Sguardi di ambra
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About this ebook
Sofia, giovane insegnante precaria, coltiva una forte passione per questi affascinanti animali. Reduce da un’esperienza sconvolgente e rimasta senza lavoro, decide di dare una mano al prozio che possiede una cascina in montagna. Nonostante le difficoltà, sono comunque molteplici gli aspetti positivi della vita montana, tra cui quello di poter approfondire gli studi sui lupi avvistati in quei boschi.
Sguardi di ambra ci conduce tra le montagne, in mezzo a boschi e a paesaggi incantevoli, ci racconta l’amore per gli animali e la gioia di guadagnarsi a fatica la loro fiducia, uno sforzo che viene ripagato con un’amicizia pura.
Sguardi di ambra è una storia che parla di coraggio, forza di volontà, amore e rinascita.
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Book preview
Sguardi di ambra - Chiara Vigna Lobbia
http://creoebook.blogspot.com
Chiara Vigna Lobbia
SGUARDI DI AMBRA
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.
Ai miei genitori e a mio fratello
CAPITOLO 1
Nevicava copiosamente e il sottobosco taceva, avvolto in una coperta vellutata e bianca. Nessun rumore, nessuno scalpiccio soffocato di passi; tutto dormiva, o così sembrava.
Solo io, avvolta in una sciarpa che quasi mi copriva gli occhi e in un lungo piumino, ero intenta a seguire una pista e affondavo sempre più gli scarponi, riempiendo con il fruscio sordo dei miei movimenti il paesaggio circostante.
Era trascorsa un’ora dall’inizio della mia scampagnata e ancora procedevo con gli occhi incollati al terreno. L’emozione manteneva viva la speranza: era così raro trovare le loro orme in quei boschi, soprattutto mentre nevicava. Erano fresche e sapevo che di lì a poco sarebbero state sepolte.
Allungai il passo, intenta a studiare il tragitto disegnato, ma dopo circa dieci metri la fila d’impronte s’interrompeva. Realizzai in quell’istante che ancora una volta la ricerca non aveva condotto ai risultati sperati.
Delusa e stanca, sbuffai e mi accovacciai sull’unica roccia che sbucava dalla coltre nevosa. Avevo le gambe indolenzite per il freddo e per la fatica di aver appena risalito un’erta sconnessa. Estrassi la borraccia dallo zaino e ne sorseggiai il contenuto.
Alzando lo sguardo, con la coda dell’occhio notai una sagoma a una quindicina di metri da me; mi levai di scatto, nella speranza di un colpo di scena. Dopo aver messo a fuoco, però, il mio entusiasmo momentaneo si dissolse come una bolla di sapone.
Mi hai illusa. Vieni qui, vagabonda! Non hai sentito che ti chiamavo?
.
L’ammasso di peluria spettinata si diresse verso di me trotterellando.
Ma guardati… Sei tutta sporca… Che schifo
.
Lei mi fissò, palesemente compiaciuta dello stato in cui si era ridotta, e anch’io sorrisi, prima di notare che le orme da lei lasciate sul terreno erano identiche a quelle che avevo seguito sino a quel momento. Mi strofinai le tempie, imprecando tra me e me, mentre tentava di leccarmi.
Chissà cosa hai mangiato! Stammi lontana!
.
Non feci altro che chiedermi se avevo davvero seguito le tracce di Mioara e, se così fosse stato, avrei sprecato una giornata, poiché il cielo stava imbrunendo e il bosco non poteva più essere perlustrato.
Mioara era la mia instancabile e insaziabile femmina di cane lupo cecoslovacco, un concentrato di pura energia capace di trascorrere una giornata intera in salita sul versante di una montagna per poi arrivare a casa e avere ancora la forza di distruggere un paio di vasi e di mangiarne il contenuto; una bestia di trenta chili con un carattere tutto suo, ma di cui ero innamorata.
Abitavamo da circa un anno in un appartamento a Lanzo Torinese, una cittadina in provincia di Torino, dove insegnavo matematica come supplente presso un liceo.
Avevo ventisei anni, mi ero laureata circa due anni prima presso il Dipartimento di Matematica di Torino ed ero entrata nel mondo dell’insegnamento sperando, prima o poi, di entrare di ruolo.
Nonostante tutto, non mi andava male, considerati i tempi difficili dell’economia e il gran numero di gente disoccupata: coltivavo la mia passione per l’insegnamento e speravo di non rimanere senza lavoro, prospettiva plausibile a causa dei nuovi tagli al servizio pubblico.
In ogni caso, quella domenica di dicembre ero serena, all’inizio delle vacanze natalizie e con una gran voglia di scovare qualcosa a cui davo la caccia da ben sei anni.
Come accadeva quasi sempre nelle mie escursioni, anche quella volta era stata un fiasco. Studiare da vicino un animale selvatico era un’impresa ardua, per non parlare del fatto che io lo facevo a livello del tutto amatoriale e non disponevo dell’attrezzatura idonea; in aggiunta a tutto ciò mi stavo occupando di uno degli esseri più schivi nei confronti dell’uomo.
