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Il Sonnambulo
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Il Sonnambulo

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About this ebook

WhiteRock è una tranquilla contea vicino Boston, negli Stati Uniti. Un giorno la serenità dei suoi cittadini viene sconvolta dal ritrovamento dei resti di un corpo abbandonati in una vecchia villa. I resti, si scoprirà, appartengono a Sarah Winston, una tredicenne sparita qualche giorno prima.

Sarà l’inizio di un incubo. A indagare sul caso sarà Sam Caller, un poliziotto della piccola centrale di WhiteRock.

Si scoprirà che la contea nasconde dei segreti inconfessabili. Sarà l’inizio di un percorso che porterà Sam a perdere tutto quello che aveva, una compagna, un figlio in arrivo, il suo lavoro. Il caso si chiuderà ma la verità non verrà trovata. Dopo alcuni anni però il destino busserà a Sam e lo riporterà nell’incubo che lo ha tenuto “addormentato” per molto tempo. Il destino ha le fattezze di Lennox Loyd, giovane e brillante agente investigativo della centrale di Polizia di Boston, che si ritroverà ad indagare su la sparizione di un minore. Lennox chiuderà aiuto a Sam che anni prima aveva indagato su un caso simile senza sapere, in realtà, che il caso è lo stesso.Così Sam si ritroverà nuovamente ad affrontare “Il Dio”, così verrà chiamato il serial killer, che anni prima aveva seminato il terrore a WhiteRock. Un serial killer che veste gli abiti di un potente uomo politico.
LanguageItaliano
Release dateJun 10, 2015
ISBN9786050385328
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    Il Sonnambulo - Francesco Giuffre'

    INDICE

    PROLOGO 1.

    I due bicchieri si toccarono con vigore. Il liquore al loro interno ondeggiò e poi finì nello stomaco dei due avventori. Si erano appena conosciuti al bancone del bar dell’albergo. A vederli da fuori erano proprio una strana coppia. Uno sembrava un attore di Hollywood, l’altro un freak scappato da qualche circo. Erano al quinto giro di bevute e all’attore di Hollywood girava la testa. Il freak invece, era calmo. Sembrava che a lui il liquore non facesse effetto. Cominciarono a parlare e a bere. In realtà era l’attore di Hollywood che parlava e il freak ascoltava. La sera divenne notte e segreti che sarebbero dovuti restare tali, furono sconfessati tra le risate.

    PROLOGO 2.

    Per il loro terzo incontro decise di osare. Non aveva molto tempo, era quindi escluso allontanarsi troppo. La voglia di possederla era però impellente. Decise per uno spiazzo isolato nella zona dei capannoni. A quell’ora di sera la zona era sempre deserta. La presenza di molti arbusti intorno poi, lo rendevano un posto relativamente tranquillo. Fermò l’auto e spense il motore. Guardò fuori, tutto intorno era silenzioso e tranquillo. Si slacciò i pantaloni. Dopo qualche minuto sentì che stava per scoppiare, tirò giù il suo sedile e le disse di mettersi sopra di lui. Lei obbedì.

    Stava per raggiungere l’orgasmo quando vide fuori dal finestrino due occhi che lo fissavano. Urlò. Poi lo riconobbe. Era l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento. L’erezione intanto si afflosciò come un palloncino bucato.

    PROLOGO 3.

    Sarah era contenta. Aveva abbassato il suo tempo sui cinquanta metri stile libero di quasi mezzo secondo, se avesse continuato così avrebbe avuto buone possibilità di salire sul podio la prossima primavera, ai campionati nazionali studenteschi. Melany Garden, sua acerrima rivale, non era riuscita a starle dietro e questo rendeva il tutto ancora più piacevole. Nel piazzale della palestra si trattenne con Claire Robinson, sua amica e compagna d’allenamenti. La mamma di Claire arrivò a prendere la figlia e loro si salutarono, con la promessa di risentirsi per telefono una volta tornate a casa, per continuare la chiacchierata. Si accorse di essere rimasta sola. A quell’ora, e con quel freddo, la strada si presentava deserta una volta che l’auto della signora Robinson aveva svoltato l’angolo. Si avviò alla sua inconfondibile bicicletta, rosa a pallini neri. Fece per togliere il lucchetto quando vide che tutte e due le ruote erano squarciate. Pensò che potesse essere stata la vendetta di quella strega di Melany Garden. Prese il telefono cellulare per chiamare il padre per chiedergli di venirla a prendere. Troppo freddo per andare a piedi e poi voleva portare la bici a casa. Stava per digitare il numero quando si accorse che un’auto aveva accostato.

