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Eva e l'assoluto
Eva e l'assoluto
Eva e l'assoluto
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Eva e l'assoluto

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Eva, dolce e scorbutica, fragile e determinata, piena di casini e contraddizioni fino all'inverosimile. La sua sconclusionata vita ruota intorno ad una serie di certezze assolute : un grande amore impossibile, la sfida di una amicizia viscerale con un uomo, che prova come sia possibile essere amici nonostante il sesso, una sorella sempre più perfetta di lei, un padre totalmente insoddisfatto di sua figlia, un lavoro che sembra scelto per accrescere la sua depressione, una passione sfrenata ma non corrisposta per la letteratura, la grande ambizione o piuttosto il desiderio legittimo di realizzare se stessa e i suoi sogni.

Insomma il mondo regolarmente incasinato di una ragazza di oggi.

Tranne scoprire che niente è come sembra: la vita non è fatta di bianchi o neri, né di situazioni o sentimenti immutabili. Al contrario, tutto è un continuo divenire e lei dovrà confrontarsi con delusioni e sorprese, con prove di forza e prese di coscienza delle proprie debolezze mentre procede nella ricerca della sua strada.

L'unica, assoluta certezza è che non ci sono certezze! Non può sapere cosa le riserva il futuro, può solo andargli incontro con la consapevolezza di aver seguito il suo cuore.
LanguageItaliano
PublisherMichela Belli
Release dateMar 16, 2015
ISBN9786050362442
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    Eva e l'assoluto - Michela Belli

    Virginia

    Capitolo I

    Caffè, caffè, caffè, blatero frettolosa con lo sguardo a metà tra lo spiritato e l’implorazione.

    L’uomo al di là del bancone, nei suoi jeans consumati, è Gabriele. Mi guarda con quel suo tipico sguardo di disapprovazione che, Dio quanto mi fa morire; be’ certo non gliel’ho mai detto, insomma lui è Gaby, mi conosce da sempre, mi conosce da tutta una vita.

    Lui sa tutto di me. Sa come e quante volte io abbia mentito a mia madre circa i nostri campeggi, sa tutto di come Marco Altieri, mi abbia fatto perdere la verginità, sui sedili posteriori della sua vecchia auto e sa, soprattutto sa, quanto io desideri ardentemente rimanere presente nella sua vita senza sentir calare il gelo tra di noi, senza che l’ombra del sesso rovini tutto quanto di stupendo esista tra di noi: la sintonia, la perfetta armonia di cui godono le nostre menti.

    Gaby mi guarda attonito e mugugna un secco non ora Eva , allora mi aggiro furtiva dietro il bancone, annuso la caraffa bollente, metto su una cialda di Nescafe’, attendo con gusto che il caffè bollente sia pronto e mi dirigo con la tazza fumante verso il mio solito tavolo, al centro del locale. Apro il mio portatile e lo accendo; aspettando che si riscaldi sorseggio lentamente il mio caffè. Lo assaporo, com’è giusto che sia; è il primo caffè decente della giornata, di certo quello che offre casa mia non è il massimo,

    COMPRARE CAFFE’

    digito meccanicamente sul mio palmare. Ordino anche un gigantesco muffin, in fondo i grassi assunti al mattino, hanno tutto il tempo di essere bruciati e poi, diciamoci pure la verità, di sicuro non lo trovo a casa mia un bel muffin ai mirtilli così succulento ed invitante, a stento trattengo l’acquolina.

    COMPRARE FARINA, UOVA & MIRTILLI X MUFFIN

    poi, aggiungo pensierosa,

    IMPARARE A CUCINARE MUFFIN

    quindi

    COMPRARE ROBOT DA CUCINA.

    Supersonica sul desktop, mi dirigo alla grossa E di internet explorer, controllo la mia posta, ed eccola lì che lampeggia, furibonda ed infiammata, la mail di Vero.

    Oggetto: Al Diavolo Eva

    Ex migliore amica implora attenzione.

    Compleanno passato senza traccia di auguri né di Daiquiri e Margaritas. Per fortuna incontrato Nadia.

    La tua insignificante casa editrice ce l’avrebbe fatta anche senza di te per una sera.

    Ti voglio bene V.

