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L'imperfetto
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L'imperfetto

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Guaspieri è un commissario di polizia. Felicemente sposato da qualche anno, una figlia piccola che adora, una vita regolare. Eppure nutre dubbi, immagina vite parallele, i suoi sentimenti si alternano tra la voglia di libertà e il calore del focolare domestico.

Con l'omicidio di Rosa Di Rocco, una studentessa universitaria, Guaspieri si butta a capofitto sul lavoro e nel corso delle indagini scoprirà la sua vera natura.

Incostante, contraddittorio e disordinato, il commissario affronta il caso lasciandosi coinvolgere dalle situazioni, mischiando il lavoro con la vita privata, violando le regole. Il passato riaffiora in flash, si ricongiunge al presente, costruisce la storia futura.

La musica è una compagna costante, la colonna sonora della sua vita gli porta consiglio e riflessione, accentua stati d'animo e sensazioni.

Un personaggio, Guaspieri, tutt'altro che perfetto, da odiare per le sue debolezze, da amare per la sua caparbietà nella ricerca della verità.
LanguageItaliano
Release dateFeb 3, 2014
ISBN9788868856243
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    L'imperfetto - Ulisse Destrieri

    1. La normalità

    Era un pomeriggio del mese di dicembre dell’anno 2008. Guaspieri era appena salito in macchina. Una Ford Focus color grigio topo, 2 porte, che egli manteneva in buono stato, tagliandi quasi regolari, lavaggio quasi una volta ogni 2 mesi. Quel pomeriggio il cielo era plumbeo. Le nuvole, come spesso accadeva in quella città, avevano un colore pressoché uniforme, non erano chiare e scure ma tutta la città era coperta da un ammasso compatto.

    Il commissario Guaspieri si stava recando in centrale, così come faceva tutti i giorni dopo aver trascorso la mattinata a svolgere alcune indagini urgenti, le ultime dell’anno 2008.

    Certo di questioni aperte ce ne erano ancora tante, ma adesso poteva godersi un piccolo periodo di riposo per poi ricominciare dopo l’epifania.

    Il Commissario indossava un paio di stivaletti marroni, pantalone di velluto nero un po’ aderente, una camicia pesante, un maglione a righe ed un giubbotto marrone. Al collo una sciarpa che le aveva regalato la moglie il natale scorso. La signora Elisa. Una sciarpa di Hugo Boss, a righe sottili sul rosso e l’arancione. Indossava anche un cappello ridicolo di cotone con la visiera in pelle e con la scritta baci. Il commissario odiava quel cappello e tutti i cappelli in genere ma per via del suo cranio rasato era costretto ad indossarlo nei periodi più freddi dell’anno. Il problema era che tutti i berretti gli stavano malissimo. Era per lui impossibile portare dei cappelli circolari o senza visiera. Chiunque lo vedeva sbottava a ridere. Il suo volto, con il cappello, gli conferiva un aspetto comico che chi lo conosceva non poteva fare a meno di sganasciarsi, così doveva per forza indossare dei cappelli con visiera, ottenendo risultati appena migliori.

    Alle ore 18.39, l’ispettore uscì dalla centrale. Le strade erano illuminate a festa. Entrò in un negozio, universo bimbo, acquistò un vasino rosso per fare la cacca, una vasca da bagno per bimbi di color giallo fluorescente, 8 vasetti di omogeneizzato alla prugna, 4 al kiwi, 4 yougurt alla frutta. Guaspieri aveva una bimba di 6 mesi, si chiamava Elena, era brava e dolce, bellissima, con le orecchie a sventola, i capelli neri e due occhioni grandi grandi che quando ti guardava era impossibile non scioglierti. Guaspieri sfilò veloce nel traffico, notò che man mano che si avvicina al centro della città le luminarie diventavano più eleganti. Amava la sua Pescara, rimessa in forma negli ultimi anni da una buona amministrazione comunale ma dove il sindaco era ora agli arresti domiciliari per vari reati. Mentre tornava a casa l’ispettore si mordicchiava le pellicine del pollice e pensava alle inchieste a lui assegnate, faceva il punto della situazione. Era ancora presto per passare in rassegna tutto ciò che era accaduto nel 2008, e non si riferiva solo al lavoro ma anche alla sua vita, a come era cambiata da quando era nata la piccola Elena, un anno, quello che stava per terminare, certamente più casalingo e più intimo. Ma era soddisfatto? Era felice? Egli non ere ancora rilassato, era ancora troppo preso dal lavoro, aveva ancora la testa piena, ora finalmente poteva godersi un po’ di giorni di relax. Pensava che Pescara era una città tranquilla, un ispettore della omicidi non aveva troppi problemi. Di morti ammazzati, trucidati, triturati, strapazzati, qui ce ne erano pochi ed erano per di più commessi dalla piccola delinquenza per regolamento di conti.

