Manuale dello yoga - L'uomo autore del proprio destino
By Rama Shadana
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La mèta è di manifestare questa divinità interiore, mediante il controllo e il dominio interiore ed esteriore della natura. Fate questo, sia con il lavoro, sia con il culto, sia con il controllo psichico, sia con la filosofia, con uno, con più o con tutti questi mezzi, e sarete liberi.
Questo è tutto il contenuto della religione.
Dottrine o dogmi, rituali o templi, libri o formalità sono soltanto particolari secondari.
INDICE
PARTE PRIMA
IL TESTO DELLO YOGA DI PATANGJALI
Cap. I – La concentrazione
Cap. II - Concentrazione e sua pratica
Cap. III – Il capitolo dei poteri
Cap. IV - Indipendenza
PARTE SECONDA
L'AUTORE DEL PROPRIO DESTINO
Cap. I - Yoga ed educazione del carattere
Cap. II - L'autore del proprio destino
Cap. III - Il discepolo dello Yoga
Cap. IV - La meditazione e lo Yoga
Cap. V - I diversi cammini
Cap. VI - La regola di condotta
Cap. VII - Disciplina di vita
Cap. VIII - Qualche nota sulla vita d'ogni giorno
Cap. IX - La pratica yoga nella Chiesa cattolica romana: «Gli esercizi spirituali» di Sant'Ignazio di Loyola
Appendice: Glossario di termini Yoga
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Manuale dello yoga - L'uomo autore del proprio destino - Rama Shadana
RAMA SHADANA
MANUALE DELLO YOGA
L'UOMO AUTORE DEL PROPRIO DESTINO
CON IL TESTO DELLO YOGA DI PATANGJALI
Prima edizione digitale 2015 a cura di Anna Ruggieri
INDICE
PARTE PRIMA
IL TESTO DELLO YOGA DI PATANGJALI
Cap. I – La concentrazione
Cap. II - Concentrazione e sua pratica
Cap. III – Il capitolo dei poteri
Cap. IV - Indipendenza
PARTE SECONDA
L'AUTORE DEL PROPRIO DESTINO
Cap. I - Yoga ed educazione del carattere
Cap. II - L'autore del proprio destino
Cap. III - Il discepolo dello Yoga
Cap. IV - La meditazione e lo Yoga
Cap. V - I diversi cammini
Cap. VI - La regola di condotta
Cap. VII - Disciplina di vita
Cap. VIII - Qualche nota sulla vita d'ogni giorno
Cap. IX - La pratica yoga nella Chiesa cattolica romana: « Gli esercizi spirituali» di Sant'Ignazio di Loyola
Appendice: Glossario di termini Yoga
PARTE PRIMA
IL TESTO DELLO YOGA DI PATANGJALI
Cap. I – La concentrazione
Ciascun'anima è divina in potenza.
La mèta è di manifestare questa divinità interiore, mediante il controllo e il dominio interiore ed esteriore della natura. Fate questo, sia con il lavoro, sia con il culto, sia con il controllo psichico, sia con la filosofia, con uno, con più o con tutti questi mezzi, e sarete liberi.
Questo è tutto il contenuto della religione.
Dottrine o dogmi, rituali o templi, libri o formalità sono soltanto particolari secondari.
I — Viene adesso spiegata la concentrazione.
II — Lo Yoga restringe la mentalità (Chitta) coll'assumere varie forme (Vritti).
III — A questo punto (il punto di concentrazione) il Veggente (la Purusa) rimane al suo proprio inalterato stato.
IV — Ad un altro punto (oltre a quello di concentrazione) il Veggente viene identificato colle modificazioni.
V — Vi sono cinque classi di modificazioni. (penose e non).
VI — Esse sono: 1) - Giusta conoscenza; 2) - Indiscriminazione (con discernimento); 3) - Delusione verbale; 4) - Sonno; 5) - Memoria.
VII — Percezione diretta, deduzione ed evidenza competente, ne sono le prove.
