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La Costituzione spiegatami da mia figlia
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La Costituzione spiegatami da mia figlia

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La Costituzione italiana, letta articolo per articolo, e commentata con spirito critico per individuarne i punti deboli e portare all'attenzione del lettore le parti che, a giudizio dell'autore, richiederebbero sostanziali riscritture. La struttura del dialogo, su cui è impostato il libro, mette a confronto posizioni e punti di vista diversi, non necessariamente contrastanti, ma che si completano a vicenda per raggiungere una sintesi più ampia e meditata. Viene infine presentata una proposta di riforma dello Stato.
LanguageItaliano
Release dateJul 2, 2015
ISBN9786051766256
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    La Costituzione spiegatami da mia figlia - Giuseppe Ferrero E A.

    Giuseppe Ferrero e A.

    LA COSTITUZIONE

    spiegatami da mia figlia

    Giugno 2015

    Copyright © 2015 Giuseppe Ferrero

    Stampato in proprio

    Finito di stampare il 1 giugno 2015

    In copertina: immagine dal film Di nuovo in gioco,

    originale della Costituzione, la Camera dei Deputati

    Dedicato ad A. e G.A.

    che mi hanno ispirato questo libro.

    Indice

               Prefazione

      1      Antefatto

      2        La Costituzione    Principi fondamentali

      3        La Costituzione    Rapporti civili

      4        La Costituzione    Rapporti etico-sociali

      5        La Costituzione    Rapporti economici

      6        La Costituzione    Rapporti politici

      7        La Costituzione    Il Parlamento

      8        La Costituzione    La formazione delle leggi

      9        La Costituzione    Il Presidente della Repubblica

    10        La Costituzione    Il Governo

    11        La Costituzione    La Magistratura

    12        La Costituzione    Le Regioni, le Province, i Comuni

    13      Un progetto federalista

    14        La Costituzione    Garanzie costituzionali

    15      Un nuovo modello di Stato

             Appendice: La Costituzione italiana

             Elenco delle figure

    Prefazione

    Una lettura critica e, per quanto possibile, approfondita della nostra Carta costituzionale, con le riflessioni che può fare una qualsiasi persona non supportata da una preparazione professionale specifica nel campo del diritto, ma comunque attenta ai problemi sociali e politici della comunità in cui vive, è il contenuto di questo libro.

    Si è scelta la forma del dialogo che, sebbene non evidenzi un vero e proprio contraddittorio, consente meglio di fare emergere confronti tra punti di vista non antitetici ma complementari, e in tal modo rendere possibile, su ogni argomento, una sintesi più efficace.

    Il giudizio che emerge sulla Costituzione è quello di un documento che, già al suo apparire, rivelava parecchi difetti, e che, nel corso degli anni, ha accresciuto le disfunzioni di cui il paese Italia ha sempre sofferto. Questo è naturalmente un punto di vista soggettivo, e, come tale, suscettibile di critiche, ma che appare ormai condiviso da molte parti, anche tra gli addetti ai lavori, fatta eccezione forse per uno sparuto gruppo di irriducibili, fedeli al motto la nostra è la costituzione più bella del mondo.

    Che la nostra struttura statale, e quindi la Carta che ne stabilisce la configurazione ed il funzionamento, necessitino di numerose e profonde riforme, è ormai un dato di fatto indiscutibile, non solo perché di tanto in tanto qualcuno lo afferma, ma per la disaffezione crescente che serpeggia nella società, e che si manifesta chiaramente nelle percentuali di votanti in costante diminuzione ad ogni appuntamento elettorale, non importa se si tratta di elezioni politiche, amministrative o relative alle istituzioni europee.>

    Non possiamo che augurarci che alcuni, cui il destino ha posto in mano le leve dei comandi di questa ``nave'' sballottata dai flutti, come diceva Dante, recepiscano il più in fretta possibile il messaggio e si rimbocchino le maniche. Per altri paesi questo è successo; non è vietato sperare che possa succedere anche da noi.

    Nota - Il presente lavoro non tiene conto delle recenti modifiche al Titolo V della Costituzione, in quanto ancora oggetto di dibattito sia in Parlamento che all'interno dei partiti. Si fa riferimento al testo della Costituzione riportato sul sito www.governo.it/Governo/Costituzione.

    Cap. 1

    Antefatto

    Stiamo cenando in famiglia, e come è nostra abitudine seguiamo il telegiornale alla TV. Lo speaker sta riferendo sul problema della legge elettorale, e sul dibattito in corso fra le forze politiche. In particolare ci colpisce la notizia che il Presidente della Repubblica ha invitato il capo del governo ad occuparsi del problema.

    Io osservo: Ma deve essere il Presidente del Consiglio ad occuparsi della cosa? Non è il Parlamento che ha il compito di fare le leggi?

    Interviene mia figlia A., che frequenta l'ultimo anno del liceo classico: "Papà, tu sei troppo schematico. Tu hai in mente la classica divisione dei poteri dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario, e la loro attribuzione ad enti separati. Però in Italia non è proprio così: c'è la separazione dei poteri, che è uno dei presupposti della democrazia, ma in alcuni casi spetta al governo l'iniziativa legislativa, cioè la partenza, la posa della prima pietra. Sarà poi il Parlamento che procede alla costruzione completa dell'edificio.

