Didier e l'amante di Pigmalione
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Didier e l'amante di Pigmalione - Gaston Javier Algard
anzi…
DOPO
Settembre 2003, giovedì 18, primo pomeriggio
Il commissario Agnès Didier e l′ispettore Albert Mulé arrivarono davanti la palazzina dove abitava l’avvocato Swann, pochi minuti dopo aver ricevuto la chiamata via radio, trovandosi nei paraggi per un′altra indagine.
«Non dovremmo tardare Gospen, aspetta qui…» disse Mulé all’agente alla guida dell’auto, mentre scendeva per seguire Didier.
Mentre attraversavano il grande giardino che portava all′ingresso, Mulé si guardava intorno ammirato.
«I nostri clienti, negli ultimi tempi, muoiono tutti nel lusso a quanto sembra…»
«Il posto le piace così tanto?» domandò Didier sorridendo.
«Un pensierino lo farei di certo, se ovviamente me lo potessi permettere… Non è di suo gusto?»
«Preferisco la casa dove abito. Questa è troppo pretenziosa…»
Appena attraversata la grande porta a vetri dell′ingresso, si trovarono in un atrio rivestito di marmo. Un portiere in divisa venne loro incontro, uscendo da dietro un bancone di marmo e legno, sul quale erano poggiati due monitor ed un telefono.
«I signori desiderano?» chiese con voce baritonale.
«Polizia criminale…» rispose Mulé, mostrando il tesserino.
«Sono tutti al primo piano, la porta a sinistra…» rispose quello rispettoso, indicando con la mano guantata la grande scala sulla destra, rivestita di marmi variegati.
Salirono lentamente. Lo spazioso pianerottolo era delimitato, sulla sinistra, dalla balaustra della scala che si affacciava sull′atrio da dov’erano entrati. Sulla destra, grandi vasi di ceramica con piante lussureggianti facevano da cornice a due porte di legno massello, una di fronte all′altra, con maniglie d’ottone lucido. Al centro della parete, tra le due porte, un lampione in bronzo a tre bracci. Le lampade, protette da coppiglie di cristallo, irraggiavano una luce calda e suadente. Tutto era silenzio, come se la palazzina fosse disabitata.
«È proprio vero…» borbottò Mulé «se il morto fosse stato in un caseggiato popolare, avremmo decine di persone a curiosare tra i piedi… Qui invece, come se non fosse successo nulla… Sembriamo due clienti che vanno a trovare un noto professionista, quanta discrezione…»
La porta indicata dal portiere era chiusa. Neanche una targhetta che indicasse il nome dell’inquilino. Mulé pigiò un campanello d′ottone a testa di leone ruggente.
«Non invidio chi fa le pulizie qui… Con tutta questa roba da lustrare che…» stava borbottando, quando venne interrotto.
Un maggiordomo in divisa, magro e compunto, aveva aperto e li guardava interrogativamente in silenzio.
«Polizia criminale…» fece Mulé, squadrandolo dall’alto in basso, mostrando il tesserino.
Quello arretrò con un leggero inchino, facendoli entrare. Richiuse il portoncino con discrezione, indicando con un movimento misurato del braccio che lo seguissero, incamminandosi davanti a loro a passi lenti.
«Fosse muto?» chiese ironicamente Mulé, rivolgendosi a Didier.
Lei non rispose, attardandosi dietro ai due, per avere il tempo di ammirare i quadri alle pareti ed i meravigliosi tappeti sui quali stavano camminando. Attraversarono un piccolo saloncino, poi girarono sulla destra. Una sala da pranzo con un tavolo in legno e dodici sedie, ancora una saletta da fumo, poi una piccola biblioteca. Oltrepassata una porta, si trovarono in un lungo ed ampio corridoio, illuminato sui due lati stretti da porte-finestre alte tre metri. Da quella davanti a loro entrava il sole. Sei porte chiuse, tre per parte. Dalla terza in fondo a destra, proveniva un vocio sommesso. Il maggiordomo bussò con discrezione ed aprì. Era una camera da letto. Mulé entrò seguito da Didier fermandosi subito, mentre il maggiordomo richiudeva con sussiego dietro di loro.
