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Obama e l'impero
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Obama e l'impero

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Il presidente Barack Obama ha conquistato il secondo mandato. Si impegnerà per la pace? Fidel Castro, uno dei principali protagonisti del nemico tradizionale della guerra fredda e di Washington, getta un occhio critico sul significato dell'elezione di Obama e sulla sua performance durante il suo primo mandato. È possibile eliminare tutti i deficit di bilancio statale e federale negli Stati Uniti, fornire assistenza sanitaria gratuita e istruzione universitaria a ogni americano, pagare per una serie interminabile di validi programmi sociali e culturali, terminare le guerre in Iraq e Afghanistan, evitando nuovi conflitti, e la chiusura del Pentagono e di oltre settecento basi militari? Dal ritiro dalla vita pubblica nel 2006, il leader cubano ha continuato a fare commenti tipicamente schietti su una vasta gamma di argomenti correlati agli eventi mondiali e sugli sviluppi politici negli Stati Uniti. In questo saggio, Fidel Castro discute questioni come la crisi finanziaria globale, i cambiamenti climatici, le guerre in corso degli Stati Uniti in Medio Oriente e i rapporti tra Washington, l'Europa e l'America Latina. Castro si sofferma in particolare sulla riforma sanitaria di Obama, punto del suo programma e sulla morte di Osama Bin Laden.
LanguageItaliano
Release dateFeb 9, 2013
ISBN9788865640616
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    Obama e l'impero - Fidel Castro

    Titolo dell’opera originale

    Obama y el Imperio

    Copyright © 2012 Fidel Castro

    Copyright © Ocean Press

    Published under license from Ocean Press

    Traduzione dallo spagnolo di Alessandra Umile

    © Atmosphere libri

    Via Seneca 66

    00136 Roma

    www.atmospherelibri.it

    info@atmospherelibri.it

    Redazione a cura de Il Menabò ( www.ilmenabo.it)

    I edizione nella collana saggiatmosphere settembre 2012

    ISBN 978-88-6564-061-6

    Nota dell’editore

    Questo libro non è solo una fotografia di due dei più importanti statisti degli ultimi quarant’anni. È anche, attraverso le Riflessioni scritte durante i quattro anni della prima presidenza Barack Obama degli Stati Uniti, una testimonianza in presa diretta del leader rivoluzionario cubano Fidel Castro degli eventi mondiali, della politica di apertura (fino a un certo punto) verso Cuba e della politica interna di Obama in vista di una bocciatura o di una riconferma al cambiamento auspicato dal Kennedy nero. Questo libro è per quei lettori che amano le notizie non contrabbandate da intermediari, ma espresse dalla viva voce dei protagonisti, per coloro che continuano a credere nell’American dream e per coloro che hanno creduto e continuano a credere nel Cuban dream o, meglio, nella Revolución cubana.

    Pochi politici hanno suscitato tante aspettative quanto il 44° presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Cambiamo! Sì, possiamo!

    Cambiare? Nessuno più di Fidel Castro lo ha preso in parola. Dopo questi annunci elettorali, alla prova dei fatti Obama si è rivelato più un pragmatico che un progressista. Le illusioni di Castro si sono disciolte come neve al sole. Avrà pensato con rammarico: «Le solite, vecchie politiche. Oh Stati Uniti d’America, perché non imparate mai?»

