Cambiami
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Book preview
Cambiami - Andrej Blatnik
Cambiami
Cambiami
Andrej Blatnik
Cambiami
Cambiami è una storia d’amore e l’esigenza di diventare un altro. Ambientato in un prossimo futuro, Cambiami, con le sembianze di un’analisi sociale, ci racconta di come Borut ha abbandonato la sua vita per costruirne una nuova, totalmente diversa. Lui è un pubblicitario ricco e affermato, e non ne può più. Non ne può più di vendere illusioni, di vivere in modo smisurato in un mondo dove il capitalismo ha portato la realtà alle estreme conseguenze, dove tra ricchi e poveri c’è un baratro incolmabile, ma soprattutto non ne può più di non riuscire ad avere l’unica cosa importante per lui: la sensazione di fare la cosa giusta. Fare la cosa giusta è mangiare la frutta vera, e non più la frutta di plastica, è avere di nuovo un rapporto profondo con la moglie e non portare avanti la commedia di una vita. Il rifiuto di Borut è il rifiuto di un mondo decaduto, di una realtà priva di umanità, di relazioni che hanno perso ogni senso. Il suo rifiuto è il suo cambiamento, è l’abbandono di una vita per provare a essere un uomo nuovo. È così che Borut inizia il suo vagabondaggio e incontra personaggi che hanno capito che cosa è fare la cosa giusta, come il barbone che gli aiuta a distruggere il Grande computer della Sintesi, la fabbrica del cibo sintetico. Per Borut ora tutto è cambiato, e la sua sfida è quella di cambiare il rapporto con sua moglie. Per poter un giorno ritrovarsi insieme. Un’altra volta.
Titolo originale
Spremeni me
© 2008 Andrej Blatnik
© 2014 Atmosphere libri
Traduzione dallo sloveno di Sabina Tržan
Andrej Blatnik è nato nel 1963 a Lubiana, capitale della Repubblica Slovena. È scrittore, traduttore, editore e docente di Editoria all’Università di Lubiana. Dal 2007 è il presidente della giuria del premio letterario Vilenica. Ha pubblicato tre romanzi, cinque raccolte di racconti e vari libri di critica letteraria. È tradotto in ventitre lingue ed è stato inserito nella raccolta Best European fiction 2010 curata da Aleksander Hemon. Ha ricevuto i più prestigiosi premi letterari sloveni: Zlata Ptica, Premio Prešeren e Premio Župančič. Ha ricevuto molte borse di studio per scrittori, tra cui la Fulbright. Viaggia in continuazione e tiene letture delle sue opere in tutto il mondo.
www.atmospherelibri.it
Questa è per te. Sai?
Non c’è niente di casuale e involontario.
Iabes invocò il Dio d’Israele dicendo:
"Se tu mi benedicessi e allargassi i miei confini
e la tua mano fosse con me e mi tenessi lontano dal male
in modo che non debba soffrire".
Dio gli concesse quanto aveva chiesto.
1 Cr 4,10
I was looking back to see if
You were looking back at me
To see me looking back at you
Massive Attack, Safe from Harm
come rimanere uguale
come proteggermi dai cambiamenti
solo cambiando
EKV, Modro i zeleno
1.
Andiamoci allora, io e te, abbiamo aspettato abbastanza a lungo, al finale di questa storia. Mi hai detto di raccontartela quando fosse finita, ed eccoci arrivati anche a questo. Alla fin fine tutto succede.
Ti ricordi quando frugavamo dentro quel libro troppo colorato, qualcuno aveva fatto il giro del mondo in aeroplano, con le sue macchine fotografiche in mano, e aveva osservato tutto dall’alto, dal cielo. E tu mi hai chiesto perché non avessi mai fatto delle foto visto che avevo girato così tanto. Mi piace ricordare le cose con i miei occhi, ti ho detto. I miei occhi sono il modo giusto, vedono tutto, tutto tranne me. Così voglio ricordarmi il mondo, ti ho detto, come se io non ci fossi. Non voglio esserci anch’io, ti ho detto, e ripetuto, ripetuto, e tu mi hai detto che sembravo proprio uno che piange.
Ecco. Non volevo sembrare proprio uno che piange. E non volevo parlare di quello, per la verità. Volevo dire un’altra cosa: adesso è qui, questa storia, tutta quanta. È qui per dirti: ti voglio bene. Lo so: ora ti vergogni, stai pensando che non è così che si dice, che è troppo semplice. Non pensare. Non è semplice.