VIII — L'inidiscriminazione (o non discernimento) uguale a confusione, è una falsa conoscenza non stabilita nella natura reale.
IX -- Una delusione verbale consegue da parole che non hanno una corrispondente realtà.
X — Il sonno è un Vritti che comprende il senso di vacuità.
XI — La memoria è quando (Vritti) gli oggetti percepiti non sfuggono via e, per mezzo delle impressioni, ritornano alla coscienza.
XII — Il loro controllo viene dalla pratica e dal non attaccamento.
XIII — La continua lotta per tenerle (Vritti) perfettamente frenate è la pratica.
XIV — Il suo fondo diviene fermo alla lunga, con sforzi costanti, con grande amore per il fine da raggiungere.
XV — Quell'effetto che viene a coloro che hanno bandita la loro sete per gli oggetti, tanto della vista che dell'udito, e che vogliono controllare gli oggetti, è un attaccamento.
XVI — Questo estremo non attaccamento, rinunciando anche alla qualità, dimostra la reale natura dell'anima.
XVII — La concentrazione, chiamata giusta conoscenza, è quella che è seguita dal ragionamento, dal discernimento, dalla beatitudine, dall'indeterminato ego.
XVIII — Vi è un'altra Samadhi (concentrazione ed estasi) che si ottiene con la pratica costante della sospensione di ogni attività mentale, in cui la Chitta (mentalità) ritiene soltanto le impressioni non manifeste.
XIX — Questa Samadhi, quando non sia seguita dall'estremo disinteresse diventa la causa della rimanifestazione degli dei e di quelli che divengono immersi nella natura.
XX — Ad altri questa Samadhi viene per mezzo della fede, dell'energia, della memoria, della concentrazione e del discernimento del reale.
XXI — Il successo è rapido per colui che sarà estremamente energico.
XXII — Esso è tuttavia diverso, secondo che i mezzi sono infimi o medi o supremi.
XXIII — O per devozione ad Isvara, Supremo Regolatore.
XXIV — Il Supremo Regolatore (Isvara) è un'Anima (Purusa) speciale, inattaccabile dalla misera, dal frutto delle azioni o dai desideri.
XXV — In Lui diventa infinita quell'onni-intelligenza che in altri si trova solo come germe.
XXVI — EGLI è il Maestro degli antichi Maestri, non essendo limitato dal tempo.
XXVII — La sua parola manifesta è OM.
XXVIII — La ripetizione di questa parola OM e la meditazione sopra il suo significato è il mezzo.
XXIX — Per questo mezzo si viene ad acquistare la conoscenza dell'introspezione e la distruzione degli ostacoli.
XXX — L'indisposizione, la pigrizia mentale, il dubbio, l'inerzia, l'interruzione, la falsa percezione, non giungere alla concentrazione ed il perderla quando si è ottenuta, sono le distrazioni ostacolanti.
XXXI — L'affanno, la preoccupazione, il tremore del corpo, l'irregolare respiro, accompagnano lo sfuggire alla concentrazione.
XXXII — Per rimediare a questo bisognerebbe esercitarsi sopra un solo soggetto.
XXXIII — La pietà, la contentezza, l'indifferenza venendo pensate per riguardo al soggetto, felice, infelice, buono o cattivo rispettivamente, pacificano la Chitta o mentalità.
XXXIV — Coll'esalare e trattenere il respiro.
XXXV — Quelle forme di concentrazione che portano un senso straordinario di percezioni producono la perseveranza della mente.
XXXVI — Oppure con la meditazione su «LA RIFULGENTE» la quale è superiore a qualsiasi angustia.
XXXXVII — Oppure con la meditazione sul cuore che abbia rinunciato ad ogni attaccamento agli oggetti dei sensi.
XXXVIII — Oppure meditando sulla conoscenza che viene nel sonno.
XXXIX — Oppure meditando sopra qualsiasi altra cosa che ad uno possa sembrare un bene.
XXXX — La mente del Yogin, così meditando, diventa capace dall'atomo all'infinito.
