Adottare l'e-learning a scuola
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Anteprima del libro
Adottare l'e-learning a scuola - Roberto Maragliano
Il libro Adottare l’e-learning a scuola
Fin qui l’e-learning è stato per lo più utilizzato, in ambito scolastico, per la formazione in servizio degli insegnanti. Cosa potrebbe mai capitare se si provasse a utilizzare la formazione online anche per le attività di classe? Ha senso farlo? E come? In che cosa potrebbe essere utile adottare l’e-learning e quali problemi potrebbe incontrare? A queste domande non è possibile dare risposte che siano soltanto tecniche. Quelle più adeguate, che hanno a che fare con la didattica, le potrà dare il singolo docente ragionando, con l’aiuto di questo testo, sui punti di forza e sulle zone critiche dell’insegnamento frontale: alla conclusione di questo itinerario, che è quello del libro, si troverà nelle condizioni di decidere se dire sì all’e-learning e, soprattutto, a che tipo di e-learning dirlo.
L’autore Roberto Maragliano
L’autore
Roberto Maragliano
Insegno Tecnologie per la formazione degli adulti all’Università Roma Tre. Da tempo mi occupo dei rapporti fra educazione e comunicazione, sia sul piano della ricerca scientifica sia e soprattutto su quello delle realizzazioni pratiche e delle soluzioni operative. Sono ideatore e responsabile del Laboratorio di Tecnologie Audiovisive. Tra le mie pubblicazioni: Parlare le immagini, Apogeo, 2008; Educare e comunicare (cura con Alberto Abruzzese), Mondadori Education, 2008. In ebook: Immobile scuola, CastelloVolante, 2011; Storia e pedagogia nei media (con Mario Pireddu), Garamond, 2012; Pedagogia della morte, DoppioZero, 2012.
La collana #graffi
#graffi è la sigla che contraddistingue una serie di prodotti digitali per la formazione, pensati e realizzati dal gruppo di ricercatori e docenti che fa capo al Laboratorio di Tecnologie Audiovisive (Dipartimento di Scienze della Formazione, Università Roma Tre). Perché #graffi? Perché i graffi lasciano dei segni. Noi che ci occupiamo di comunicazione e formazione, in particolare delle divergenze e delle convergenze tra tecnologie digitali e non digitali, intendiamo, con questi nostri prodotti, far agire e far pensare. Lanciando e lasciando, appunto, dei segni.
Il direttore
Roberto Maragliano
Il comitato scientifico
Alberto Abruzzese (Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM, Milano)
Giovanni Boccia Artieri (Università di Urbino)
Fabio Bocci (Università Roma Tre)
Adriano Canabarro Teixeira (Universidade de Passo Fundo, Brasil)
Salvatore Colazzo (Università del Salento)
Massimo Di Felice (Universidade de São Paulo, Brasil)
Giovanni Fiorentino (Università della Tuscia, Viterbo)
Iara Franco (Pontifícia Universidade Católica Minas, Minas Gerais, Brasil)
Maria Antonella Galanti (Università degli Studi di Pisa)
Fabio La Rocca (Université Paul Valéry, Montpellier III, France)
Mario Pireddu (Università Roma Tre)
Carl Smith (London Metropolitan University, UK)
La sede di direzione e redazione:
Laboratorio di Tecnologie Audiovisive
Università degli Studi Roma Tre
via Daniele Manin 53
00185 – Roma
tel. 06 57339146
email: roberto.maragliano@uniroma3.it
Dalla stessa collana:
Grazia Morra, Sentire le immagini, Percezioni della realtà nelle esperienze dei non vedenti, giugno 2013
Lettura collettiva e connettiva
PREMESSA ALLA NUOVA VERSIONE
La prima versione di questo testo dedicato alla possibilità di far entrare l’e-learning nella scuola esce nella primavera del 2011 come titolo di apertura di 5 cose su, una collana sperimentale di testi digitali destinati agli insegnanti delle scuole.
Sono passati solo due anni eppure si rende necessaria una nuova versione dell’e-book, che è quella che sto qui presentando. Come mai?
