Il secondo eroe
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Per aiutare un amico al quale una banda di criminali ha rapito la figlia per obbligarlo a ripagare dei debiti di gioco, Vinci partirà per l’Egitto, dove riuscirà con un piano audace a liberare la bambina, divenendo però a sua volta bersaglio dei malviventi che, per eliminarlo, non esiteranno a rapire la moglie Caterina. Come un antico cavaliere, Vinci parte alla ricerca della donna e riuscirà a liberarla, ma diventare l’eroe di lei avrà un prezzo altissimo.
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Il secondo eroe - Alessandro Spocci
Alessandro Spocci
Il secondo eroe
EEE-book
Alessandro Spocci, Il secondo eroe
© Edizioni Esordienti E-book
Prima edizione: marzo 2015
ISBN: 9788866902461
Tutti i diritti riservati, per tutti i Paesi.
Copertina di Giacomo Garrò.
Poesia
Cerco di trovare pace
anche quando non si deve,
quando tutta la mia mente
non è altro che una foto,
di quello che ho voluto,
di ogni momento.
Non serve un poeta
per dirmi chi eri,
mi basta voltarmi
e trovarmi da solo.
Non so ancora spiegarlo,
è come la mia vita,
quando penso di aver tutto,
in un attimo ti ho persa.
Ma cercarti ancora a fondo
mi fa sempre stare a galla,
come se non fosse nulla
a tormentare le giornate,
e in un buio ti rivedo
per poi perderti di nuovo
nel sapore ancora fresco
di quel bacio che mi hai dato.
A Caterina...
Questo libro è dedicato a mio padre…
Solo
Chi sei?
Non sai chi sono?
No, figlio di puttana...
Sei malinformato...
È il mio ultimo momento di gloria.
Ci vorranno pochi secondi prima che i suoi uomini riempiano la stanza e mi mettano definitivamente in trappola.
Chi sei?
Alessandro Vinci...
Sei un idiota
mi dice.
Davvero?
Arriveranno i miei uomini...
Lo so...
Tu sei pazzo!
È vero anche questo
gli rispondo senza guardarlo in faccia.
La moltitudine dei suoi uomini non tarda ad arrivare.
Quaranta, o forse cinquanta brutti ceffi mi sono di fronte, riempiendo in qualche secondo la stanza.
Non penso di aver mai avuto così tante armi puntate addosso.
L’unico motivo per cui non sono ancora morto è che mi sto facendo scudo con il loro capo.
Il primo che spara è come se uccidesse anche lui!
Premo forte la pistola contro la sua testa.
Non sparate!
grida Al Jadir, con le gocce di sudore che gli scendono dalla fronte sporca. Non sparate!
insiste ancora.
Il suo sudore bagna la pistola.
Poi si rivolge a me.
Dove credi di arrivare?
mi domanda. I miei uomini ti uccideranno comunque, Vinci.
So bene che le sue parole sono vere.
Hai ragione ancora una volta...
Non capisce il mio gesto, e non potrebbe essere altrimenti.
Pazzo!
mi urla. Pazzo figlio di puttana!
È terrorizzato, più di me.
Sono solo e non ho la minima speranza di uscirne vivo: ci vorrebbe un colpo di scena, uno di quelli che salvano il protagonista quando tutto sembra perduto.
Capitolo 1
Mi riparo dal freddo con la giacca sempre troppo leggera.
Mi sembra di essere appena stato investito da un treno in corsa senza nessuna possibilità di frenata.
Il grigio intorno a me non mi rallegra, mentre ogni automobile mi incrocia con indifferenza nella strada dei quartieri residenziali della Londra per bene.
Sento già rumori, come se la notte fosse trascorsa in un momento e il sole, impaziente, non avesse atteso nemmeno un minuto a risorgere negli occhi delle persone.
Vorrei avere capelli più lunghi a coprirmi il viso bianco.
Chissà ora, terminata questa estenuante guerra, cosa sarà della mia vita, quali macabre atmosfere mi attenderanno a Roma.
La mente è stanca, forse ancora più di quello che rimane del mio corpo acciaccato ed esausto.
I miei occhi scuri sono stanchi di rimanere aperti e vorrebbero lasciarsi andare alla gioia di un vero sonno.
L’ho avuta la mia seconda occasione: eccome se l’ho avuta.