La stanza era grande e spaziosa, quasi un saloncino. Didier la fotografò con gli occhi, come sua abitudine. Alla sua sinistra la parete era occupata da un mobile libreria a vetri, zeppo di volumi. Poi un divano che arrivava sino alla parete d’angolo, dove una grande porta-finestra introduceva ad una terrazza che si affacciava sul parco. Dopo la finestra, sulla parete di fronte a lei, un mobile con tre cassetti. Sul piano bottiglie di profumo, libri, oggetti personali. Sopra il mobile un grande specchio. Alla destra del mobile, il letto con una grande testata di legno intarsiato.
Il corpo dell’uomo in pigiama di seta era riverso a faccia in giù, sull′ampio materasso, il viso affondato nei grandi cuscini. Le coperte sfatte coprivano solo i piedi. Alla destra del letto un comodino in stile e, sopra, un lume antico con un paio d’occhiali ed altri piccoli oggetti. Alla destra di Didier la quarta parete era occupata da una sedia barzotta ed un trumeau con ribaltina e tre cassetti. Sopra, due vasetti di peltro, due bassi candelabri d′argento con candele consumate, una bussola, una staffa di cavallo militare. Le pareti libere dal mobilio, erano occupate da quadri antichi di varie dimensioni.
Il patologo era chino sul cadavere, mentre due uomini della scientifica in tuta bianca si aggiravano con cautela intorno al letto per i rilievi. Un quarto in borghese, sul braccio sinistro la fascia rossa della giudiziaria, era fermo quasi accanto a loro. Si girò e si presentò.
«Sergente Jean-Luc Cocteau, dell′hotel de police Opéra. Immagino lei sia il commissario Didier… Mi hanno avvisato via radio del suo arrivo…»
«Sì sergente. E questo è l′ispettore Albert Mulé… Chi è il morto?»
«L′avvocato Paul Swann. Il famoso penalista…»
«Sa quando e come è morto…?»
«Il medico ritiene verso le 3 di notte, cioè di questa mattina… Come, ancora non si è pronunciato ufficialmente, ma ritiene si tratti d’infarto…» poi aggiunse, «forse è meglio uscire, per non intralciare i rilievi…»
«Certo, certo… Fuori potremo parlare con più tranquillità…» disse Didier seguito da Mulé.
Si fermarono nel corridoio.
«Come mai lei è qui?» chiese Didier.
«Per pura combinazione… Ero arrivato questa mattina, verso le 11, per avere dei chiarimenti dall′avvocato… Un′indagine su una persona scomparsa che l′avvocato sembrava conoscere… Stavo per salire, dopo aver parlato con il portiere, quando è scesa agitatissima e di corsa la governante dell′avvocato. Appena si è avvicinata a noi, quasi sveniva, non riusciva ad aprire bocca… Il portiere le ha dato un cognac per rianimarla… Così ha raccontato tutto… Dopo aver bussato per portare la colazione all′avvocato, non avendo risposta, è entrata e l′ha trovato così, come lo avete visto.»
«Non era un po’ tardi per fare colazione?» chiese Mulé.
«Sembra che l′avvocato, la notte scorsa, si fosse ritirato dopo la mezzanotte e… che non fosse solo… Così la governante non lo ha svegliato alla solita ora, sapendo che questa mattina non aveva impegni… Ha anche telefonato al suo studio per avere conferma… »
La porta si aprì. Gli uomini della scientifica trasferirono fuori l’attrezzatura, seguiti dal medico.
«Se volete, ora potete entrare. Abbiamo finito…» disse lui laconicamente mentre gli altri si avviavano accompagnati dal maggiordomo riapparso dal nulla.
«Ha avuto modo di accertare le cause della morte dottore? Naturali o…» chiese Mulé.
«Sarà necessaria l′autopsia, per esserne certi… A prima vista sembra naturale, un infarto…»
«Lo chiedevo per sapere se la cosa fosse di nostra competenza…» osservò Mulé, «se è morte naturale…»
«Capisco… ma sarà bene che attendiate l’auto-psia…» replicò allontanandosi, accompagnato dal sergente.