Le ragioni sono essenzialmente di due tipi: esterne e interne. Lo dico subito, mi dilungherò su quelle esterne, perché rimandano agli aspetti più generali e più possono incidere sulla scelta di un docente di aprire (e aprirsi) all’e-learning.
Sono le ragioni legate alla natura e le caratteristiche dei processi in atto della digitalizzazione. Vediamole, dunque.
Non è solo consumo
Sappiamo tutti che, nelle aree e del conoscere e del comunicare, sono in atto fenomeni di grossa postata, in termini sia di rapidità sia pervasività: per quanto uno cerchi di rallentare il processo della sua personale inclusione al loro interno, non gli riesce di farlo. La stampa impiegò secoli per imporsi, e comunque su porzioni limitate delle società; cinema, radio e tv impiegarono decenni, su porzioni ben più estese; il digitale si è universalmente affermato nel giro di pochi anni e le sue ricorrenti novità hanno tempi che ci siamo abituati a calcolare in mesi. Ci aspettiamo infatti che ad ogni cambio di stagione, come avviene con la moda, si allestiscano le sfilate dei nuovi dispositivi. Di tali avvenimenti, però, siamo generalmente pronti a cogliere gli aspetti di superficie, e ciò induce a bollarli come effetti di comportamenti consumistici. Ci convinciamo così (e consoliamo) con l’idea che alla loro base agisca soprattutto un impulso, quello che ci sembra di poter cogliere in tanti, e non solo giovani e giovanissimi: procurarsi l’ultimo ritrovato tecnologico per usarlo come un giocattolo con cui intrattenersi o tutt’al più come un oggetto simbolico da esibire in pubblico. Presi, anche noi, dal luccichio dell’oggettistica digitale evitiamo di interrogarci sulle ragioni più profonde del loro manifestarsi.
Comunque stiano le cose, il fatto di constatare che su dieci giovani italiani tra i 14 e i 29 anni nove sono attualmente utenti di Internet ( i dati del 2013; vedi anche questa infografica sulla diffusione della lettura digitale), non può non porre problemi a chi si occupa di formazione scolastica, e lo stesso vale per chi in altri ambiti pratica educazione. Il meno che io possa dire, a questo proposito, è che mi pare poco sensato che ci si limiti al lamento sull’esistenza e la causa prossima di tali problemi: sarà consumo, quello delle macchinette digitali, ma è, indubbiamente, consumo di sapere; sarà il fascino ammaliante degli schermi, ma è, chiaramente, un fascino legato al bisogno e al piacere di essere in contatto costante con oggetti e soggetti. Fatto sta che spesso l’educatore sceglie di ignorare questi aspetti più profondi e si dispone a vedere in tutta la faccenda l’azione di un avversario tanto potente e invincibile da giustificare, in lui, una risposta di resa o di fuga: così, col negare dignità umana
al fenomeno e vederlo solo come effetto di pulsioni artificialmente indotte, egli si procura contemporaneamente assoluzione per la sua passività intellettuale e condanna per la loro.
Se pure quello davanti a noi educatori e insegnanti è un avversario (il che è tutto da dimostrare) non avrebbe più senso farsi un’adeguata rappresentazione del terreno su cui scende e delle armi che usa? Perché è anche con queste e su quello che potremmo garantirci un futuro successo. Senza contare, poi, che raramente in quanto docenti siamo consapevoli delle armi stesse che usiamo, della forza che ci danno ma pure delle debolezze che ci trasmettono (queste soprattutto agli occhi dei nostri allievi). Molte sono le domande che allora ci troviamo costretti ad eludere. Cosa sono questi nostri attrezzi di insegnanti, come e perché li usiamo, chi ce li ha forniti e come e per quale ragione? Contrapporre libro a rete fa andare poco avanti, non fa vincere guerre né battaglie, se poi non sappiamo davvero di che parliamo, e quale è l’effettiva posta in gioco. Attenzione, dunque, a non farci troppo suggestionare dai rumori e dagli umori di un conflitto: più opportuno sarebbe sollevare interrogativi sulla natura del campo su cui esso avviene ed anche sulle vittime di precedenti battaglie (diciamocelo, allora: chi alla lunga ha vinto e chi ha perso, tra i figli della tv
e i loro insegnanti?).
