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Il giardino proibito
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Il giardino proibito

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Romanzo storico-romantico. La Francia, dopo la proliferazione dell’illuminismo, la rivoluzione francese e il terrore giacobino, si riscopre dominatrice dell’intera Europa grazie a Napoleone Bonaparte. I Conti Mastrelli Longhi sperano di trovare per la primogenita un “buon partito”, ma la ragazza è innamorata di un giovane pittore. Margherita trova quindi un valido aiuto nella tata Augusta. Quest’ultima insieme a Goffredo, sua vecchia fiamma, cerca di far entrare il pittore nelle grazie di Generale Miollis. Nelle sale del teatro Argentina il temibile Generale Maxime Fuveau intercetta la giovane Margherita e rimane abbagliato dalla sua verginale bellezza. La sua mente inizia a tessere un piano diabolico per vendicare la povera Sibèl. Dopo qualche giorno Maxime si presenta a casa Mastrelli Longhi per incontrare la giovane Margherita; qui si imbatte in una bimba di dieci anni. Augusta, decisa a scoprire se Giovanni sia o no un cacciatore di dote, si reca al Caffè Greco. Dopo un chiarimento suggerisce al giovane una fuga d’amore. Maxime è di nuovo in Patria, fra le braccia della sua amante, la dissoluta baronessa de Biennas, aristocratica dell’Ancien Régime. Intanto un altro enigma si unisce alla tela: già da alcuni mesi il Generale francese intrattiene un misterioso scambio di epistole con un cardinale del Sacro Collegio. Trascorre un anno; lo scenario muta rapidamente e i Conti Mastrelli Longhi sono vittime di una serie di sciagure famigliari. Quando il Maresciallo torna dalla guerra liquida la vecchia amante, ma scopre che la sposa giunta dall’Italia non è Margherita, bensì la sorella più piccola. Carlotta capisce subito di avere a che fare con un militare duro e intransigente. I due sposi si disprezzano e le liti sono frequenti. La fanciulla si sente a disagio: Maxime le incute timore, ma al contempo l’affascina. Anche il Maresciallo, giorno dopo giorno, si accorge che la ragazza non è più la bambina incontrata in Italia. La ragazza inoltre scopre un misterioso giardino e delle raffigurazioni di una fanciulla si nome Sibèl. Sfortunatamente scopre anche che suo marito è un assassino. Carlotta fugge via, ma scivola e batte la testa. Il Generale la ritrova e la riporta a casa. La fanciulla si riprende, ma non ricorda più nulla. Maxime vede nell’amnesia della moglie lo strumento per redimersi. I due vivono assieme in una favola, ma l’uomo deve partire di nuovo per la guerra. Al suo ritorno Maxime scopre che Carlotta ha riacquistato la memoria e non sa come comportarsi. La moglie gli confessa il suo amore, ma vuole sapere la verità su Sibèl. Malauguratamente un incendio doloso rischia di ucciderli tutti e ...
LanguageItaliano
PublisherGreta Simmons
Release dateApr 3, 2014
ISBN9788869092008
Il giardino proibito

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    Il giardino proibito - Greta Simmons

    Il giardino proibito

    Greta Simmons

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    Questo libro è stato realizzato con BackTypo

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Il giardino proibito

    Indice dei contenuti

    Riflessioni

    1

    Roma

    2

    3

    4

    Roma

    5

    Mérignac

    6

    7

    8

    9

    10

    11

    12

    13

    14

    15

    Al crepuscolo...

    17

    18

    19

    20

    21

    22

    23

    24

    25

    26

    27

    28

    29

    Epilogo

    Note

    Riflessioni

    Cenni Storici

    CITAZIONE

    Soldati, voi siete ignudi, mal nutriti; il governo molto vi deve, però, nulla può darvi. Voglio condurvi nelle più fertili pianure del mondo, ricche province, delle grandi città saranno in poter vostro. Vi troverete onore ,gloria e ricchezze.

    Napoleone, Campagna d’Italia 1796

    Alcune volte mi chiedo dove sia finito l’amor proprio, quel fermento interiore che scandì gli anni spettacolari della rivoluzione francese. Le nostre menti hanno forse cancellato le sanguinose battaglie che spinsero le masse a nuove conquiste sociali? Ciò che di buono hanno fatto uomini come Voltaire, Robespierre e Napoleone Bonaparte non è servito a nulla?

    In certi momenti provo uno strano sentimento per l’umanità, quasi una sorta di compassione.

    C’è una grande povertà al mondo d’oggi, una povertà di ideali, di princìpi, di valori, di coscienze. E’ una povertà interiore che fa quasi paura, è una povertà di identità. Gli uomini che oggi popolano questo sciagurato globo sono numerosi, possiedono tanti beni materiali e hanno molti sistemi per comunicare, ma sono soli, miseri nell’animo e, fra di loro, parlano poco, troppo poco. Possibile che l’uomo non abbia più nulla di importante da dire?

    L’umanità di oggi sembra essere lo spettro di se stessa, è un’umanità malata, necrotica.

    L’uomo ha imboccato una via tortuosa, dai panorami fatui e ingannevoli; la vanità, il materialismo, la superficialità sono il suo vangelo. Egli crede narcisisticamente nell’apparire più che nell’essere e questo è sintomo di un grave malessere interiore. Rincorre valori vani e princìpi artificiosi, i quali nulla possono offrirgli oltre alle loro eteree e inutili essenze. L’uomo di oggi è scontento di tutto: di ciò che ha, di ciò che è, ma non vuole ammettere che tale scontentezza viene proprio da lui stesso e dalla sua passività. Subisce la vita, non la vive veramente. Aspetta che essa gli scorra addosso e si crogiola in quel lasciarsi vivere.

