Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Anima Africana
Anima Africana
Anima Africana
Ebook318 pages4 hours

Anima Africana

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

ANIMA AFRICANA è di lettura piacevolmente angosciante e presenta la realtà delle strutture assistenziali e dei bisogni del Continente Nero con la realistica spregiudicatezza di chi ha vissuto sulla propria pelle la realtà di un decennio di volontariato in Africa. Mawuli porta in sé molte amarezze e disillusioni che forse rendono la realtà africana ed il mondo del volontariato più oscuri di quanto siano in realtà percepiti. Quando aiutiamo gli altri non lo dobbiamo fare per ricevere un premio ma perché fa bene a noi stessi, alle nostre famiglie, al mondo che ci circonda ed al mondo intero. Aiutare gli altri crea un mondo migliore ed è il mondo in cui anche noi e i nostri gli viviamo.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJan 12, 2012
ISBN9788866184980
Anima Africana

Related to Anima Africana

Related ebooks

Children's For You

View More

Related articles

Reviews for Anima Africana

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Anima Africana - David Mawuli

    1.

    ANIMA AFRICANA

    Mi ricordo bene un carissimo e veramente dotto professore del liceo, il quale diceva che, se la gente leggesse i libri scritti ottimamente da altri, si pubblicherebbero molti ma molti meno libri.

    Quindi se gli scrittori fossero veramente dotti, dovrebbero prima attingere alla sapienza altrui.

    Per non incorrere in quell’errore, mi avrebbe fatto piacere avere il parere preventivo di questo mio professore prima di procedere alla stampa di questo lavoro; ma credo che non avrei potuto comunque esimermene, poiché queste righe sono frutto di vite vissute prima che della mia mente. E la nostra vita l’abbiamo vissuta solo noi!

    Nello scrivere queste memorie, ho rivissuto con passione, trepidazione e gioia le nostre vicende. L’ ho fatto per rendere testimonianza ai fatti e alla passione che mi hanno legato e mi legano al continente nero, al quale sono tuttora legato. Sicuramente non era stato un caso che io fossi andato a lavorare laggiù e che probabilmente un giorno ci tornerò, con i figli o senza, per fare ancora qualcosa e poi morirvi.

    Non avendo in questa vita antenati Africani (ma forse li ho avuti nelle precedenti vite) il mio DNA è sicuramente un mutante ed ha preso connotazioni equatoriali; perfino fisicamente, nella resistenza al caldo e alla sete. Io, quando ci ho messo piede, ho provato la sensazione di esserci sempre stato. Mi sono subito confrontato, incontrato, immerso in quei posti e con quella gente senza timori e senza presunzioni; mi sentivo uno di loro.

    Mi ero subito stufato dei circoli bianchi, dei loro discorsi monotoni e ripetitivi che riguardavano le stranezze dei locali; a me sembravano più evidenti le stranezze dei miei simili di colore. Non mi è costato nulla imparare a rispettare le persone e le regole. Mi sono sempre infuriato quando venivo a sapere di torti subiti dalla gente; ho fatto delle battaglie anche a rischio della carriera, che guarda caso non è stata brillantissima in termini di visibilità, per difendere la mia gente e quanto era giusto per loro.

    Fra le cose insopportabili, ci metto anche le ambasciate e il mondo diplomatico che a quelle latitudini ci pascolano alla grande e vi ruotano attorno, senza produrre nessuna vera relazione utile. A volte è addirittura imbarazzante essere identificato di una certa nazione quando vi sono certi comportamenti da parte delle autorità rappresentative.

    Non meno tenero è il mio giudizio sulle ambasciate vaticane, le nunziature apostoliche, che, faranno pure gli affari loro, ma quelli dei popoli poveri sicuramente non li fanno; siano sempre benvenute le eccezioni.

    Ho adottato i miei figli e con loro ho sfidato i venti velatamente razzisti dell’Italia, con passione ma senza nessun timore. Ogni torto che venisse fatto ai miei figli è come se venisse fatto a me; va a conficcarsi nella mia carne, perché io li ho generati come miei, con me sono rinati ed hanno la loro attuale vita.

    Per questo, seppur partorito con pelle bianca, sono sicuramente nato con un’anima africana.

    2.

