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La goccia e il vaso
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La goccia e il vaso

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Può la vittima di un gravissimo sopruso ottenere giustizia? Teoricamente sì, pur con i limiti, i tempi, i modi e le procedure previste in ogni Stato del modo occidentale; chi osasse mettere in discussione questo principio fondamentale del vivere civile susciterebbe contro di sé un coro di sdegnate proteste...

Ma le cose si complicano, e non poco, quando la vittima del sopruso è un ‘cittadino comune’ che, per i suoi diritti offesi, reclama contro un centro di cospicui poteri economici, spalleggiati, coperti e difesi da alleanze politico-malavitose.

Se poi a questa situazione di oggettiva impotenza si aggiunge la sofferenza disperata per la morte di una persona cara...

Se sono riuscito ad incuriosirvi dovete solo leggere il seguito.
LanguageItaliano
Release dateSep 10, 2014
ISBN9788891155450
La goccia e il vaso

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    La goccia e il vaso - Mario Rossi

    LA GOCCIA E IL VASO

    di Mario Rossi

    Titolo | La goccia e il vaso

    Autore | Mario Rossi

    ISBN | 9788891155450

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il

    preventivo assenso dell’Autore.

    Youcanprint Self-Publishing

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    PREFAZIONE DELL'AUTORE

    Quello che state per leggere è un romanzo fantapolitica: nella dinamica del racconto molti politici, in situazioni ovviamente inventate (ma non troppo), si rivelano in tutta la loro corruzione, sete di potere, fame di denaro. Contro di loro e le loro organizzazioni a delinquere, le leggi e i tribunali della nostra cosiddetta società civile, hanno ben poca efficacia: costoro quando non riescono ad avere la meglio con i cavilli legali, troncano ogni problema ricorrendo agli esplosivi, ai bazooka, ai mitra.

    In un contesto simile la fantasia può rivelarsi un possibile rifugio in cui il cittadino, in una utopia catartica, si illude di trovare una sua soluzione di giustizia e di ordine sociale anche se, quasi necessariamente, violenta.

    Si potrebbe dire che il romanzo è scritto a quattro mani: in una situazione di terribile caos sociale, in seguito alla morte violenta di alcuni ministri, il giornalista Alberto Rienzi riceve dalla cara amica Maria Rossi il diario sul quale essa ha riversato il dolore, i pensieri e lo sdegno sempre più travolgente per la corruzione di alcuni ministri, responsabili secondo lei, della morte assurda di suo figlio Marco. La corruzione e le collusioni tra politica e malavita organizzata si rivelano troppo gravi perché Maria possa accettarle senza reagire; e Maria reagisce con violenza, causando la morte di alcuni dei politici più compromessi; sul suo diario poi registra con puntiglio la progettazione e l’esecuzione di quelle che, nella sua esaltazione sempre più folle, definisce ‘bonifiche politiche’.

    Rienzi legge questo diario e, volendo realizzare un colpo giornalistico senza precedenti, ne invia al direttore del suo giornale i passi più importanti, alternandoli e non raramente completandoli con dati ed osservazioni personali, frutto delle sue indagini. Arriva così a capire la verità dietro le morti apparentemente inspiegabili di quegli uomini potentissimi….

    Finale provocatorio e a sorpresa.

    A meglio definire l’alternarsi parallelo di azione e di pensiero dei due personaggi, i passi tratti dal diario di Maria sono virgolettati ed in corsivo, mentre quelli di Rienzi sono in carattere normale.

    Ho dato al personaggio principale della narrazione il comunissimo nome di Maria Rossi per ricordare al lettore che, al di là della finzione romanzesca, le vicende proposte possono colpire un qualunque cittadino di un qualunque Stato moderno.

    A molti personaggi sono stati attribuiti nomi che si richiamano chiaramente ai Promessi Sposi; la loro azione si pone così in una dimensione acronica di corruzione, inettitudine e malgoverno, già evidenziata nel romanzo manzoniano.