    Il concetto dell’apparire, dell’essere belli a tutti i costi si è tramutato in una filosofia di vita e l’uguaglianza è diventata omologazione. L’uomo ha gettato in un cassetto le sue diversità e quindi la sua individualità. Oggi le persone sono una sorta di cliché: piatte, passive, opache e schiacciate sotto il peso di un’esistenza sterile. Esse vivono in un universo limitato, chiuso in se stesso, e ci vivono per loro scelta; la loro povertà di idee e di fatti lo dimostra.

    In questa landa triste e grigia, deserto di umane virtù, mi appaiono così lontani gli anni dell’impegno ideologico e della sensibilità sociale.

    Considerazioni

    In questo romanzo ho desiderato immergermi negli anni dell’epopea napoleonica; anni gloriosi, sanguinosi e tumultuosi. Ho quindi ripercorso le gesta dei valorosi Generali napoleonici, creando, sulle loro orme, la figura di un giovane e affascinante Maresciallo di Francia.

    Quegli uomini erano certamente meno famosi del Dittatore, ma non per questo meno capaci e importanti; contrariamente alla figura di Napoleone, sono stati in gran parte dimenticati, nonostante abbiano, come lui, fatto grande la Francia.

    Il piccolo corso li sceglieva e li premiava per le loro capacità sul campo di battaglia e non grazie a vecchi diritti garantiti loro dal ceto sociale al quale appartenevano. Al contrario degli ufficiali russi, austriaci e prussiani, quelli francesi erano spesso di origini modeste, basti pensare al Generale Murat, figlio di un semplice locandiere, all’analfabeta Generale Lefebvre, marito di una lavandaia, o addirittura al Maresciallo Massena, che in gioventù fece il mozzo nelle barche da pesca dello zio.

    Questi uomini ebbero l’occasione di mutare le loro misere esistenze grazie a Bonaparte.

    Uomini che Napoleone stesso chiamava bonariamente carne da cannone e con i quali mirava a rafforzare e mantenere nel tempo il suo carisma di gran condottiero.

    La sollecitudine verso quei soldati e le abbondanti ricompense in denaro, terre e titoli nobiliari, trassero in inganno gli stessi militi, che interpretarono queste attenzioni di Napoleone come cenni d’amicizia e rispetto. Ma l’obiettivo di "le petit tondu" era solo quello di creare una macchina da guerra perfetta, efficiente e capace di affrontare qualsiasi situazione.

    Senza Napoleone, i suoi valorosi militari non avrebbero avuto modo di esistere e, senza di loro, il piccolo caporale non sarebbe mai divenuto una delle figure più importanti della storia. Se i soldati non avessero visto in Napoleone la personificazione degli ideali rivoluzionari, la nuova Francia non sarebbe mai nata e mai avrebbe influenzato le politiche degli altri paesi europei.

    I nobili princìpi di liberté, égalité, fraternité e, in seguito, tutto ciò che era legato allo esprit national, spinsero ovunque le masse a liberarsi dall’oppressione di anni di regime feudale, incitandole a rifarsi delle disastrose conseguenze che avevano portato con sé. Spesso, tuttavia, ideali così elevati sono destinati a scontrarsi con sentimenti molto meno dignitosi, quali l’ambizione e la sete di potere.

    Bonaparte, figlio dei lumi e della révolution, piombò dritto nello stesso errore dei suoi predecessori. Ricreò un ordinamento politico di natura monarchico-assolutistica e, in pratica, ripristinò i precedenti sistemi di potere da lui stesso combattuti.

    Coloro che si erano eletti liberatori dei popoli soggiogati d’Europa, divennero dunque nuovi oppressori. Da innocui occupanti si tramutarono in tiranni conquistatori.

    La Francia, dopo aver annientato la monarchia di Luigi XVI con l’uso indiscriminato della ghigliottina e aver proclamato la Repubblica con Robespierre, ricadde nel vortice del potere assoluto con l’Impero di Napoleone prima e con il Regno di Luigi XVIII in seguito.

    Uguale sorte seguirono molti altri Stati divenuti vassalli dei francesi. Liberati dei propri Re e risucchiati nella vorticosa epopea napoleonica, si videro privare di ingenti risorse, sia economiche, per il protrarsi del Blocco Continentale, che umane, a causa delle numerose guerre intraprese dall’Imperatore. Infine, dovettero assistere impotenti al trionfale ritorno dei legittimi sovrani e alla completa disfatta di Bonaparte.

    Sarebbe però errato pensare che la Francia e l’Europa intera, con i protagonisti di quel tempo, abbiano compiuto una evoluzione- involuzione. Fu proprio grazie a tutti quei tumulti e a quei sovvertimenti che il volto del vecchio continente cominciò finalmente a mutare.

    Agli ideali della rivoluzione francese e all’operato di Bonaparte si deve la graduale abolizione del regime feudale e il progressivo declino della nobiltà. Grazie a quegli eventi si determinerà, nel secolo successivo, l’ascesa sempre più forte e determinata di nuovi classi sociali: la borghesia e la classe operaia.

    Non è il caso, comunque, di trarre conclusioni affrettate o di fare della facile filosofia, convincendosi che i princìpi rivoluzionari rincorressero assetti troppo utopistici, né si può condannare Napoleone per aver sognato un’Europa unita socialmente, politicamente ed economicamente, poiché tale ideale viene perseguito tutt’oggi, pur con tutt’altri metodi e differenti risultati. Né si può affermare che il piccolo corso era un precursore dei tempi e sarebbe dovuto nascere in epoche più moderne, poiché è grazie a questi pionieri che l’evoluzione umana continua il suo incessante cammino.

    Grazie ai cambiamenti avvenuti dalla seconda metà del Settecento in poi, si aprirà dunque una nuova era. Si genereranno nuove e vigorose spinte allo sviluppo, che si perpetueranno per tutto l’Ottocento, determinando la nascita dell’epoca moderna e dell’età industriale. I tempi odierni devono il loro sviluppo a quella manciata di uomini che fecero, dell’ultimo scorcio di secolo, un periodo pieno d’ideali, di prese di coscienza e di vittorie umane.