    In effetti la questione è complessa e non sempre tutti hanno le idee chiare. Il fatto è che la nostra Costituzione è piuttosto farraginosa, e quindi ha dei meccanismi interni che sfuggono ad una visione basata sul comune buon senso.

    Proprio in questo periodo, a scuola, il nostro professore di storia e filosofia sta facendo una serie di lezioni impostate sull'analisi della Costituzione. Ti posso dire che si tratta di una materia molto interessante; egli, inoltre, non è di quelli che si inginocchiano davanti a questo testo sacro, ma ce la spiega punto per punto, analizzando i passaggi più controversi e sottolineando quelli che sono gli aspetti che ormai richiederebbero una profonda revisione.

    Fig. 1.1 - L'Assemblea Costituente

    L'impressione che si ricava da una lettura distaccata della Costituzione è la grande cautela che hanno avuto i nostri padri costituenti ad assegnare le leve del potere. Essi hanno concepito il testo in un clima fortemente influenzato dagli avvenimenti precedenti, innanzitutto la guerra appena conclusa, ma anche il ricordo della dittatura fascista che è stato sicuramente il leit motif dominante. Erano ossessionati dal terrore che potesse rispuntare un nuovo uomo forte che, pur servendosi almeno nella fase iniziale degli strumenti offerti dai regolamenti democratici, potesse far convergere su di sé un potere eccessivo. Non dimentichiamo che né Mussolini in Italia né Hitler in Germania sono arrivati al potere con un colpo di stato, ma attraverso vie democratiche; il primo, nominato Presidente del Consiglio per decisione del Re, il secondo attraverso le elezioni. Solo successivamente hanno modificato il sistema democratico in senso autoritario.

    Non sempre i libri di storia mettono nel giusto rilievo questo fatto: i dittatori a volte sono generati proprio dai sistemi democratici deboli, caratterizzati da un panorama politico frammentato in tanti partiti, da governi di breve durata e inconcludenti, da disordine sociale confuso con la vivacità dialettica di una società libera, e ..."

    La interrompo, sorpreso dall'entusiasmo che trapela dal suo discorso: "Vedo che la questione ti interessa molto. Non pensavo che una materia scolastica potesse essere così appassionante. Ai miei tempi si parlava poco di costituzione. C'era una disciplina, abbinata di solito a Storia, che si chiamava Educazione Civica. Si parlava, in modo piuttosto generico, di diritti e doveri dei cittadini, degli organi fondamentali dello Stato, e si leggevano sì e no una decina di articoli della Costituzione. Io inoltre ho fatto degli studi tecnici, e confesso che non mi sono mai occupato molto del problema. Però, effettivamente, non sarebbe male che io, come la gente in generale, ci si addentrasse un po' nelle questioni politiche, che sono in fondo le questioni nostre.

    Facciamo le elezioni, votiamo questo o quel partito sulla base di simpatie personali, più che sulla condivisione dei programmi proposti (i quali, in verità, sono in genere piuttosto generici e onnicomprensivi); poi tutto passa nelle mani dei professionisti della politica, che, arrivati, o tornati, nella stanza dei bottoni, si mettono all'opera per distribuirsi i compiti e, in sostanza, spartirsi il potere, senza scaldarsi troppo. I governi che nascono dalle rinnovate maggioranze parlamentari, spesso dopo lunghe ed estenuanti trattative, sono sempre delle soluzioni dovute più al concorso di svariate circostanze, magari estranee o non direttamente collegate alle procedure istituzionali, anziché frutto di un percorso programmato e ben regolamentato da norme prefissate. Insomma, ragionando da tecnico, partendo dai risultati delle elezioni, tenendo conto dei programmi dei partiti o delle coalizioni, ci dovrebbe essere un processo, abbastanza delineato ed automatico, che porti alla formazione del governo in un tempo prevedibile e dipendente dall'espletamento delle varie tappe stabilite, ad esempio incarico al capo del partito o della coalizione che ha vinto le elezioni, presentazione del programma, votazione in Parlamento (che ci aspetteremmo debba avere un esito scontato). Mi sembra che nella realtà le cose vadano in modo molto diverso.

    Se si guarda a quello che succede in altri paesi, in cui il giorno dopo le elezioni già si costituisce il nuovo governo (che tra l'altro è destinato a durare per l'intera legislatura, salvo fatti eccezionali), effettivamente sembra che noi abbiamo scelto il sistema migliore per complicarci la vita. Forse bisognerebbe cambiare la legge elettorale."