    Giugno 2014.

    M.R.

    Caro direttore,

    ti scrivo queste note perché voglio oggettivare con chiarezza la serie di situazioni in cui mi son trovato coinvolto, a cui ho partecipato e che voglio rendere pubbliche.

    Tu penserai certo che miro al grosso colpo giornalistico. Senza dubbio. Ma mi sembra essenziale (ed i motivi li capirai da te) che le notizie riguardanti questi fatti divengano di dominio pubblico. E’ chiaro che nel momento stesso in cui mi rivolgo a te, considero scontato che sarai tu a pubblicarle sul nostro giornale.

    Mai nel corso della mia carriera ho avuto a disposizione tanto materiale e così totalmente importante: se ne può ricavare una serie di articoli da premio Pulitzer: Il diario di Maria è a dir poco esplosivo e le tre buste rigonfie di documenti bancari provenienti da istituti di credito del mondo intero sono inoppugnabili testimonianze di una serie infinita di soprusi, di corruzioni, di delitti perpetrati ai danni della collettività nazionale ed internazionale.

    L’intero Paese è letteralmente costernato, per non dire inebetito; ma io ho a portata di mano i mezzi per offrirgli non certo una soluzione, ma almeno una sicura chiave di lettura dei fatti luttuosi degli ultimi mesi; e questo, in tutta confusione in cui ci troviamo, non può che risultare positivo…

    Eppure mi è estremamente difficile avvicinarmi al mondo di Maria, così asettico, così inesorabilmente e follemente lucido senza provare la viva impressione di sporcarlo, quasi di profanarlo.

    Ricordo benissimo la prima volta in cui ho sentito il suo nome: ovviamente per ragioni di lavoro. Maria era un altissimo funzionario della Direzione generale di una Banca di importanza mondiale; era una donna raffinata e di grande classe: sempre impeccabilmente vestita, esercitava un fascino profondo su tutti gli uomini che avvicinava; essi in lei vedevano incarnato e vivo lo stereotipo di una perfezione e di una femminilità che sembrava circoscriversi ed esaurirsi negli spot pubblicitari; ma Maria era lì, con il suo sorriso, la sua intelligenza, la sua cultura, la sua incredibile professionalità.

    Viveva sola con Marco, suo figlio: da tempo aveva divorziato da Andrea, il padre del giovane. Non vi erano stati motivi particolari: solo che ad un certo punto ciascuno dei due si era accorto che preferiva vivere la sua vita in modo autonomo e dedicarsi con tutte le energie alla propria attività professionale: così Maria era giunta ai vertici della direzione generale della Banca in cui lavorava; Andrea era diventato il punto di riferimento di uno dei laboratori di ricerca biologica più apprezzati in Europa.

    Proprio per questo erano rimasti in rapporti amichevoli di cordialità e di stima; anche perché (come seppi poi), a parte qualche storia di poca importanza, nessuno dei due si era lasciato coinvolgere in una nuova vita di coppia. Entrambi presi dai problemi della loro carriera e da quelli della crescita e dall’educazione di Marco, si vedevano, si frequentavano, stavano entrambi con lui ben al di là di quanto non avessero stabilito le prescrizioni dei giudici. Specie le vacanze le vivevano tutti tre insieme in giro per il mondo alla ricerca di quei luoghi da paradiso terrestre e di quelle culture fiabesche che la loro condizione economica consentiva.

    E’ naturale che in un simile contesto il giovane Marco vivesse 1’ esistenza privilegiata adeguata ai mezzi e alle entrature dei potenti amici dei genitori. Frequentava una università privata, una delle più selettive ed esclusive dello Stato; benché ancora assai giovane, lo si vedeva spesso nei locali più eleganti, sempre vestito all’ultima moda, in compagnia di splendide ragazze o di persone del gran mondo.