    Castro se la prende con l’Impero degli Stati Uniti. Cadrà? Continuerà? Neanche Obama è capace di scalfire la struttura profonda e la cultura di uno stato imperiale acquisito nei decenni e fortemente voluto dalla maggior parte degli americani. I conservatori non aspettano che qualche passo falso da parte di Obama per metterlo contro la sua stessa gente. I quattro anni di presidenza lo hanno proiettato sempre più in alto, benché non ci sia stato un cambiamento nelle sue politiche economiche e militari nonostante la retorica positiva sul negoziato e il dialogo anziché l’egemonia e il monopolio della verità. Per Obama è stato facile succedere a George W. Bush, considerato da molti il peggiore presidente in assoluto. E nonostante le guerre per il petrolio, gli oleodotti, le basi e gli scontenti in Iraq e Afghanistan, ci sono stati imperialisti ben peggiori di Obama. I critici progressisti dell’attuale presidente dicono che per 236 anni gli Stati Uniti hanno difeso ovunque la democrazia (lo ha assicurato Hillary Clinton al Cairo). Gli oltre 160 interventi militari all’estero effettuati fino agli anni ’40; le guerre della Guerra Fredda in Corea, Vietnam, Laos, Cambogia, Libano; i colpi di stato orchestrati dalla CIA in Guatemala, Indonesia, Brasile, Cile, Argentina; le guerre del dopo Guerra Fredda in Iraq, Somalia, Jugoslavia, Afghanistan, Libia sono giustificati dalla difesa della democrazia. «Lo stesso impegno» garantisce Hillary Clinton, segretario di Stato, «viene portato avanti dall’amministrazione Obama». Ovviamente le critiche della destra politica a Fidel Castro (richiesta di rispettare i diritti umani nell’isola, centinaia di migliaia di esuli abbandonati dal regime, detenuti politici nelle carceri, salario medio bassissimo di un operaio cubano, illegalità diffusa, mercato nero) sono ormai consolidate da anni e il giudizio di questa parte politica non si è mai modificato.

    Cosa hanno in comune Fidel Castro e Barack Obama?

    Le scomode somiglianze sono state sottolineate dalla parte politica avversa al presidente americano. Entrambi gli uomini politici hanno attraversato un’infanzia turbolenta e si sono impegnati per una rivoluzione sociale: sotto il segno del marxismo-leninismo e di un appassionato antimperialismo da parte del leader cubano, e dell’integrazione razziale, della difesa dei lavoratori socialmente più deboli da parte del più giovane presidente.

    Il conservatore americano Jeffrey Klein scrive che entrambi gli uomini sono nati in circostanze familiari non-tradizionali che hanno lasciato uno stigma sociale che influenzerà per sempre la loro vita.

    Fidel Castro Ruz nasce nell’agosto 1926 in Spagna, da una relazione extraconiugale tra il padre Angelo e la domestica di casa, trent’anni più giovane di lui, Lina Ruz González, che veniva da una famiglia povera cubana. Quando ha solo sei anni, Fidel e i fratelli più grandi sono mandati a vivere con il loro insegnante a Santiago de Cuba. A otto anni è battezzato con rito cattolico. Angelo Castro divorzia dalla moglie quando Fidel ha quindici anni e sposa la madre di Fidel, Lina. In seguito, Fidel Castro è formalmente riconosciuto quando ha diciassette anni, e il suo cognome cambia da Ruz a Castro. Alla fine del 1945, Castro inizia a studiare giurisprudenza presso l’Università degli Studi dell’Avana. Subito coinvolto nel movimento di contestazione studentesca, aderisce ai gruppi di studenti di sinistra. Castro si unisce a un gruppo di nuova costituzione socialista, il Partito del popolo cubano, ma, influenzato dagli scritti di Marx, Engels e Lenin, si sposta ancora più a sinistra. Dall’8 gennaio 1959, quando fu nominato Comandante in Capo delle Forze Armate dopo la caduta del governo Batista, al 17 dicembre 2007 ha assunto un ruolo politico attivo come capo indiscusso della Repubblica di Cuba, per lasciare successivamente il potere al fratello Raúl.

    Barack Obama, nato nell’agosto 1961, è il prodotto di un matrimonio interrazziale tra una donna bianca americana e un uomo nero del Kenya. I genitori di Obama si separano poco dopo la sua nascita e divorziano nel 1964. Il padre lo va a trovare solo una volta, alle Hawaii, dove vive il futuro presidente degli Stati Uniti, nel 1971; muore in un incidente d’auto nel 1982. Dopo il divorzio, la madre di Obama si risposa con l’indonesiano Lolo Soetoro, uno studente straniero alle Hawaii. Nel 1967, si trasferiscono in Indonesia, e Barack frequenta le scuole locali a Jakarta.

    Nel 1971, Obama ritorna a Honolulu a vivere con i nonni materni e frequenta una scuola privata di preparazione al college, dalla V elementare fino al diploma di scuola superiore, che ottiene nel 1979. La madre torna alle Hawaii nel 1972 e vi rimane fino al 1977, quando ritorna in Indonesia. Alle Hawaii ritorna solo diciassette anni dopo, nel 1994. Muore di cancro ovarico un anno dopo.