    Questa volta l’ho fatta grossa, scorro con gli occhi indemoniati il calendario sul palmare.

    -Cazzo, cazzissimo, ieri era il compleanno di Vero, come ho potuto dimenticarlo!, mestamente alzo lo sguardo per intravedere Gaby che a metà tra il lo sapevo ed il non te la prendere pulisce il suo dannatissimo bancone con un movimento alla Karate-Kid metti la cera, togli la cera .

    Avrebbe quanto meno potuto dirmelo e anche se ero in riunione avrebbe potuto mandarmi una mail, sì insomma siamo nel ventunesimo secolo, un computer, un palmare, uno smartphone o quanto meno un cellulare potrebbe anche comprarselo, ma tanto è tutto inutile la sua idiosincrasia per il progresso lo ha lasciato incatenato ai primissimi anni ’90 quando il cellulare era sinonimo di lavoro da rappresentante.

    Veronica è l’amica più cara che io abbia. La conosco da sempre, la conosco da prima che la mia vita iniziasse, probabilmente la conosco da quando mia madre disse a sua madre Clara che era incinta e che presto sarebbe nata l’amichetta che Veronica aspettava, così che la loro tradizione di pigiama party, sarebbe continuata con noi. Insomma, in un certo senso eravamo predestinate a diventare amiche.

    Il primo giorno di scuola, Vero mi accompagnò in classe e mi fece vedere qual era il posto migliore per poter comunicare con lei quando si trovava in giardino per l’ora di disegno; ancora lo ricordo, primo banco sulla sinistra accanto alla finestra. Non so se lo sa, ma io mi sono sempre seduta di schiena a quella finestra per non distrarmi(che carogna che sono). Eravamo fatte così, lei era splendida già da bambina. Era la scolara più indisciplinata, ma anche la più generosa e attenta al benessere degli altri e tutti infatti l’hanno sempre amata. Io invece a quei tempi ero solitaria e introversa ai limiti della sociopatia, niente compagni, niente giochi, viso imbronciato e una montagna di riccioli rossi in testa che odiavo. La scuola era un inferno perché io andavo a cento all'ora rispetto agli altri che avanzavano con la velocità delle tartarughe. Le maestre, quelle sì che mi adoravano, ma i compagni, quelli per niente. Praticamente l’unico ricordo che conservo è l’umiliazione di quando Davide Santini mi alzò la gonna mostrando a tutti le mie mutandine con le mele verdi. Erano i tempi in cui ero una secchiona senza speranza, un vero topo da biblioteca. Penserete che oggi la mia vita sia diversa… e invece no! Nonostante gli sforzi sociali e la presunta crescita interiore, ancora non mi decido a lasciare i libri. Siamo così, il giorno e la notte, ma ci siamo sempre volute un gran bene ed io non avrei mai e poi mai dovuto dimenticare il suo compleanno, lei non l’ha mai fatto e sono certa che mai lo farà.

    Infuriata, raccolgo le mie cose e vado via.

    Durante il tragitto verso il lavoro però, un pensiero mi tormenta, come è potuto accadere? Come ho potuto dimenticare il compleanno della mia migliore amica? Quando è successo che il lavoro mi trascinasse così lontano dalla mia vita? L’avevo anche scritto a caratteri cubitali sul mio Blackberry, ancora lo vedo:

    COMPLEANNO V., COMPRARE REGALO, FARE BALDORIA TUTTA LA NOTTE.

    Arrivo in ufficio alle otto e trenta spaccate. Dietro la sua ordinatissima, pulitissima e maniacale scrivania c’è Emilia. Raggiante come al solito. L’ultima tintura, ancora lascia intravedere le tracce sulla sua ampia fronte. La pelle più abbronzata di ieri, ma quanto cavolo spenderà del suo stipendio al centro estetico Un posto al sole qui di sotto? Se anche io spendessi almeno un quarto dei quattro pidocchi puzzolenti che la Gull mi rifila in cremine e cosmetici vari, dovrei andare a vivere sotto i ponti.

    -Ciao Eva, hai letto l’ultimo Chi?