    Poi, improvvisamente, la tragedia: in occasione di un fine settimana di prima estate Marco, di ritorno da una vip-discoteca sulla sua auto guidata da un amico venne coinvolto in un pauroso incidente stradale: L’amico morì sul colpo; Marco solo dopo un lungo lavoro dei pompieri fu estratto vivo da ciò che rimaneva dell’ auto. Al pronto soccorso dell’ ospedale fu subito chiaro che le sue condizioni non erano disperate come le lamiere contorte dell’ auto avevano fatto temere; certo aveva riportato molte fratture ed era privo conoscenza, per cui sarebbero stati necessari encefalogrammi, TAC e tutta una complessa serie di accertamenti, ma il problema più grave era che aveva perso molto sangue e che era indispensabile una immediata ed abbondante trasfusione. Ne venne praticata una subito, di emergenza, con l’ultima sacca rimasta di sangue del gruppo 0 negativo, compatibile con ogni tipo sanguigno.

    Si era ormai alle prime ore della domenica; il fine settimana era stato funestato da una serie paurosa di incidenti e le scorte di questo sangue erano esaurite in tutti gli ospedali vicini.

    Ma la situazione sarebbe stata sotto controllo quando fosse stato possibile operare una trasfusione con lo specifico gruppo sanguigno del giovane.

    Questo ottimismo venne smorzato ben presto quando gli addetti alla sala operatoria si accorsero del gruppo sanguigno del ragazzo: nientemeno che AB, tra i più rari, se non il più raro, in Europa. L’ospedale naturalmente ne possedeva una piccola scorta, ma i chirurghi non erano sicuri che sarebbe stata sufficiente per ristabilire l’equilibrio ematico del giovane. L’importante era comunque iniziare subito la trasfusione.

    Ma le sacche contenenti quel sangue preziosissimo risultarono inspiegabilmente irreperibili.

    Così mentre l’intero personale della sala operatoria faceva il possibile per tenere in vita il ragazzo, e altri telefonavano affannosamente agli ospedali anche meno vicini per chiedere sangue AB o almeno qualche altra sacca di sangue del gruppo 0, Marco morì, praticamente dissanguato, senza che nessuno del personale medico potesse far nulla per impedirlo.

    Inutile dire che Il fatto suscitò un grande scalpore, anche se allora nessuno avrebbe potuto prevedere la portata delle sue conseguenze.

    "Non so neppure io perché dopo la morte di Marco abbia provato il bisogno di scrivere queste pagine: una madre che si mette a scrivere diari dopo la morte del suo unico figlio! Mi sarei sentita offesa solo se qualcuno di mia conoscenza avesse concepito una simile idea: figurarsi se avrei mai potuto riferirla a me e al mio amore per Marco.

    Ma fin dalle prime righe che ho scritto è stato come se parlassi ancora con lui, come se lui fosse ancora seduto vicino a me, nelle interminabili conversazioni di tante nostre serate. Allora anche le cose che non lo riguardavano direttamente, all’improvviso divenivano sue, fatte opensateper lui…

    Era divorato da una violenta ansia di vivere: eppure quasi mai mancava all’appuntamento con la nostra cena. E mi raccontava tutto: di sé, dei suoi amici, delle nuove conoscenze, dei suoi progetti per il futuro… Il suo futuro. Non mi sembra possibile e non posso rassegnarmi all’idea che per lui il futuro si sia bloccato a diciannove anni, cinque mesi e dieci giorni. Devo trovare una ragione di tutto questo, è necessario che io capisca. Scrivere su questo diario potrà aiutarmi e nessuno potrà mentire; lui, Marco, se ne accorgerebbe subito; proprio come quando, ancora bambino, non ammetteva neppure le bugie degli scherzi…

    Così, chissà che tutto non possa acquistare un senso…"

    Io non me ne interessai personalmente, ma sui giornali il ricovero e la morte assurda di quel ragazzo ebbero un’ eco adeguata alla notorietà dei genitori: naturalmente, dopo qualche giorno, nessuno ne parlò più.