Non ce l’ho fatta, ancora una volta.
Ho tentato tutto quello che dovevo, a contatto con i più potenti boss mafiosi di questa città odiosa, senza conoscere l’inglese, senza il minimo alleato, senza una sola persona a darmi man forte.
Ero solo e lo sono rimasto anche dopo aver vinto la mia personale battaglia contro il sistema.
Peccato che la mia tristezza non sia cambiata di una virgola.
Non è un lieto fine, anche se sono rimasto vivo.
Vincere è una questione soggettiva, e dipende principalmente da come si sente la persona che è arrivata in fondo.
Ho freddo.
I miei vestiti si dimostrano di nuovo inadeguati per questo clima rigido che mi sta tormentando insieme alla coscienza.
Avrei potuto prendere un giubbino a casa di Fred, ma non l’ho fatto.
Il mio aereo partirà tra quattro ore ed io sto solo aspettando un taxi per farmi portare via al più presto.
Che strana la sorte: prenderò lo stesso aereo che avevo promesso ieri a Caterina, nonostante nel frattempo sia successo di tutto.
Sono stanco di questo: delle prostitute, del sangue, del freddo che non ho mai odiato tanto in vita mia.
Anche ora, con le prime luci dell’alba, non riesco a trovare un aspetto positivo nel grigio di questi palazzi troppo alti, nella frenesia delle persone che cominciano la loro laboriosa giornata.
Non mi sento così.
Voglio tornarmene a casa mia, nella stessa misura in cui volevo andarmene prima di lasciarla.
Non penso sia il luogo il problema della mia condizione.
Non nascondo di aver pensato molto in quell’appartamento.
Dare la pistola a Kelly in quel momento, rimanendo senza la minima difesa, è stato poco meno di un suicidio.
Se sono vivo non è per mia scelta.
Non so se qualcosa cambierà ora che mi sono ritrovato con le spalle scoperte e tragicamente fragili.
Se me ne fossi andato, non avrei lasciato nulla a questo mondo, se non uno stupido libro, una scia di morti e tanti errori in serie.
Sono un eroe o un fallito?
Finalmente vedo un taxi.
Lo fermo alzando la mano.
La macchina accosta, ricevendo un insulto da quella che lo segue per la manovra compiuta nel momento di girare a sinistra.
C’è già confusione alle sei del mattino, ma non mi pare diverso dalla mia Roma, caotica e affollata.
Salgo e chiudo la portiera con forza.
Dico al tassista di portarmi al motel per recuperare il mio bagaglio a mano, scarno e leggero.
Ovviamente è un inglese del cazzo.
Viaggiamo con la calma olimpica che contraddistingue questa gente.
Sono così diversi che quasi mi fanno stupire, anche se, dopo quello che ho visto in questi ultimi giorni, mi risulta difficile...
Aspettami qui davanti...
gli dico prima di scendere.
È uno di quei signori anziani, che riconosci immediatamente perché vestono da inglesi con quegli stupidi giubbini lisci di colore indefinito.
Insipido.
Non mi piace il suo accento.
Mi dice che mi aspetterà con un tono indifferente di chi forse sta già lavorando da diverse ore.
Entro e non va meglio.
La mia stanza è uno schifo di disordine dopo solo pochi giorni di permanenza: non sono mai stato un maestro in questo, ma qui mi sono superato.
Raccolgo le mie cose e le metto alla rinfusa dentro la valigia nera, chiusa con una cerniera difettosa.
Nascondo sotto i vestiti anche la pistola, inizialmente, ma poi la mia intelligenza mi porta a riflettere.
Come farei a passare i controlli in aeroporto con una pistola in mio possesso e senza l’aiuto di nessuno?
È impossibile.
La guardo con nostalgia, come un cagnolino prima di essere abbandonato in autostrada.
La sigla sull’impugnatura ancora una volta mi ha portato fortuna.
A C.
Alessandro Caterina.
Mi piange il cuore a pensare di separarmi da lei, ma non posso fare nient’altro, purtroppo.
Mi manca solamente essere arrestato in Inghilterra.
Forse era destino che dovessi lasciare proprio in questa città un pezzo importante di me stesso.
La butterò nell’immondizia, anche se non è la fine che meriterebbe una così gloriosa compagna di viaggio.
