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Il Rettore d'Italia
Il Rettore d'Italia
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Il Rettore d'Italia

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Se il nome della nostra nazione è Italia, lo dobbiamo a quegli antichi popoli che nel primo secolo a.C. si strinsero in una lega per affrontare Roma.
Da allora la Penisola si chiamò così, e non fu più il dominio, ma la nazione di Roma, una nazione unita, come solo dopo circa due millenni avvenne di nuovo.
I marsi Quinto Popedio Silone e Publio Vettio Scatone, il marrucino Herio Asinio, il vestino Tito Lafrenio, il pretuzio Tito Herennio, il piceno Caio Vidacilio, il peligno Publio Presenteio, il frentano Caio Pontidio, i sanniti Gavio Papio Mutilo, Mario Egnatio, Caio Trebazio e Pontio Telesino, il campano Tiberio Gutta, l'apulo Lucio Afranio, il lucano Marco Lamponio, furono i condottieri dell'agguerrito esercito che fece vacillare Roma e la cambiò irreversibilmente.
Il prezzo fu però altissimo: in quella guerra caddero quasi centomila guerrieri italici, e molti di più furono i civili mietuti dalla ferocia di Strabone e, soprattutto, Silla.
Per dare snellezza alla impressionante mole di eventi succedutisi in così breve tempo, si è scelta la forma del romanzo storico, e si è personificata la magnificenza di quegli eroi che riuscirono a piegare Roma, pur commettendo numerosi errori, che così saranno meglio stigmatizzati.
Le fonti storiche sono attendibili per le cronache di guerra, e quindi le vicende belliche saranno tutte fedelmente riportate, mentre meno attendibili, se non del tutto assenti, lo sono per il periodo antecedente: qui, tramite una comune azione bellica contro i Veneti, si è voluto dare origine all'afflato unitario, nonché dare rilievo a tradizioni italiche, quali la sacralità del monte Titano, l'odierna Repubblica di San Marino, e del confine settentrionale d'Italia, segnato da fiume Rubicone, tradizioni, queste, in seguito fatte proprie dai Romani.
Anche per il periodo successivo non abbiamo fonti storiche, ma è certo che l'esercito con cui Cesare sconfisse i Galli era composto prevalentemente da guerrieri italici.
LanguageItaliano
Release dateAug 17, 2015
ISBN9786050406108
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    Il Rettore d'Italia - Concezio Di Risio

    quarantaduesimo

    preambolo

    Narra questo racconto di impavidi guerrieri, vissuti più di duemila anni fa, e di un loro magnifico ideale, che permeò Roma e con essa cadde.

    Pur sopito, ostacolato, sopraffatto, mai tale ideale fu estirpato dal cuore degli abitanti della Penisola, e nessuno, quantunque potente, poté impedire che dopo molti secoli risorgesse.

    La storia di Roma è fatta di continue guerre, ma quella sociale, iniziata nell'anno 91 a.C., fu diversa da tutte le altre: per la prima volta nella storia non si combatteva per dominio territoriale, o per mero accaparramento di bottino, bensì per la conquista di diritti.

    Prima dello scontro armato vi fu un lungo periodo di lotta politica, al di fuori e all'interno delle mura di Roma.

    La concessione di tali diritti avrebbe infatti comportato l'irreversibile trasformazione della più potente città-stato del mondo in una capitale, e i suoi domini nella Penisola in una nazione, e consapevoli di ciò gli aristocratici più conservatori vi si opponevano strenuamente, restando votati alla difesa di privilegi anacronistici.

    La fazione opposta, dei democratici, o popolari, mirava invece alla riforma dell'ordinamento statale, che reputavano antiquato ed inadatto alla gestione dell'immenso potere che ormai Roma deteneva.

    A colpi di riforme e controriforme Roma andò in fibrillazione, ed il suo tessuto sociale, da sempre disomogeneo, prese a dividersi seguendo schemi insoliti: le ingiustizie nei confronti dei soci erano talmente afflittive che anche le classi meno abbienti riuscivano a beneficiarne, sicché equestri e plebei si ritrovarono spesso a spalleggiare gli ottimati.

    Ciò convinse ancor più più l'oligarchia ad arroccarsi a difesa dei propri privilegi, al punto da avvicendare alle maggiori cariche una ristretta cerchia di persone, e a rifiutare qualsiasi apertura che potesse quantomeno ridurre l'asprezza della contesa.

    Sembrerà impossibile per una città che depredava tre continenti, ma la prima conseguenza dell'acuirsi della lotta politica fu una profonda crisi economica.

    L'espansione di Roma aveva infatti avuto delle conseguenze disastrose sulla piccola proprietà fondiaria: il piccolo proprietario ritornava dalle lontane province dopo lunghe campagne militari e ritrovava il suo fondo improduttivo e bisognoso d'investimenti, il che ingenerava una spinta all'indebitamento di cui erano pronti ad approfittare gli speculatori, agevolati dal ritardo con cui i legislatori poterono predisporre efficaci leggi anti-usura.

    Si aggiunga che la straordinaria quantità di schiavi proveniente dalle conquiste azzerava le possibilità di trovare occupazione.

    Così i nullafacenti aumentavano nell'Urbe e infoltivano lo stuolo di clientes che gli aristocratici più abbienti erano pronti a sfruttare in occasione del rinnovo delle cariche pubbliche: quei disperati erano sì nullatenenti e nullafacenti, ma in qualità di cittadini romani votavano, ed il loro voto era prezioso.

    La corsa all'accaparramento di clientela coincise con l'espansione del latifondo, assai meno produttivo, e rese impellente l'esigenza di reperire risorse per sostentare una popolazione prevalentemente inattiva: la voracità di Roma crebbe a dismisura  nelle province, e di pari passo crebbero i soprusi e le vessazioni perpetrate in danno dei soci, sino a raggiungere il culmine con l'adozione della legge Licinio Crassa, del 95 a.C: i non cittadini potevano ora essere scacciati da Roma e spogliati dei beni che frattanto vi avevano acquistati.

    Tale esproprio oligarchico esasperò gli animi dei soci, già frustrati dal non poter votare, e quindi dal non poter ambire alle cariche pubbliche, e soprattutto dal prelievo fiscale, notevolmente maggiore, cui restavano assoggettati.