    COME ERA COMINCIATA

    Un misto di irresponsabilità totale e voglia di nuovo; un forte richiamo innato che veniva fin dall’adolescenza ed un senso di aver già vissuto abbastanza in un certo modo; sentire esaurita una esperienza e desiderarne una di altrettanta intensità; messo il tutto nel frullatore del cervello di David alla fine produsse la decisione, per nulla facile, di andare per realizzare un sogno nel cassetto.

    A dire il vero la cosa non era nuovissima nella testa e nel cuore di David; fin da ragazzino aveva avuto una attrattiva per i mondi lontani; personaggi come Albert Schweitzer, Padre Damiano il santo dei lebbrosi, Daniele Comboni, il Beato Capella erano figure che avevano fissato delle tracce nel suo profondo.

    Egli ci aveva già provato da neolaureato a contattare una organizzazione dal nome suggestivo, MERCY; ne aveva pure ricevuto risposta, ma non ne aveva fatto nulla poiché non si sentiva pronto professionalmente.

    Certi tarli però non te li levi più di dosso. Fu così che una decina di anni dopo, sollecitato da un articoletto sul Corriere Medico che titolava: L’Africa ha bisogno di Medici, David scrisse alla direzione di quell’Ente che cercava medici.

    Era probabilmente il momento giusto: colloquio preliminare, prime valutazioni: «OK, vieni al corso di selezione».

    La selezione, durata tre settimane senza continuità, non fu nulla di esaltante in sé, se non per la motivazione che aveva portato lì i vari candidati. Erano tutti un po’ perplessi per quei dirigenti della organizzazione che parlavano poco o nulla, scrutavano i candidati, facevano loro fare delle cose il cui scopo pareva incomprensibile; ma era così.

    Ad ogni settimana successiva erano dimezzati fin che, dei trenta della prima settimana, si trovarono in cinque o sei all’ultima. Sembrava fatta; cercavano quattro medici e là erano in quattro più alcuni architetti ed altri professionisti. I sogni cominciarono a stemperarsi senza argini; David già si vedeva in Zimbabwe! Ma alla fine non fu mandato, perché ne furono mandati solo due dei quattro previsti.

    Come?! Dopo tutta quella carica, quella preparazione mentale, quell’attesa?

    Fu così.

    Ripresosi dalla delusione cocente, David si ricordò allora di quel MERCY; frugò in tutti i cassetti fin che trovò quella lettera: dieci anni erano passati. Via alla carica; contattò quel Presidente che si ricordava ancora di quella vecchia lettera, da non credere, e, per di più stavano cercando una figura sanitaria da mandare in Ghana.

    – Sono io l’eletto questa volta – sospirò David, avendo già dimenticato quei figuri emblematici incontrati nell’altra organizzazione che alla fine gliela avevano data buca.

    Presi i contatti con questa nuova organizzazione, scoprì presto che la direzione era formata da un triumvirato; vi erano infatti anche due dottoresse, definite ‘esperte’ che non furono così entusiaste e così dirette nell’accettare la candidatura di David. Espressero la loro titubanza motivandola col fatto che il progetto aveva bisogno di una ostetrica più che di un medico; che David poi era inesperto (di fronte alla loro grande esperienza!) e quindi si riservarono di ponderare e valutare altre persone per il loro progetto di clinica mobile.

    A David sorsero immediati alcuni dubbi:

    – Ma che ci fa un’ostetrica su una clinica mobile? Dovrà far partorire le donne sul cassonetto di un’auto?

    Ma si riconobbe inesperto e quindi si mise umilmente in lista di attesa.

    Per inciso, ‘le dottoresse esperte’, dopo qualche tempo dimostrarono quanto fosse fasulla la loro ‘esperienza’ nel campo della cooperazione, quando rifiutarono la gestione di un ospedale nuovissimo che veniva offerto a MERCY, chiavi in mano, giusto per la gestione. Quando si dice ‘l’esperienza!’ E per di più, le signore continuarono a rivendicare la paternità (maternità) di quel primo progetto, dopo che lo avevano affossato nel bel mentre della sua crescita.

    L’ostetrica la trovarono, ma la ragazzina si rese conto che amava tanto l’Africa, ma aveva il terrore degli insetti, quindi si tolse lei di mezzo, perché capì che era meglio.