    Guaspy sfilava nel traffico commettendo diverse infrazioni al codice della strada. I vigili della città, inflessibili, gli avevano già comminato diverse multe che egli girava al suo giovane amico avvocato per i ricorsi di rito. Ad oggi non sapeva quanti punti gli erano rimasti sulla patente, aspettava che qualcuno gli comunicasse che non poteva più guidare ed allora sarebbero stati cavoli amari, ma per il momento era inutile pensarci su. Guaspy amava la sua automobile, la sua vecchia ford con la quale si muoveva disinvolto, agile, veloce ma rilassato. In automobile poteva pensare in pace. Stava infatti proprio riflettendo sul fatto che guidare lo aiutava a concentrarsi sui suoi casi, sui particolari delle scene del crimine, sul significato degli indizi trovati.

    G. possedeva anche una motocilcletta, un vecchio tdm del ‘97, ma quella andava bene per l’estate; d’inverno o con i primi freddi autunnali, usava solo l’auto. Il contachilometri dell’auto misurava già 170000 km e lui sapeva che era giunta l’ora di cambiarla ma andava ancora bene, tranne che per i tergicristalli, il cui fusibile si fulminava troppo spesso. Il problema era che Guaspieri, finchè la macchina non andava completamente fuori uso non la riparava perchè era fondamentalmente pigro e poi non aveva mai tempo. Era piuttosto incapace a ben organizzarsi.

    Si fermò dal solito fornaio dove acquistò la massa per la pizza, 1 kg diviso in due sacchetti da mezzo. E si perchè anche se a mangiare erano soltanto lui e la signora Elisa, la pizza era il suo piatto preferito ed in due si scofanavano prima una teglia intera e poi attaccavano la seconda. La metà della seconda teglia veniva mangiata a colazione o a pranzo il giorno dopo.

    I due fornai, marito e moglie erano dei furbetti. Settant’anni suonati, super cattolici in apparenza, con la foto di padre Pio appesa alla parete. Fingevano troppo spesso di sbagliare a battere lo scontrino. Anziché due euro e cinquantotto segnavano solo cinquantotto centesimi e così via. Varie volte G. glielo aveva fato notare e loro facevano sempre finta di essersi sbagliati finchè avevano imparato a riconoscere il commissario ed ora non sbagliavano più.

    Cominciò a riflettere sul fatto che la sua nazione non avrebbe potuto di certo migliorare finchè la gente avrebbe continuato ad evadere le tasse. Gli italiani d’altronde erano così, un popolo latino, corrotto, che aveva esportato la mafia. Da quei ragionamenti il commissario cominciò ad interogarsi sulla sua rettitudine. Lui cos’era? Era serio e ligio al dovere, non si era mai fatto corrompere e mai aveva corrotto nessuno. Non era particolarmente interessato al denaro e questo rendeva tutto più facile. Si fermò ancora al distributore di benzina. La crisi economica imperversava in tutto il paese, la benzina diesel era a 0,984. Pensò alla sua manciata di azioni che avevano perso oltre il 30% del loro valore e in quel mentre Elisa chiamò:

    -  Ciao, sono davanti casa ho comprato l’omogeneizzato, la vaschetta, il vasino.-

    Si trovava a cinquecento metri da casa quando squillò di nuovo il telefono. Era l’agente Di Domizio:

    -  Una donna di identità sconosciuta è stata trovata morta in Via Paolo Tosti a Francavilla al Mare, gli agenti si stanno recando sul posto.

    -  Ok, arrivo in 15 minuti.

    Cazzo pensò, adesso chi glielo dice a Elisa che aspetta gli omogeneizzati; cazzo dovevamo fare il bagnetto alla piccola. Mentre rifletteva il commissario cambiò direzione e si diresse a tutta velocità nel luogo di ritrovamento del cadavere.

