La luna era una perla cremisi in cielo.

    Sebbene fosse irreale, l'aria era fredda, il gelo mi bloccava le articolazioni e correre mi sembrava sempre più difficile.

    Devo farcela, non devo mollare! Continuavo a ripetermi.

    Ero allo stremo. Correvo, fuggivo senza tregua. Le fiamme avanzavano sempre più, le fronde degli alberi vibravano di luce come torce. Ma oltre questo, qualcuno mi stava seguendo. Mi fermai di colpo. La radura era terminata ed il sentiero finiva a strapiombo sul mare in tempesta, oscuro come petrolio. Intanto il fuoco avanzava sempre più. Sporgendomi, il terreno sotto ai piedi si sbriciolò come burro. Era troppo alto per poter tentare di tuffarmi e le onde mi avrebbero di sicuro inghiottita.

    Qualcosa si mosse con agilità fra le ombre. Fu rapido, riuscii a catturare solo una figura sfuggente e poco umana. Mi voltai verso il bosco fiammante. Le ceneri venivano trascinate via dal vento, il fumo si elevava in cielo... e urla. Urla umane di dolore erano un coro di morte che si intensificava sempre più.

    Quella cosa con un balzo uscì allo scoperto. Era alto più di tre metri. Ringhiava, dimenava la testa inferocito. Dalla sua bocca colava giù della bava. I suoi occhi erano luminosi come ghiaccio. Della gente correva in mia direzione in cerca di salvezza, con i visi corrosi dalle fiamme e gli abiti carbonizzati si gettavano dal dirupo.

    Un attimo più tardi il fuoco inghiotti entrambi.

    Ci fu solo buio.

    Mi svegliai di soprassalto alle prime luci dell’alba.

    L’aria che mi entrava nei polmoni sembrava non bastasse per riprendermi dall’ennesimo incubo. Nella fioca luce mattutina scrutai la camera in cerca di possibili minacce: i libri sulla scrivania erano in fila, così come li avevo abbandonati la sera precedente. La libreria era in ordine, gli abiti del giorno prima ripiegati sulla sedia. Mi disfai dei piumoni con il cuore in gola e mi catapultai giù dal letto. La finestra era spalancata, le tende sventolavano mosse dalla leggera brezza dell'alba.

    «Non era mia intenzione spaventarti».

    Cercai quella voce nell'oscurità. Una figura avanzò dal denso buio. Era alta, aveva possenti spalle. La sua energia si sprigionava per tutta la stanza. Il viso emerse e gli occhi argentei furono illuminati dalla luce del mattino.

    «Ector?», domandai incredula «Che ci fai qui a quest'ora...» Dio... ma che ore erano? Ector avanzò ancora lasciandosi l'oscurità alle spalle. Rivolgendogli lo sguardo, notai che indossava solamente dei semplici pantaloni neri. Il petto ampio e latteo era in contrasto. I pettorali erano curve perfette. Le vene degli avambracci erano gonfie e ben visibili. Arrossii e distolsi lo sguardo. «Vattene!» borbottai lanciandogli un cuscino.

    «Carina ed ospitale come sempre», rimbeccò.

    «Non hai risposto alla mia domanda!»

    «E tu non sei affatto carina con me», ripeté e sbuffò «Ero solo di passaggio, okay?»

    «Okay!» Feci spallucce. Il suo sguardo era così pensieroso e sfuggente. «Eri con il branco? Le tue unghie sono incrostate di terra» aveva le nocche erano arrossate, le unghie mangiucchiate e sporche.

    Ector si guardò le mani in modo sfuggente.

    «Si. Abbiamo riconquistato gran parte del territorio ad est. Ma queste sono cose che tu non puoi capire...» mi liquidò con un sorrisino beffardo stampato in faccia. Maschilista.

    «So perfettamente a cosa stai pensando e sai non mi serve affatto essere uno di voi, un succhiasangue, per arrivarci. Tu pensi che io sia un egocentrico maschilista.»

    Solo un pochino Ector... «No, affatto...»

    «Mi stai mentendo. Riesco a fiutarlo», strinse le braccia al petto e si accigliò. Già... avevo dimenticato il suo sesto senso.

    Stizzita gli diedi le spalle. «Ector ma non hai niente di meglio da fare, che ne so, tipo rincorrerti la coda?» distrattamente lo sguardo si posò sulla sveglia appoggiata sul comodino. Sgranai gli occhi. Ero in ritardo!

    «Sai, penso che di prima mattina tu sia davvero insop...» lo interruppi.

    «Verde o bianco?», chiesi rovistando rapidamente nell'armadio.

    «Cosa?», sospirò guardandomi impacciata con due maglie diverse «Il maglione bianco» rispose infine. Che fantasia...

    Scossi la testa contrariata. «No... il bianco è troppo candido e angelico poiché un angelo dannato come me possa indossarlo! Vada per il verde. Adesso devi andartene» afferrai Ector per un braccio e lo accompagnai alla finestra «A più tardi!» gli dissi una volta che fu fuori.

    «Aspetta un attimo! Questa sera... ci sarai vero?

    Cercherò di riprendermi il ruolo di capobranco della zona Est della città» i suoi occhi mi scrutavano attentamente in attesa di risposta. Le folte ciglia rendevano quello sguardo più penetrante che mai al di là dei ciuffi corvini ribelli che gli ricadevano sugli occhi.

    «Ci proverò. Sai, ho quella cosa di fare con Ashlee...» dissi mentre Ector si avviava giù per il bosco. Richiusi la finestra e mi affrettai a vestirmi imprecando nella mia

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