Iniziai la discesa ma, prima di dirigermi verso l’auto, mi recai alla vecchia baita di mio nonno: una costruzione decrepita, con il tetto in pietra pericolante e una buona dose di muschio sulle pareti. Il legno delle finestre era marcio e zeppo d’acqua e l’unica cosa che pareva reggersi stabilmente in piedi era il portoncino d’ingresso. Infilai la pesante chiave d’ottone nella toppa e la girai con uno schiocco.
Un cigolio sinistro accompagnò l’apertura. M’introdussi titubante, controllando che sopra di me nulla mi stesse per crollare in testa. La muffa creatasi a causa dell’umidità ricopriva ampia parte del soggiorno, che consisteva solo in un divano gualcito accostato a un comò in noce e in una stufa a legna dell’antiguerra. La zona notte era ridotta a poca paglia sparpagliata sul pavimento, anch’esso in pietra, mentre del cucinino non restava che una vasca in ceramica incrostata di sporcizia che fungeva da lavandino e il bagno non esisteva più. Insomma, di accogliente quella baita non aveva nulla.
Mioara entrò alla riscossa, ma scivolò su una pozza d’acqua formatasi sul pavimento a causa di una falda nel soffitto e si scontrò contro la parete opposta. Spaventata scappò fuori e non rientrò più; io ignorai il tutto e mi concentrai su ciò che mi circondava, cercando di fare una stima dei danni riportati alla struttura. Il lavabo non aveva alcun collegamento esterno, infatti mio nonno mi raccontava che l’unico modo per avere una riserva d’acqua era attingerla al torrente che scorreva a lato della casa.
Il resto probabilmente poteva essere sanato con un’accurata pulizia e una verniciata ai muri. Pensai allora che il giorno seguente avrei potuto dare il via alle opere di restauro, tanto il tempo non mi mancava e un po’ di lavoro mi avrebbe aiutata a scacciare il pensiero fisso della scuola.
Uscii richiudendo a chiave e mi accorsi che era molto buio. Allacciai il guinzaglio a Mioara per evitare che gironzolasse nel bosco e accesi la torcia. Non ero preoccupata poiché conoscevo quel luogo come le mie tasche.
Montai sul fuoristrada, accesi il motore e lo lasciai riscaldare qualche secondo prima di partire. La strada era in gran parte sterrata, nel tragitto incrociai alcuni caprioli, cerbiatti e un cinghiale. Passai a prelevare i soldi per l’affitto e mi recai dalla mia padrona di casa per pagare. Era una donna anziana e molto gentile; possedeva quattro alloggi, tre dei quali in una palazzina.
Siccome nei condomini erano piuttosto restii alla presenza di animali, soprattutto se di grossa taglia, ero riuscita a trovare in affitto a modico prezzo un alloggio al piano terra di una casa a due piani, comprendente anche dieci metri quadri di giardinetto esterno.
Sopra di me abitavano la padrona e il marito, molto discreti e pazienti. Ogni volta che passavo da loro, ne uscivo con qualche manicaretto cucinato apposta per me, così anche quel giorno la signora mi congedò con una vaschetta di lasagne ancora calde perché, citando le sue parole, ero sciupata
.
Scesi nel mio appartamento e accesi la stufa. Scortai Mioara momentaneamente in giardino e preparai la cena, riscaldando anche un pezzo d’arrosto lasciatomi da mia madre la sera prima.
Apparecchiai la tavola, accesi il televisore e riempii la ciotola, mentre la mia coinquilina grattava sulla porta per entrare.
Avanti, avanti, è ora di cena
, brontolai aprendole. Feci per sedermi, ma il telefono squillò.
Pronto?
.
Sofia, sono Simone
.
Ciao, che bella sorpresa! Dimmi tutto
.
Ascolta, stasera andremo da nonna e mi chiedevo se potevamo passare a salutarti
.
Ma certo, non devi nemmeno chiedermelo. Vi aspetto, a dopo
.
Tornai a tavola, ma della cena assaggiai solamente due forchettate, tanto che la riposi nel forno per riscaldarla nuovamente il giorno successivo.
Poco dopo suonò il citofono e corsi ad aprire.
Ehilà, come state?
.
Non riuscii a finire la frase che mia nipote mi era già saltata in braccio.
Bene, grazie. Tu? Ti vedo magra
, esordì mio fratello entrando con mia cognata, che teneva in braccio il più piccolo.
Scommetto che te l’ha suggerito mamma di dirmelo
.
No, cara
.
Sì, invece
, sussurrò ammiccando Nadia dietro di lui.
Siete tremendi. Dai, venite in salotto che ho preparato il caffè
.
Il piccolo era concentrato su altro, mentre Lucia, udito lo strisciare delle zampe sulle piastrelle, scese dalle mie braccia per avvinghiarsi al collo di Mioara. Li feci accomodare e versai il caffè nelle tazzine.
Allora, Sofi, come stai?
, ripeté Simone.
Bene, te l’ho detto
.
Oggi sei andata in montagna?
.
Sì e credo di aver sprecato la giornata a seguire le tracce di Mioara
.
Risero.
Bene, stai facendo progressi
, scherzò mia cognata, poi continuò: In quanto al lavoro, hai novità?
.
"No, purtroppo. A febbraio scade il contratto attuale e poi si vedrà. Attendo nuovi incarichi, ma non so se devo essere fiduciosa. L’unica magra consolazione è che la