    Fidel Castro, che nel 2006 ha di fatto lasciato la presidenza di Cuba al fratello Raúl per motivi di salute, pubblica regolarmente le sue Riflessioni. Obama è oggetto della maggior parte di esse. La rinuncia all’esercizio della funzione dirigente non significa l’abbandono della politica e sicuramente Fidel Castro non manca di dare il proprio contributo al dibattito teorico-culturale che permea la sinistra internazionale. Anzi, liberatosi dei suoi impegni statuali, con maggiore sistematica puntualità e libertà può avventurarsi nella riflessione, nei giudizi, nell’elaborazione.

    Washington e L’Avana sono avversari della Guerra Fredda che hanno portato la loro reciproca antipatia e diffidenza nel XXI secolo, e Castro fa regolarmente critiche politiche al suo nemico ideologico.

    I maggiori rimproveri al presidente degli Stati Uniti sono riassunti in poche frasi:

    «C’è qualche paese che è rimasto fuori dalle minacce sanguinarie di questo illustre difensore della sicurezza e della pace internazionale?» riferendosi alle attenzioni degli Stati Uniti nei confronti delle situazioni politiche in Siria, Iran, Iraq, Yemen, Egitto, Afghanistan, Corea del Nord, Libia e area palestinese.

    «Chi ha concesso agli Stati Uniti queste prerogative?» dice Castro.

    Gli unici appoggi al leader cubano vengono da Hugo Chávez ed Evo Morales, presidenti rispettivamente del Venezuela e della Bolivia, che non solidarizzano con la politica degli Stati Uniti.

    Fidel Castro ha più volte definito Barack Obama il presidente yankee.

    I repubblicani si sono scagliati contro l’amministrazione democratica e addirittura contro Hillary Clinton, che avrebbero commesso il delitto di concedere un visto di entrata a Mariela Castro per partecipare con un proprio intervento a un Congresso della prestigiosa Associazione di Studi sull’America Latina di San Francisco. Mariela Castro, ovviamente, è la figlia dell’attuale presidente cubano Raúl Castro, e la nipote di Fidel Castro. Il candidato alla presidenza per parte repubblicana, Romney, ha unito la sua voce alla protesta e nel suo programma elettorale ha assunto l’impegno a non concedere visti «a rappresentanti ufficiali o impiegati del governo di Cuba o del Partito Comunista di Cuba che abbiano passaporto ufficiale o diplomatico; individui che, a prescindere dal tipo di passaporto che presentano, siano considerati dalla Segreteria di Stato rappresentanti ufficiali o impiegati del governo di Cuba o del Partito Comunista», così come recita un proclama presidenziale del 1985 firmato da Ronald Reagan.

    Moshe Dayan notava: «Se vuoi fare la pace, non parlare con i tuoi amici. Parla ai tuoi nemici». Credo che tale osservazione sia ugualmente applicabile se si vuole incoraggiare il cambiamento dei regimi che violano i diritti umani.

    La signora Castro ha ringraziato l’uomo che ha reso possibile il suo viaggio: il presidente Barack Obama. In un’intervista alla CNN, la signora Castro ha detto che spera che il presidente Obama sia rieletto il prossimo novembre, perché se così fosse, allora Cuba potrebbe avere rapporti migliori con gli Stati Uniti, più di quanto non abbia mai avuto finora. Mariela Castro ha precisato che, se Obama vincesse per la seconda volta, potrebbe mettere fine al decennale embargo contro Cuba. «Credo che Obama sia l’uomo giusto, e Obama ha bisogno di un maggiore sostegno per essere in grado di prendere questa decisione» ha detto. «Se Obama contasse sul pieno appoggio del popolo americano, allora potremmo normalizzare le nostre relazioni e avere relazioni migliori rispetto a quelle che avevamo sotto il presidente Carter» ha aggiunto. Durante la sua presidenza, Carter revocò tutte le restrizioni sui viaggi negli Stati Uniti per Cuba. Per essere onesti, non è chiaro se la signora Castro parli a nome di suo padre. All’inizio di quest’anno, Fidel Castro scrive, sotto il titolo Il miglior presidente per gli Stati Uniti, ipotizzando una scelta tra Obama, un rivale repubblicano o un robot: «Non è evidente che la cosa peggiore è l’assenza, alla Casa Bianca, di un robot capace di governare gli Stati Uniti e impedire la guerra che metterà fine alla nostra specie? Sono sicuro che il 90% degli statunitensi, soprattutto gli ispanici, i neri e il crescente numero di appartenenti alla classe media che si sono impoveriti, voterebbe per il robot».

