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La Vita Comunque
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La Vita Comunque

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About this ebook

Queste pagine vi faranno vedere con quale entusiasmo, con quale incomprensibile ostinata felicità Alessandra ha attraversato la sua infanzia. L’irruzione della giovinezza, con un vigore, con una pienezza di vita, di cui a volte non c’è traccia nel comportamento delle persone così dette “normali” vi coglierà di sorpresa. Vi dirà che la dignità negata, la pienezza di diritti dimenticata non sono una triste conseguenza della disabilità, ma un intollerabile frutto dell’abbandono, dell’incivile assenza di chi dovrebbe esserci e non c’è. Quando leggete quelle cifre da piccola mancia che Alessandra, forte del suo pieno diritto, annuncia o ricorda ai concittadini italiani, saprete che inciviltà non è solo mafia, è anche indifferenza, è anche far finta di niente. Ma leggendo questo libro noterete la presenza della voce cha ha raccolto e montato il materiale di vera vita, vera storia, vera felicità, vero dolore di Alessandra Incoronato e di tutte le persone che lei rappresenta. È Giovanna Caratelli, a cui dobbiamo il dono di queste pagine. È un dono che cambierà molte vite.

Furio Colombo
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateFeb 18, 2015
ISBN9788891177643
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    La Vita Comunque - Alessandra Incoronato

    padre.

    Giuseppe

    Il padre di Alessandra è un uomo provato dalla vita. Anche nel fisico. Ma ha degli occhi vivacissimi e un modo di parlare pacato, tranquillo anche quando racconta cose dolorose. E la sua vita è sempre stata difficile.

    "Ho sempre dovuto stare vicino ai bambini, anche ai primi due figli. Quando il primo aveva diciotto mesi mia moglie, si ammalò di tubercolosi ed era già incinta della seconda. Appena nata la bambina la portai a casa, mi aiutava mia suocera. Ci vollero tre anni di cure in sanatorio per guarire, adesso sembra niente a dirlo ma furono tre anni durissimi, coi bambini piccoli da allevare, lei da curare… però guarì perfettamente, senza nessuna ricaduta.

    Poi mia moglie ebbe un’infezione ovarica e le dissero che sarebbe rimasta sterile. Non la prendemmo male, in fondo avevamo già due figli. Eravamo felici. Io avevo un buon lavoro. Facevo il fotografo scientifico. Mi dava tanta soddisfazione, avevo due figli e una moglie che era una vera compagna di vita.

    Dopo dieci anni mia moglie rimase incinta di nuovo. Avevano sbagliato la diagnosi. Eravamo contenti quando nacque Andrea.

    Andrea era, fin da piccolissimo, un bambino attento, intelligente, però si muoveva poco. Io facevo il confronto con gli altri figli. Il sospetto cominciò a venirmi intorno ad un anno, cominciammo a fare le ricerche. Io avevo tanti amici nel mondo scientifico, per via del mio lavoro. Intanto mia moglie era di nuovo incinta di Alessandra.

    Era al sesto mese quando ci dissero che Andrea aveva la distrofia muscolare, che era una malattia genetica. Che poteva averla anche la bambina che mia moglie aveva in grembo. A quel tempo non c’erano tutte queste analisi che ci sono ora, tipo l’amniocentesi.

    Comunque nacque anche Alessandra. La guardavo sempre con la speranza che fosse sana. Quando cominciò a tirarsi in piedi le tenevo le manine, pensavo forse… non osavo completare la frase. Poi fu chiaro che anche lei aveva lo steso problema. Meno grave di Andrea, ma lo stesso. In seguito scoprimmo che non era distrofia muscolare ma Amiotrofia spinale. Ci sono due tipi di questa patologia Andrea aveva il tipo A più grave, Alessandra il tipo B. Fu terribile.

    Andrea era un bambino buonissimo, dolcissimo e molto intelligente, capiva tutto e tutti chiedevano a lui consigli e lui aveva sempre la risposta pronta. Io lo guardavo, lo guardavo e cercavo di non mostrare la mia disperazione, sapevo che sarebbe vissuto poco. Lui coglieva certe volte quello sguardo e mi diceva Papà non devi essere triste io sono felice, anche se non posso camminare. Lo portavo sempre con me, sempre.

    Io sono sempre stato un cacciatore appassionato. Per un cacciatore non c’è cosa più bella dell’apertura della caccia, con gli amici, l’attesa della sera prima. Mi ero lasciato convincere ad andare, era uno dei pochissimi diversivi che avevo. Ma quando fui sul posto dovetti tornare indietro di corsa. Non ce la facevo a stare lì e pensare che Andrea poteva aver bisogno di me.