    Dalla sua villa sul mare Maria, quella notte era corsa subito all’ospedale; il padre arrivò dalla capitale dopo qualche ora.

    "Ero da poco ritornata da una serata con alcuni amici: ci eravamo recati in un locale appena aperto e di cui tutti dicevano un gran bene. Ma non mi sentivo tranquilla: anzi ero proprio a disagio; forse avevo sbagliato abito: ero troppo elegante rispetto all’ambiente, ma soprattutto rispetto alle altre signore del mio tavolo: ma sapevo che c’era qualcos’altro, anche se non riuscivo a focalizzarlo; poi improvvisamente ho realizzato che Marco non mi aveva detto con precisione dove sarebbe andato, anzi: non sapevo neppure se fosse uscito con l’auto sua o con quella di qualche amico.

    Così ho inventato una scusa e me ne sono tornata a casa giusto in tempo per ricevere la telefonata dell’ ospedale. Qualcuno mi disse che Marco era stato coinvolto in un incidente e mi chiese di recarmi subito al Pronto Soccorso di quell’ospedale: con tutta probabilità i medici avrebbero voluto pormi qualche domanda sul quadro clinico generale di mio figlio. Comunque stessi tranquilla: i medici stavano facendo tutto quanto era necessario.

    Telefonai subito ad Andrea nella capitale e mi precipitai fuori casa senza neppure cambiarmi d’abito: solo più tardi mi sono accorta del contrasto assurdo tra l’eleganza del mio lungo, sofisticato abito da sera ed il luogo dove mi trovavo; nonostante il dolore che mi distruggeva me ne sono vergognata; così sono rimasta seduta nel desiderio che di essere notata il meno possibile. Comunque quando sono giunta all’ospedale, Marco era già stato portato in rianimazione.

    Un medico è subito arrivato e mi ha chiesto se conoscevo il gruppo sanguigno di mio figlio. No! non lo conoscevo. Marco è sempre stato sano come un pesce e non ha mai avuto bisogno di indagini mediche particolari … non si ammalava neppure nel pieno di epidemie influenzali!

    Non ho capito, ALLORA, perché quel dottore se ne sia andato sussurrando un qualcosa tipo ‘Peccato! ’

    Non mi hanno permesso di avvicinarmi al mio ragazzo; ho potuto solo intravvederlo per un istante in sala di rianimazione. Per tutta la notte, non ho perso di vista un solo secondo la porta di quella sala e mi sentivo morire ad ogni infermiere che ne usciva. Finalmente a mattino ormai avanzato qualcuno mi è venuto a dire che Marco ‘non ce l’aveva fatta’.

    Ma ho capito subito che c’era qualcosa che non quadrava: io chiedevo insistentemente chiarimenti o spiegazioni, e tutti, a cominciare dagli infermieri, si trinceravano dietro i ‘non so’, ‘io arrivo ora, non ero di turno, bisogna che lei parli con il medico che era di guardia la scorsa notte; è lui che ha eseguito i primi accertamenti e operato le prime terapie… ora però ha terminato il suo servizio’. E altre simili amenità.

    Intanto era arrivato Andrea; con le sue domande competenti e precise mostrava chiaramente di non accontentarsi di formule evasive. Grazie alla sua influenza ed alla sua amicizia con un influente magistrato, ha preteso ed ottenuto di effettuare l’autopsia entro pochissime ore ed ha voluto esservi presente assieme ad alcuni medici del suo laboratorio: l’esito ci ha lasciato interdetti: Marco era morto dissanguato.

    L’effetto vasodilatatorio degli alcolici che aveva assunto (forse era proprio per questo che non era lui alla guida di quella maledetta auto) aveva reso la sua emorragia ancora più rapida. Marco aveva sempre avuto la passione per i motori e per la velocità; non c’era Salone di novità automobilistiche o gara importante che non ci fornisse il pretesto per una gita, una visita attenta che ci faceva sentire ancora più vicini; spesso anche Andrea si univa a noi, ed era bellissimo.