    2. Il fatto

    Una donna bionda, occhi verdi, lentiggini, labbra sottili, altezza circa 160 cm. Era girata di schiena, con il volto di lato, lo sguardo assente, le gambe anch’esse piegate di lato. Un bel viso, delicato, carnagione bianca. Un po’ pienotta nelle caviglie, nei polpacci, nelle cosce e nelle natiche. La parte superiore del corpo invece era più esile. Le spalle, scoperte erano piccoline e delicate. Era vestita di nero, stivali con tacco, pantaloni elasticizzati aderenti, maglia di lana morbida. Le si avvicinò, emanava un profumo delicato, un profumo molto particolare, una fragranza decisa ma di cui la donna si era cosparsa in piccola dose, quasi che fosse necessario starle con il naso attaccato alla pelle per poterne annusare l’odore. Il suo profumo si mischiava a quell’odore dolce che emanavano i morti. Le sopracciglia erano curate, molto sottili, forse troppo sottili per i suoi gusti. Il medico legale si avvicinò con discrezione.

    - Commissario, hai già scoperto qualcosa? - Distolse la mente dai suoi pensieri e guardò il medico.

    -  Nulla. E tu che mi dici?

    -   Secondo me e’ morta dalle dodici alle diciotto ore fa. Da poco la hanno scaricata qua.

    Le operazioni di rito furono piuttosto lente quella sera, la polizia era ben impegnata a tenere alla larga i curiosi ed i giornalisti, ansiosi di regalare al pubblico le immagini della donna pugnalata così come era stata ritrovata dalla polizia. G. era diventato nervoso per non dire furioso. Appena arrivata la stampa aveva urlato contro i poliziotti che non stavano facendo al meglio il loro lavoro per tenerli lontani. Non che fosse entrato qualcuno all’interno del cordone ma i flash erano troppo vicini ed un senso di desolazione invadeva il commissario che aveva l’impressione che si stesse violando per la seconda volta il corpo di quella povera ragazza. D’un tratto, tra la folla, G. si concentrò sul volto di una ragazza che forzava per entrare, allora si avvicinò e ordinò al poliziotto di lasciarla passare. Doveva avere una età intorno ai 27 anni, giudicò il commissario, corta di statura ma con vistosi tacchi, abbigliamento casual, jeans e maglione.

    -  Mi dica signora, sono il commissario Guaspieri, come posso aiutarla?

    -  Ho intravisto la ragazza, lì per terra, ho chiamato mia sorella ... ma non risponde e a casa non c’è ... non vorrei ....

    La ragazza non parlò più, G. aveva capito il dubbio che la assaliva, avrebbe voluto accarezzarle i capelli e cercare di tranquillizzarla un po’ ma non lo fece, le toccò appena una spalla e la accompagnò. Giunti a circa tre metri dal cadavere, si fermarono, lui le cinse le spalle, lei guardò di lato quasi a voler sfuggire alla verità. G. allora capì che la donna aveva già riconosciuto la sorella quando la aveva intravista al di fuori del cordone della polizia ma quasi non poteva credere alla evidenza dei fatti.

    La donna si girò di colpo a guardare la sorella stesa per terra. Si soffermò sul viso, su quell’espressione smarrita, su quegli occhi azzurri persi nel vuoto.

    - Si è lei.

    Lo disse con voce fredda, il viso impassibile. Il commissario le chiese le sue generalità e quelle della vittima che vennero trascritte da un agente. E’ così ora abbiamo anche un nome, pensò Guaspieri. Nei vestiti infatti non erano stati trovati documenti e nelle vicinanze del cadavere non c’erano borsette da donna.

    -  Ha in mente chi può essere stato? Amici, corteggiatori, si era forse cacciata in qualche guaio? frequentava gente poco raccomandabile?

    La ragazza rispose negativamente a quelle domande ma l’ispettore ebbe l’impressione che stesse pensando a qualcosa e che forse sapeva di più di quanto volesse far credere. Certo fu solo una impressione ma G. si raccomandò di non tralasciare tale elemento nel futuro dell’indagine.

    -  E’ necessario avvertire i suoi genitori, le persone care – disse G. rivolto alla ragazza e fu allora che una grossa lacrima si fece spazio sulla guancia della donna.

    -  Se vuole posso accompagnarla, ho bisogno di sapere alcune informazioni su sua sorella.

    -  Ok, andiamo.