    -Tutto bene Sarah?

    -Appena lo vide ringraziò il cielo

    -Veramente no. Ho le ruote bucate.

    -Salta su che ti porto a casa

    -Grazie mille!

    Il tempo di raccontargli della sua nuova impresa sportiva che un colpo in pieno viso le fece perdere i sensi. 

    PARTE 1

    PRIMA DEL GRANDE SONNO

    24 aprile ore 00:34

    Sam parcheggiò l’auto. Guardò l’ora sul quadrante posto sul cruscotto. Mezzanotte e mezza. Scese e accese la torcia. L’aria era fredda. La nebbia faceva sembrare la vecchia villa Harder simile ad un relitto sul fondo dell’oceano. Un tempo fu la residenza di una delle famiglie più importanti dello stato. Da qualche anno, dopo vari progetti per recuperarla, era stata abbandonata e lasciata in balia di barboni e animali che la notte vi trovavano riparo. La segnalazione era arrivata da circa un paio d’ore. Una telefonata anonima aveva denunciato qualcuno che aveva lasciato un sacco dentro la villa e si era allontanato. La voce aveva poi aggiunto che il contenuto del sacco avrebbe certamente interessato la polizia. Sam era accompagnato da Liza. Faceva coppia con lei sul lavoro da tre anni. Andò avanti lui, mentre lei lo seguiva e si teneva in contatto con la centrale attraverso la radio per eventuali comunicazioni o richieste. Non era stato precisato dove fosse stato lasciato il sacco e dunque avrebbero dovuto cercare per un bel po’. La villa era formata da due ali e un corpo centrale, contava più di quaranta stanze escluse le cantine. Decisero di iniziare da lì. Sam sperava non fosse il solito scherzo. Era seccato di aver dovuto lasciare Christina all’inizio della cena. Erano abituati a dover interrompere ogni tipo d’attività a causa del lavoro di Sam, ma quella era un’occasione davvero importante. Si sarebbe potuta definire la loro prima cena in tre. Dopo quattro anni di tentativi era arrivato il tanto desiderato annuncio di Christina. Era incinta. Si erano abbracciati forte e lui era andato a prendere un ottima cena indiana, lei aveva acceso le candele sul tavolo e dopo il primo morso al pollo Tandoori, il telefono cellulare di Sam aveva squillato.

    Liza imprecò per una sbarra di ferro presa in pieno stinco. Sam nascose una risata. Erano nella villa da più di due ore ma del sacco e del suo contenuto ancora nulla.

    Lo trovarono quasi all’alba, quando Liza premeva per lasciar perdere. Le stanze al terzo piano erano usate come dormitori da avventori senza dimora e, in quella in fondo al corridoio, qualcuno effettivamente aveva lasciato un sacco tra l’immondizia.

    Probabilmente qualche barbone aveva visto la scena senza essere visto. Quindi, incuriosito, era andato a sbirciare il contenuto, sperando di trovare chissà cosa, e aveva avvisato la polizia.

    Entrarono nella stanza e Sam si avvicinò al sacco. Riconobbe subito l’odore nauseabondo della morte. Si frugò nelle tasche per cercare un fazzoletto che si premette sul naso e sulla bocca. Aprì il sacco e disse a Liza di chiamare immediatamente la centrale.

    24 aprile ore 7:52

    Era una splendida mattina quella mattina. Jerry era andato a dormire da un amico e lei aveva la stanza tutta per sé. Si era alzata dal letto prima che la sveglia suonasse. Era scesa di corsa a fare colazione. Aveva scambiato due veloci parole con la mamma ed era tornata in stanza per vestirsi. Quella mattina vestirsi aveva una particolare importanza dato che alle undici precise, dopo la lezione di chimica e prima di quella di letteratura inglese, doveva incontrarsi con Jeff davanti al suo armadietto. Gli avrebbe dovuto dare la risposta sul fatto di voler fare coppia fissa con lui. Aveva già deciso ma voleva tenerlo un po’ sulle spine. Si erano conosciuti una settima prima alla festa di Tom Keaton. A dire il vero si erano già incontrati alcune volte nei corridoi della scuola, si erano guardati di sfuggita ma nessuno dei due aveva avuto il coraggio di fermare l’altro. Si piacevano, questo era evidente. Quando lei poi, alla festa, lo aveva visto suonare la chitarra e sentito cantare Creep dei Radiohead, si era decisa a sedergli vicino e a sorridergli. Si controllò un’ultima volta allo specchio. Uscì di casa e si avviò a piedi verso la scuola con un grande sorriso dipinto sul volto.