    Ma nessuno del personale della rianimazione ha praticato una trasfusione; possibile che non si siano accorti di nulla? A questo punto mi sono ricordata della domanda di quel medico sul gruppo sanguigno di Marco e ne ho riferito ad Andrea. Andrea ha preteso di consultare la cartella clinica relativa al ricovero e alla morte di Marco e, ovviamente, ha risolto il ‘mistero’.

    Certo quel medico sperava che noi, vista la rarità del sangue di tipo AB ne tenessimo in casa una scorta di emergenza debitamente custodita. Era chiaro che l’ospedale in quel momento non ne possedeva; quel sangue era troppo raro e costoso; agli occhi degli amministratori era forse considerato un costo inutile.

    Anche Andrea è convinto che si tratti di una omissione molto grave. Ne abbiamo parlato a lungo; lui vuole lasciar perdere tutto: ‘Tu non hai idea di quell’ambiente. Ci troveremmo di fronte un muro di gomma e ci potremo solo battere contro la testa. E Marco… niente e nessuno ce lo potranno restituire’.

    Ma credo proprio che non gli darò retta. Intanto domani andrò all’ospedale a prendere alcune informazioni."

    Così Maria nella volontà di ottenere giustizia per il suo ragazzo, viene a conoscenza del nome del primario responsabile del Centro trasfusionale dell’ Ospedale; a lui era delegato il compito di reperire tutte le varie tipologie di sangue e provvedere a distribuirle nei vari reparti a seconda delle specifiche esigenze/urgenze.

    E’ stato consultando gli orari del Centro trasfusionale dell’ ospedale, che ho avvertito per la prima volta quel senso di disgusto e collera da cui sono nate tutte le mie seguenti decisioni. Forse perché sono abituata ad un ambiente di lavoro privato, regolato e condizionato dalla spietata concorrenza che tutti conosciamo; ma, qualunque sia il motivo di questa situazione, non è pensabile che un servizio pubblico possa funzionare ed essere disponibile per gli utenti che lo mantengono col loro denaro solo per poche ore settimanali. Convinta di aver letto male o di aver comunque frainteso, ho chiesto chiarimenti al personale; ne ho ricevuto sguardi e sorrisi eloquenti di intesa.

    Infatti, adducendo la motivazione che il Centro trasfusionale dell’ Ospedale non disponesse delle più moderne e necessarie attrezzature, la sua equipe (che aveva ottenuto di poter lavorare anche a titolo privato) trascorreva, Primario in testa, la maggior parte del suo tempo lavorativo in una futuristica clinica-laboratorio di cui il professore Primario figura semplice consulente, mentre è notorio che ne è socio di maggioranza; questa struttura si trova sempre nella capitale, ma in periferia, in una zona residenziale non troppo lontana dall’ospedale.

    Qui si lavora certo per i problemi ematologici proposti dall’Ospedale, ma soprattutto per importantissime e lucrosissime consulenze richieste da cliniche private, anche di altre regioni dello stato.

    Maria scrive nel suo diario che si recò all’ospedale in cui Marco era morto; chiese ed ottenne di parlare con il primario responsabile della rianimazione quella terribile notte; venne subito al sodo e chiese per quale mai motivo quella struttura non possedesse la riserva di sangue del gruppo AB che avrebbe salvato la vita a suo figlio.

    Il professore, con estremo imbarazzo rispose che nella banca ematica dell’ ospedale quel tipo di sangue figurava presente, anche se in quantità ridotta; ma che purtroppo nel caso della necessità di Marco non era stato possibile reperirlo: evidentemente qualcuno aveva dimenticato di segnalarne l’avvenuto uso o, forse, quel sangue era stato prelevato senza che la persona responsabile ne fosse stata informata. Se la direzione del Centro Trasfusionale avesse saputo che il gruppo AB non era più disponibile, ne avrebbero certo procurato una riserva; o almeno risulterebbe che l’avevano

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