    Alla fine David la spuntò, nonostante le dottoresse, e fu mandato dapprima a un corso di preparazione in medicina tropicale e poi, per una ritoccata alla lingua inglese, in Irlanda. Alla fine, via!, partì sulle orme di Schweitzer.

    Sembrava un destino perché, dapprima aveva conosciuto il grande medico svizzero dai libri e poi, di lì a pochi anni, David venne insignito del premio intitolato al grande medico, purtroppo oggi quasi dimenticato.

    Non andò allo stesso modo con il Santo Giulio Capella (fondatore dei Capellani), esempio per i sogni giovanili. Se mai qualche premio fosse stato proposto con quel nome, David glielo avrebbe probabilmente fatto ingoiare ai proponenti, e non per colpa del Santo, ma dei suoi seguaci che, dello spirito e del motto del fondatore, ‘l’Africa è la mia famiglia’ se ne erano proprio scordati o, magari, lo interpretavano in un altro modo.

    Così recita il diario di David "Non avevo mai messo piede nel Continente nero.

    Arrivammo ad Accra, la capitale della ex Costa d’Oro, alla sera.

    Entrammo in un aeroporto che sapeva di militare, con un’atmosfera cupa; i muri erano scuri, umidi e tetri (ora è cambiato). Fui confortato dalla presenza della dottoressa, seppur poco simpatica.

    Venne a prenderci il Padre Leone che ci salutò con aria da vecchia volpe del luogo e, di fatto, dicendo frasi sconclusionate, ci condusse fuori da quell’aeroporto che pareva una bolgia. Quando uscimmo fui impressionato dalla calca di gente che stava là fuori: non avevo mai visto tante facce nere in un sol colpo.

    Ci immergemmo in quella tipica atmosfera caldo umida dei tropici che ti senti avvolgere e gradevolmente ti opprime.

    Imboccammo varie strade ma la città, con le sue poche luci scomparve presto. Incontrammo presto una oscurità che forse non ricordavo di aver mai visto. Questa oscurità totale era interrotta di quando in quando da brevi filari di lumini di candela, quando attraversavamo i villaggi lungo la strada.

    Feci il viaggio in silenzio, con mille pensieri che si incrociavano: ciò che avevo lasciato, ciò che stavo cominciando senza la minima conoscenza; un conto è quando si fanno i colloqui e si mostra di sapere tutto; un altro conto è quando solo con te stesso non puoi mentire. Sarei stato in grado di capire ed interpretare la nuova realtà?

    Come mi sarei trovato al risveglio del mattino seguente quando avrei visto il mondo in nero?

    Intanto fummo accolti dal gruppo delle colf del Padre Leone: in strutture prefabbricate accoglienti; campeggiavano sulle pareti i messaggi di benvenuto in inglese. Prima prova di lingua pratica. Oh Dio! E poi queste colf parlavano davvero inglese; ed il Padre Leone pure, come era bravo, parlava inglese con queste persone.

    Anch’io sarei dovuto poi diventare così?! Ci sarei riuscito?!

    La squisita cena inaspettata, poiché in Africa avevamo pensato si dovesse mangiare in maniera parca, povera – ma era meglio così – soffocò temporaneamente le preoccupazioni.

    E poi finalmente potemmo andare a distenderci su un letto, dopo ore negli aeroporti, sull’aereo, su quei sedili pretenziosi, con poggiapiedi, poggiatesta, poggia tutto ma stretti e scomodi e praticamente sempre in verticale. Le scarpe quasi non si calzavano più.

    Mamma che buio! Non c’era elettricità di rete. Avevamo la elettricità da un generatore che parsimoniosamente veniva acceso poche ore al giorno. Naturalmente di notte non funzionava.

    Altro che riposo ristoratore: fu un dormiveglia fra incubi, un rullio di tamburi lontani ma non troppo, il pensiero del risveglio nel mondo nero, il mio mondo dal quale mi ero congedato troppo in fretta ed avevo dimenticato mille e mille cose e convenevoli.

    Venne l’alba molto presto; poi sarebbe diventato abituale questo albeggiare tropicale alle sei del mattino; ma quella era la prima volta.

    Per quasi un mese intero durante la notte udii il rullare dei tamburi.