È finita.
Caterina mi ha chiamato diverse volte, ma proprio non ce la posso fare a sentirla adesso.
So di sbagliare.
L’ho delusa ancora una volta.
Non ho resistito al corpo di quella ragazza come non ho mai resistito a nessuna tentazione, nonostante il prezzo da pagare fosse la cosa più cara che avevo al mondo.
Avrei voglia di rivederla, di darle un bacio, ma non lo farò, così come non risponderò al cellulare.
Non ha senso mentirle di nuovo.
Quelli come me non cambiano.
Quante volte ho sentito dire questa frase, dagli amici, dai colleghi, alla televisione o nell’ultimo libro che ho letto.
Banale ma maledettamente vero.
Ripenso al bacio che le ho dato, appena due giorni fa: l’emozione più grande degli ultimi anni.
Che bella che sei, Caterina.
Nemmeno Dio riuscirebbe a cambiare quello che provo per te, anche se purtroppo rimango me stesso.
Volerla così tanto non mi è bastato a tenerla stretta, a non provocarle l’ennesima delusione.
Cosa ci avrà poi trovato in me?
Mi guardo riflesso sulla vetrata del motel e non ci vedo altro che un uomo solo e disperato, senza più un motivo per andare avanti.
I capelli sporchi non mi donano, per niente.
Caterina è il mio opposto: pulita, casta, pura come la madonna, a costo di diventare blasfemo.
Nella hall triste di questo motel squallido, i colori dominanti sono il rosso spento e il blu.
Ma come faccio a dormire in posti del genere?
È una mancanza di rispetto verso me stesso, abituato una volta a frequentare un altro genere di luoghi.
L’uomo che sta seduto alla reception mi dice che il conto è già stato pagato dal signor Couture.
Bella la vita.
Pagarmi l’albergo è stata l’ultima cosa che ha fatto prima di essere ammazzato proprio da me.
È difficile pensare che quello che consideravo il mio migliore amico in realtà fosse solo l’ennesimo ostacolo alla mia libertà.
Ci si affeziona alle persone in anni, a volte decenni, e poi è sufficiente qualche minuto per cambiare ogni cosa.
Questo esito mi lascia ancora più solo di quando sono arrivato.
Fred era un punto di riferimento nella mia vita e sapere di essere stato ingannato dal primo istante in cui l’ho conosciuto mi fa pensare di essere molto più fragile e vulnerabile di quanto credessi in precedenza.
Va bene grazie
rispondo al portiere.
Mi guarda come se non avesse capito una parola di quello che con calma e chiarezza gli ho appena detto.
Maledetti inglesi.
Loro e il loro tono altezzoso.
Sono razzista come i tifosi di calcio.
Non mi vergogno ad ammetterlo: dipendesse da me al mondo ci sarebbero solo uomini italiani.
Fanculo gli inglesi, ma anche i francesi e anche i tedeschi.
Non sopporto i neri, i mulatti, i gialli e nemmeno gli indiani, anche se non ne ho mai conosciuto nessuno.
Forse è colpa di mio padre.
Lui e il suo attaccamento alla patria.
Mi ha lasciato in eredità qualcosa di cui non riesco a fare a meno.
L’Italia con tutti i suoi difetti rimarrà sempre lo stato migliore al mondo.
Il cestino fuori dal motel non è il cimitero perfetto per la mia bellissima pistola che abbandono con le lacrime al cuore.
Mi dispiace sul serio.
Quando la mollo, sento una leggera scossa sulla mano, come se mi avesse salutato un’ultima volta, ma probabilmente sono solo molto impressionabile.
È finita anche con te.
Ritorno dal tassista che puntualmente mi ha aspettato lì di fronte.
Mi siedo dietro senza dire una parola, sul tessuto un po’ squarciato che quantomeno trattiene il calore.
Mi accorgo di essere rimasto con due sole sigarette dentro al pacchetto bianco e rosso da venti.
Ho perso il conto di quante ne ho fumate.
Ripenso a questi giorni, intensi come pochi nella mia vita.
Ripenso a Kelly.
A quella stanza.
Non ha smesso di scoparmi, con la pistola puntata alla mia testa, con la certezza più che l’impressione da parte mia che quel colpo sarebbe partito da un momento all’altro.
Non ha sparato.