    Mi misi in pensione e comincia a lavorare ad una casetta che avevo al paese, con un po’ di terra intorno, volevo portare Andrea a vivere lì. Lavoravo come un disperato. Volevo finirla presto, sapevo che Andrea non sarebbe vissuto a lungo. Ci abbiamo passato tanto tempo, anche se non c’era la luce, collegavo una lampadina alla batteria della macchina. Era tutto un po’ arrangiato, ma Andrea era felice quando stavamo insieme.

    Io facevo di tutto per accontentarlo. In pochi anni cambiai sei macchine. Batava che Andrea dicesse Papà hai visto quel nuovo modello? io stavo zitto e registravo. Appena potevo lo compravo. La gioia di Andrea mi ripagava di ogni sacrificio. Anzi non era proprio un sacrificio.

    Andrea doveva essere aiutato per tossire, perché i muscoli del torace erano debolissimi, rischiava di soffocare se non riusciva ad espellere il catarro. Così mi inventai una manovra per aiutarlo. La manovra non è accettata dai medici che si rifiutano di farla. Perché la considerano pericolosa. Invece è l’unica che li aiuta veramente. Anche adesso, ogni tanto dicono ad Alessandra che la vogliono ricoverare, ma se la ricoverano e non l’aiutano a tossire, con quella manovra, lei muore. Spesso stavo alzato per ore a fare quel movimento di giorno o di notte. Era una fatica bestiale.

    Una volta ero stato a prendere un frigorifero che dovevo portare alla casetta in campagna. Però mi ero dimenticato le chiavi a casa, così dovetti tornare indietro a prenderle.

    Quando arrivai sotto casa c’era la disperazione. Andrea stava morendo soffocato. Mia moglie aveva chiamato l’ambulanza che non arrivava. Era ormai diventato viola. Sembrava morto. Allora cominciai a soffiare ed aspirare dentro la bocca per smuovere quel grumo di catarro che gli impediva il respiro. Fu la forza della disperazione, lo sforzo terribile, finalmente riuscii a sbloccare. Fu un miracolo.

    Da quel momento però Andrea mi guardava sempre con il terrore negli occhi, appena mi allontanavo. Lo sapeva che la sua sopravvivenza era legata a me, alla mia presenza. Non diceva niente, mai io la vedevo sulla sua faccia quella apprensione terribile. Allora smisi di allontanarmi del tutto. Non lo lasciavo più solo nemmeno dieci minuti.

    Gli avevo sempre parlato della mia passione per la caccia. Una volta lo portati con me, senza fucile, naturalmente. Avevo un cane da caccia incredibile, bravissimo. Il vero cacciatore è il cane, è lui che fiuta la preda, che la stana. Partimmo la mattina io lui e la madre. Arrivai con la macchina fin dentro al bosco poi lo presi in braccio. Era una giornata bellissima Andrea non stava in se dalla gioia. Sciolsi il cane. Lo incitavo a cercare la preda. Finalmente trovò dei fagiani. Si mise nella posizione di punta fermo immobile, gli diedi l’ordine di farli alzare. Non posso dimenticare quel momento: il cane che stana la preda, i fagiani che si alzano con un gran rumore di foglie smosse, la felicità di Andrea. Credo che sia stato uno dei giorni più belli della sua vita. E anche della mia.

    Il padre di Alessandra dopo essersi licenziato aveva aperto un’attività sua, vicino casa, per stare più vicino alla famiglia. La moglie lo aiutava in negozio. Alessandra ed Andrea restavano a casa con la nonna, parlavano, giocavano e aggiustavano le radio e tutti i piccoli congegni elettrici che capitavano. Andrea era molto bravo e Alessandra gli passava gli attrezzi. Con loro abitava la nonna, la mamma della madre di Alessandra. Era lei che si alzava la notte per aiutarli a girarsi nel letto. Era lei che comandava davvero in casa. La nonna aveva avuto una vita difficile, dura. Aveva perso il marito in guerra mentre aveva già la figlia ed era incinta del secondo. Aveva sempre lavorato duramente e cresciuto i figli da sola, mai nessuno vicino, mai un uomo. Viveva in casa con la figlia, aveva mantenuto il suo carattere severo, forte.

    Con loro abitavano anche i fratelli maggiori di Alessandra, anche se erano più grandi a volte giocavano con fratellini. Nascondevano Andrea, che era così minuto che entrava perfino nei cassetti del comò. Lo nascondevano e il padre fingeva di cercarlo e quando infine apriva il cassetto tirava fuori il bambino che rideva felice. Altre volte facevano indossare ad Andrea ed Alessandra i vestiti della prima comunione. I piccoli non avevano voluto farla, così i fratelli maggiori giocavano alla prima Comunione con loro. Ma la maggior parte delle volte i fratelli maggiori uscivano, avevano la loro vita.