    La mia mente andava a quei pochi film visti, in cui tale rullio accompagna i sacrifici umani (vedi Laguna Blu, mi pare di ricordare).

    Passarono molti giorni, prima che potessi comunicare con qualcuno e sapere che si stava svolgendo il festival dei morti di là dal fiume e quelli erano i suoni e le danze in loro onore.

    Perché non ho chiesto al missionario che sapeva tutto?! Perché ve lo immaginate il suo ghigno a spese di un pivellino neofita?

    Prima di partire ti sogni, se non proprio gli animali feroci, che sai al massimo confinati nei parchi, almeno di avere una scimmietta o dei pappagalli; perché pensi che l’ambiente esotico te lo dovresti creare, come se fossi a Milano o a Londra. Non sai ancora che andrai a vivere in un ambiente caldo, colorato, vivo, popolato, aperto e che più esotico di così si muore, senza orpelli. Quando ti prepari a partire sei in uno stato di rapimento e smarrimento totali; hai davanti uno sogno della tua vita; cominci a preoccuparti seriamente per quello che dovresti fare, che magari temi di non aver capito bene. Devi mettere a punto la lingua, se sei agli inizi, devi impararti un sacco di regole di igiene e di profilassi. Non bere… non mangiare… non… che alla fine uno deve sperare di ricordarsi tutto. Naturalmente c’è chi vuole fare di testa propria e poi ne paga le conseguenze. Se tu hai deciso di essere ligio alle regole, una volta che arrivi in quell’ambiente tropicale sognato, ti ci vuole pochissimo per cominciare ad avere alcune perplessità sulle tue regole di igiene, insieme a moltissime su tutto il resto, specie quando arrivi in cucina e trovi il house-boy (o house-wife o empregada) in cucina che con accuratezza lava il pavimento e risciacqua lo straccio nel lavandino dove si lavano i piatti. Ti hanno raccomandato di non alzare mai la voce e di spiegare le cose: «Va bene. Non alzo la voce e spiego». Neanche due giorni dopo cosa ti trovi? Che lo straccio usato a lavare il pavimento, viene usato a pulire il tavolo. «Diamine, non avevo alzato la voce ed ho spiegato». Allora, ,spieghi di nuovo. Il tuo ubbidientissimo e rispettosissimo house-boy non fa una piega, ascolta e esegue. Ha solo una espressione della faccia che ti pare un po’ strana e par che dica: «Questi bianchi sono un po’ strani, ma accontentiamoli». Nel frattempo, quando ti lavi i denti e non sai quale acqua usare, ti viene il dubbio che le tue regole non dipendano più solo da te, se risciacquare solo con acqua di… non bere se è… mah! Cominci a scoprire che probabilmente c’è qualche incongruità fra quanto ti hanno insegnato e quanto stai vivendo.

    Lavare le mani sempre… e ti porti i gel e i fazzolettini disinfettati e lasci asciugare le mani al sole per non usare asciugamani che non sai… Ma poi devi sempre fare il conto con la tua casa, col tuo house-boy, che ti ha preparato una macedonia di ananas, banane, mango e papaya; e te la mangi con avidità, fin che non ti scappa l’occhio e lo vedi di là in cucina sfaccendato che quasi con ostentazione si sta dando una pulitina al naso. Ti viene allora qualche sospetto, riesci a fare qualche collegamento logico e riesci a spiegare perché, nonostante tutte le tue preoccupazioni, hai ugualmente preso il cagotto. Basta osservare; quando preparano il fufu (misto di plantain e yam (banana verde e tubero) pestati insieme in un mortaio con un palo), in quel recipiente lasciato lì all’aperto, usando quel palo appoggiato per terra, di igiene proprio non se ne parla. La tua curiosità ti ha portato a vedere dal vivo come fanno a prepararlo? Eccoti soddisfatto; ingredienti e strumenti: la poltiglia viene pestata nel mortaio; quando è troppo densa, si aggiunge dell’acqua – di nuovo quell’acqua! Ma quale acqua? – La prima che si trova, basta che sia acqua. E allora poi ti lavi i denti e ti sciacqui la bocca come ti pare e vada come Dio vuole.

    Come si fa a spiegare ai tuoi boys che l’acqua del rubinetto è inquinata? «È pulita, perdio!» Loro, quando non ce n’è altra, raccolgono quella delle pozzanghere, che è meglio di niente.