    Stava per entrare nell’edificio quando lo vide in fondo al corridoio, tra gli alunni intontiti dal sonno che a gruppi entravano nelle varie aule del prestigioso liceo Jefferson di WhiteRock. Lui, attento a non farsi vedere da nessun altro, le fece un impercettibile gesto con la testa per chiamarla. Lei non aveva tempo e non voleva andarci ma a lui non poteva dire di no. Una volta che gli fu davanti, lui a voce sostenuta le chiese se era preparata per la lezione perché probabilmente l’avrebbe interrogata, poi, senza attendere la risposta e dando una veloce occhiata intono, sotto voce le disse di seguirlo fuori dall’edificio. Doveva parlarle di una cosa importante. Aggiunse poi di uscire separati e d’incontrarsi nel parcheggio. Lei avrebbe voluto dirgli di no. Voleva solo correre in classe, seguire le lezioni e poi andare all’appuntamento con Jeff. Invece lo seguì domandandosi cosa ci potesse essere di tanto importante. Tra loro tutto era ormai finito, almeno così credeva. Per un attimo ebbe paura che lui le chiedesse nuovamente di fare quelle cose che lei non voleva più fare. Appena arrivata nel parcheggio, lui le ordinò di entrare in macchina, non voleva correre il rischio che qualcuno sentisse ciò che doveva dirle. D’altronde la macchina era sempre stata il loro luogo d’incontro, il loro rifugio. Con mille accortezze lui la andava a prendere in posti appartati per poi portarla nei luoghi più isolati di WhiteRock, lontana da occhi indiscreti. Ricordò di quando erano andati fuori dalla contea, e lui le aveva comprato, in un grande magazzino, tutti i vestiti che più le piacevano, oppure quando erano andati a mangiare a più di cinquanta miglia da WhiteRock. In quelle occasioni tutti li prendevano per padre e figlia. Lui sospirò. Lei si guardò allo specchietto retrovisore per vedere se i capelli erano a posto. Lui si guardò intorno e mise in moto. Lei si girò verso di lui per capire cosa stesse accadendo. Un colpo in piena faccia la fece perdere i sensi e le spettinò i capelli.

    24 aprile ore 9:42

    Il Maestro se ne stava seduto su una grande poltrona. Il soprannome se lo era dato lui stesso. Lo aveva scelto nel momento esatto in cui decise di dare una svolta alla sua vita. Aspettava paziente. Sorseggiava un tè e ascoltava musica in cuffia con gli occhi chiusi. Fuori, nel grande giardino, stavano potando le siepi e annaffiando le piante. In casa fervevano i preparativi per la cena di quella sera. Il Maestro però non aveva tempo in quel momento di controllare se tutto procedesse per il meglio. Doveva aspettare. Fin da piccolo aveva imparato l’arte della pazienza. Pazienza con suo padre alcolizzato, e sua madre completamente assente. Pazienza con i compagni di classe che lo prendevano di mira per i loro scherzi crudeli. Pazienza con le ragazze, che non lo degnavano di uno sguardo e se lo facevano era per mostrargli tutto il loro ribrezzo. Pazienza con la vita. Sapeva che un giorno tutto sarebbe cambiato. La grande villa raccontava di un uomo che nella vita si era creato un impero da solo. Borsa di studio e susseguente laurea con il massimo dei voti alla Massachusetts Institute of Technology, il brevetto per un ingegnoso sistema idraulico che faceva risparmiare alle fabbriche mesi di lavoro e milioni di dollari. Poi tanti oculati investimenti che lo rendevano un uomo decisamente ricco. Sorrise. Il telefono squillò in quel preciso istante. Aprì gli occhi. Si tolse le cuffie e rispose.

    Pronto?

    La voce dall’altra parte fu veloce.

    E’ con me

    Riattaccò, finì il suo tè e spense l’Ipod. Uscì dalla stanza.

    Si fermò davanti a due cameriere che preparavano la tavola. La più anziana si rivolse a lui con lo sguardo basso.

    -Va bene così signore?

    Il Maestro annuì.