    Col senato in mano agli ottimati, l'unica strada percorribile, per i soci e per la fazione popolare, era quella di una legge proposta dai tribuni della plebe.

    Il tribuno Marco Livio Druso tentò di promulgarla, ma il senato la bloccò per vizi di forma, peraltro pretestuosi, e per evitare nuovi tentativi, l'oligarchia non esitò a sbarazzarsi del pericoloso tribuno, che nel 91 a.C. fu assassinato.

    Gli Italici realizzarono che era divenuto necessario ricorrere alla lotta armata, sebbene ciò avrebbe ricompattato le fazioni romane: a Roma, come già accadeva per le poleis greche, quando v'era un pericolo esterno si faceva sempre fronte comune.

    Così le due fasi, politica e militare, si sovrapposero per due anni, e l'appennino centrale divenne teatro di epiche battaglie.

    La legge Plautia-Papiria, promulgata nell'anno 89 a.C., nel concedere la parificazione agli Italici e dunque nel consegnare loro la vittoria politica, non chiuse la guerra, ma la trasformò, dapprima in una guerra d'indipendenza, dipoi in una cruenta guerra civile, che avrebbe in breve condotto alla caduta della repubblica e alla nascita dell'impero.

    Col piglio vendicativo di chi sa di aver scampato un grosso pericolo, Roma chiuse la guerra d'indipendenza perpetrando gratuite carneficine, forse spinta dal desiderio di impartire una punizione esemplare, o più probabilmente di consegnare alla storia una falsa verità: la vittoria sul campo contro ridotte forze belligeranti non può sottrarre gloria alla vittoria politica conseguita dagli Italici uniti.

    La Roma entrata in guerra nel 91 a.C. era stata sconfitta: le leggi di parificazione che non aveva voluto promulgare pacificamente, dovette promulgarle sotto l'impeto degli eserciti italici.

    Quella che riuscì a riaffermare la propria supremazia militare sui rivoltosi era una Roma diversa: tutti gli abitanti della Penisola, dal Po a Reggio Calabria, erano ormai divenuti cittadini romani, e i Transpadani si apprestavano a diventarlo.

    La Roma repubblicana aveva un nuovo volto, quello coniato sulla moneta della riconciliazione: Roma e l'Italia che si stringono la mano.

    Ci piace però rimarcare che l'accelerazione alla conquista di diritti fondamentali della persona, nonché alla nascita dell'Italia come nazione unita, fu impressa da quegli straordinari uomini che ebbero l'ardire di impugnare le armi contro Roma, e la grandiosità del risultato conseguito ci impone di narrare le loro gesta, affinché i nostri veri Padri della Patria non restino dimenticati, o misconosciuti.

    Come sappiamo, tutto accadde con molta rapidità, e la concitazione degli eventi impone un'analoga velocità espositiva: non si attarderà quindi l'autore in commenti e tratteggi, ma lascerà spazio alle azioni e ai dialoghi dei protagonisti, confidando che ogni lacuna descrittiva sarà colmata dalla fantasia dei suoi venticinque lettori.

    capitolo primo

    Il messaggero fu introdotto dal decano al cospetto del re.

    - Cosa?!? Ma non è possibile!

    - Sì che lo è, purtroppo

    - che Juvile Flagio li fulmini! Ma come ci hanno pensato! Titano.....Titano è sacra!

    - Lo è per noi, ma evidentemente non lo è per i Veneti

    - sei qui per provocarmi, oltre che per recarmi notizie nefaste?

    - Ovviamente no, meddìss, ma questa è la cruda realtà

    - siano dannati i Veneti! Dannazione eterna a loro! Con tutte le terre che possiedono, che bisogno hanno di uno scoglio!

    - Non lo chiedere a me: i messaggeri recano notizie dei fatti, non delle cause che li determinano

    - quindi Titano invoca il nostro soccorso

    - vostro e di tutti gli Italici

    - hai avvisato tutti?

    - Mi restano i Sanniti

    - i Sanniti?!?

    - La mia ambasceria termina con loro

    - è inutile, non vi verranno in soccorso

    - Titano è sacra anche ai Sanniti

    - non servirà: Pentri, Caudini e Hirpini non possono sguarnire, e i Carracini sono in attrito con noi. Ah, sono dei pazzi! Ci contendono la foce del Sangro....hanno persino ritirato i rampolli dall'accademia! Per questo ti dico che è inutile avvisarli

    - sarà anche inutile, ma non posso venire meno ai miei doveri di messaggero

    - va dunque.

    Il messaggero andò via, lasciando il re nei mugugni.

    Senza che nessuno gliene avesse accordato il permesso, il decano rientrò nella sala e gli si fece accanto:

    - dunque Titano è assediata dai Veneti

    - non ancora, ma presto lo sarà

    - allora è guerra

    - non vedo alternative. Convoca immediatamente il consiglio dei principi

    - aspetta, meddìss, è meglio convocare prima il rettore

    - il rettore?

    - Certo, il rettore: se guerra sarà, ci sarà pure un esercito italico, e chi meglio del rettore può condurlo?

    - Ma non possiamo chiudere l'accademia!

    - Non ho detto questo: troveremo, cioè, troverà un vicario.

    Non avrebbe mai voluto sentire quella parola, ed il suo turbamento fu talmente evidente, che il decano preferì sottrarsi alla replica:

    - vado a chiamarlo, così potrete parlare

    - si, vai pure.

    Il re ripiombò nei mugugni, ed uscì sulla terrazza che dava sulla piazza d'armi, rendendosi subito conto che l'approssimarsi dell'estate e l'ora del meriggio non la rendevano un posto adatto alla meditazione: la luce troppo intensa feriva gli occhi e rendeva roventi i muretti del parapetto.