    Ma David, pur non essendo schizzinoso, ad alcune regole non voleva rinunciare, e di fatto raramente è stato vittima della diarrea. Visse i suoi anni in Africa usando le più elementari precauzioni, rifiutando gentilmente offerte di bevande e di cibo propinate nei villaggi; i locali si erano abituati allo Yavu (uomo bianco) che ringraziava per il pensiero ma non prendeva nulla. Nelle visite ai villaggi, David si portava dietro il classico panino; di frutta ce n’era sempre; perché complicarsi la vita con cose non conosciute?

    Se ti sei dimenticato di avere un corpo, quando sei in Africa, te ne rammenti presto. Quando vieni sbranato da nugoli di zanzare con tanti di quei morsi e pomfi conseguenti che non riesci più a dormire per il male, allora l’unico pensiero positivo che puoi utilizzare è la certezza di avere un corpo con funzioni sensoriali integre! Le zanzare sono un test perfetto per la sensibilità. È una vera e propria guerra strategica, chimica, di posizione e resistenza che difficilmente vinci, anche se osservi scrupolosamente i consigli di cui trovi tanti esperti; alla fine ti ritrovi con i tuoi pomfi dolenti, che quasi ti fanno lacrimare gli occhi; e speri di non essere febbricitante di malaria di lì a qualche giorno.

    Fino a che sei ancora estraneo all’Africa, la tua mente non può fare a meno di pensare a leoni, elefanti e altri spettacolari animali. Quando ne diventi cittadino, cominci a conoscere la fauna per così dire quotidiana, per relegare quell’altra alla domenica, in occasione della visita ai parchi. La fauna quotidiana è più banale ma più presente, più parte della tua vita. Le formiche vengono loro a trovarti; e non una sola naturalmente, no, ti ritrovi le processioni con stazione di arrivo e partenza nella tua scatola dello zucchero. Non dimenticarti una goccia di caffè o latte zuccherati nel lavandino, poiché avrai il lavandino con un raduno oceanico di elementi neri o rossicci.

    Di notte poi devi fare l’abitudine allo scricchiolio causato dagli scarafaggi, che, con tutto il ben di dio di vegetazione che c’è la fuori, no, devono venire a mangiare qualche tuo rifiuto nella pattumiera. In casa ti abitui presto anche alla onnipresenza dei gechi, che, a parte qualche innocua cacchina, fanno da guardiani contro zanzare e ragni; difatti di ragni ne vedi pochi in Africa.

    Fuori in giardino, dopo i primi soprassalti nel vedere le foglie delle siepi muoversi, impari presto che i serpenti non sono ospiti del giorno ma della notte; quei rumori sono causati da lenti e sfaccendati lucertoloni che, impavidi, ti passeggiano accanto mostrandoti le loro creste e sfoderando i loro colori verdi, blu e gialli. E a proposito di lucertoloni, in Ghana, ve ne è un tipo, decisamente grosso, lungo quasi un metro, chiamato lizard, puntato e ucciso dai locali non per timore ma perché pare essere squisito nel piatto.

    Sempre là fuori, protetti da qualche blocco di cemento o da qualche fogliame vecchio e umido, vi sono gli scorpioni; non sono tanto orripilanti né grossi, quelli Africani; anzi, sono perfino spelacchiati; te li ritrovi anche in casa a volte. Impari a convivere e a mirarli con la ciabatta, dopo aver accuratamente evitato il loro pungiglione sul terminale della coda.

    Quando mordono non sono mortali, ma causano un bel dolore. Poiché la medicina classica non ha escogitato grandi rimedi contro il bacetto dello scorpione, David, in una delle sue ricerche di soluzioni, trovò una cosa chiamata ‘pietra nera’ da applicare sui morsi velenosi. Veniva venduta da una congregazione di missionari belgi. Ne apprese la tecnica per prepararla e cominciò ad usarla con un certo successo. Non era una cosa di magia, ma semplicemente era un pezzo di osso di grosso animale, carbonizzato con una certa tecnica, che veniva applicato e, con la sua porosità, riusciva a succhiare il veleno.

