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La vera storia del Gesù che visse a Palermo
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Ebook94 pages1 hour

La vera storia del Gesù che visse a Palermo

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Il Maestro è il personaggio di questa storia che mai durante tutta la narrazione viene chiamato Gesù. Egli è un profeta immaginario frutto della mia fantasia e non ha nulla a che vedere con il vero ed unico Gesù sebbene la sua storia o meglio la sua disavventura si rifà a quella tracciata dal Vangelo. L’idea di immaginare nascere nei nostri giorni un nuovo profeta simile al Gesù del Vangelo - ma ripeto non è Lui - è stata tuttavia così potente e travolgente da non poter resistere alla tentazione di trarne un racconto.

La velocità supersonica con la quale ho scritto “La storia del Gesù che visse a Palermo” e il suo carattere prevalentemente comico diverso dal mio prevalentemente improntato alla serietà mi fanno pensare che qualche entità soprannaturale me lo abbia dettato. Credo, anzi ne sono certo, che non fosse un diavoletto, ma un angioletto mandato magari dal suo superiore inevitabilmente autoironico come lo sono le persone intelligenti.

Il maestro nasce a Palermo e si imbarca in una mission impossible: cercare di comunicare con i Palermitani. Gli verrà impedito di parlare, di annunciare la buona novella e se riuscirà a parlare verrà travisato. Tutti cercheranno di derimerlo dalla pericolosa convinzione di essere il figlio di Dio, cercheranno di svegliarlo dal sogno, si metterà in moto la macchina stritola sognatori. Lo faranno per il suo bene, per evitargli la pazzia.

La storia non sarebbe cambiata se anziché a Palermo, il Maestro fosse nato a Napoli o Milano, a Roma o Parigi. La missione del Maestro avrebbe trovato ostacoli insormontabili in qualsiasi luogo del mondo tranne uno. Per questo motivo gli viene consigliato di rinascere nell’unico luogo dove potrà trovare le sue soddisfazioni: la Palestina naturalmente.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateNov 13, 2014
ISBN9788891162724
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    La vera storia del Gesù che visse a Palermo - Maurizio Melodia

    vecchio.

    Calogero

    C’era, a quel tempo, all’Arenella, un pescatore di nome Calogero noto per essere un gran lavoratore, ma soprattutto per essere un rognoso rompiballe, ma anche, a suo modo, un uomo buono anche se sfortunato.

    Vendeva il pesce a poco e a quelli che non potevano permetterselo lo cedeva gratis. Era una pasta d’uomo, ma se ritornava con la sua barca, dopo una nottata passata in mare, senza avere pescato nulla, era meglio lasciarlo perdere per non rischiare una sua reazione violenta. Quando ancora era al largo si potevano ascoltare gli improperi contro tutti gli dei e tutte le puttane del mondo. La povera Eva era quella che se la passava peggio, per lei aveva parole uniche.

    In quelle occasioni gli capitava di trascorrere anche tutta la giornata all’osteria a bere e a fumare come un turco.

    Anche quella mattina di luglio, Calogero era ritornato al molo del porticciolo, dopo una nottata passata in mare a pescare, bestemmiando come un ossesso con voce grossa da far paura. La gente preferiva tenersi a distanza da lui e, già quando lo vedeva imboccare il porticciuolo, si allontanava dalla banchina dove attraccava poiché in quei momenti, Calogero era intrattabile, quasi inferocito, e chiunque gli si avvicinava anche solo per calmarlo rischiava di prenderle e di finire buttato in mare.

    Si era appostato sul molo sin dalla prima mattinata un ragazzo e, mentre Calogero stava per fissare la cima alla bitta, questi gli si avvicinò e gli chiese con voce bassa e affettuosa: Calogero, cosa hai pescato oggi?

    Calogero lo guardò ancor più incazzato perché era ovvio che non aveva pescato un bel nulla dal momento che la barca era vuota; perciò pensò che quella domanda fosse un ulteriore presa per il culo dopo quella del buon Signore che si era divertito a far scappare tutti i pesci lontano dalle sue reti, e non gli rispose, ma il suo sguardo lo fece per lui.

    Calogero… da oggi ti chiamerò Pietro! gli annunciò il ragazzo sempre tranquillo e a bassa voce.

    Pietro si accese due sigarette e se le mise entrambe in bocca. La dolcezza del ragazzo lo aveva salvato da una reazione subitanea di Calogero. Se si fosse trattato di qualcun altro, non avrebbe avuto scampo e si sarebbe ritrovato il naso a pezzettini.