    Rientrò e si portò dalla parte opposta della sala, alla sua finestra preferita: era rivolta a maltempo, e l'aveva fatta allargare pur sapendo che in inverno una simile apertura sarebbe risultata foriera di rabbrividenti spifferi, ma di benefica brezza in estate. Nella reggia era il posto migliore dove poter restare assorti nei pensieri, spaziando con la vista sull'amata valle: il corso tortuoso del Sangro, le rive scogliose, le anse placide e ampie contornate da audaci orti, i campi di frumento, ricchi, dorati, promettenti; più su i pascoli degli alpeggi; più giù i costoni della valle che digradavano e si aprivano, come a voler accogliere in un abbraccio l'azzurro mare.

    Ne aveva da riflettere! Sapeva bene che l'unico a poter svolgere le funzioni di vicario era suo figlio Adone, e se fosse accaduto qualcosa al rettore, se gli fosse capitato di perire in battaglia.....suo figlio sarebbe divenuto il nuovo rettore, e per legge il rettore non può essere anche re: avrebbe dovuto lasciare il trono a Cleto, il suo secondogenito, ma Cleto era segnato dagli Dei. Certo, nessuno la avrebbe sfidato nella prova del re, col rettore che avrebbe potuto sostenerla in sua vece, ma quale principessa l'avrebbe mai sposato? Quale donna gli avrebbe dato dei figli, ammesso che Cleto fosse capace di farne? E senza eredi, a chi avrebbe lasciato il regno? Forse a Verino, ma i principi frentani avrebbero accettato un meddìss supremo peligno? E anche accettandolo, cosa avrebbero fatto gli altri popoli italici dinanzi all'unificazione dei regni? Avrebbero temuto l'egemonia e si sarebbero scatenate tensioni, forse guerre, qualche nazione avrebbe potuto invocare il soccorso di Roma, la maledetta Roma, sempre lì, pronta ad approfittarne. No, solo Adone avrebbe potuto dargli dei nipoti, degli eredi legittimati a succedere al trono frentano. La desolante conclusione fu che se al rettore fosse capitato di perire in guerra, il suo regno avrebbe vacillato. Il pensiero lo turbava tanto, da non accorgersi della presenza alle sue spalle della regina:

    - si può sapere che hai? E' un'ora che stai davanti a quella finestra!

    - Guardo la nostra bella valle....

    - sono la tua danassa e non sono degna di un tuo sguardo?

    Si voltò lentamente, con un'espressione rivelatrice delle preoccupazioni che lo affliggevano.

    - Che viso tirato! Ma che è accaduto?

    - I Veneti, ecco che accade, i Veneti muovono su Titano

    - Titano?!? Ma Titano è sacra, ed è imprendibile

    - nulla è imprendibile: il messaggero riferiva di ventimila uomini, ma secondo me saranno ancora di più

    - e come puoi dirlo?

    - Perché la sua ambasciata è diretta pure ai Sanniti

    - che c'entrano quei rozzi montanari?

    - Titano è sacra anche a loro. Comunque, se invocano pure il soccorso dei Sanniti, vorrà dire che li ritengono necessari alla bisogna: quindi altro che ventimila Veneti!

    - E noi cosa faremo?

    - Titano è sacra, dobbiamo difenderla

    - mi ero illusa di poter vivere in pace

    - oh, anch'io: è dai tempi di Hannibale che i Frentani non impugnano le armi! In questi anni convulsi abbiamo trattato, negoziato, spesso concesso, sacrificando i nostri interessi, ma siamo sempre riusciti a mantenere la pace, anche con Roma. Purtroppo questa volta non sarà possibile.....

    - cos'altro c'è?

    - Come?

    - Che hai ancora, perché c'è dell'altro, vero?

    - Sono preoccupato per il regno

    - addirittura!

    - L'esercito che gli Italici invieranno in soccorso di Titano, secondo te, da chi sarà condotto?

    - Dal rettore, mi pare ovvio

    - e il vicario del rettore chi sarà?

    - Non certo Adone!

    - E invece sarà lui, lo sanno tutti che è il miglior discepolo!

    - Questo risulta a te, ma sono sicuro che ad ogni padre viene detto che il suo rampollo è il miglior discepolo dell'accademia

    - no, mia danassa, Adone è il migliore in assoluto, e questo me lo ha confidato mio fratello

    - e quindi sarà lui il vicario

    - sì, e se dovesse accadere qualcosa al rettore, se non dovesse tornare da questa dannata guerra.....

    - diverrebbe Adone il nuovo rettore....e addio nozze

    - e addio nipoti: credi che Cleto sia capace di darci dei nipoti?

    - Calma, Adone potrebbe nominare un sostituto....

    - no che non può: può nominare un vicario, ma il rettore lo nomina sempre il senato accademico, e il senato non vorrà certo privarsi di un rettore come Adone

    - quindi rischiamo veramente di rimanere senza nipoti

    - capisci ora il mio cruccio?

    - Beh, potrei fare in modo di fargli avere una fattrice

    - senza matrimonio quel figlio sarebbe illegittimo, e non potrebbe mai diventare meddìss

    - e allora potrebbe restare rettore per un po' di anni, anche venti, e poi farsi sostituire e sposarsi, così da avere dei figli legittimi

    - è vero, potrebbe: in fin dei conti è un principe, ed un principe anche a quarant'anni trova moglie. Solo che dovremo divenire ben vecchi per conoscere i nostri nipoti, e Adone dovrà conservare a lungo la sua prestanza, in attesa che i suoi figli crescano

    - che intendi?

    - La prova del re: immagini quante sfide riceverà un meddìss anziano? Sai quanti giovani ambiziosi saranno pronti ad approfittare del suo invecchiamento?

    - Tu non sei giovane, ma nessuno ti sfida

    - perché ho un certo fratello, e adesso ho un figlio valoroso

    - non ti sfida nessuno perché sei un meddìss giusto ed amato dal popolo

    - sì, ma ci sono pure i privilegi! Diamine, viviamo in una reggia: riesci ad immaginare a quanti piacerebbe viverci?

    Per la regina non ci fu bisogno di rispondere, e nemmeno occasione: il sorriso che si era aperto sulla bocca del marito indicava che dietro di lei era arrivato qualcuno:

    - ecco il magnifico rettore! Vieni ad abbracciarmi, fratello mio

    - hai smarrito le buone maniere? Concedimi di salutare mia cognata per prima

    - come stai Akille?