Mi ha fatto godere in modo unico e poi si è alzata spensierata e soddisfatta, come la più brava delle attrici.
Non ricordo neppure dove sia venuto, quali danni abbia potuto commettere preso dall’eccitazione.
Che momento.
Che idiota.
Ha posato la mia pistola sul letto.
Non avevo mai scopato rischiando di morire.
Ero ancora sdraiato ansimante quando ha cominciato a vestirsi.
Ha sciolto le trecce bionde come se finalmente si fosse tolta la maschera indossata per tanti giorni.
Le ho invidiato quell’istante.
Avrei voluto cancellare e ricominciare da capo, come stava facendo lei.
Non sembrava seccata dalla mia presenza lì dentro.
Era a suo agio.
L’ho osservata in ogni movimento.
È stato diverso guardarla con gli occhi di chi sa come stanno le cose, con la lucidità giusta.
Non era più una prostituta in difficoltà, ma un’attrice meravigliosa che si è presa gioco di me.
Ha perso un fascino ma ne ha guadagnato un altro di molto superiore.
Quante parole buttate al vento tra di noi.
Non saprei quantificare le bugie ascoltate in questi pochi giorni, ma la considero comunque la persona più piacevole incontrata nella mia breve permanenza in Inghilterra.
È stato così, nella più spontanea delle situazioni, che lei, bellissima anche dopo l’amore, mi ha detto:
Allora io vado, Vinci...
Non mi sono alzato dal letto.
Non so se per pigrizia o per mancanza di stimoli, a dire il vero.
Non ci è rimasta male.
Ho domandato l’unica cosa che m’interessava sul serio, con una curiosità che avrei voluto soddisfare.
Non mi dirai se sei un’attrice, vero?
Lei ha atteso un attimo a rispondere, ma non mi è sembrata avere dubbi sulla risposta da darmi.
No, e nemmeno quanto sono stata pagata, cosa penso, e se mi sei piaciuto per davvero...
Sorrido.
Mi prendeva in giro anche lì, in un momento in cui avrebbe potuto smettere di parlare e dirmi una frase di circostanza.
Non l’ha fatto e mi sono reso conto di conoscerla ancora meno.
Lo immaginavo
le ho risposto io.
Era bella anche dopo il sesso, con il trucco che un po’ le era colato sulla pelle liscia e luminosa.
Respiravo un’atmosfera particolare.
I suoi occhi sono difficilmente dimenticabili, in uno sguardo che sono riuscito a notare nella meraviglia di curve e sapori.
Non era perfetta, non in quel momento, e proprio questo me l’ha fatta piacere così tanto.
Allora te ne vai?
Dovresti andartene anche tu, c’è un cadavere in questa stanza...
Nessuno dei due si è voltato verso Fred.
Sì...
Comunque grazie per non avermi sparato
aggiunge.
Era lei a sorridere in quell’istante.
Grazie a te...
Siamo rimasti a guardarci a distanza per qualche secondo, in un assoluto silenzio che mi piaceva ed eccitava.
Tutto così strano.
Allora vado...
L’ho assorbito solo in quel momento.
Sarei tornato solo, come poche ore prima.
Non volevo farle pesare il suo volersene andare, perché in fin dei conti era giusto così.
Dovevo rimanere solo.
Mi guardava a malapena.
Era il momento.
Addio Kelly...
Mi sono grattato la tempia, sintomo di nervosismo evidente che cercavo di nascondere in modo goffo.
Addio Ale...
Prima di uscire dalla porta, lasciandosi alle spalle tutto me stesso, mi si è avvicinata, sul bordo del letto.
All’inizio non capivo.
Ha tirato fuori dalla tasca una piccola scatolina che ha poi appoggiato sulla mia pancia mossa dal continuo inspirare ed espirare che mi aveva creato tutto il nostro incomprensibile rapporto.
Era coperta solo da un piccolo adesivo vecchio.
L’ho presa in mano, con la paura di romperla e nessuna idea di cosa potesse contenere.
L’ho aperta di fronte a lei.
Una collanina.
Non sapevo se fosse d’oro, o semplicemente dello stesso colore, né se il suo gesto fosse dettato dalla pietà nei confronti di una persona distrutta come me, o dal volermi ringraziare di essermi comportato come un gentiluomo.
Non era importante.