    Per quanto riguarda il protagonista di questo testo, mi sono ispirata alle gesta di quei gloriosi Generali d’Oltralpe: l’energico comandante Murat, poi divenuto cognato di Bonaparte, il temibile Davout, freddo e spietato, lo spadaccino Lefebvre, di indole decisamente più bonaria. Assieme a loro, l’astuto traditore Moreau, il tattico Ney, il riflessivo e metodico Massena, e l’aristocratico Miollis, che in più di un’occasione fece da paciere fra il Pontefice e il Dittatore. O ancora il mite e riservato Marmont, il cartografo Berthier, fino ai devoti e rigorosi esecutori Savary e Junot. Questo senza dimenticare l’assennato e ingegnoso Bernadotte e i giovani sfortunati Desaix e Lannes per i quali, caduti in battaglia, lo stesso Napoleone non si vergognò di piangere.

    Tutti figli della rivoluzione, tutti soldati napoleonici, tutti Marescialli di Francia.

    CITAZIONE

    "O possente spirito della libertà! Soltanto tu potevi dar vita …all’Esercito d’Italia, soltanto tu potevi generare Bonaparte! Felice Francia!"

    Discorso di uno dei direttori della Repubblica,

    Campagna d’Italia 1796, la Lévellière-Lépeaux.

    1

    Antefatto

    13 Novembre 1793

    Ho deciso, cara madre: io mi uccido, poiché indegno dell’impegno che mi ero assunto.

    Il timore che quel che ho commesso si possa ripercuotere su altri al di fuori della mia persona mi angoscia.

    Le notti e i giorni erano un supplizio, ma adesso che ho fatto questa scelta mi sento sollevato. Quest’oggi, a mezzodì, io sarò morto e nessuno saprà mai che ho ceduto alle lusinghe del maligno.

    Non piangete madre mia, poiché ora la mia anima è tranquilla.

    Il suicidio è un atto indegno di un uomo nella mia condizione, ma solo questo può lavare la mia coscienza.

    Addio, il vostro amato figlio.

    La fiamma rischiarava il foglio sul quale il giovane scriveva; le sue riflessioni erano tutte raccolte lì, tra il biancore giallastro della pergamena e la fievole luce della lanterna.

    Il debutto in società

    CITAZIONE

    L'Italia è un'amante della quale nessuno deve dividere i favori con me .

    Napoleone Bonaparte, 1806

    Un minaccioso temporale si avvicinava all'orizzonte. Il fragore delle folgori risuonava lungo tutta la vallata, mentre i lampi la illuminavano a giorno. Quell'immensa nube nera era una delle tante tempeste che si abbattevano da quelle parti o un segno del destino?

    Le sue saette sembravano raffigurare perfettamente le lucenti spade degli eserciti napoleonici. Il rombo dei tuoni era molto simile al boato dei colpi di cannone che stavano risvegliando l'Europa dal lungo sonno monarchico. Le grida del vento di burrasca erano simili alle urla degli ufficiali francesi quando esortavano i loro soldati all’assalto.

    Sì, sembra proprio un richiamo soprannaturale… rifletté Maxime, alzando il naso dalle carte geografiche per lanciare una rapida occhiata alla vallata sottostante.

    La Francia dopo il declino dell’700 era pronta a risorgere. Essa avrebbe ridisegnato il volto del continente, ne avrebbe modellato le forme come uno scultore lavora la creta, come un maniscalco forgia il metallo.

    Napoleone sarebbe stato il fuoco purificatore di tutti i mali d’Europa. Lui solo avrebbe potuto cancellare anni e anni di regime feudale. Con la violenza di un’inondazione i nuovi uomini di Francia avrebbero propagato gli ideali rivoluzionari in ogni angolo del vecchio continente, vibrando alle case reali il colpo di grazia.

    Maxime aveva tempo, quella sera; poteva abbandonarsi con tutta calma a qualche riflessione sulla rapidità con la quale mutavano i tempi, su ciò che già era successo e su quanto ancora li attendeva.

    Gli eserciti francesi, ben equipaggiati e pronti alla guerra, erano in marcia per riappropriarsi di ciò che apparteneva loro di diritto: l’Italia. Un anno prima l'Austria si era ripresa la penisola approfittando della momentanea distrazione della Francia intera, occupata nei pellegrinaggi bellici di Bonaparte nei deserti d’Egitto e poi a gestire le conseguenze del Colpo di Stato del 18 Brumaio.

    L’ufficiale ricacciò il naso sulle sue carte. C'era ancora molto da preparare per le battaglie future e Maxime era particolarmente meticoloso. Elaborava i piani d'attacco in modo dettagliato, fissava in maniera specifica gli obiettivi da raggiungere e determinava la successione cronologica di ogni azione. Un talento innato e il naturale fiuto per la strategia lo rendevano capace di percepire il pericolo nelle azioni e di decidere con prontezza la contro mossa. Capiva il modo di ragionare di Napoleone, ne seguiva i pensieri e li elaborava poi autonomamente, senza alcuna difficoltà. La conduzione della guerra s'impadroniva di lui e lo assorbiva interamente. Niente riusciva a distogliere la sua attenzione dagli obiettivi fissati. La battaglia per Maxime era il soffio della vita. Nella sua mente non c’era null’altro che la guerra e la vittoria.

    In un remoto angolo dell'accampamento, a ridosso di una macchia boscosa, vicino al gruppo di ufficiali, stava curvo sulla carta geografica dell’Italia del Nord un uomo in redingote grigia. L'uomo non era molto alto, ma aveva uno sguardo penetrante che incuteva timore e rispetto.

    _ Potremmo entrare in Italia attraverso il versante costiero della catena alpina _ osservò Murat, uno fra i Generali più esperti.

    Subito la proposta incontrò il favore di molti alti ufficiali e un vigoroso brusio si propagò attorno al tavolaccio di legno.