In quanto insegnanti dovremmo saper indirizzare, preliminarmente, il nostro impegno pedagogico proprio qui, sul versante di una realistica analisi degli schieramenti: su un terreno che, però, tendiamo a raffigurare e costruire col ricorso ad immagini non meno fittizie di quelle che utilizziamo a proposito dei consumatori di digitale. Eppure, sollecitazioni a procedere in una direzione più impegnativa e produttiva davvero non mancherebbero: da decenni ormai, sono disponibili chiavi di interpretazione capaci di dar conto del perché di tanta e tanto profonda crisi, nel rapporto fra i mezzi della formazione istituzionale e i mezzi della comunicazione sociale (io e il mio gruppo di ricerca, come mai abbiamo mancato di chiarire, facciamo riferimento, per questo, alle teorie della scuola di Toronto, sovente bollate come deterministiche in ambito accademico, ma che ci appaiono tuttora attualissime e quanto mai feconde). Di fatto, l’insegnante medio sa poco della sua identità di essere analogico e monomediale
(comunque a contatto, anzi dentro una tecnologia pervasiva come quella della stampa), e pochissimo della loro reale identità di esseri digitali e multimediali
: termine, quest’ultimo, che personalmente ho mediato da Nicholas Negroponte nel 1996, per il volume che trovate riprodotto integralmente qui, e che francamente mi appare più pertinente e meno ambiguo di altre formulazioni peraltro abbondantemente diffuse nell’odierno linguaggio scolastico (penso alla contrapposizione tra nativi
e immigranti
digitali).
Tornando al tema del consumo, riconosciamolo: siamo un po’ tutti carenti rispetto all’esigenza di capire come e in che direzione la corsa ad acquisire e interiorizzare tecnologia digitale, e soprattutto il fare costante esperienza di rete stiano trasformando la percezione che l’individuo ha di se stesso, e dunque ci adagiamo su espressioni formulaiche, che usiamo, come ho già detto, per autoconsorci. Con parole più grosse si potrebbe sostenere che quanto generalmente rimproveriamo a questi dispositivi è il fatto di alienare il soggetto da sé; in termini più poveri, gli si attribuisce il potere di dirottare l’individuo dalla strada dell’autenticità per immetterlo in quella delle apparenze fittizie. E questo riguarderebbe anche la rappresentazione dei rapporti che, preso dalla rete tecnologica e dalle reti dei rapporti, la vittima delle alienazioni digitali è portato a stabilire tra sé e gli altri, e tra sé e le diverse realtà del mondo, non ultime quelle inerenti la ricezione e la produzione di sapere. Ne viene una sorta di paradosso che, crudamente, si potrebbe esplicitare in questo modo: se per entrare in contatto con il mondo (e con sé) uno utilizza la tecnologia della stampa riconosciamo autenticità alla sua esperienza, se invece utilizza la tecnologia di rete lo vediamo vittima esposta alle insidie dell’inautenticità.
Potere della carta! E potere di una tecnologia, la stampa, tanto interiorizzata dal sistema scolastico da non poter essere oggetto nostro (e loro) di riflessione!
A cosa dà risposta
Così capita frequentemente che la scelta della via più breve della rimozione o della condanna prevalga sull’esigenza di far maturare un itinerario di comprensione di ciò che sta sotto, dentro e attorno ad esso, delle istanze cui dà risposta: non arriviamo, così, a chiederci su quale dimensione psicologica e in particolare su quale dimensione proiettiva faccia leva il bisogno, oggi così diffuso, di essere costantemente alla pari rispetto al possesso (e all’uso) dei dispositivi tecnologici. Se lo facessimo, e se provassimo a fornirci delle risposte, non solo ammetteremmo che tra le prime ragioni c’è la promessa di vedere incrementate le proprie attività di comunicazione e conoscenza, ma soprattutto daremmo per acquisita l’idea che una pedagogia istituzionale al passo con i