XXXXI — Il Yogin le cui Vritti od' onde mentali so no in tal modo diventate senza forza (o dominate) ottiene ricezione nel ricevitore, e ottiene (ricettato il sé, la mente e gli oggetti esterni) il concentramento generale è l'identità, al pari d'un cristallo davanti ai differenti oggetti colorati.
XXXXII — Il suono, il significato e la risultante conoscenza venendo confusi assieme, è chiamata Samadhi (concentrazione) con ragionamento.
XXXXIII — La Samadhi (concentrazione), chiamata senza ragionamento, viene quando la memoria è purificata, o spoglia di qualità, ed esprime solo il significato dell'oggetto meditato.
XXXXIIII — Mediante questi processi (le concentrazioni) con discernimento e senza discernimento, gli oggetti più fini dei medesimi vengono pure spregiati.
XXXXV — I più fini oggetti finiscono con la Pradana (Natura).
XXXXVI — Queste concentrazioni sono con seme.
XXXXVII — La concentrazione senza ragionamento essendo purificata, la Chitta si rende fermamente fissa.
XXXXVIII — La conoscenza che si ha in quello stato è chiamata « ripiena di verità ».
IL — La conoscenza che si acquista dalla testimonianza e dalla induzione riguarda oggetti comuni. Quella che invece si acquista per mezzo di Samahi, testé indicata, è di un ordine molto più alto, potendo essa penetrare dove l'induzione e la testimonianza non riuscirebbero a giungere.
L — L'impressione risultante da questa Sarnadhi (concentrazione) impedisce tutte le altre impressioni.
LI -- Col reprimere anche quest'impressione, che impedisce le altre impressioni, tutto essendo stato represso, riesce la Samadhi senza semi.
Cap. II – Concentrazione e sua pratica
I — Mortificazione, studio e l'attribuire i frutti dell'opera a Dio sono chiamati Krya Yoga (cioè Yoga preliminare od esercizi preparatori).
Il — Essi sono favorevoli alla pratica di Sanuidhi ed a diminuire le ostruzioni della dura pena.
III — Gl'impedimenti od ostruzioni che dànno pena sono ignoranza, egoismo, attaccamento, avversione e l'aggrapparsi alla vita.
IV — L'ignoranza è il campo fecondo di tutte queste Samskare od impressioni che seguono, siano esse in sonno, attenuate, strapotenti o dilatate.
V — L'ignoranza afferra ciò che è terreno, che è impuro, penoso e non afferra il Sé per l'eterno, felice, Ataman (Sé).
VI — L'egoismo e l'egotismo sono costituiti dall'identificare il veggente con lo strumento della vista.
VII — L'attaccamento è quello che cagiona il piacere.
VIII — La ripugnanza od avversione è ciò che costituisce il dispiacere.
IX — Fluente per la sua propria natura e radicato per istinto, anche nei dotti, è l'attaccamento alla vita.
X — Quelle da rigettarsi con opposte modificazioni, sono sottili.
XI Le loro modificazioni si devono rigettare con la meditazione.
XII — Queste penose impressioni e le loro esperienze in questa vita visibile ed invisibile sono il ricettacolo della radice degli impedimenti nella meditazione.
XIII — Sussistendovi la radice, la produzione viene in forma di specie, di vita ed esperienza, di piacere e dispiacere.
XIV — Esse portano frutto con piacere o dolore, causati da virtù e da vizio.
XV — Al discernimento tutto è per così dire penoso in confronto di ogni cosa che dia pena, sia nella conseguenza, sia nell'apprensione o nell'attitudine cagionata da impressioni, anche in riguardo all'opposizione di qualità.
XVI — Il male che non è ancora venuto bisogna cercare di evitarlo.
XVII — La causa di ciò che si deve evitare è la congiunzione del veggente col veduto.
XVIII — L'esperimento è composto di elementi e di organi; è della natura dell'illuminazione, dell'azione e dell'inerzia, ed. è fatto a scopo di esperienza e di liberazione dall'esperimentatore.