    L’uomo in redingote, senza essere notato dagli altri, si era allontanato dal tavolo e adesso, ai piedi di una quercia dal tronco nodulare, mirava l’orizzonte.

    Di un tratto, una voce costrinse i militi a interrompere i loro frenetici commenti. Tutti si girarono verso l’albero dal quale il Primo Console si stavarivolgendo ai suoi ufficiali con la consueta impenetrabile fermezza.

    Il tono di quella voce, così incolore da risultare più tagliente di una lama, fece piombare il gruppo nel più completo mutismo.

    _ Osservate bene quali sono le vie più facilmente percorribili per entrare in Italia, poiché lì troverete Suvòrof ad attendervi. Mai fare la mossa che l’avversariosi aspetta _ esordì Napoleone. _ In guerra non si può sottovalutare il nemico, né considerarlo meno capace e assennato di noi.

    _ Questo significa che l’unica via praticabile è il San Bernardo? _ domandò il Generale Maxime Fuveau con un’espressione sconcertata sulviso.

    _ Esattamente. Come Annibale duemila anni fa _ rispose Bonaparte. _Non é necessario attendere l'estate; fra le Alpi e l'Appennino ligure c'é solo un solco.

    _ Ma... il percorso è impervio _ obiettò il Colonnello Juordanes _ le alture saranno innevate, il freddo ci ucciderà.

    _ E’ vero. La traversata sarà lunga e piena di pericoli. Qualche cassone potrebbe precipitare giù nei baratri e noi non possiamo permetterci di arrivare poco armati contro gli austriaci _ disse un altro militare, raccogliendo lo sgomento che aleggiava sui volti di tutti.

    _ Partiremo questo mese stesso, anzi fra sette giorni. La neve ancora dura ci consentirà di camminare meglio. _ proseguì il corso, come se parlasse più a se stesso che ai presenti _ La data e il luogo da dove entreremo, per i piemontesi e gli austriaci, sarà una vera sorpresa. Non nego che il viaggio sarà lungo, faticoso e pieno d'insidie. Dovremo cercare di perdere il minor numero possibile di vite umane e di armamenti, ma le forze che presidieranno quelle zone saranno scarse, ne sono più che certo _ riprese Bonaparte. _Conosco bene i vertici militari austriaci e molti sono degli incapaci ma, d’altro canto, bisogna precisare che Suvòrof rientra in quell'esiguo numero di buoni tattici che la Coalizione possiede.

    Questa sola affermazione di Napoleone bastò ad accrescere il timore dei Generali.

    _ Sono sicuro che i nostri avversari hanno commesso l'errore di lasciare scoperte le zone al di là del passo, perciò è deciso, faremo ciò che il nemico non si attende _ tagliò corto l'uomo in finanziera, portandosi le mani dietro la schiena, impettito. _ l’attaque est la meilleure défense_ pensò fra sé.

    Il piccolo corso gonfiò il petto in un respiro profondo, poi guardò a uno a uno i volti degli ufficiali che gli stavano di fronte.

    _ Vi consiglio di andare a dormire e di riposarvi a sufficienza, perché le giornate a venire saranno faticose. _ disse infine, poi girò sui tacchi e si allontanò. Poco dopo il gruppetto riunito attorno al tavolo iniziò lentamente a sgretolarsi.

    In totale silenzio, gli uomini del Dittatore si ritirarono a dormire, poiché cieca era la fiducia che riponevano in lui.

    Maxime e i compagni di sempre, Massena, Davuot e Murat, tutti fedeli alle direttive di Bonaparte, avevano improvvisamente lasciato i lussi di Parigi per tornare a pernottare su pagliericci nei granai freddi o in qualche stalla, nutrendosi di pane secco e patate ammuffite e dissetandosi con l’acqua degli stagni. Erano abituati ad attraversare a piedi o a cavallo immensi boschi, rigogliosi pascoli e ripidi sentieri di montagna, costantemente rincorsi dal fragore dei cannoni.

    Per tutti loro valeva veramente la pena di offrire il sacrificio della propria vita per la Francia, di morire sotto i colpi dei nemici in nome dell’orgoglio repubblicano, in nome di Napoleone Bonaparte, il Salvatore.

    Roma

    Primavera 1800

    _ Vedrete, sarete favolosa. La più bella della festa _ esordì Augusta, compiaciuta della sua opera.

    _ Oh, cara Gusta, sei impossibile _ la rimproverò Margherita _ Non potrò mai crederti in tutta la mia vita _ insisté la fanciulla sorridendole. _ Non è possibile che io sia l'unica e preziosa rosa in una distesa di fiori di campo. _ Ci saranno molte altre damigelle più carine di me.

    _ Per una volta concordo con Augusta _ intervenne Eugenia, mentre osservava anche lei l’aspetto incantevole della figliola. _ Al tuo passaggio rimarranno tutti abbagliati. Sarai la regina della festa e le attenzioni di tutti gli invitati saranno solo per te.

    _ Sì, e le altre damigelle saranno tutte gelose _ incalzò Augusta con un caloroso battimano.

    _ Le attenzioni di tutti _ tenne a ribadire severamente Eugenia, _ comprese quelle dei giovanotti...

    _ No, non voglio che nessun uomo mi guardi _ rispose brusca Margherita, intuendo subito dove la madre volesse andare a parare. Poi seguitò indispettita, arricciando il naso e lanciandole occhiate di fuoco. _ Non m'intratterrò con i giovanotti per più dei convenevoli di rito.

    _ Ma non puoi esimerti dal dover ballare con qualcuno di loro se questi te ne fa richiesta. E’ una festa in tuo onore!

    _ Io non sono un oggetto da sedurre come molti scapoli crederanno di poter fare. Il mio cuore appartiene solo a Giovanni. Non ho interesse se non per lui, che se lo metta bene in testa quel branco di damerini debosciati _ strepitò.