Non ti vergognare. È bene che tu sappia. Quante volte ancora nella vita riceverai il messaggio: ti voglio bene? È un messaggio molto importante, questo. Dagli ascolto.
Questa storia è finita. Ne arriveranno di nuove. Anche lì dentro c’è posto per te. Per me. C’è tanto posto.
Io sto bene. Spero che stai bene anche tu.
2.
Valzer in un tempo
A volte le cose devono cambiare. E cambiano.
Tutto cambiò in un attimo. Quando Monika, come al solito, tornò dal lavoro verso le sette, Borut non c’era. I due bambini, come al solito quando Borut non c’era, erano piazzati davanti ai monitor. Monika prima spense la lotta tra i robot e i mutanti, e poi anche le simpatiche gnome in minigonna, non prese in considerazione le urla dei due, raccolse da terra i sacchetti con le patate fritte stantie e chiese dove fosse il papà.
I bambini risposero che avevano fame. Monika, stanca come al solito, rovesciò nelle ciotole un po’ di sani fiocchi e poi si accorse che il cibo nella dispensa non sarebbe bastato, evidentemente Borut da molto tempo non aveva rinnovato le provviste, e alla fine chiamò la pizzeria. Appena sentita la sua ordinazione, i bambini respinsero bruscamente le ciotole. Il latte si rovesciò sul tavolo e Monika si mise a pulirlo con la manica della sua camicia fradicia di sudore. Comunque nel vaso in mezzo al tavolo i fiori c’erano, come sempre, ma il giornale, piegato, stava su una delle sedie. Borut leggeva sempre con tanta foga che i fogli erano tutti sgualciti, a volte ci rimanevano catturate gocce di sudore e pezzettini di cibo e a Monika faceva schifo prendere in mano il giornale dopo di lui. Questa volta evidentemente non l’aveva toccato. Lei chiese di nuovo dove fosse il papà.
I bambini sfogliavano i fumetti dei supereroi e al suo insistere mormorarono controvoglia che poco prima lui gli aveva scaricato sulla console il nuovo episodio dei macellai del cosmo. Ma loro non ci avevano giocato perché in tivù c’erano gli scontri di macchine. Quando ci avevano provato, la console si era già bloccata. Fissavano Monika con sguardo cattivo e il più grande le chiese con sdolcinata gentilezza se Borut davvero non le avesse dato l’ultimo codice d’accesso.
Il codice quasi certamente si trovava in quel file dove Borut metteva tutte le complicate catene dei suoi investimenti finanziari, polizze vita e acquisti dei tessuti sostitutivi per loro quattro, però Monika non aveva nessuna voglia di incontrare i macellai del cosmo. Aveva voglia di un bagno caldo e profumato e di un bicchiere di vino di quella bottiglia di cui Borut, l’altra volta, diceva che una famiglia indiana con quei soldi poteva viverci sei mesi. Ma ancora non era arrivato il momento. Bisognava mettere ordine nel mondo, il latte scivolava dal tavolo e sgocciolava in terra. Portò il vaso coi fiori in camera da letto, come al solito, e quando pulì il tavolo, si accorse che non c’era niente da fare, bisognava chinarsi e continuare lì sotto, lì dove portavano le sottili tracce lattiginose.
Sotto il tavolo c’erano, sparpagliate, ancora più patatine e ancora più sacchetti sgualciti del fast-food. Quei sacchetti le comunicavano chiaramente che qualcosa non andava. Non andava per niente. Borut, quando aveva perso le speranze con lei, non si stancava di imporre almeno ai figli germogli, frutta disidratata, legumi e frutta secca. Chiamare il take-away per essere inondati di grasso, significava per lui una terribile lotta contro le obbiezioni della sua coscienza. Allo studente che portava le confezioni, porgeva i soldi sempre col braccio teso, come se, toccandolo, avesse paura di poter rimanere contagiato dal quel cibo spazzatura, e poi correva in camera sua lasciandoli soli a tavola.
Monika un giorno ne ebbe abbastanza di vederlo con la fronte sudata e le labbra serrate mentre stringeva tra le mani il catalogo del take-away e camminava su e giù per la casa cercando una soluzione che non c’era: i bambini ogni pochino uscivano di corsa dalla loro stanza e chiedevano: «È arrivata la pizza? È arrivata la pizza?» e Borut tutte le volte faceva un sospiro profondo. «Borut, ai bambini piace» gli disse quella volta.
