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La profezia di Czarat
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La profezia di Czarat

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About this ebook

Sembra una mattina come tante. Poi la pioggia, quel sentiero che sale verso il monte e quelle strane orme di scarponi. Di Saro, l’anziano pescatore, Adrian si fida sin dal primo momento. E con lui si avventura verso la vetta di una terra prima sconosciuta. Bendato ed imbavagliato, in una grotta ben nascosta tra rovi e boscaglia, il ragazzo incontra Shara. E, nella cattiva sorte, di lei perdutamente s’innamora. E’ una storia inquieta quella che si cela dietro le parole dello spietato Ameer e nello sguardo della cinica Ronnye. Un tradimento, un inspiegabile incidente sulla neve, un omicidio, ed una scelta, davvero singolare, per sopravvivere da eremiti. Ormai Czarat non è più il paradiso di anni addietro. Tutta colpa del 17 marzo. Ogni volta quel nefasto giorno. Come per un arcano maleficio. Un maleficio, profumato di mimosa e intriso di vendetta, che solo una profezia impedirà di completare.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJun 11, 2015
ISBN9788891193681
La profezia di Czarat

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    La profezia di Czarat - Vito Favia

    insegnato!

    1

    Cadeva una fitta pioggia di marzo. Era scuro il bosco verso il monte. Tra nere nubi che coprivano le vette. Il sentiero era tutto terra e fango. Con l’acqua che cancellava strane orme. Era freddo come mai a primavera. E quei tuoni ormai padroni del cielo non lasciavano presagire nulla di buono.

    Il rifugio era a circa due chilometri. Troppi con un tempo come quello. Eppure era il riparo più vicino. Camminava a testa bassa. Lento e da solo.

    Lui, i suoi pensieri e quelle orme.

    Al rifugio troverò qualcuno!, disse.

    La pioggia era sempre più fitta. Era fradicio. Tremava come una foglia. Ma non poteva fermarsi. Là nessuno lo avrebbe mai trovato.

    Individuare quei passi nella terra era un gioco che quasi lo consolava. Ma più si arrampicava alla vetta e più pioveva. L’acqua scorreva a rivoli. Portava foglie secche e detriti di ogni genere. Affondava i suoi piedi come in piccole sabbie mobili. Guardava avanti e gli pareva di vedere l’inferno.

    Non sapeva nemmeno perché si ostinasse a procedere.

    Se era solo una sfida alla montagna ribelle oppure il desiderio inconscio e silenzioso di dare un volto a chi lo aveva preceduto.

    A fatica distingueva quelle sagome di scarponi. Più avanzava e più la pioggia ne cancellava il segno. Erano grandi. Di uomo sicuramente. E forse zoppicante, perché quel passo non era affatto simmetrico. L’orma di destra sembrava più distante, come di un piede trascinato a fatica. E poco in là, vicino il passo destro, sempre un buco. Poco profondo, come di un bastone. Un bastone forse solido e robusto, che reggeva il peso di quel viandante misterioso.

    Un tuono, dal fragore insolito, disturbò la sua attenzione. Tirò il cappuccio impermeabile fin dove poteva sul viso e proseguì.

    Ricordava una croce, lì poco più avanti sul sentiero. Una di quelle piccole croci di montagna. Di quelle fatte a capannina. Dove spesso si fermava a riposare nelle lunghe camminate d’estate.

    Era là. La vedeva tra la pioggia. Duecento metri più avanti. Sulla sinistra. Ben protetta da una vegetazione che grondava acqua da tutte le parti. Avrebbe voluto aumentare il suo passo. Ma era appesantito. Sembrava di legno. Le gambe pesavano come macigni. Tossiva e tremava. Era gelido in viso ed in corpo.

    Arrivo alla croce e mangio qualcosa…, disse.

    Lì, al riparo, riprenderò un po’ di forze.

    Aveva ancora un panino nel suo zaino. E quelle energie gli sarebbero bastate fino al rifugio. Stringeva i denti, mentre l’acqua gli rigava il viso. E pensava al vicino ristoro.

    Scusi signoreee!, d’improvviso sentì alla sua destra. Signoreee!, ancora quella voce gridava.

    Si voltò. Tra quegli alberi il buio regnava sovrano. La pioggia ed i tuoni cancellavano ogni altro suono o rumore del bosco. Eppure quella voce l’aveva sentita. Due volte. Ed anche ben chiara. Ma lì, alla sua destra, non si vedeva davvero nessuno.

    Signoreeee!, ancora quella voce. Che questa volta gli sembrava provenire da sinistra.