    _ Quale zotico villano ti ha insegnato a esprimerti in questo modo? _ sbottò Eugenia spazientita. _ Nessuno fra i giovani invitati da me e da tuo padre è un libertino desideroso di far conquiste. Appartengono alle famiglie più altolocate dell'intera città. Se mai sarà quel tuo pittore, quel morto di fame, a cercare di sedurti per potersi ben accasare!

    _ Non è vero, lui mi ama e mi rispetta. Non è un morto di fame, ma un bravissimo artista. Essere un ricco nobile non vuol dire necessariamente essere gentile e generoso.

    _ Ah, questa poi! Mi risulta che tu sia un eccellente esempio di ricca Contessina romana. Sei frutto di quell'ambiente altero e sontuoso che tanto disprezzi. Quando finirai di sputare sulla mano che ti nutre fammelo sapere. Ti consiglierei, inoltre, di rivedere il tono con il quale ti rivolgi a me o sarò costretta a punirti.

    La madre squadrò la figlia con occhi di ghiaccio e serrò la bocca in una linea dura prima di continuare. Eugenia provava un sadico piacere a infierire su quel pittorucolo di cui si era invaghita la sua primogenita. Spesso lodava e guardava orgogliosa quella figlia bella e perfetta, ma non tollerava che si perdesse dietro giovanotti di rango inferiore. Sognava di maritarla con un illustre rampollo della nobiltà romana.

    _ Credo di sapere chi ti ha messo in testa tali idiozie. In ogni caso stasera farai tutto ciò che una debuttante deve fare in quest'occasione. Mi sono spiegata? _ disse scandendo perentoriamente le parole.

    Margherita era la più ostinata di tutte le sue figlie, lo era sempre stata fin dall'infanzia; difficilmente le minacce riuscivano a farla ripiegare dalle sue posizioni, ma Eugenia questa volta non era disposta a transigere. La posta in gioco era troppo alta. Se avesse insistito con quell'amoruccio di ragazzina, continuando a incontrarsi con quel plebeo sovversivo, le avrebbe rivelato tutto ciò che sapeva.

    La figlia, dal canto suo, continuava a squadrarla con gli occhi iniettati d'ira e il fiato corto per la rabbia.

    _ Non guardarmi con quella insolenza. Sono tua madre e la mia autorità su di te cesserà solo quando ti sposerai. Se... ti sposerai _ aggiunse, ben sapendo che nessuna figlia poteva convolare a nozze senza l'avallo della famiglia.

    A quel punto, Eugenia, parecchio seccata, decise di porre fine a quella spiacevole conversazione che cominciava a provocarle i soliti spasmi allo stomaco.

    _ Per ora dovrai sottostare alle mie regole e questa sera danzerai con tutti i pretendenti che te lo chiederanno e con coloro che io ti presenterò. Ora basta, sono stanca. Non voglio rovinarmi la giornata ascoltando sciocche ciance sull'amore, sull'uomo della tua vita e sulla gioia che provi ogni volta che lo vedi.

    _ Su via, Contessa, è così giovane, è normale qualche amoretto alla sua età. Anzi, dovreste essere contenta che vostra figlia vi renda partecipe dei suoi sentimenti per quell'uomo. Spesso i genitori neanche sono al corrente di queste cose. Se Margherita avesse tramato alle vostre spalle sarebbe stato peggio, no?…_ s’intromise Augusta cercando di rasserenare gli animi, ma incontrando subito lo sguardo torvo della padrona che con gli occhi la invitava a tacere.

    Eugenia si rendeva conto che la governante aveva assolutamente ragione. Se Margherita non avesse manifestato i suoi reali sentimenti e fosse magari fuggita segretamente con il pittore, per i Conti Mastrelli Longhi sarebbe stata la rovina. La padrona di casa, però, teneva in scarsa considerazione le opinioni di Gusta a causa dei suoi trascorsi da donna forte e indipendente, che per tutta la vita si era opposta al matrimonio organizzatole dalla famiglia con un agiato uomo della borghesia commerciale romana.

    Ora, non più giovane, si trovava ad essere una semplice dama di compagnia per aver vissuto la sua esistenza liberamente.

    _ Mi ricordo che molti anni addietro, quando ero una giovane e bella fanciulla dal naso un po' grosso, non lo nego, è sempre stato enorme, m'innamorai follemente del casaro della tenuta Rivoli. Ancora rammento i suoi bellissimi capelli corvini _ sospirò. _ Era un vero incanto. Se ci ripenso mi chiedo perché non l'abbia sposato.

    _ Me lo domando anch'io _ borbottò Eugenia, mentre sorreggeva un lembo d'abito per facilitare il lavoro della sarta, ma Augusta e la ragazza non badarono ai suoi commenti acidi e continuarono la loro conversazione.

    Margherita, incuriosita da quella storia, prese a bersagliarla di domande.

    _ Eri molto giovane?

    _ Si, io avevo quattordici anni e lui venticinque.

    _ Ma lui era un uomo fatto! _ esclamò la contessina, rimanendo a bocca aperta per tanta franchezza.

    _ Ricordo che tutti i giorni, verso le cinque del pomeriggio, usciva dalle stalle della tenuta e si recava all’osteria del paese. Io correvo alle finestre del palazzo per guardarlo.

    _ Tu cosa ci facevi dai marchesi Rivoli?

    _ Mio padre era l'amministratore dei loro beni e risiedeva quasi tutto l’anno nella loro tenuta di campagna. Io nell’estate lo raggiungevo con mia madre e trascorrevamo lì tutta la buona stagione. Ehm...ma sto divagando _ s’interruppe scotendo la testa e cercando di tornare al discorso originario. _ A ogni modo, quando usciva, lui era sporco e puzzava come una bestia, quindi andava a lavarsi in un grande stagno prima di recarsi in paese.