XIX — Gli stati della qualità sono i definiti, gli indefiniti, gli indicati soltanto e quelli senza indizio.
XX — Il veggente è soltanto intelligenza e, quantunque puro, vede colorato attraverso l'intelletto colorante.
XXI — La natura dell'esperimentato è per lui.
XXII — Quantunque distrutta per lui, che ha raggiunta la sua mèta, tuttavia essa non è distrutta, essendo comune cogli altri.
XXIII — La congiunzione è la causa della realizzazione da parte della natura di entrambi i poteri, l'esperimentato ed. il suo signore.
XXIV — L'ignoranza è la sua causa.
XXV — Quando vi è l'assenza di questa ignoranza, vi è Dure l'assenza della congiunzione: che è quanto devesi evitare; questa è l'indipendenza del veggente.
XXVI — Il mezzo per distruggere l'ignoranza è la continua pratica del discernimento.
XXVII — La sua conoscenza è della settuplice base più alta.
XXVIII — Con la pratica delle diverse parti dello Yoga le impurità vengono distrutte e la conoscenza diventa fulgida, al di sopra del discernimento.
XXIX — l'ama (purità), Niyama (rassegnazione), Asana (atteggiamento o posizone), Pranajama (dominio del Prana), Dharana (concentrazione), Dhyana (meditazione), Samadhi (ipercoscienza) sono altrettanti rami di Yoga.
XXX — Il non ammazzare, la sincerità, il non rubare, la continenza e il non ricevere costituiscono il ramo Yama, o purità.
XXXI — Queste pratiche non interrotte dal tempo, dalla posizione, dal proposito e dalla casta siano gli universali grandi voti.
XXXII — La purificazione, esterna ed interna, il contentarsi, la mortificazione, lo studio, la venerazione di Dio costituiscono il ramo Niyama o rassegnazione.
XXXIII — Per evitare i pensieri contrari allo Yoga, si devono procurare pensieri contrari.
XXXIV — Gli ostacoli dello Yoga sono: l'ammazzare, ecc.; siano queste azioni commesse, causate od approvate, sia per avarizia, ira ed ignoranza, sia menomemente, mediocremente o grandemente, la risultante sarà quella di innumerevoli ignoranze.
XXXV — Il non ammazzare essendo assoldato, alla sua presenza, tutte le inimicizie cessano tra gli altri.
XXXVI — Dalla sua fermezza nella sincerità il yogin trae la forza di cogliere per sé e per gli altri i frutti del lavoro senza far lavori.
XXXVII — Dalla sua fermezza di non rubare viene ogni ricchezza allo yogin.
XXXVIII — Con la fermezza nella continenza si acquisterà energia.
XXXIX — Quando egli ha la fermezza di non ricevere, acquisterà la memoria della vita passata.
XXXX — Quando la purezza interiore ed esteriore è stabilita, sorge il disgusto per il proprio corpo e non si sente più ripugnanza al contatto o ad un qualsiasi commercio con altri corpi.
XXXXI — Allora nasce pure la purificazione del Sativa (illuminazione materiale), la giocondità di mente, la concentrazione, la conquista degli organi e l'attitudine per la realizzazione del Sé.
XXXXII — Dall'accontentarsi deriva una superiore felicità.
XXXXIII — Il risultato della mortificazione arreca poteri agli organi ed al corpo, con il distruggere l'impurità.
XXXXIV — Con la ripetizione del Mantrarn (invocazione o giaculatoria) si ottiene la realizzazione dell'intesa divinità.
XXXXV — Col sacrificare tutto ad Isvara viene Sarnadhi.
XXXXVI — La posizione giusta è quella che è divenuta fissa e piacevole e comoda.
XXXXVII — Con un piccolo sforzo e con la meditazione sopra l'illimitato ed infinito la posizione diviene ferma e comoda.
XXXXVIII — La fermezza e comodità della posizione essendo acquisite, le dualità