La guardò e subito le dispiacque, pensò che davvero avrebbe dovuto prendere lei in mano la cosa, ai primi annunci della fame, e lasciare Borut continuare ad aggeggiare in pace con le sue macchine, lontano dalla realtà, come amava tanto fare. Il gusto dei bambini seguiva i dettami del mondo nonostante Borut si sforzasse di farlo andare in un’altra direzione. Se lui diceva che non ci sarebbe più stato il cibo dei fast-food, i bambini si arrangiavano. Per poter arrivare ai loro bocconcini prelibati, si iscrivevano a tutte le gare ingoia di più
che conoscevano. Si davano molto da fare, ma alla fine non vincevano mai, altro che vincere, non si piazzavano nemmeno al secondo turno, gli altri bambini riuscivano sempre a ingurgitare parecchio di più, erano più abituati al cibo sponsorizzato delle grandi marche, loro due si sentivano male troppo presto, Borut non voleva portarli agli allenamenti alle catene alimentari, e Monika non ce la faceva, il suo era un lavoro con la gente e richiedeva tutto il suo tempo.
Al contrario di quello che lei si aspettava all’inizio, perdere non era una tragedia per loro: durante la gara potevano mangiare a volontà il cibo geneticamente modificato, e siccome i premi di solito consistevano in pacchetti di alimenti destinati a persone in difficoltà che nessuno voleva mangiare, né le persone in difficoltà né i vincitori delle gare, i pacchetti finivano sotto i tavoli. A parte le calorie mangiate, la maggior parte dei vincitori si accontentava del proprio sorriso vincitore diffuso fino alla gara seguente sui pannelli pubblicitari degli sponsor di fast-food.
Borut non osava vietargli di iscriversi alle abbuffate collettive; era convinto che se la notizia di come ostacolava lo spirito di competizione fosse arrivata ai servizi di consulenza scolastica, gli avrebbero subito mandato a casa il gruppo d’intervento per poi dare i bambini in affidamento in un contesto più socializzato. Monika spesso pensava a come spiegargli che queste cose non andavano in modo così lineare, ma se lui avesse saputo quali complessi procedimenti ci volevano per togliere la patria podestà per trascuratezza sociale, che di solito duravano così a lungo che intanto i bambini diventavano adulti, avrebbe cercato di imporsi molto di più. Non avrebbe portato i bambini alle gare e quindi avrebbe dovuto farlo lei, altrimenti ne avrebbero sofferto. E lei non voleva che i bambini ne soffrissero. Se qualcuno deve soffrire è meglio che sia Borut
pensava. È colpa sua. Che bisogno c’è di nuotare contro corrente
.
Entrò in camera di Borut. Tutto era in perfetto ordine, una cosa normalissima per Borut, ma le sue macchine erano spente, e questo era incredibile. In camera sua i circuiti facevano le fusa tutte le notti; se non si occupava degli affari o ascoltava musica, scambiava file con i suoi sconosciuti amici senza nome, ignorando se vivevano in altri continenti o nell’appartamento accanto. Comunicavano in un linguaggio che gli inesperti, Monika per esempio, non potevano assolutamente seguire, e si mandavano in modi cifrati sempre nuovi, per una riflessione e una valutazione, i suoni che componevano con le loro macchine. Non sapeva che cosa lui stesse facendo, tranne ciò che le rispose quando glielo chiese la prima volta: un mix perfetto. Un giorno gli chiese quando avrebbe potuto ascoltare un po’ della sua musica, Borut dapprima la guardò a lungo e poi le rispose a bassa voce che non era ancora arrivato a quel punto, la musica non era ancora abbastanza convincente. E si chinò di nuovo sulle sue macchine. Monika voleva continuare la conversazione, voleva saperne di più sul senso delle ore in quella stanza, e disse, certo è interessante che ti sei messo a fare questo, visto che non avevi mai studiato musica! Borut si fece pensieroso. Poi le rispose che a essere veramente convincenti si arrivava meglio casualmente, e Monika di nuovo pensò che forse la vita era troppo breve per poter conoscere Borut proprio fino in fondo, e di nuovo si chiese se questo significasse che le cose tra loro non erano come avrebbero dovuto essere. Il segreto del successo: arrivare fino in fondo a ogni risorsa umana. Non aveva abbastanza ragioni per non credere che al lavoro ce la faceva sempre; non aveva abbastanza ragioni per sperare di farcela sempre anche in casa.
Nella camera di Borut non c’era niente per lei, e andò nella sua per vedere se le aveva mandato qualche mail. Ed ecco che tra la valanga di offerte commerciali e tutte le faccende lavorative che nel momento in cui varcava la soglia del suo ufficio cominciavano a rovesciarsi sull’account di casa, pulsava anche il mittente Mio.