    - Bene, sarà l'approssimarsi della bella stagione, ma tu, Marzia, mi sembri ringiovanita, non come mio fratello, che pare invecchiato di colpo

    - è il peso delle responsabilità

    - lo capisco: il decano mi ha informato

    - che pensi di fare?

    - Di partire al più presto: devo parlare con ogni re italico

    - intendi allestire un grande esercito?

    - No, gli uomini hanno da lavorare

    - e come intendi affrontare i Veneti?

    - Con la cavalleria, solo i migliori guerrieri

    - ma il messaggero riferiva di ventimila uomini, e di certo saranno di più

    - io non credo: con un esercito simile avrebbero potuto attaccare la Cispadana, se invece si sono diretti a Titano significa che non hanno tanta forza

    - come puoi esserne sicuro?

    - Ho riflettuto sul motivo che li ha indotti a muoversi

    - e quale sarebbe?

    - La fame: ci sarà stata una carestia

    - ma quale carestia! La scorsa è stata un'annata abbondante e, ringraziando gli Dei, questa lo sarà ancora di più: è piovuto tanto che le spighe sono così grosse che per il peso piegano gli steli!

    - Appunto, dovresti ricordare che la terra dei Veneti è solcata da grandi fiumi, e l'abbondanza di pioggia avrà scatenato un'alluvione

    - già....con l'alluvione niente raccolto

    - e niente fienili, stalle, granai, solo mota, desolazione e fame

    - quindi?

    - Quindi niente esercito, piuttosto recheremo doni

    - doni?

    - Sì, doni: se è per fame che si sono mossi, li sazieremo e doneremo loro quanto necessario per superare l'inverno

    - e se non fossero lì per fame?

    - Non avrebbero certo attaccato Titano: che se ne fanno di un erto scoglio?

    - Ma ci sono i templi ricolmi delle nostre offerte!

    - A quelli ci devono ancora arrivare, e comunque i tesori non si mangiano

    - insomma, ritieni che sia soltanto una provocazione

    - non esattamente: io credo che il loro sia un esodo, e che un luogo dove insediarsi lo cerchino davvero, ma perché proprio Titano?

    - Già, perché?

    - Perché sanno che è sacra agli Italici, vogliono vedere se siamo capaci di reagire uniti, e francamente temo che in questo possa esserci lo zampino di Roma

    - Roma?!?

    - Minacciano il nostro luogo più sacro per saggiare la nostra reazione, e a chi più di tutti può interessare la nostra capacità di reagire?

    - La maledetta Roma. Ma tenere fermo l'esercito non mi pare un bel modo di reagire

    - basterà la cavalleria: ci dimostreremo, uniti, veloci e se del caso letali, ma prima di tutto generosi. Se Roma vuole servirsi a propri fini della sventura capitata ai Veneti, e magari li ha aizzati a tale mossa ardita, non è affatto scontato che i Veneti abbiano voglia di farsi trucidare: donato loro quanto necessario per sopravvivere, io penso che torneranno felici nelle loro terre

    - e che penserà Roma degli Italici? Che hanno preferito pagare un riscatto invece di combattere? Non è questa una chiara dimostrazione di debolezza?

    - No, la generosità non è mai segno di debolezza: nessuno ci costringe a pagare alcunché; siamo dei popoli forti e ricchi, che possono permettersi di aiutare un vicino che ha subito una devastazione

    - fratello mio, io non sono avvezzo alle questioni di politica estera, ma credo che faremmo meglio a dimostrarci spietati con chi ha osato minacciare il nostro luogo più sacro: questo è l'unico linguaggio che Roma comprende!

    - E teme: noi siamo soci di Roma, non dimenticarlo, e a Roma non piace avere dei soci pericolosi

    - certo! Li preferisce mansueti e irrisoluti, disposti a sopportare passivamente i suoi continui soprusi!

    - Sai bene che l'espansione di Roma è inesorabile

    - sia dannata quell'accozzaglia di reietti!

    - Mille anni addietro era così, oggi Roma è la città più potente del mondo, e dobbiamo essere molto cauti coi Romani: pur con tutti i soprusi che ci costringono a sopportare, siamo ancora liberi 

    - però dobbiamo sopportare le loro colonie e i loro continui passaggi

    - ed in futuro dovremo sopportare ben di peggio: ma ciò che davvero conta è rimanere liberi

    - e indipendenti!

    Non gli rispose, ma lo guardò negli occhi: quello sguardo era più eloquente di mille parole.

    - E va bene! L'importante è la libertà

    - meddìss, l'impresa che ci attende sarà sempre suscettibile di diverse letture: se i Veneti accetteranno i doni che recheremo loro, in Roma vi sarà chi dice che siamo dei vili che non meritiamo rispetto, ma vi sarà pure chi dice che siamo generosi e responsabili, e quindi soci affidabili; se i Veneti non accetteranno i doni, e saremo quindi costretti a massacrarli, in Roma vi sarà chi dice che rappresentiamo un pericolo da debellare, come pure vi sarà chi dice che la devozione alle divinità imponeva l'intervento. In ogni caso si tratta di equilibri, di equilibri delicati, e francamente preferisco apparire un socio affidabile, piuttosto che pericoloso

    - so bene che a Roma sono in tanti a desiderare di depredarci di tutti i nostri beni 

    - ma c'è pure chi ci rispetta, e sa che questo a Roma verrebbe a costare caro: il nostro dovere è di non rompere l'equilibrio

    - sai qual è il mio sogno? Che vai a liberare Titano e torni vittorioso dai meddices italici per porti a capo del formidabile esercito che frattanto ti hanno approntato; ti metti a capo di codesto esercito e muovi su Roma: questo è il mio sogno!

    - Lasciamo perdere i sogni, abbiamo ben altro cui pensare: l'esercito non lo devi mobilitare, ma designa una riserva di mille uomini

    - i migliori

    - certo, potremo trovare ad attenderci molti più Veneti, ed in tal caso i doni saranno trattenuti come vettovagliamento per l'esercito che ci raggiungerà

    - vi raggiungerà quando?