«Anche se non è certa la causa della morte, giacché ci troviamo qui diamo un′occhiata…» disse Didier entrando nella stanza, seguita da Mulé.
«Non le ricorda nulla la scena?» domandò Mulé, sedendo sul divano vicino alla grande finestra.
Didier lo guardò interrogativamente.
«La prima volta che l’ho accompagnata, per il delitto Refus… Lei era arrivata alla criminale solo da un paio di giorni…»
«Già… Sembra solo ieri, me n’ero dimenticata… Eravamo insieme, io e lei…»
«Io non l’ho dimenticato… La giovane debuttante, ancora ispettore capo, davanti al primo morto ammazzato… Si trattava però di ben altra scena… Nemmeno troppo edificante con quel sedere nudo… Questo invece, guarda che bel pigiama di seta… morte da ricchi…»
Didier non lo ascoltava già più, assorta ad osservare ogni particolare. Mulé rimase in silenzio. Anche la prima volta e poi inseguito, Didier si era comportata sempre nello stesso modo. Ferma e senza parlare a guardarsi intorno. Come per memorizzare la scena del crimine. Nell′attesa Mulé si rilassò, osservando dalla porta-finestra il verde del parco e gli uccelli che svolazzavano tra le piante. Venne distratto da un vocio che arrivava dal corridoio. La porta si aprì. Entrarono il giudice Gouberlain seguito dal sergente Cocteau. Mulé si alzò in piedi di scatto, dimenticando subito i pensieri paradisiaci sul vivere in una casa come quella.
«… e non sapete ancora chi possa avergli fatto visita stanotte…?» stava chiedendo Gouberlain, interrompendosi subito vedendo Didier e Mulé.
«Buongiorno commissario… Buongiorno ispettore… Come state? Ma allora si tratta di un omicidio, se vi trovate qui…» chiese quasi eccitato.
Didier si girò, contrariata. Gouberlain non era il meglio che le potesse capitare, se si trattava effettivamente di delitto. Ma fece buon viso e sorrise, andandogli incontro.
«Buongiorno signor giudice… Come sta? Siamo qui solo per caso perché eravamo in zona, quando abbiamo ricevuto l’avviso via radio… Il medico, però, ha dei dubbi che si tratti d’omicidio, pensa ad un infarto… Ad ogni modo, trovandoci sul posto, ho preferito vedere con i miei occhi…»
«Sempre zelante il nostro commissario…» poi rivolgendosi a Mulé, «lei cosa ne pensa ispettore Mulé? Si tratta d’omicidio?»
Mulé, preso di contropiede, rispose senza rendersi conto del peso che le parole che uscivano dalla sua bocca avrebbero potuto avere per il giudice.
«Veramente… non so proprio… Sembra che niente sia stato toccato… Sarebbe meglio per tutti, però, che fosse morte naturale… non le pare?»
Si accorse subito che quello non sembrava proprio il desiderio del giudice Gouberlain. Didier, conoscendo il personaggio, cambiò subito argomento lanciando un′occhiataccia a Mulé che non ne capì il significato.
«Come vanno le cose in tribunale? Ho saputo che ha ricevuto vari encomi dal presidente Denis, per le ultime inchieste…»
Toccato sul punto che più gli premeva, la carriera, il giudice si rasserenò subito.
«Troppo gentile, commissario… Sì, in effetti ho ricevuto più volte i complimenti dal presidente… Ma ritengo solo di aver fatto il mio dovere…»
«Troppo modesto signor giudice… Troppo modesto… Vedremo di fargliene avere degli altri… Se ora ci scusa, noi andiamo… Potrà avvalersi della collaborazione dell′ottimo sergente Cocteau… Noi dobbiamo scappare, ci aspettano per un’altra inchiesta…»
«Sempre attiva, brava…, attendo sue notizie sul caso, sempre che si tratti di un omicidio e l’inchiesta venga assegnata a me…»
«Non dubiti, sarà mia cura… Buongiorno… Grazie anche a lei sergente per la collaborazione…»
Uscì velocemente dalla stanza, seguita da Mulé che rimuginava tra se cosa avesse stizzito il giudice. Solo fuori lo chiese a