    24 aprile ore 10:04

    Il capitano Brady arrivò verso le dieci. Salutò Sam e Liza e si fece portare nella stanza dove si trovava il sacco. Diede un occhiata veloce al contenuto.

    Di che si tratta?

    Resti umani

    Rispose Sam

    La ragazza?

    Presto per dirlo. Probabile.

    Brady ordinò di prelevare e far portare il materiale al dottor Julius Pattinson.

    Il capitano Richard Brady era il superiore che tutti desidererebbero avere. Era un esempio come uomo e come poliziotto. Non era originario di WhiteRock. Entrato nel corpo appena maggiorenne, fu trasferito dopo un paio d’anni a Boston. Accettò dopo qualche anno di essere mandato nella piccola stazione di polizia di WhiteRock per stare vicino a Wally Jensen che fu il grande amore della sua vita. A suo dire, non se ne pentì mai.

    Fu setacciata senza esito la zona ormai transennata da un paio d’ore. Sam e Liza risalirono in auto per tornare in centrale.

    - Sono contenta per voi Sam

    - Grazie Liza.

    - Domani chiamo Christina per farle gli auguri.

    - Aspetta tre mesi Liza, fammi il favore. Le ho promesso di non dirlo a nessuno fino ai tre mesi. Sai, scaramanzia. Dopo tutto il tempo che ci abbiamo messo

    - Allora perché lo hai detto a me?

    - Ho voglia di dirlo alle persone a cui voglio bene.

    Liza gli sorrise.

    - Sarò muta come un pesce!

    Fu una giornata campale d’attesa e smentite. In centrale si sparse subito la voce del ritrovamento di quei resti ed evidentemente non furono bravi ad arginare quella voce. Alle ventidue e trenta insieme a qualche giornalista si presentarono in centrale i genitori di Sarah Winston, pretendendo di parlare immediatamente con il capitano Brady.

    Bernard Winston era spento. Il viso bianco e stravolto da giorni d’angoscia. Mary Winston invece era una furia. Si divincolò dagli agenti che cercavano di trattenerla e intercettò Brady che usciva dal suo ufficio.

    - E’ Sarah vero? Rispondimi Richard. Ho diritto di sapere!

    Quell’uso del singolare faceva intendere come Mary Winston stesse combattendo una guerra privata con i nervi e il tempo, dato la catatonia del marito.

    - Mary ascolta, è presto per dirlo

    - Diglielo Bernard. Abbiamo il diritto di saperlo!

    Bernard Winston farfugliò qualcosa ma fu subito investito dalla furia della moglie

    - Richard sono dieci giorni che vivo nell’angoscia. Dimmi se è mia figlia!

    Il capitano si divincolò scusandosi con la coppia, era imminente uno dei suoi terribili attacchi di emicrania e dirottò gli Winston su Sam che fu costretto a subire le urla della donna, e mentre lei gli chiedeva con frenesia notizie e informazioni che Sam davvero non poteva darle, si fermò a pensare a lui e a Christina che a breve sarebbero diventati genitori. In Bernard e Mary Winston vedeva loro tra qualche anno. Con terrore immaginò di essere al loro posto, con una figlia sparita nel nulla da giorni e forse smembrata e gettata in un sacco abbandonato tra immondizia ed escrementi.

    Mary, stiamo lavorando per avere una risposta. Appena sapremo qualcosa ti prometto che sarò io di persona a venire a darvi notizie.

    Ora tornate a casa per favore.

    Si pentì immediatamente di quella promessa ma oramai era fatta.

    Vide Bernard Winston abbracciare la moglie ormai in lacrime e portarla via. Prese il cellulare e chiamò Christina. Voleva sapere come stava.