    - Dopo che avremo appurato come stanno le cose

    - quindi la mia sola preoccupazione immediata è di preparare i doni

    - certo, e così sarà fatto da ogni nazione

    - a proposito, il messaggero si è spinto fino ai Sanniti

    - Pentri, Caudini e Hirpini non parteciperanno, i Carracini invece potrebbero, ed è giusto che io parli anche con loro

    - dimentichi la contesa

    - la dobbiamo risolvere

    - e come?

    - Dobbiamo trovare un accordo

    - ma pretendono il Sangro!

    - Non possiamo permetterci di andare a combattere una guerra lontana avendo dei nemici alle porte: la questione va risolta!

    Il re aveva imparato ad essere pragmatico:

    - e cosa dovremmo offrire?

    - Hanno ragione a pretendere uno sbocco al mare

    - cosa?!?

    - Debbono poter commerciare

    - ma ci sono i mercati di Anxano, Ate Tixa e Sclavi

    - che loro disertano, mentre quello di Larino prospera, a vantaggio dei Romani

    - vorresti cedere il Sangro!

    - Non sto dicendo questo....ad Interamnia abbiamo tre moli, e quello meridionale non lo utilizziamo: cederemo loro l'utilizzo gratuito di quel molo

    - che però è esposto al grecale

    - è stato edificato proprio per proteggere gli altri due da codesto vento

    - e quando spirerà il grecale come faranno?

    - Tireranno le barche in secco e chi vorrà attraccare ai moli protetti dovrà pagare dazio

    - quindi alla fine ne trarremo guadagno

    - se io fossi il proprietario di una grossa barca preferirei pagare dazio piuttosto che tirarla in secco

    - già

    - e comunque dovremo concedere loro un tratto di riva per allestire un campo ove ricoverare le barche e stipare le mercanzie

    - quanto grande?

    - Stiamo parlando di un mezzo acquitrino: più ne bonificano, meglio è per tutti

    - sì, ma quanto grande?

    - Due some

    - un campo marino di due some....mmhh, e il principe di Interamnia che dirà?

    - Nulla, preoccupati piuttosto del principe di Cliternia, perché è lì che trasferiremo i Carracini

    - Cliternia?!?

    - Come ben sai, non solo gli infernates carracini hanno problemi

    - noi frentani non ci siamo mai distinti in supernates ed infernates

    - però al di là del Trino abbiamo un sacco di problemi: in Larino la touto frentana è ormai terza per popolazione, dopo quella pentra e i Romani; in Geronio è ugualmente terza dopo lo touto apula e quella pentra; mentre a Cliternia è ancora la prima, ma sta per essere superata da quella pentra

    - appunto! E vuoi mandarci altri sanniti!

    - A condizione che entrino a far parte della touto frentana

    - quante famiglie?

    - All'interno del pomerio c'è spazio sufficiente per un centinaio

    - cento famiglie! E che dirà il principe di Cliternia!

    - Problemi tuoi: sei tu che presiedi il consiglio dei principi

    - dovevo disporne la convocazione immediata, ma prima ho voluto parlare col rettore

    - e hai fatto bene

    - quindi dirò al consiglio che ti ho mandato a trattare coi Carracini alle condizioni dette, e che dispongano per la cavalleria

    - venti cavalieri per principe. Naturalmente raccomanda loro che dispongano per i doni

    - di che entità?

    - Sino a rischiare la carestia

    - cosa?!?

    - Secondo te per una madre è meglio piangere un figlio morto in guerra, o patire un po' la fame?

    Il re si rivolse alla moglie, che fino ad allora non aveva aperto bocca:

    - la mia danassa che dice?

    - Sono una madre, quindi comprendo che ha ragione il rettore, e credo pure che gli Dei vogliano così, visto il raccolto abbondante che ci attende

    - i doni saranno recati con carri trainati da cavalli che non torneranno

    - e come farete a riportare giù....vuoi donare anche i carri!

    - Sì, i doni devono arrivare in Veneto

    - mi sembra troppo

    - non lo è se può evitare una guerra. Ma a proposito di doni, ne ho anch'io uno per voi.

    Uscì dalla sala e rientrò subito dopo accompagnato dal nipote, vestito con una tunica candida e col capo cerchiato da un serto d'alloro.

    Il principe avrebbe voluto buttarsi fra le braccia dei genitori, ma doveva attendere che il rettore pronunciasse la formula di rito:

    - Silvestro, mi hai consegnato un fanciullo, io ti rendo un principe italico!

    Il re gli strinse le spalle sorridente, scuotendolo, come a volerne verificare la possanza.

    - Meddìss, ecco il tuo principe, ho fatto il meglio che potevo per meritare di esserlo

    - lo so. Adesso abbraccia tua madre.

    La regina gli si buttò al collo:

    - Adone, figlio mio, quanto mi sei mancato

    - madre, che piacere riabbracciarti!

    Ma il rettore non aveva terminato:

    - ahimè te lo rendo per poco, fratello mio.

    Il re lo fissò negli occhi, già sapendo a cosa alludesse:

    - hai deciso che sarà lui il tuo vicario, vero?

    - Sì, Adone è indubbiamente il migliore

    - se è il migliore di tutti, perché vuoi privarti di un sì valido guerriero?

    - Perché l'accademia viene prima di tutto.

    La regina era comunque consolata dal fatto che il figlio non sarebbe andato in guerra, mentre il re restava assillato dal timore di non avere nipoti:

    - e se ti dovesse capitare di non tornare dalla guerra, diventerà rettore?

    Akille comprendeva perfettamente cosa preoccupava il fratello:

    - sì, ma per poco tempo: fra due anni terminerà l'accademia Lucio Herio, un principe marrucino altrettanto valido, il quale mi ha più volte confidato che aspira a succedermi....

    - un principe marrucino rettore dell'accademia frentana?!?

    - L'accademia italica, non frentana! Ho già impartito disposizioni al senato accademico che, se non dovessi tornare dalla guerra, egli sarà nominato rettore non appena diviene preferito

    - quindi potrò avere dei nipoti

    - sì, e se non dovessi fare ritorno, ti prego di dare il mio nome al primo nipote 

    - lo farò, cioè, lo farà Adone quando sarà.