    Perché, perché ho questa pessima abitudine di voler piacere a tutti? Perché mai le ho dovuto dire che sono un’accanita lettrice di riviste così stupide? Perché non le ho detto in faccia cosa penso delle varie troniste e veline, vergogna di tutte le femministe del pianeta, che ci inquinano il cervello e ci convincono tutti, che conta il successo, l’avere piuttosto che l’essere, nella vita e null’altro?!

    -Luca D’Ovidio ha deciso di abbandonare per sempre il trono e di dedicarsi a tempo pieno alla stesura di una sua autobiografia, la televisione e il contatto con il pubblico o forse la sua guida spirituale gli hanno cambiato la vita, no, no aspetta è stata Tina, l’opinionista.

    Per un momento mi domando se è vero o se magari Emilia abbia capito male che esista la professione di opinionista di un trono. Ma in fondo ogni re ha avuto un consigliere, la cosa ha, quindi, in qualche maniera perversa che pure mi è familiare, una logica.

    Della baraonda insensata di parole che ha detto resta solo l’eco di autobiografia che il mio cervello comunque rifiuta di collegare alla figura di un tronista, quindi me ne esco con:

    - Magari decidesse di farsi pubblicare da noi… dovremmo cercare contatti non credi hi, hi, hi..

    Ora, dovete sapere, che la Gull Press è probabilmente la più piccola casa editrice d’Italia, di certo nessuno, figurarsi poi un tizio che lavora in televisione, che viene pagato per indossare un orologio piuttosto che un altro, un tizio belloccio, ma ignorante ergo perfetto per il palinsesto nazionale ergo ancora, perfetto per la popolarità e QUINDI con tutte le maggiori case editrici italiane ai suoi piedi, vorrebbe affidare la pubblicazione di un suo libro ad una compagnia che vende sì nelle librerie di tutto il paese, ma solo su prenotazione, perché nessuna libreria vuole mettersi sul groppone i libri di una casa editrice indie che come budget di spesa marketing ha 100.00 euro di base e poi i contributi degli autori! Invece lei mi prende sul serio, Dio, ma ci fa o ci è? Mette su la sua aria pensierosa e sembra tirare a lucido gli ingranaggi del suo delicato cervello. No, ti prego, fa che non stia prendendo appunti, ma invece sì, eccola lì tutta intenta a stilare quello che sembra essere un piano d’azione.

    Per non scoppiare a ridere accendo il mio computer, con lo sguardo fisso sul desktop in carica, Vero mi torna in mente, come posso fare a farmi perdonare? Sì insomma, alla fine della mail, ha scritto che mi vuole bene, quindi non può essere così arrabbiata, ma se fosse capitato a me, (posto che questo non sarebbe mai potuto accadere perché, Vero con la sua brava pennina annota su ogni calendario presente nella sua vita casa/lavoro/cellulare con precisione certosina le date di tutti i compleanni importanti, di ogni onomastico esistente, di ogni giorniversario, mesiversario e anniversario al mondo), gliela farei pesare per almeno due settimane, no, non me la sento di affrontare uno dei suoi pesantissimi periodi di silenzio, uno di quei periodi in cui finisco per dimenticare la ragione del mio esilio forzato dalla sua vita, uno di quei periodi in cui mi fa sentire la peggiore persona del mondo un vero e proprio pezzetto di mer… chiudo Outlook express, le scriverò una lettera struggente, dopo però.

    Intanto, tra le pile di scartoffie varie che Andrea, il mio bellissimo e arrogantissimo capo, mi ha lasciato sulla scrivania da fotocopiare, intravedo tra un romanzo pseudo-giallo-edipico il cui protagonista uccide una donna dal fascino maturo con la quale intrattiene una tresca extraconiugale e dopo scopre che in realtà era sua madre che quando a sedici anni l’aveva partorito l’aveva dato in adozione - e per fortuna non l’aveva lasciato sui gradini di una cattedrale gotica penso io con una certa nota sarcastica - e un racconto di fantascienza, un plico su la cui copertina un piccolo post-it giallo richiama la mia attenzione:

    Trovato talento dell’anno, riunione strategica ore 17.00 A. :)

    Con uno sguardo desolato, accartoccio il messaggio di Andrea scaraventandolo con tutte le mie forze nel cestino accanto alla mia scrivania, sento lo sguardo impietosito di Emilia che, con quel suo fastidioso modo di far schioccare la lingua, mi sussurra:

    - Non te la prendere Eva, vedrai arriverà il tuo momento, tu sei una grande scrittrice e sarebbe da pazzi non accorgersene!