    Sto delirando!, pensò.

    SIGNOREEEEEE!, quella voce si faceva ancora più insistente. Rimbombava nelle sue orecchie ormai da tutte le parti. Non vedeva nessuno ed incominciò ad avere paura.

    Poi una mano sulla spalla. Signoreeee!.

    E di scatto, spaventato, si rigirò.

    2

    Adriaaan!... Adriaaaan!... Tranquillo, non è niente, cosa stavi sognando?, disse la sua mamma che lo svegliava.

    Eri tutto sudato, e ti rigiravi a destra e sinistra. Che sognavi?, insistette lei.

    Niente. Niente. Solo un brutto sogno!, rispose.

    Forza, giù dal letto!... Devi andare a scuola. Oggi è davvero una bella giornata di primavera!, disse lei entusiasta.

    Quel sogno lo aveva turbato. E gli aveva lasciato pensieri che non riusciva a cancellare.

    S’incamminò verso scuola. La solita strada. Quella che sempre aveva percorso. Eppure quel giorno gli sembrava tanto maledettamente diversa.

    Era distratto. Concentrato su qualcosa che nemmeno comprendeva. Quella pioggia, quella strana pioggia, lui davvero l’aveva sentita sulla pelle.

    E d’un tratto una mano gli toccò la spalla.

    Lasciaaamiiii! , gridò.

    Ma che hai Adrian?.

    Oh, scusa Sara!... Non pensavo fossi tu! Oggi è una giornata strana!.

    Ti è successo qualcosa!, gli chiese lei.

    No, niente. Ma non è una giornata come le altre!... Su, andiamo a scuola dai!

    Sai che ho scoperto una scorciatoia?... , gli disse Sara con un gran bel sorriso.

    Ah sì?

    Sì Adrian. Andiamo di qua. Si fa prima!

    Quella strada gli sembrava di averla già vista. Era un sentiero che tagliava per i campi. Era umido il terriccio sotto i piedi. Come se, non da molto, avesse piovuto. E quelle orme di scarponi enormi, sembravano proprio anticipare i loro passi. I suoi pensieri si fermarono. Il suo cammino pure.

    Adriaaannnnn, ti muovi?, strillava Sara.

    Sì, arrivooooo!

    Dai… sennò facciamo tardi!... Ci siamo quasi. Alla capannina della croce, prendiamo il sentiero a destra.

    Aveva Sara lì a cento metri più avanti. Seguiva lei e quelle strane orme. Poi, d’un tratto la chiamò.

    Saraaaa!.

    Forza muovitiiiii!, gli disse lei.

    Ma dove va quel sentiero a sinistra della capannina?.

    Al monte, Adrian!... Dove vuoi che vada!... Muoviti che facciamo tardi a scuola!.

    Affannato la raggiunse. La croce era lì a due passi.

    Sai Sara, non mi sto sentendo bene oggi!... le disse ansimando vistosamente. Vai, sennò fai tardi. Io, piano piano, torno indietro! Forse ho un po’ di febbre, torno a casa."

    Lei lo salutò e si allontanò correndo. E, giunta alla capannina, svoltò a destra, come poco prima gli aveva detto.

    Lui proseguì, anziché tornare indietro. Non era febbre quella che sentiva in corpo, ma una maledetta curiosità che lo assaliva.

    Il cielo s’incupiva. Di nubi nere che coprivano il sole.

    E, giunto anche lui alla croce, guardò a sinistra. Al sentiero che portava al monte. A quelle orme che, un po’ a fatica, si arrampicavano verso il bosco.

    Piovigginava, era quasi nevischio. Tra una nebbia che presto s’impadronì della visuale.

    Continuò. Tirò su il cappuccio del giubbetto, e continuò. Aveva freddo. Poi un lampo, un tuono, e una fitta pioggia si abbattè sul suo cammino.

    Era tutto terra e fango. L’acqua scorreva a rivoli.

    Non sapeva dove portava quel sentiero.

    Ma lì su un albero, ben incisa, una scritta segnalava: Al rifugio 2 km.

    Non vi erano altre case. Nessuno viveva da quelle parti. Solo alberi, a destra e sinistra.

    Il sentiero diventava quasi impraticabile. E quelle orme sempre meno evidenti, c’erano ancora. Non perfettamente appaiate. Come di un uomo che saliva a passo un po’ claudicante.

    Continuò ancora. Quasi affiancando gli scarponi dell’uomo della pioggia. Per un chilometro, forse poco più.