    24 aprile ore 18:22

    La ragazza aprì gli occhi. Le faceva male il naso che aveva sanguinato copiosamente. Ora il sangue raffermo gliene faceva sentire costantemente il sapore in bocca. Un buio pesto la circondava. Non era legata. Rimase seduta per alcuni secondi cercando di capire cosa le era successo. Lui le aveva dato un pugno in pieno viso, questo lo ricordava. Poi più nulla. Si alzò ma sbatte’ la testa. Dovunque fosse quel posto aveva il soffitto dannatamente basso. Provò ad allungare le braccia ma non poteva stenderle del tutto. Dovunque fosse quel posto era dannatamente stretto. Cominciò a tastare tutto intorno ma non trovò che pareti a pochi centimetri da lei. Il cuore cominciò a batterle all’impazzata. Cominciò ad urlare e a picchiare con tutte le sue forze sul muro con le mani aperte per non farsi male. Non sentì nessun rumore da fuori. Si sentiva come in un utero di cemento. Al buio più assoluto. Nel silenzio più assoluto. Sentì le lacrime che cominciavano a scenderle sul viso. Si chiedeva cosa avesse mai potuto fare per meritare quello che le stava succedendo. Non aveva idea da quanto tempo si trovava la dentro. Pensò a sua madre e a suo fratello. Pensò a Jeff invano davanti al suo armadietto per ascoltare la sua decisione. Sarebbe stato un si. Con Jeff avrebbe voluto fare coppia fissa. Con Jeff avrebbe voluto dimenticare quella relazione che non avrebbe mai dovuto iniziare. Cercò di calmarsi. Cominciò a respirare lentamente. Le lacrime però non diminuirono. Si accorse di avere sete. Di essersi fatta pipì nelle mutandine. Si mise seduta, con la schiena piegata appoggiata al muro e le gambe al ventre. Possibile che lui le stesse facendo questo? Perché? Era lui che le aveva detto che a loro storia non poteva andare avanti. Che era pericoloso. Lei aveva capito. Anche lei sapeva che quella relazione, se fosse stata scoperta, l’avrebbe messa in un mare di guai. Tutto era finito nel migliore dei modi, almeno così aveva sempre creduto. Da allora si erano comportati come due perfetti estranei o meglio come professore e alunna. Allora perché ora lui le faceva questo? Non capiva. Mentre sentiva che l’aria cominciava a mancarle, sentì un rumore di passi irregolari. Non sapeva se gridare o restare in silenzio. I passi si fermarono. Poi una voce sconosciuta

    - Ciao Wendy

    24 aprile ore 18:35

    La sparizione di Sarah Winston era stato un fulmine a ciel sereno nella tranquilla contea di WhiteRock. Una contea di qualche migliaio d’abitanti il cui nome lo doveva ad un grande masso di formazione calcarea all’entrata della contea ovviamente di colore chiarissimo. Sam Caller era seduto alla sua scrivania, cercava di mettere insieme i pezzi. Tra dieci minuti sarebbe cominciata una riunione e lui avrebbe dovuto riassumere la situazione alla luce degli ultimi eventi. Pensò a quel dodici aprile. Il giorno in cui era sparita Sarah. Appena dieci giorni prima, eppure sembrava passato un secolo. La sera dell’undici, prima di andare a dormire aveva spento il cellulare. Non lo faceva quasi mai, solo quando sentiva che dormire era una necessità primaria per la sopravvivenza. Si era alzato come al solito alle sette e mezza. Si era fatto una doccia. Aveva svegliato Christina con un bacio e aveva preparato il caffè. Non avevano particolari rituali la mattina, però sia lui che Christina non potevano cominciare la giornata senza due tazze di caffè bollente. Chris, come lui la chiamava, era una donna atipica. Si vestiva in dieci minuti ed era pronta per andare a lavorare in massimo mezz’ora. Solo adesso che era incinta prendeva un po’ più di tempo per lei e faceva le cose con più calma. Lavorava come consulente finanziario in una società di Boston. Era molto brava in quello che faceva. Aveva compiuto trentacinque anni da un mese e lui le aveva regalato un weekend alle cascate del Niagara, che lei desiderava vedere da quando era piccola. Erano stati bene. Il primo weekend da tre anni a quella parte che lui si era potuto permettere. Non che a WhiteRock succedessero così tanti eventi, ma il poco personale alla centrale lo rendeva reperibile ventiquattro ore su ventiquattro. Quella mattina si sarebbe dovuto recare da Jim Simonson per cercare di risolvere una questione legata al posizionamento del confine della sua terra. Frank Camer non voleva cedere di un centimetro e questo creava enormi contrasti tra i due vicini. Sam li conosceva da quando era piccolo e li aveva visti sempre litigare per lo stesso motivo. Appena salito sull’auto aveva acceso il cellulare che aveva squillato quasi subito. Era Liza dalla centrale. Sarah Winston la sera prima non era tornata a casa e i genitori erano preoccupati. Sarah sarebbe dovuta rientrare dall’allenamento di nuoto alle ventuno. I genitori, Mary e Bernard avevano aspettato un paio d’ore prima di avvertire la centrale. A quell’ora era di turno Scott Smith, un ragazzone entrato in polizia appena l’anno prima che aveva promesso

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