    _ Trovo che questo tipo di marito vi si adattasse perfettamente, cara Gusta. E’ un vero peccato che non vi siate sposata questo esempio di primitivo _ insisté Eugenia con sarcasmo maggiore, ma anche questa volta le due donne non raccolsero la sua provocazione.

    Dopo averla guardata brevemente, senza far trasparire la minima emozione, Gusta tornò al suo racconto. Entro breve avrebbe avuto la sua piccola rivalsa, divertendosi a far andare la padrona su tutte le furie.

    _ Quel grande specchio d'acqua costeggiava la strada per i Colli Albani; io, che da bambina ero un vero demonio, lo seguivo e lo vedevo fare il bagno... totalmente nudo.

    Sorrise soddisfatta, con gli occhi lucidi dal ricordo, mentre attendeva la reazione della padrona.

    _ Augusta! Che sconcezze andate dicendo? _ urlò infatti Eugenia scandalizzata, con il volto che rapidamente si faceva paonazzo. _ Mi chiedo... come una donna... dissoluta come voi possa essere parente di un sacerdote _ aggiunse ancora balbettando.

    _ Una sedia. A me i sali. Un ventaglio, presto! Oh, mi sento venir meno. _

    Gusta, da tempo abituata ai melodrammi di Eugenia, l'accompagnò verso una poltrona agitando il ventaglio per darle un po’ di sollievo, poi suonò il campanello perché le venisse portato un bicchiere d'acqua. L’espressione del suo voltò, però, sembrava dire: Tieni, beccati questo!

    _ Lasciate i dettagli dell'anatomia maschile fuori da questa stanza. Non fa bene né alla mia figliola né a voi, perché lei è ancora una bambina e voi un vecchio fossile. Mi sono spiegata? _ bisbigliò Eugenia all'orecchio della tata mentre la cameriera lasciava il bicchiere fra le sue mani.

    Augusta non commentò ulteriormente; in fondo si era divertita abbastanza, Eugenia, infatti, avrebbe avuto fitte allo stomaco per almeno una settimana.

    La dama di compagnia provava uno strano piacere nell’infastidire, con i suoi commenti piccanti, la vecchia padrona di casa, ma traeva ancor più soddisfazione nel sentirla invocare aiuto, aiuto che spesso consisteva nel prepararle qualche tisana che lenisse il dolore di stomaco.

    Eugenia, dal canto suo, conosceva fin troppo bene il debole che ogni zitella nutriva per il mondo maschile. Spesso si era trovata a combattere l'audacia della governante stentando a crederla davvero sorella del mite e timoroso Don Sebastiano.

    Augusta era una donna di mezz'età dall'aspetto sempre impeccabile, anche se non si poteva affermare che vestisse in modo sobrio. Aveva capelli bruni e un bell’ovale, guastato solamente da un naso dantesco e dal trucco sempre eccessivo.

    Preferiva vesti pompose e colori accesi, che non contribuivano a farla passare inosservata. Gusta era una donna spumeggiante: proprio grazie al suo carattere estroso riusciva ad accattivarsi le simpatie di tutti coloro che la conoscevano, soprattutto degli uomini. Ma era anche una donna vissuta che non si vergognava nell’ammettere di aver trovato nella compagnia maschile un ottimo diversivo alla noiosa vita della zitella.

    Eugenia era tanto rigorosamente cattolica da sfiorare la bigotteria e tollerava a malapena i commenti piccanti di Augusta, ma non poteva non tener conto che era la sorella del prete di famiglia, un'ottima coadiutrice nei lavori domestici e una dama di compagnia culturalmente preparata.

    Quando Gusta tornò da Margherita, lontana dal fine udito di Eugenia, rimasta ancora per qualche istante sulla poltrona, le due cospiratrici ripresero a confabulare di cose scabrose.

    _ L'hai visto senza abiti? _ sussurrò la giovane verso la tata, mentre quest’ultima le sistemava una piega dell'abito.

    _ Questa gala non vuole stare al suo posto. Antonia, faccia qualcosa per favore, altrimenti questa sera Margherita apparirà non la più bella, ma la peggio vestita _ commentò con tono volutamente ostentato, spostando l'attenzione della sarta sull'orlo della veste e non su ciò che lei e Margherita si dicevano.

    _ Ho potuto osservare un uomo come madre natura l'ha fatto, ma di questo vi racconterò a tempo debito. Oh, Santo Cielo!… dovrò di nuovo confessarmi. Mio fratello inorridisce tutte le volta che entro in cappella.

    Il pensiero del fratello la costrinse a interrompersi, suo malgrado. Il suo legame con un ecclesiastico, il soggiorno in una casa fervidamente cattolica e la stessa osservanza dei doveri religiosi, le imponevano di espiare le proprie colpe attraverso la preghiera e il pentimento. Questo, però, accadeva più spesso di quanto avrebbe voluto, data la sua scarsa capacità a stare lontana da certi argomenti scabrosi.

    _ Che stavo dicendo? _ si chiese fra il distratto e il confuso, riprendendo il discorso, giacché lei stessa si perdeva nelle miriadi di ragionamenti che tirava in ballo. _ Ah, ora ricordo. Vi racconterò del lavaggio nello stagno... diciamo... a ... a maman lontana.

    La ragazza scoppiò in una fragorosa risata, tornando subito a ricomporsi per non destare sospetti.

    _ Ma tu lo amavi? _ chiese poi.

    _ Immensamente.

    _ E lui ricambiava il tuo amore?

    _ No… Sapete, ero un bambinetta vestita in modo atroce, con le calzette bianche e il fiocco in testa nonostante i miei quattordici anni. Avevo quest'orribile nasone, le gambe magre come due pertiche e le lentiggini. Devo aver provocato in lui un effetto devastante, perché due mesi più tardi si sposò con una prosperosa contadina.