    I due salirono in macchina. Entrò prima G. che si rese subito conto che la sua auto era totalmente invasa da cartacce e attrezzi per bambino, seggiolino e giochi vari, dunque riordinò il sedile anteriore prima di far salire la donna.

    La vittima si chiamava Rosa e sua sorella Tania, il loro cognome era Di Rocco, famiglia originaria di Rapino, un paese arroccato sui monti ai margini della Majella. L’auto procedva lenta nella notte, la nebbiolina sporcava di tanto in tanto il parabrezza tanto che era necessario azionare il tergicristalli ad intervalli irregolari. Tania non parlava sicchè il commissario ruppe il silenzio.

    -  Quando ha visto sua sorella per l’ultima volta?

    -  Ieri sera, è uscita verso le nove e non è più rientrata. Noi viviamo insieme a Francavilla, come le ho già detto abbiamo preso una casa in affitto.

    -  Sa con chi usciva?

    -  Non me lo ha detto.

    -  Può immaginare con chi e dove potrebbe essere andata?

    -  No.

    G. comiciava a perdere la pazienza.

    -  Così non andremo lontano, insomma lei viveva o no con sua sorella? Cos’è questa reticenza? Non le importa nulla di capire cosa è successo ieri notte? E sapere che il suo assassino è ancora in libertà? Che effetto le fa?

    Tania allora rispose:

    - Qualche tempo fa frequentava un poco di buono, un ragazzo da quattro soldi, per fortuna lo ha lasciato ma spesso ci ricadeva e so che si vedevano ancora.

    Pronunciò quelle parole con odio, quasi personale, verso quel giovane.

    - Frequentava solo questo ragazzo o ce ne erano altri?

    - Che io sappia no, aveva qualche amico, un bravo ragazzo, un commercialista che le andava dietro ma del quale lei ha voluto essere solo amica.

    - Aveva amiche?

    - Non qui a Pescara, quelle sue più care erano quelle del paese che ora vivono ancora lì o lavorano a Roma e tornano solo raramente a Rapino. Si incontrano perlopiù nei periodi di festa, quando ritornano dai loro familiari-.

    Fuori c’era una grossa luna piena e il cielo si era rasserenato, man mano che viaggiavano e si inerpicavano sulle montagne della Majella faceva sempre più freddo e più salivano più il commissario girava la manopola del riscaldamento dell’auto per far entrare aria calda. Nell’abitacolo c’era un dolce tepore. Dopo una serie di curve il paesello apparve, appollaiato su un monte. Era ben illuminato da numerosi lampioni oltre che dalla luce delle abitazioni e c’era da percorrere un lungo rettilineo per arrivare ai piedi del monte e poi di nuovo una serie di curve in salita per raggiungere il centro del paese. Tania disse al commissario di svoltare a sinistra, G. azionò l’indicatore di direzione e svoltò. Ora l’auto procedeva di nuovo lungo una strada diritta ai cui lati erano state costruite delle abitazioni. Non erano proprio ville, erano più dei casermoni, come quelle case che disegnano i bambini all’asilo, a due piani squadrate, molte senza recinzione esterna. Tania invitò il commissario a svoltare a sinistra in direzione di un’abitazione simile a tutte le altre. La facciata principale non aveva portoni di ingresso ma solo due enormi aperture a piano terra chiuse da pesanti saracinesche di acciaio. G. pensò ad un deposito di materiale che doveva essere caricato su dei camion ed in ogni caso ritenne che nella abitazione venisse svolta anche una attività artigianale, agricola o commerciale. Pensò che quel posto, in generale, era scialbo e triste. Tania lo accompagnò lateralmente, dove c’era il portone di ingresso e lo aprì. G. pensò anche che se egli si fosse trovato in una situazione simile avrebbe suonato il citofono pur avendo le chiavi, così da avvertire subito della presenza anomala sua e del commissario e raccontare ciò che era successo. Pensò che solo una persona metodica e precisa avrebbe invece aperto con le chiavi. Dal portone di ingresso partivano delle ripide scale ed i due le salirono fino al primo piano. Lì un’altra porta con serratura e questa volta la ragazza suonò il campanello. Dovettero attendere qualche minuto prima che qualcuno aprisse l’uscio, nel frattempo dentro la casa si avvertivano dei rumori. Una voce di donna chiese chi fosse e Tania si affrettò a rispondere: - mamma sono io .- Una signora

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