    Senti beddu, ma non ne hai che fare? gli domandò trattenendosi a malapena dallo spaccargli la faccia. Calogero, guardami negli occhi! gli impose il ragazzo e quello, dopo un po’ di tentennamento, lo fissò e rimase folgorato dal suo sguardo così strano e così affascinante che dovette voltarsi a forza per non rimanerne ipnotizzato.

    Il ragazzo non era bello, ma affascinante, si proprio un ragazzo affascinante.

    Fammi salire sulla tua barca e allontaniamoci! gli chiese gentilmente, ma deciso.

    Perché, dove andiamo? rispose stizzito il pescatore.

    A pescare!

    Ma se ho finito di lavorare proprio adesso e non ho pescato un bel niente! gli urlò Pietro con tutta l’aria che aveva in gola.

    Pietro!… lo trattenne il ragazzo.

    Io mi chiamo Calogero! replico nervosamente il pescatore.

    Pietro, abbi fiducia in me!

    Calogero guardò il viso del ragazzo e ne rimase impressionato. Sorprendentemente, si convinse ad eseguire la sua richiesta, più per curiosità, e secondo me con l’idea di aver trovato il tipo contro cui sfogarsi una volta accertato che lo stava prendendo per i fondelli. Lo fece salire in barca, lo fece sedere e si affrettò a prendere il largo. Calogero remava e sorrideva pensando a quante botte avrebbe dato a quel giovanotto improvvido che non sapeva con chi aveva a che fare. Il ragazzo dal canto suo si guardava attorno e sorrideva beatamente.

    Chissà a che pensava.

    Quando furono in mare aperto, il ragazzo chiese a Calogero ovvero Pietro di distendere le reti in acqua e quindi di issare. Calogero se la rise come un pazzo. Presagiva come sarebbe andata a finire quella storia, quella bella presa per il culo: a quel ragazzino gli avrebbe spaccato la faccia e anche il resto, c’era da giurarlo, così gli sarebbe passata la voglia di prendere per il culo un povero pescatore sfortunato.

    Buttò le reti dicendo nervosamente divertito: Tu, stasera, non ci torni a casa, te lo dico io. Qua ti lascio, ti faccio mangiare dai pesci.

    Dopo dieci minuti, cominciò ad issare la rete fischiettando sicuro che sarebbero state vuote, con le dita delle mani che fremevano dal desiderio di far schizzare il sangue dagli occhi e dal naso di quel bel tipo, ma man mano che le reti salivano, il suono del suo fischio

    si afflosciò fino a tacere del tutto. Le reti erano stracolme di pesce, tanto quanto Calogero… Pietro non aveva mai pescato in tutta la sua vita. Pietro non riusciva a credere ai suoi occhi: spigole, cefali, sgombri, tonni, pesci spada e ancora pesci di ogni tipo in grande abbondanza.

    Chi sei tu?

    lo supplicò di dirgli stralunato, arretrando per la paura, il poveretto.

    La ferocia aveva lasciato spazio, sul suo volto, all’incredulità, al terrore.

    Pietro, non domandarmi ciò che il tuo cuore sa già, ma seguimi senza tentennamenti e aiutami a predicare in questa città la buona novella. Chiamami Maestro. Sono stato mandato per redimere il tuo popolo dal Padre che sta in Cielo.

    Pietro annuì con fede estrema senza proferir parola.

    Quello che aveva visto parlava da solo.

    Da oggi, Pietro, niente più bestemmie!

    Va bene, Maestro!

    Niente più alcool!

    Va bene, Maestro!

    Niente più sigarette!

    Va bene, Maestro!

    E fu così!

    I discepoli

    Nel giro di poco tempo, il Maestro riunì presso di sé un gruppo di dodici bravi picciotti, i suoi fedelissimi apostoli, nonché un numero imprecisato di simpatizzanti fra ragazzi e ragazze, vecchi, giovani e bambini.

    Gli apostoli, oltre Pietro, erano: Tonino e Vicè dell’Arenella; Saro, Gasparino e Totò del Borgo Vecchio; Ciccio, Mimmuzzu e Iachino di Acqua dei Corsari; Tano e Pino dei Quattro Canti. Poi c’era il dodicesimo, un uomo tenebroso e taciturno sempre in giacca e cravatta che amava colloquiare con il Maestro solo in

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