    Fra gli animali onnipresenti nell’ambiente esterno vi sono le termiti. I termitai sono delle vere e proprie costruzioni monumentali che svettano nella savana; in Zambia erano addirittura delle colline. Le termiti lasciano i loro nidi quando pioviggina e si lanciano in una danza pazza contro ogni fonte illuminata, per poi cadere stremate e morire.

    Quando questo succedeva, in Zambia, la gente faceva festa, a volte non andava neppure al lavoro per non perdersi la raccolta delle formicone che erano un piatto prelibato da mangiare con lo nshima (polenta). Le termiti si contendevano il primato della bontà culinaria con le cavallette verdi.

    Un giorno David, recatosi in città per le solite commissioni e per distrarsi un po’, vide che, sulle aiuole verdi dove stavano tagliando dell’erba, c’erano decine di bambini che correvano affaccendati. Si incuriosì e rallentò l’auto per vedere; ogni bambino aveva una scatola piena di cavallette. David pensò che i bambini, inconsciamente un po’ crudeli con i piccoli animali, li prendessero per giocare – ma così tante? – Eh! Non erano per giocare, scopri presto, ma erano da mangiare fritte e saltate in padella.

    Fra le prelibatezze culinarie Ghanesi vi è il grass-cutter, un grosso topo di campagna di circa 30-40 cm, che viene catturato, ucciso e scuoiato; poi viene fissato a seccare su dei bastoncini.

    L’Autore purtroppo non ne può descrivere la prelibatezza non avendo mai osato superare la sua reticenza a degustarlo.

    3.

    LA NOTTE AFRICANA

    La notte è un momento della giornata magico, cupo, pieno di mistero, ricco di amore e sospiri: concentra le sensazioni di una persona e pure è il momento in cui tutto si spegne attorno. Forse è proprio il momento in cui ognuno ritrova la propria intimità, dopo l’immersione della giornata e si misura con se stesso. Non a caso l’esame di coscienza, sostituito dalle più moderne revisioni critiche, si fa meglio alla sera che al mattino.

    Ma come ti avvolge la notte africana, col suo manto di oscurità totale, con il sommesso e misterioso bagliore del cielo stellato, o col bagliore di quella luna con la gobba rivolta all’insù o all’ingiù, quella palla luminosa che ce l’hai tanto vicina che ti sembra di poterla toccare, queste sono sensazioni che ancora a David mancavano.

    Gli avevano assegnato la sua casetta vicino ad un fiume, e dall’altra sponda ci stava qualcuno che amava utilizzare la notte per farla vivere, con il rombo di tamburi sordo e tetro e mai allegro; quella notte incuteva paura, lo portava con la fantasia più lontano di quanto egli stesso potesse immaginare.

    Quando poi gli è capitato di essere in qualche terra musulmana, aveva la certezza che la sua notte sarebbe stata rotta dalla cantilena del Muezzin che salutava l’alba (un po’ troppo presto) per dare tempo agli umani di prepararsi alla giornata.

    La notte africana comincia presto e finisce ancora più presto, quando hai la sfortuna di vivere in qualche area dove siano arrivati i nuovi predicatori che, facendo concorrenza ai Muezzin, non trovano di meglio della notte per proclamare con altoparlanti scatenati i loro canti e le loro preghiere (sicuramente accompagnate da almeno altrettante bestemmie al loro indirizzo da chi deve poi il mattino presto alzarsi per andare a lavorare).

    È di notte che escono dai nascondigli i serpenti e lo stesso fanno gli scarafaggi in cerca del loro cibo.

    La notte si anima con i suoi animali notturni che sembrano gli incaricati di tenere qualche forma di vita attiva forse per evitare che tutto si spenga.

    Le contraddizioni fanno parte dell’Africa, non fanno tremare la sua fama di incoerenza, quindi i grandi silenzi ed i grandi rumori ci possono convivere; perché è l’Africa.

    In un continente nero la notte non può che essere nera; quella volta celeste ti avvolge e ti fa sentire come uno di quei milioni di puntini di cui è costellata. Il manto avvolge la terra come la coperta che ti avvolgerà fra poco nel tuo cubicolo e ti dà un senso di paura e di pace al contempo. Il silenzio totale è rotto dalle grida degli animali notturni. Tutto sembra diluito in quel catino plumbeo immenso.

    Quella luna, così grande e tonda e luminosa, illumina il

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1