    I fratelli si abbracciarono e fu consolante per il re la sensazione di abbracciare un tronco di quercia: il rettore era il più forte di tutti, il più abile di tutti, e sarebbe sicuramente tornato dalla guerra.

    capitolo secondo

    - A tuoni e fulmini segue la pioggia!

    - Prode Zanteno, ti porgo i miei saluti

    - salute a te, ma dovrei essere offeso: sono diversi giorni che ti aspetto

    - mi sono recato da tutti i meddices italici

    - e hai lasciato tuo cognato per ultimo?

    - No, mi restano ancora i Carracini 

    - dunque chiamerai all'impresa anche i Sanniti?

    - Solo i Carracini

    - chi partecipa?

    - Tutti, con la sola eccezione dei Pretuzi, per via della successione a Roscito

    - diciamo che sono in lutto

    - molto diplomaticamente si può dire così. Mia sorella?

    - Ah, ma allora ti ricordi di avere una sorella!

    - Dov'è il mio sangue?

    - Sta bene, non preoccuparti, anzi preoccupati, che come arriva la senti!

    Infatti, di lì a poco:

    - bel fratello che ho! Sono sei anni che non ti fai vedere!

    - Vieni qui, sangue del mio sangue, abbraccia tuo fratello

    - dovrei schiaffeggiarti, non abbracciarti

    - sorella mia, ti chiedo perdono, sono sempre impegnato e non ho avuto la possibilità di recarti visita. Però potevi venire tu a Pallano!

    - Io? Ma se sono venuta ogni anno! Sei tu che non ci sei mai!

    - Lo sai.....gli impegni....sono il rettore

    - nemmeno al matrimonio di Lidia sei venuto!

    - Non puoi immaginare quanto mi è rincresciuto: ma ero in Daunia, a trattare questioni vitali

    - vitali e onerose: so tutto

    - è giusto che li si indennizzi per i terreni sottratti alla coltivazione

    - da tempi immemorabili quei terreni sono pascoli

    - i tempi in cui l'Italia era tutta un verde pascolo sono scomparsi da millenni. Piuttosto, mio nipote?

    - Nemmeno l'hai riconosciuto....Verino, vieni a salutare il rettore

    Il ragazzo gli si strinse alla vita, lusingato di poter abbracciare il famoso zio.

    - Ti chiedo ancora perdono, Tullia, ho fatto davvero trascorrere troppo tempo: l'ultima volta che lo vidi era un infante, adesso mi sembra pronto per l'accademia

    - di questo ne devi parlare con Zanteno

    - sì, lasciami tornare da lui, ché ho questioni urgenti

    - so già tutto: i Peligni sono pronti a seguirti, ed io sono pronta a rimanere senza marito e, a quanto pare, anche senza il mio unico figlio maschio

    - non preoccuparti, avrò cura di entrambi

    - però mi devi promettere che almeno una volta l'anno verrai a trovarmi

    - sì, verrò ogni estate, alla chiusura dell'accademia accompagnerò io stesso tuo figlio

    - bene, così potrai rinfrescarti all'aria della sacra montagna. Vai adesso.

     Accarezzò i boccoli del nipote e raggiunse il cognato.

    - Grande meddìss, tuo figlio ha la chioma del dio Apollo

    - scommetto che te lo devo consegnare

    - è ora

    - vieni qui per condurmi in guerra e mi privi pure di mio figlio

    - tu mi consegni un fanciullo, io ti renderò un principe italico

    - e sia, ma che non ti venga in mente di farne il tuo successore!

    - Avete tutti questo assillo!

    - Tutti chi?

    - Anche mio fratello: ho nominato Adone mio vicario, e lui adesso teme per i suoi nipoti

    - e fa bene!

    - Verino è un bellissimo fanciullo e Adone è un bellissimo principe: entrambi daranno ai loro padri numerosi e bellissimi nipoti

    - così si parla! Veniamo a noi: so già che parteciperanno solo i cavalieri

    - sì, e partiremo presto

    - siamo pronti a seguirti e lo sarebbe anche l'esercito

    - designa una riserva di mille uomini, solo i migliori guerrieri: e che siano pronti a raggiungerci, se chiamati. Intanto andranno i cavalieri, venti per ogni principe

    - solo?

    - Saremo duemila cavalieri, basteranno

    - se lo dici tu

    - hai saputo dei doni?

    - Certo, ed ho già disposto: vuoi che te li elenchi?

    - No, ma devi aggiungere un gregge di cento pecore

    - pure!

    - Sì, fai muovere immediatamente i tuoi pastori: ho parlato con re Nimeres, saranno attesi nel nord della Gallica 

    - i Frentani ne mandano?

    - Certo, sono già in cammino

    - cento pecore?

    - Sì, con le vostre costituiranno un grande dono, e qualora non dovessero accettarlo, costituiranno una grande riserva di cibo per il nostro esercito

    - e se l'esercito non servirà?

    - In tal caso, quel cibo andrà agli assediati 

    - portare indietro le greggi non è contemplato, vero?

    - Cosa c'è, cognato, al grande popolo peligno fanno petto cento pecore?

    - Vorrà dire che questa volta l'offerta ai templi la faremo in natura. Gli armamenti?

    - Ciò che a ciascuno aggrada. Ma voglio che ciascun cavaliere sia dotato di lancia....

    - vuoi dei cavalieri o degli astati? 

    - Non la picca, la safina, e almeno la metà dei cavalieri dovrà avere l'arco lungo

    - ho capito: la ruota. Quando dobbiamo partire?

    - Molto presto, Ricordati di far legare i cavalli ai carri dei doni

    - cavalli?

    - Saranno carichi leggeri

    - non direi

    - invece sì, manda i tuoi carri ad Hortona, presto una nave sarà lì per alleggerirli: la marcia dovrà essere veloce

    - come desideri, magnifico rettore

    - adesso devo andare: consegnami mio nipote.

    capitolo terzo

    Fatto ritorno a Pallano, e lasciato Verino agli affettuosi abbracci degli zii, prima che alle lezioni del cugino in accademia, il rettore ripartì subito.