    A. "La legge elettorale è sicuramente la premessa per delle maggioranze chiare, le quali evitino il più possibile la formazione di governi di coalizione, che sono quelli più esposti al rischio di scioglimento, appena gli accordi iniziali tendono ad incrinarsi. E' ormai evidente a tutti che la chiave di volta è costituita dagli sbarramenti, cioè le percentuali minime da raggiungere per avere rappresentanti in Parlamento. Da noi essi sono il 4 % per i partiti che si presentano da soli alle elezioni, e del 2 % per quelli che concorrono all'interno di una coalizione[1]. Troppo bassi come dimostrano queste ultime legislature. Inoltre le coalizioni, nonostante siano formate da partiti che si richiamano ad una stessa area ideologica (destra, centro o sinistra), sono comunque aggregati di fazioni diverse, che, alla prova dei fatti, possono divergere sui singoli temi di governo. Abbiamo la prova evidente nel governo Prodi del 2006-2008."

    Io "Possiamo fare un raffronto con la Germania che, pur avendo uno sbarramento del 5 %, quindi di poco superiore al nostro, al termine delle elezioni si ritrova con 3-4 partiti, e, benché anche i Tedeschi per formare il governo debbano scegliere a volte la grosse koalition tra forze che erano in competizione durante la campagna elettorale, sicuramente hanno una situazione da gestire meno complicata"

    A. Guarda, papà, che non dobbiamo prendere la Germania come modello, anche se spesso la invidiamo per la sua potenza economica e la sua supremazia nella gestione degli affari europei; essi hanno in pratica la Costituzione della Repubblica di Weimar, proprio quella che, come dicevamo prima, ha generato Hitler.

    Io Interessante. Non lo sapevo. Però anche così ci bagnano il naso, e ti spiego perché. Essi sono una repubblica federale e quindi la loro politica nazionale non è solo espressione di un gruppo di burocrati dello stato centrale che fanno e disfano a loro piacimento, ma c'è il concorso di tutte le componenti regionali, in particolare di quelle che, o per numero di abitanti o per importanza economica, hanno più voce in capitolo nel delineare gli indirizzi generali, come è giusto che sia. Tutti tedeschi ma tutti d'accordo che chi più sborsa più ha diritto di essere ascoltato, quando si tratta di fare delle scelte comuni.

    A. "La legge elettorale è sicuramente importante perché, al di là dei dettagli tecnici, deve portare ad un governo che sia rappresentativo della volontà della maggioranza degli elettori. Ma più ancora lo è il complesso delle regole che stabiliscono le funzioni del governo e degli altri organi dello Stato, in parole povere l'intera Costituzione. Ed è proprio qui che non ci siamo.

    Dicevamo prima che i padri costituenti avevano la preoccupazione di evitare la ricomparsa di dittature, e quindi hanno imposto molti contrappesi ai poteri del capo del governo; bisogna però notare che essi non si fidavano nemmeno del popolo, ritenendolo non maturo per affidargli troppa libertà di scelta, e da tenere invece sotto tutela di una aristocrazia illuminata. Il popolo elegge i suoi rappresentanti in Parlamento a certe scadenze, poi non interviene più, se non in casi eccezionali, vale a dire in occasione dei referendum. Ma anche lo strumento referendario è un'arma spuntata, infatti può essere solo abrogativo. Inoltre la proposta di referendum deve avere il beneplacito della Corte Costituzionale perché si possa svolgere. E, dulcis in fundo, una legge abrogata dal referendum può benissimo essere rimpiazzata da un'altra che, sotto mentite spoglie, reintroduce dei contenuti sostanzialmente simili a quelli che si volevano eliminare. Il caso emblematico è rappresentato dal finanziamento pubblico ai partiti."

    Io A proposito di aristocrazia illuminata, mi ricordo di una espressione che veniva usata fino a qualche tempo fa. Quando si era di fronte a gravi crisi politiche o ad eventi particolarmente tragici, ci si metteva alla ricerca di qualche - faccio il gesto di apertura e chiusura di virgolette - personalità con un altissimo senso delle istituzioni" per affrontare l'emergenza. Chiamiamolo P.A.S.I. per brevità, perché magari lo dovremo tirare in ballo altre volte. Questa specie di deus-ex-machina, individuo dotato di una eccezionale sensibilità nel capire i problemi e trovare delle soluzioni, si rivelava poi per un politico che aveva per lungo tempo bazzicato per i palazzi del potere, che conosceva bene tutti i segreti meccanismi e le stanze dei bottoni, che aveva sempre ritirato le sue laute prebende, e quindi poteva agire sulle leve giuste ed oliare in modo opportuno gli ingranaggi critici per risolvere i problemi più urgenti, magari con ampi accordi sottobanco.

    L'Italia è un'eterna malata che ogni tanto deve affrontare delle crisi particolarmente acute, ed è allora che intervengono i PASI."

    A. "Hai ragione, papà, a dire che l'Italia è un'eterna malata, ma soprattutto mi sembra che soffra di una crisi di identità, identità che si dovrebbe concretizzare nel suo essere geopolitico che possiamo chiamare la nazione. Sai cosa dice la seconda strofa dell'inno di Mameli?

    Noi siamo da secoli

    calpesti e derisi

    perché non siam popolo

    perché siam divisi

    Il popolo è appunto la nazione, consapevole della sua identità ed orgoglioso della sua specificità. E' una constatazione molto amara, quella che fa il poeta, soprattutto perché molto attuale, non solo riferita ai tempi di Mameli, ma anche ai giorni nostri. Anche questo aspetto ci è stato segnalato

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