    Poi, d’un tratto, quel viandante sembrava svanito. Nel nulla, all’improvviso, senza lasciare traccia alcuna. Adrian si guardava intorno. A destra e a sinistra. Ma di quelle orme nemmeno l’ombra. Le ultime due, al centro del sentiero, sembravano il capolinea di chissà quale destino.

    Le guardava. Le scrutava. Si piegò. Come per cercare di capire come mai finissero là dove nessuno avrebbe avuto motivo di fermarsi.E non capiva.

    Come ha fatto a sparire?, si chiese.

    Dovunque c’erano solo alberi e pioggia. E quella nebbia che avvolgeva tutto, metteva una paura grande almeno quanto il freddo.

    Cercò un riparo. Là sulla destra. Dove una fitta vegetazione faceva quasi apparire non piovesse. Si sedette sull’erbetta appena umida, a guardare il temporale che infuriava. Nella pioggia. Ad ascoltare il rumore di quelle gocce.

    Ma dove sono i miei passi?, disse.

    Guardava le sue ultime impronte sul sentiero, ma non vedeva le successive. Come se lui e quel viandante fossero spariti nello stesso punto.

    Dalle ultime orme fin lì dov’era, un’erbetta ricopriva la terra. Bassissima come un tappeto, che nessun calpestìo avrebbe mai potuto svelare.

    Se qualcuno lo aveva preceduto, quel qualcuno si era fermato nello stesso punto lì dov’era lui adesso.

    Aveva paura. Una strana paura. Non la paura di chi si sente solo. Bensì la paura di chi sa di non esserlo pur non vedendo nessuno.

    Signoreeeeee!, all’improvviso sentì.

    Si spaventò, come nel sogno di quella mattina.

    Si rigirò tutto intorno, ma non vedeva nessuno.

    Signoreeeeee!, ancora quella voce.

    Sembrava provenire dalla sua destra. Ma, con quella pioggia e quella nebbia, poteva provenire da dovunque.

    Non sembrava la voce di un uomo. E forse nemmeno di una donna. Col dubbio che stesse delirando, a lui sembrava la voce di una bambina. Che lo vedeva. Perché, se lo chiamava, lo vedeva.

    Ma dov’è ? , diceva ad alta voce.

    "Dove seeeiiiii?, gridò Adrian.

    Signoreeee, sono qua. A destra. Sono qua!.

    Si girò verso destra e finalmente la vide.

    Là, tra gli arbusti, dove nemmeno la pioggia arrivava.

    E dove la luce, se mai fosse giunta, si sarebbe smarrita nel buio. Era piccola, poco più di un metro. Quei capelli di un biondo splendente. E due occhi sì tanto chiari che mai ricordava d’aver visto. Vestita appena. Con pochi stracci. Fradicia come avesse attraversato una tempesta. Con un piccolo zaino sulle spalle ed un sorriso così amichevole che lo invitava a non diffidare.

    Bimba, che ci fai qua nel bosco? Ti sei persa?..., le chiese.

    No signore, non mi sono persa! Io abito qua!, rispose lei.

    Rimase stupito. Non c’erano case nei dintorni. Ne era certo. La vegetazione era così fitta che nessuno sarebbe riuscito a viverci.

    Qua dove?... Dov’è la tua casa?, insistette lui.

    Qua dietro, al di là della grande quercia, lì dove il sole splende da sempre!, gli rispose.

    E là a cento metri, la grande quercia di cui parlava c’era davvero. Enorme. Di una dimensione mai vista. Con un tronco così maestoso che stimolava la sua fantasia. A contatto col terreno, le sue radici s’intrecciavano a gradoni. In un’arrampicata verso due ramificazioni che si aprivano nascondendosi tra fronde sempreverdi.

    Vieni, seguimi, ti faccio vedere la mia casa!, gli disse. E con quei piccoli piedi nudi, scalò la quercia su per le radici. Scostò le fronde tra le ramificazioni. E vi passò attraverso.

    Non sapeva se seguirla. Una parte di sè lo spingeva a farlo. L’altra gli chiedeva perché mai dovesse.

    E si avviò. Salì su per quelle radici. Scostò quelle fronde come lei poco prima. Mise un piede dall’altra parte. Poi anche l’altro.

    3

    Si sentiva come se tutt’un tratto fosse asciutto. Eppure di acqua ne aveva presa davvero tanta. Si riguardava e non aveva una sola goccia addosso. Come se quelle fronde lo avessero asciugato all’istante.