    Margherita rise ancora e l'aria parve rasserenarsi, consentendo la ripresa dei preparativi per la serata di gala, ma il dubbio serpeggiò ben presto nella sua mente. Quella strana storia raccontatale dalla tata era forse un monito? Gusta aveva voluto suggerirle che l'amore fra due persone di ceto diverso, non può durare ed è quindi costretto a cedere di fronte alle differenze di classe?

    No, non poteva essere così tra lei e Giovanni. La diversità di condizione sociale non avrebbe mai distrutto il profondo legame che li univa. Il loro amore avrebbe combattuto ogni pregiudizio, ogni angheria imposta da usi e costumi al servizio della ricchezza o della nobiltà e, alla fine, avrebbe trionfato. Sarebbe stato così, doveva essere così, o lei era perduta.

    Le tre dame nel salottino da ricamo ricominciarono con nuova lena il loro lavoro. Il tempo incalzava, solo qualche ora e il ricevimento avrebbe avuto inizio.

    Margherita stava in piedi su uno sgabello con le braccia lungo i fianchi e la schiena diritta, mentre la sarta, con mani sapienti, le ritoccava l'orlo del delizioso abito di lino color ciliegia.

    Eugenia le girava tutt'intorno con occhi attenti e controlli minuziosi, cercando il più piccolo dettaglio fuori posto, mentre Augusta le sistemava ora il corpetto decorato con piccole stelline color avorio, ora i pregiati pizzi veneziani che seguivano tutta la bordatura dell’abito.

    Le donne, tutte troppo indaffarate, non si accorsero della tragedia che si stava consumando poco distante da loro. Su di un divanetto in lezioso stile rococò si trovavano rocche di pregiatissime trine, stoffe di squisita fattura e soffici nuvole di tulle, che una bimba monella si era arrotolata addosso a mo' di stola, atteggiandosi a gran dama. Pallina, una graziosa micia bianca e nera, più maldestra della sua padroncina, giocava con lunghi nastri di raso dai colori variopinti, divenuti ormai un informe groviglio di fili sfrangiati.

    Carlotta, penultima delle figlie di Eugenia, era una pestifera mocciosa di circa dieci anni, che mille ne pensava e altrettante ne faceva. Era una bimba bionda e ricciuta con soavi boccoli che le cascavano sulle spalle, grandi occhi azzurri come il cielo e un visetto paffuto e fresco.

    Era considerata il flagello di casa, il figlio maschio mancato per un soffio. Invece di vestir bambole o cimentarsi nell’arte del ricamo, si dilettava a infilare scarafaggi nelle pantofole della nonna, oppure a bagnarle il letto durante la notte convincendola di esser malata. Puntualmente arrivavano sgridate e relative punizioni, che consistevano in trenta o quaranta Pater Noster e Ave Gloria da recitare prima di andare a letto. Le penitenze, tuttavia, non riuscivano a far desistere la bambina dal desiderio di far scherzi.

    Un botto risuonò nella stanza e le donne, colte alla sprovvista, sobbalzarono dallo spavento. Si voltarono di scatto guardando tutte in direzione dell'angolo dal quale era provenuto il fragore e ciò che apparve ai loro occhi fu un’immagine di devastazione.

    _ Oh, Santo Cielo, che disastro! _ gridò Augusta mettendosi le mani nei capelli.

    Lo spettacolo che si presentò loro era un misto fra l'esilarante e il penoso. Il gatto, nel tentativo di liberarsi dall'intreccio di nastri, aveva legato anche le gambe del divanetto trascinandolo a terra, mentre Carlotta si presentava al cospetto delle signore interamente avvolta in una voluminosa cascata di tulle e pizzi.

    _ Questa figlia è la mia disgrazia. Uno di questi giorni mi farà morire di crepacuore _ piagnucolò Eugenia, un attimo prima di lasciarsi cadere pesantemente su di una poltrona, dove riattaccò la cantilena sulla fragilità del suo sistema nervoso.

    _ Cosa hai combinato, Carlotta? _ chiese Augusta andando incontro alla piccina e cercando di tirarla fuori da quella trappola di stoffa e volants. Trovare il bandolo della matassa si rivelò più arduo di quanto avesse immaginato. _ Che idea ti è mai venuta in mente? _ ripeté la tata.

    _ Mi sono vestita per la festa. Da principessa magica, vedi? _ rispose la piccola tutta soddisfatta.

    _ Mancheresti solo tu a rovinare la serata, come se non bastassero le assurde idee d'amore di tua sorella _ sentenziò Eugenia dalla sua poltrona.

    _ Non puoi venire alla festa, sei ancora troppo piccola _ le sussurrò Augusta, rivelandosi ancora una volta più paziente della madre.

    _ Ma io ci voglio andare..._ insisté la piccina, mostrando il broncio e iniziando a lagnarsi.

    _ Quando avrai qualche anno di più potrai partecipare a tantissimi ricevimenti. Farai anche tu il debutto in società, ma per far questo devi mangiare ancora qualche fetta di torta. Vieni, andiamo in cucina a sentire se Nunzia ha qualcosa di buono per te _ propose la tata, portandosi una mano sui fianchi da brava massaia.

    La bimba, sentendo parlare di leccornie, parve non essere più interessata alla festa della sorella e, fattasi liberare dalla coltre di tulle, si avviò trotterellando verso le cucine della villa.

    _ Cosa devo fare con tutte queste figlie? _ si lamentò Eugenia. _ Almeno voi, Antonia, avete due maschi e una femmina. Io, di donnette, ne ho una guarnigione.

    La sarta rimasta nel salottino terminò gli ultimi ritocchi alla veste di Margherita, mentre Eugenia seguitava a lamentarsi dei pensieri opprimenti che le procuravano tutte quelle figlie. Per le famiglie nobili dell'epoca trovarsi con un buon numero di femmine, senza neppure un erede maschio che perpetuasse il titolo, era un vero flagello.