    - Principe Hirpo, mi fai l'onore di venirmi ad accogliere

    - sei il magnifico rettore, non potevo mandare altri. Comunque non sono più principe: mio padre ha recentemente abdicato in mio favore

    - dunque sto parlando al meddìss supremo dei Carracini

    - che ti ospiterà nella sua reggia di Clusio

    - mi dispiace deluderti, ma non posso accettare la tua ospitalità: troppe cose mi attendono

    - siete in fermento per i Veneti?

    - Già, e sono venuto a chiederti di partecipare all'impresa

    - allora sono io a doverti deludere

    - perché?

    - Perché siamo in dissidio coi Frentani, e lo sai perfettamente

    - se non partecipate voi, non parteciperanno nemmeno i Frentani, e se non partecipano i Frentani è probabile che si tirino indietro anche i Peligni, e così i Marrucini, i Piceni e tutti gli altri: insomma rischiamo che Titano cada nelle mani dei Veneti

    - lo so, Titano è sacra anche a noi, ma nessun Carricino vuole combattere affianco ad un Frentano, sapendo che tra qualche tempo potrebbe ritrovarsi a combatterci contro

    - il dissidio va appianato

    - il mio popolo ha ragione nella contesa: viviamo a poche miglia dal mare, ma non possiamo averne accesso! Praticamente siamo reclusi, e questo non è giusto

    - comprendo le vostre pretese, ma voi dovete comprendere che per i Frentani è impossibile cedere il Sangro

    - sai bene che non vogliamo un accesso al mare per recarci a prendere i bagni: ci serve un approdo, e il posto migliore ove realizzarlo è appunto una foce, e quella del Sagro è la più prossima ai nostri territori

    - il Sangro è incedibile

    - però il sacro monte di Pallano in passato lo è stato eccome!

    - Sai bene che i Frentani non hanno usurpato nulla: geograficamente Pallano appartiene al nostro territorio

    - ma era il nostro avamposto, ed il nostro luogo più sacro

    - vuoi che non sappia quali sono i luoghi veramente sacri ai Sanniti? O vuoi che non sappia che Aufidena è ora dei Pentri!

    - Mi rinfacci le disgrazie del mio popolo? Che popoli fratelli abbiano occupato nostri territori, mentre noi combattevamo per la libertà di tutte le toutos safine?  

    - No, ma la touto Pinia è stata sterminata, e non certo dai Frentani: noi abbiamo solo avuto cura di un luogo sacro, peraltro provvedendo alle vedove e ai numerosi orfani

    - spostandoci la vostra capitale

    - Larino è stata occupata dai Romani: ognuno ha le sue ferite da leccarsi!

    - Ma noi, noi, i Carricini, il popolo che per primo ha fatto di queste terre benedette la propria dimora, noi che edificammo strabilianti fortezze che ancora tutti gli altri popoli utilizzano, noi che difendemmo queste terre contro chiunque, Roma compresa, noi che nella strenua difesa del sacro suolo italico, colorammo col nostro sangue il Sagro, e non perché a valle fosse nomato Sangro, come voi pur fate senza nemmeno accorgervi dell'insolente offesa che ci arrecate, noi dobbiamo dunque scomparire? Serbate in animo di soffocarci? Di affamarci? 

    - Questo non me lo puoi dire, perché sai che non è vero! I Frentani hanno lautamente indennizzato il tuo popolo per il sacro monte, e ciò proprio nel momento di massimo bisogno: non so se i vostri fratelli pentri abbiano fatto altrettanto per Aufidena, o per Aquilonia, per non dire di Bovaiano Vetus e Tervento 

    - loro almeno ci fanno scudo da Roma

    - sei sicuro? Non sei più un mio discepolo, ma ti auguro di seguire il mio consiglio: marca bene i confini del territorio dei Carracini, e staccati dai tuoi fratelli, non condividere oltre il loro destino

    - vuoi forse indurmi a tradire il mio stesso sangue?

    - Anche i Sabelli hanno il vostro stesso sangue: se non siamo fratelli, certamente siamo cugini

    - e io dovrei tradire i miei fratelli per abbracciare dei cugini che mi vogliono strangolare?

    - Ciò non è affatto vero

    - e allora dateci modo di respirare, e per farlo abbiamo bisogno di uno sbocco al mare: che sia il Sagro, l'Asuno, il Trino, il Tiferno, o anche il Frento, ma dateci una foce!

    - Non ho mandato per cedere una foce

    - e allora il dissidio non è appianabile!

    - Invece credo che una soluzione ci sia

    - quale sarebbe?

    - Sarebbe che condividiamo che voi abbiate la possibilità di commerciare per mare

    - e quindi?

    - Ho consigliato al re di concedervi l'utilizzo esclusivo e gratuito di un molo del porto di Interamnia

    - quale?

    - Quello più a meridione

    - lo sapevo: è esposto al grecale, e non è utilizzabile

    - non è vero: quanti giorni all'anno spira il grecale? Cinque? Dieci?

    - Fosse anche uno solo, affonderebbe le barche

    - ed una piena del fiume non farebbe lo stesso?

    - Potremmo allargare l'estuario, o scavare degli scolmatoi

    - che ad ogni piena si riempirebbero di mota

    - li manuteneremo

    - quanto lavoro richiederebbe dunque il vostro porto fluviale? Quanto iniziale e quanto continuativo? Invece il molo è già pronto, da domani potreste attraccare, senza alcun lavoro

    - resta il problema del grecale, e mi pare irrisolvibile

    - non lo è, perché vi sarebbe concesso l'utilizzo, sempre esclusivo e gratuito, di un tratto di riva, ove ricoverare le barche nei giorni in cui spira, e allestirvi un campo per le mercanzie

    - la cosa inizia a farsi interessante, però tirare le barche in secco quando sono cariche, o comunque quando sono grandi, non è così semplice

    - potreste sempre attraccare agli alti moli

    - gratuitamente?

    - Che domande poni, meddìss! Anche i Frentani pagano dazio per l'attracco, perché mai i Carracini dovrebbero ottenerlo gratis!

    - Però a nessuna nostra nave dovrà essere rifiutato l'attracco

    - converrai che dobbiamo fissare un limite: il porto è quello che è

    - dieci?