    Era alto il sole. Come fosse mezzogiorno d’estate. E sulla sabbia le orme di Adrian ancora seguivano le sue. Quelle di quel viandante misterioso che d’un tratto, pur zoppicando, pareva aver ripreso a camminare.

    Andava come guidato da chissà cosa. Eppure lei, quell’angelo biondo, non c’era più. Sparita, ove non fosse stata un’allucinazione, un attimo dopo averla seguita.

    Ascoltava il rumore del mare. Che accarezzava dolcemente la riva. Si tolse le scarpe. Sporche di fango, ma stranamente asciutte. E proseguì scalzo. Dritto sulla battigia, come convinto di dove stesse andando. Schiacciava qualche onda che moriva dopo il suo passaggio. E qualche conchiglia che si affossava silente, là poco sotto nella sabbia. Il vento gli sibilava tra i capelli. Mentre un gabbiano, l’unico che vedeva, lo precedeva nella stessa direzione. Era stanco.

    Su di un tronco restituito dalle onde, decise di fermarsi a riposare. E si sedette. Con le braccia che, appoggiate sulle gambe, cadevano penzoloni tra le ginocchia. L’acqua gli bagnava i piedi. E appena la risacca si fece un po’ più lenta, riuscì, più d’una volta, a scorgere il suo volto.

    Un leggero filo di barba gli rendeva quel viso un po’ più rude. I capelli tutti intrisi di sale, come se la pioggia fosse venuta dal mare e non invece dal cielo. Quell’acqua fredda sulla faccia provò a svegliarlo da un sogno che non c’era. E più in là, tra mille detriti depositati dalle onde, quelle orme, ormai non più nitide, si confondevano e si perdevano.

    Erano di donna quelle impronte che ora sembravano indicare la via. Un passo regolare, a piedi nudi, di donna, e non di bambina.

    E la sua testa, sempre più confusa, navigava tra paura e fantasia. Si tolse quegli improbabili vestiti. Non adatti a quell’improvviso sole. Ed a torso nudo e piedi scalzi, proseguì. Verso quell’insenatura all’orizzonte. Dove vedeva tante palme al vento. Ed una barca ormeggiata ad un pontile.

    Speriamo ci sia qualcuno!, fece Adrian. Ho una fame da morire….

    Scottava il sole sulla testa. Camminava davvero a pelo d’acqua. Eppure quel caldo lo sentiva soffocante. Come un laccio attorno al collo che non gli dava tregua, ma che invece gli toglieva il respiro. E con le gambe tramortite di stanchezza, continuò. Verso quello che ormai temeva potesse essere un maledetto miraggio da delirio.

    Non era lucido. Se ne rendeva conto. Privo di forze e forse di coscienza. Andava come spinto dal vento, che allo stesso tempo lo frenava. Ormai vedeva acqua dappertutto, eppure si sentiva bruciare.

    Barcollava come fosse ubriaco. Sentiva sabbia tra i denti e negli occhi. E quella vista, di fatto appannata, distingueva ciò che forse non c’era.

    Era sete. Sete da deserto. Una sete che gli spegneva tutto. Ed in quella pozza lì ad un passo si piegò.

    Acqua…, disse, … acquaaaa…!

    Ed a piene mani si sciacquò il viso. Bevve. Pochi sorsi di quell’acqua gelida. Poi… il nulla.

    Chi sei tu, forestiero?..., gli chiese con quella voce imponente. Chi credi di essere tu… per attingere acqua alla mia sorgente?

    Era anziano. Con una lunga barba bianca. Fino a quasi metà del busto. Ed una tunica di un abbagliante candore che si muoveva alle carezze del vento. Scalzo. Immobile nella sabbia, come il tronco di una palma secolare. Mille rughe su quel viso. E un tono che ad Adrian proprio non piaceva.

    Avevo sete, signore!... Non sapevo quell’acqua fosse sua. Davvero non sapevo!, gli rispose.

    Qui tutto è mio, forestiero!... Anche l’aria che ora stai respirando. Anche la sabbia sulla quale da tempo stai lasciando orme!

    Adrian pensò di esser morto.

    Che costui sia Dio?..., si chiese.

    Alzati…!..., fece lui, …E riprendi il tuo cammino. E’ lunga ancora la tua strada. Molto lunga, figliolo. Va’ … e non temere. Sarà una mimosa a segnarti la vita. Nel bene e nel male. Non farti distrarre…!... Segui sempre il profumo della mimosa..

    La mimosa?... Qui non vedo mimose…, fece Adrian, un po’ intimorito.

    "Questa terra è piena di mimose. E il profumo di quella pianta, a volte, è più intenso

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