    Eugenia era una donna poco intelligente, petulante e di cultura mediocre. I suoi impegni quotidiani consistevano nel pregare, rimbrottare la governante e intrallazzare con qualche dama, sperando un giorno di poter ben accasare le figlie. Anche la testa del Conte era dello stesso stampo di quella della moglie, sebbene costui fosse molto più silenzioso e taciturno.

    Eugenia si occupava di ogni figlia, garantendo a tutte una dote più che considerevole. In questo difficile compito era in parte assistita da tutti i membri della famiglia, cominciando dal marito, nonostante questi si fosse spesso lamentato dell'incapacità della moglie a concepire il maschio tanto atteso.

    La testarda primogenita Margherita era dunque da maritare e, con un pizzico di fortuna, già da quella sera sua madre avrebbe iniziato a tessere la trama del suo avvenire. Annalisa, la secondogenita, di natura mite e riservata, era entrata nell'ordine delle Benedettine con l'aiuto di Don Sebastiano. Seguiva Costanza, una giovinetta di quattordici anni, tanto frizzante quanto sciocca, poi quel diavoletto di Carlotta che, se con gli anni non si fosse data una calmata, solo un folle avrebbe potuto volere in moglie, e, infine la piccola Marianna, di soli sette anni.

    Margherita fissava la sua immagine riflessa nello specchio con scarso interesse. Il suo volto era inerte come una statua, privo di un qualsiasi velo d’allegria. Aveva un aspetto incantevole e tutto pareva esser perfetto, ma lei, unica e vera reginetta della serata, si sentiva fuori posto, come se quel ricevimento non la riguardasse. Come poteva divertirsi senza il suo Giovanni? Dove avrebbe trovato il coraggio di sorridere agli invitati e di ballare con gli scialbi damerini invitati da sua madre?

    In quell'istante tutto le apparve come un opprimente incubo: la cena, le danze e gli ospiti. Ai suoi occhi la casa era una immensa gabbia dorata dalla quale non poteva fuggire, e i pizzi dell’abito le sue catene.

    Sentì lacrime di disperazione pungerle gli occhi e con uno sforzo terribile riuscì a ricacciarle indietro. Raddrizzò le spalle cercando di farsi forza, mentre la desolazione le inondava l'animo.

    Raramente l'austera dimora, dall'aspetto quasi arcigno, dei Conti Mastrelli Longhi veniva agghindata a festa. Accadeva soltanto per eventi solenni come l'ascesa di un nuovo Pontefice, matrimoni, nascite e, in quel caso, il debutto in società di una giovane figlia della famiglia.

    Il fermento era percepibile anche all’esterno della villa. A ogni finestra o balcone pendevano i drappi di velluto porpora con il blasone della casata. I paggi in livrea stazionavano rigidi e silenziosi, ai lati del cancello centrale.

    Nel frattempo, sul retro della dimora, dei piccoli gruppi di poveracci si erano ammassati contro un cancelletto per elemosinare qualche avanzo della cena che, di lì a poche ore, si sarebbe consumata all’interno della dimora.

    2

    Attraverso le Alpi

    CITAZIONE

    Non rapinate. Vi darò più di quanto potreste prendere.

    Dichiarazione di Napoleone ai suoi soldati, 1807

    Maxime e compagni erano stretti nella morsa implacabile del gelo, attorniati dal freddo intenso che proveniva dalle cime innevate, circondati da cavernosi strapiombi che si aprivano pericolosamente sotto i loro piedi, mentre percorrevano con viveri e munizioni ripidi sentieri di montagna.

    Il giovane ufficiale francese, affiancato dal fedele attendente Jean Paul, guidava l'avanguardia assieme al Generale Lannes. Procedevano come spinti da una forza soprannaturale, mentre il vento sferzava loro i volti e i pensieri. Si aggrappavano ai ricordi della vita di casa come fossero ancore di salvezza.

    La mente del Generale andava alle confortevoli stanze della sua dimora parigina, percependone quasi il tepore. Rivedeva il fuoco scoppiettante nel caminetto della sua biblioteca, il gustoso cibo preparato dalle sapienti mani della cuoca, le pesanti e calde coperte di broccato del suo letto, dove, in più di un'occasione, si era intrattenuto con Poline.

    L'immagine della donna gli balenò in testa con la forza dirompente di una saetta e in un attimo gli tornarono alla mente i bellissimi occhi ammaliatori, le labbra ardenti come una fiamma e molti dei suoi atteggiamenti, così piacevolmente scandalosi. Gli parve di carezzare ancora la grana vellutata della sua pelle, di sentire sotto di sé quei seni in cui più di una volta aveva affondato il viso.

    Chiuse gli occhi un istante e trasse un respiro affannoso, cercando di cacciare quell'immagine tentatrice. Avrebbe dato qualunque cosa pur di giacere un'altra notte con lei e sentire ancora le sue braccia attorno al collo, il profumo che emanava, il sapore della sua bocca. Invece, per il momento, avrebbe dovuto accontentarsi della compagnia delle solite sgualdrine che a decine accompagnavano i reggimenti, ma lì, in quel luogo desolato, abbandonato anche da Dio, non c’erano neppure loro a rallegrargli la vita. Solo il gelo là faceva da padrone.

    Quando il giovane ufficiale riaprì gli occhi fu costretto a battere le palpebre per qualche secondo, come se fosse stato per troppo tempo al buio e la vista della luce lo accecasse momentaneamente.

    _ Francamente tutto questo bianco sta cominciando a darmi sui nervi. Sono giorni che marciavano tra la neve e il ghiaccio, ma non c’è neppure un pascolo in questa dannata Repubblica Cisalpina?

    La sua voce era profonda, quasi parlasse più a se stesso che al giovane attendente che gli stava di fianco.

    _ Mon ami, il paese è bello e il popolo che lascia a desiderare. _ osservò il giovane Jean Paul con aria vagamente divertita. _ Non vedo cosa ci trovi Napoleone in questo

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