    Così era Alessandra che vigilava su Andrea. Andrea aveva la bronchite cronica e doveva essere aiutato per tossire, era Alessandra che chiamava i genitori o la nonna

    A Carnevale la casa si riempiva di bambini. Alessandra li radunava tutti, quelli del palazzo e anche altri. Sceglieva le maschere, prestava i suoi vestiti, li truccava. Tutti ridevano e scherzavano. Poi all’improvviso era l’ora della festa e tutti uscivano, facendo confusione, gridando. Alessandra ad un tratto si trovava sola in un gran disordine di abiti, trucchi, stelle filanti. Lei si guardava intorno e pensava E io?.

    Alessandra non poteva uscire di casa perché non c’era l’ascensore. Era diventata una bambina pesante e non c’era nessuno che la potesse far scendere. Il suo regno era il pianerottolo e i vicini di casa. Andava da loro a chiacchierare e a giocare quando i genitori erano al lavoro. Le giornate passavano così. Poi arrivava il padre e incominciava la baraonda.

    Alessandra era forte, si sentiva privilegiata. Pensava che non era giusto che il fratello fosse così debole e lei forte. Quel fratello tanto amato da tutti che non si lamentava mai, che aveva sempre il sorriso. E lei invece no. Lei era ribelle e protestava e si imponeva.

    La madre di Alessandra era una donna pratica, poco espansiva. Stava con i piedi per terra. Pagava le bollette, teneva i conti. Aiutava il marito, teneva in ordine la casa. Il padre la amava, la amava molto. Ma era un uomo vivace e vitale, piaceva alle donne e le donne gli piacevano. Forse ne ha avuto molte, ma non ha mai smesso di amare la moglie e di starle vicino e di riempire la sua vita come un tornado di idee e di energia.

    D’estate andavano in campagna. Andrea e Alessandra cantavano, in macchina, durante il viaggio. In campagna Alessandra aveva più libertà. Poteva entrare e uscire come voleva perché la casa era a piano terra. I bambini la venivano a cercare. Lei usciva, ma poi si sentiva in colpa, per il fratellino rimasto a casa. Allora si metteva piangere Voglio andare a casa, da Andrea.

    Una mattina mi svegliarono le grida dei miei genitori. Subito mi prese il panico. Mio padre urlava e piangeva Portami con te, portami con te! Io nel mio letto, bloccata, ero assalita da un’ansia terribile. Chiamavo, chiamavo ma nessuno mi rispondeva, nessuno mi dava retta. Ad un certo punto entrò un amico di famiglia nella mia stanza e mi disse Stai tranquilla, non è successo niente. Ma come potevo stare tranquilla se sentivo i miei genitori urlare e disperarsi. Alla fine qualcuno mi aiutò ad alzarmi, mi mise nella mia carrozzella. Andai in camera dei miei e sul lettone c’era sdraiato mio fratello, con gli occhi socchiusi. Mi sembrava che mi stesse facendo l’occhietto. E’ uno scherzo pensai.

    Mio fratello dormiva spesso con i miei, mio padre non sapeva dirgli di no. Poi forse pensava di poterlo controllare se si sentiva male nel sonno. Ma quella notte mio fratello era morto proprio lì nel lettone e i miei non si erano accorti di niente. Non potrò mai dimenticare quel momento le grida dei miei lo sguardo semiserio di Andrea. Nessuno badava a me, è strano, non so cosa ho pensato, vedi, certe volte la situazione è talmente più grande di te che non ti sembra nemmeno vera.

    Vedo tutto ancora distintamente, ti restano impressi dei particolari assurdi, il colore della coperta, la luce che entra in un certo modo dalla finestra. Tutto sembra estraneo e al tempo stesso preciso, limpido. Vedo i miei genitori disperarsi, li vedo gridare, sento la mia voce gridare. Ma non sono io. Io sto da un’altra parte, sono un’osservatrice esterna, ma sono anche dentro la scena. Al terribile dolore i miei genitori aggiungono il senso di colpa.

    Forse Andrea aveva chiamato, forse aveva cercato aiuto. Cercano di immaginare gli ultimi istanti disperati del loro bambino così amato.

    Averlo avuto così vicino e non essersi accorti di niente.

    Dormivano mentre il loro bambino moriva e non si sono accorti di niente.

    Forse nemmeno Andrea si è accorto di morire. Ha quel sorriso sulle labbra gentili, sembra che mi faccia l’occhietto. Non sembra morto. Ma il dolore dei miei genitori mi riportava alla realtà. Andrea era morto e questo è un fatto definitivo, incancellabile.

    Alessandra è una grande narratrice. Mi piace ascoltarla. Ogni tanto anche io le racconto qualcosa di me perché mi sembra strano di sapere tutti questi dettagli della sua vita e che lei non sappia niente della

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