La mail aveva come oggetto Dentro te (che nella loro corrispondenza significava Solo per te) ed era protetta dalla loro solita password per le piccole intimità che Monika, a differenza di tutte le altre, poteva scrivere a memoria, senza l’uso del manuale.
Cara M,
non ci sono più, come vedi. Diciamo che è momentaneo. Che cambierà. Ma per ora non può andare diversamente. Grazie per capirlo. Ho resistito quanto ho potuto. Lo sai: per molto tempo ho creduto che la famiglia fosse quella cosa. Che dovessimo essere l’uno per l’altra. Che questo bastasse. Che altro non contasse. Però conta. Adesso lo so.
Sicuramente pensi che tutto sia cambiato in un attimo. Però no. È stato molto lento. Per molto tempo di notte andavo a vedere i bambini dormire. Me ne stavo alla porta. Ascoltavo il loro respiro. Respiravano tranquilli. Non sentivano i miei pensieri. Non sapevano che su un conto segreto ho dei soldi che possono bastarmi per un paio di anni. Che in tasca ho già la chiave di un altro appartamento. Andavo così, notte dopo notte. E ogni notte venivo a sapere la stessa cosa. Che già sapevo anche di giorno. Loro non devono venire a sapere quello che non sanno. La felicità costruita sulla menzogna. È giusto? Quella paura che ti viene di fronte al precipizio. Non di poter scivolare e caderci. Quella ce l’hanno i bambini. Ma la paura del fatto che dipende dalla tua volontà. Restare fermo o buttarsi. E la paura del fatto che prendi in considerazione tutte e due le possibilità.
E ora me ne sono andato. Stai pensando che è una cosa terribile. Però non lo è. Ti sbagli. Di soldi ne avete troppi. Lo sai anche tu. Per questo non ci saranno problemi. E i bambini saranno contenti che passerai più tempo con loro. Gli manchi. Ma anch’io starò con loro. Di nuovo. Però per qualche tempo no. Di me hanno fatto la scorta. Lo sanno. Ci sono altre cose che devo fare. Lo so. Ora.
Forse ci vedremo presto. Da un’altra parte, diversi. Non cercare un’altra donna. Non c’è. Sarebbe troppo semplice. Ci sono altre cose.
Io starò bene. Spero che starai bene anche tu.
B.
Monika rilesse la mail un’altra volta. E un’altra volta ancora. Tutte e due le volte si fermò al precipizio. Prima ancora di essere invasa da una rabbia glaciale perché le cose erano sfuggite al controllo e perché lei era stata abbandonata, e prima di graffiare il cristallo liquido del monitor con il diamante della fede nuziale, le venne in mente che Borut da tanto tempo non aveva scritto qualcosa di così lungo.
Da tempo sentiva che lui stava cambiando. I suoi occhi. Come teneva il bicchiere. Come si sedeva al tavolo e abbassava la testa prima del primo boccone. Come non sgridava più i bambini, ma solo ripeteva le sue parole un’altra volta e poi si ritirava. Stava cambiando. E comunque lei continuava a vedere in lui la persona con cui durante i loro viaggi, le loro chiacchierate nei caffè e durante tutti i film, spettacoli e concerti che avevano visto insieme, vide migliaia di baci. Migliaia di confessioni di una vicinanza scelta. E probabilmente altrettanti se li era scambiati con lui. La persona con cui era stata migliaia di volte quando il suono del mondo si spegneva. E la persona con cui per la maggior parte delle notti ancora condivideva il letto, non poteva essere così tanto diversa da quella che lei aveva scelto quando era arrivato il momento di scegliere. Non così tanto. E comunque sentiva che lui stava cambiando.
Da tempo se l’aspettava che le cose sarebbero cambiate. Si era abituata ai suoi congedi; bastava che non se ne andasse dopo aver fatto l’amore, quella sarebbe stata un’umiliazione per lei. Non era poi male avere una camera propria. Si era portata dall’ufficio così tante cose che la camera era tutta stretta quando c’era anche Borut. Ma se se ne andava significava che qualcosa non era come prima, che qualcosa andava male. E quando se ne stava da sola nel loro letto chiedendosi che cosa succedeva dentro l’uomo nella stanza accanto, si stava preparando. Che cosa farà se Borut un giorno non sarà più suo? Se l’alleanza si romperà? Come farà i conti con questo tradimento? Che cosa si fa in questi casi? Succede, certo, succede anche agli altri, ma di queste cose la gente non parla molto, nemmeno con gli