    Mariela Castro probabilmente sogna una Cuba dove poter camminare liberamente, assistere senza problemi a un concerto o a un dibattito pubblico, uscire ed entrare senza chiedere permesso. Non dimentichiamo che da oltre un anno e mezzo a Cuba è stata avviata una riforma verso l’economia liberista. Raúl Castro si era anche impegnato a spostare il 40% della produzione del paese dal settore statale a quello privato nei prossimi cinque anni. Mariela Castro ha potuto fare la sua tournée negli Stati Uniti senza che il notiziario cubano la definisse mercenaria. Ha detto che «voterebbe per Obama» e – sorpresa! – la stampa nazionale non l’ha accusata di essere filostatunitense. Fidel Castro respinge tutte le critiche sui continui dinieghi delle libertà fondamentali accusando la mafia cubana a Miami – anche quando la critica viene da dentro Cuba.

    I sentimenti di Fidel Castro sono ovvii: di fronte c’è il suo peggior nemico, il rappresentante più potente degli Stati Uniti; tuttavia, l’anziano leader comunista ha realmente sperato che la presenza di Barack Obama potesse finalmente dare una svolta. L’inasprimento dei toni negativi di Castro nei confronti di Obama va di pari passo con il procedere del mandato presidenziale del presidente statunitense e la mancata cancellazione dell’embargo a Cuba. La delusione traspare sempre più forte dalle riflessioni del leader cubano. Fidel Castro ha rifiutato l’offerta di Barack Obama che il 28 settembre 2011 aveva aperto a un cambiamento di rotta nei confronti di Cuba e a una possibile revisione dell’embargo, a patto che l’isola attuasse cambiamenti politici. «Molte cose cambieranno a Cuba, ma cambieranno per il nostro sforzo e nonostante gli Stati Uniti. Forse cadrà prima l’impero americano» ha scandito Fidel. Tuttavia, la speranza è l’ultima a morire e Castro sa bene che, invece di un potenziale leader progressista come Obama, potrebbe trovare, dal 6 novembre 2012, seduto sulla poltrona della Stanza Ovale della Casa Bianca, un presidente di destra che potrebbe cancellare per sempre i suoi sogni di riprendere relazioni diplomatiche e commerciali con gli Stati Uniti, prima che, alla sua morte, il fratello Raúl non compia la definitiva trasformazione democratica della Repubblica di Cuba.

    Fidel Castro, benché non riconoscerebbe mai in Obama un alleato, ha più volte lodato il presidente statunitense in occasione della comune lotta contro i cambiamenti climatici (Obama ha fatto della protezione dell’ambiente una priorità, muovendosi verso l’indipendenza energetica, investendo in lavori di energia pulita, e prendendo misure per migliorare la qualità dell’aria e dell’acqua) e per l’assistenza sanitaria alle classe sociali più deboli (l’Affordable Care Act permetterà a circa il 95% degli americani sotto i 65 anni di avere un’assicurazione per le cure mediche).

    Sono molti i record del presidente Obama che Fidel Castro condividerebbe: il raddoppio degli investimenti in borse di studio e aiuti finanziari agli studenti provenienti da famiglie operaie e della classe media per accedere alla formazione universitaria e per completarla; progressi per le donne per ottenere eguale retribuzione per eguale lavoro.

    Mai un presidente degli Stati Uniti ha attirato su di sé tante critiche degli ultraconservatori americani. Obama è considerato troppo amichevole con i musulmani, con gli omosessuali e con gli abortisti, desidera la completa trasformazione dell’America avendo come obiettivi il massimo disprezzo per il capitalismo, il cristianesimo e i valori tradizionali americani, perché vuole cambiare tutto. Adora lo statalismo e la laicità – l’antitesi dei padri fondatori degli Stati Uniti – circondandosi di radicali di sinistra anti-americani e comunisti. In questo clima, nasce la sfida senza esclusione di colpi tra Barack Obama e Mitt Romney, lo sfidante repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Si comincia con Romney, che attacca le origini da parte di padre di Obama: «È un africano, non capisce le tradizioni anglosassoni». E dall’antica madre

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