    - No, cinque

    - cinque sono poche

    - non avete nemmeno una zattera e pensate di costruire una flotta? Cinque garantite e le altre se ci sarà posto: se non ci sarà posto ve le tirate in secco

    - e questo campo marino, quanto grande?

    - Una soma

    - in una soma o ci metti le barche, o ci metti le merci

    - e allora due some

    - in due some barche e merci ci entrano, ma i marinai e i commercianti dove li stanziamo? Devono forse fare ogni giorno la spola?

    - Marinai e commercianti risiederanno a Cliternia

    - cosa?!?

    - Cento famiglie, seleziona cento famiglie e fa di loro marinai e commercianti: essi saranno accolti a Cliternia, in un nuovo quartiere tutto loro

    - al di fuori delle mura

    - no, all'interno del pomerio v'è spazio sufficiente, ma ad una condizione: formalmente quei carracini faranno parte della touto frentana

    - ciò è inaudito: noi siamo sanniti, al limite potremmo unirci alla touto pentra

    - come ben sai, nelle transazioni ogni parte deve trarre un vantaggio: i Frentani non vogliono che Cliternia divenga una città sannita, quindi o ce le mandate voi cento famiglie, alle condizioni dette, oppure ce le mandiamo noi

    - d'accordo, ce le mandiamo noi, ma anch'io ho una condizione 

    - sentiamo

    - potremo scegliere noi il tratto di riva, e le due some saranno profonde sino a raggiungere il sacro tratturo e larghe di conseguenza, sino a raggiungere l'estensione convenuta.

    Il rettore sapeva bene che il tratturo in prossimità del Frento piegava all'interno per raggiungere un guado, distanziandosi alquanto dalla costa: ciò garantiva che il campo marino non fosse ubicato nei pressi del fiume sacro ai Frentani, e si affrettò quindi ad accettare:

    - mi pare giusto, così non sorgeranno mai questioni per l'accessibilità: potrete raggiungere il vostro campo marino passando per il sacro tratturo

    - esatto, evitare questioni è proprio quello che desideriamo

    - devi convocare il consiglio, o possiamo suggellare l'accordo?

    - Non prima di avermi detto cosa chiedono in cambio i Frentani 

    - nulla, solo la pace, e che i Carracini tornino ai mercati

    - cosa c'è, magnifico rettore, vi mancano i nostri prelibati fichi?

    - E a voi non mancano i nostri prelibati vini?

    - Mi hai insegnato a bere con moderazione, ma devo confessare che il vino frentano mi manca

    - ti ho insegnato pure che più c'è pace, più c'è commercio e ricchezza, più c'è guerra, più c'è distruzione e miseria

    - per questo tu sei il magnifico rettore

    - appianato il dissidio, parteciperete all'impresa?

    - Nella medesima misura dei Frentani

    - bene, ho stabilito che non occorre mobilitare l'esercito

    - cosa?!?

    - Parteciperanno solo i cavalieri, venti per principe

    - per arrivare a quanti?

    - Duemila cavalieri

    - il messaggero riferiva di ventimila uomini: saremo uno a dieci

    - prima di essere meddìss, eri un principe italico e sai bene che un principe italico vale per venti uomini

    - i tuoi discepoli sì, ma ben pochi cavalieri lo sono

    - un cavaliere italico vale comunque dieci barbari

    - sì, ma appiedati

    - i Veneti non hanno cavalleria, e se la possiedono è esigua

    - come puoi dirlo? 

    - Io credo che siano spinti dalla fame, per una carestia scatenata da un'alluvione: i pochi cavalli superstiti se li saranno divorati da un pezzo, e ne avranno soltanto qualcuno razziato di recente nei dintorni di Titano

    - mmhh, mi sa d'impresa ardita

    - ti conosco, e so che non ti difetta l'ardimento, anzi.... 

    - ma mi hai insegnato a rifuggire l'azzardo

    - l'azzardo sarebbe inviare l'esercito: tra reclutamento e marcia potremmo arrivare ad assedio concluso

    - invece la cavalleria può arrivare in tre giorni, forzando la marcia

    - non in tre giorni, perché ci saranno i carri

    - i carri? 

    - Per i doni: se sono lì per fame, li sostenteremo, e doneremo loro il necessario per superare l'inverno

    - e se non sono lì per fame?

    - Tratterremo i doni come vettovagliamento per l'esercito che all'occorrenza ci raggiungerà

    - hai detto che non dobbiamo mobilitare

    - sì, ma non sappiamo cosa ci attende: il nostro arrivo farà cessare l'assedio, ma prima di pervenire allo scontro dobbiamo sapere cosa abbiamo di fronte

    - e se non dovesse bastare la cavalleria, chiamiamo l'esercito

    - esatto: prima di partire ogni re designerà una riserva di mille uomini, solo i migliori guerrieri, pronti a mettersi in marcia se chiamati

    - in dieci giorni arriverebbero.....

    - anche di meno, potendo fare a meno dei vettovagliamenti: basterà un leggero zaino ed essere buoni marciatori

    - i Carricini sono abituati alle salite sui monti: nel piano possono marciare di corsa!

    - Meglio così

    - i carri vanno dunque legati ai cavalli?

    - Certo

    - fino a Titano scoppieranno

    - saranno carichi leggeri

    - gli armamenti mica tanto!

    - Una nave sarà ad attenderci a Interamnia: quello che potrà essere trasportato per mare lo sarà, sì da alleggerire i carichi

    - un'ultima cosa: quante nazioni partecipano?

    - sette, con i Carracini

    - quindi non tutti i popoli italici

    - già: Marsi ed Equi non ho voluto coinvolgerli, e immagini bene la ragione, mentre i Pretuzi si astengono

    - so far di conto: senza Pretuzi siamo sei

    - partecipano i Galli Senoni

    - addirittura!

    - Titano è sacra anche a loro

    - quindi avremo in riserva un esercito di settemila uomini

    - diecimila con gli armati di Titano, e c'è sempre la cavalleria

    - hai ragione, così non è affatto un azzardo

    - e considera pure che non mi attendo di trovare ventimila armati

    - se il loro è un esodo avranno dietro vecchi, donne e bambini, giusto?

    - Sì,

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