    … Già!! una grande scrittrice, ma cosa ne potrà mai sapere lei, se tutto quello che ha letto di mio è stato il bigliettino di San Valentino dello scorso anno, che mi fece scrivere per il suo amore del momento, un certo Gianni con grandi muscoli lucidi sui bicipiti ed un alito veramente pestilenziale, che ogni due parole prendeva una lunga pausa per creare suspense come diceva lui: Un Mac …. 1, 2, 3, 4, 5, 10… Chicken.

    E’ inutile, Andrea non si accorgerà mai di me. Quella sensazione di panico, che mi attanagliava lo stomaco quando a scuola dovevo sostenere lo sguardo della prof di matematica, che sapeva bene quale frana inenarrabile io fossi con i numeri, ora mi sorprende di nuovo, quando d’un tratto tutto mi è desolatamente chiaro: io non sarò mai una scrittrice. Ho un cervello gelatina a cui manca, assolutamente la scintilla della genialità necessaria per essere uno scrittore! Nel dorato mondo dei grandi autori, io non sono niente di niente, non sono che una semplice segretaria che tuttalpiù può leggere quello che scrivono gli altri. Lui, Niccolò, il talento dell’anno ce l’ha, ma io, io non ho niente, è ora di smetterla con queste stupide illusioni, non ho più sedici anni. Non è più così motivante sognare di un futuro brillante e glorioso che non arriverà mai.

    Devo tornare con i piedi per terra, devo vivere nello stesso mondo in cui tutti gli altri combattono tutti i giorni per la sopravvivenza, devo assolutamente crearmi un presente che sia serio e concreto. Basta con queste futilità, basta con queste avveniristiche manie di successo.

    Quello che mi fa più rabbia è che mio padre lo ha sempre saputo.

    Mio padre, è un napoletano di quelli DOC. Questo, secondo il suo contorto punto di vista, rende anche me e mia sorella Maria due napoletane in terra straniera: la nordica Maremma toscana. Ora, lo so benissimo da me, cosa credete, che Follonica dista solo quattro ore d’auto da Napoli, ma il fatto vero è che mio padre sarebbe potuto andare a vivere anche solo a Caserta per sentirsi un napoletano solo in un mondo di casertani. Mio padre, è emigrante nel sangue! A lui piace, per dovere di cronaca anzi mi correggo, lui AMA vivere nel nostalgico ricordo della sua casa natia, dell’aria che respirava sessanta e passa anni fa sulla sua via Caracciolo. Ha un bisogno fisiologico di melodramma, di teatralità di Eduardo e di Totò. E’ per questo che dopo pochi anni di lavoro a Milano decise di scendere al centro Italia. Aveva capito ormai che, in fondo, non gli serviva allontanarsi poi tanto per calarsi nel suo dolore da esiliato. E’ per semplice pudore, ne sono certa, che non si è avvicinato di più. E’ solo per puro caso che mi sono ritrovata a nascere in Toscana piuttosto che in Abruzzo. Personalmente, ho sempre cercato di valicare questa napoletanità per esempio, seguendo per ben tre anni un corso di dizione per liberarmi di quella perenne esse impura del dialetto napoletano. Da bambina a scuola, finivo per pranzare al bagno perché mi vergognavo troppo. Non avevo nessuna schiaccina salata da condividere con le mie amiche, ma solo del pane in cassetta con prosciutto crudo e mozzarella. Le mie compagne a merenda potevano avere tutte le merendine che credevano, io no; una madre napoletana che si rispetti, non consente a sua figlia di ingurgitare velenosi conservanti. Un po’ come i buddisti, lei crede che il corpo della sua progenie sia un tempio. Mi ritrovavo così con l’acquolina in bocca a sognare le merendine altrui, ad aspettare con impazienza nonno Piero (che rimasto vedovo aveva raggiunto suo figlio) che di nascosto mi procurava zuccheri artificiali e coloranti sotto forma di merendine al cioccolato e me li passava sotto banco all’uscita di scuola lungo il tragitto che mi riportava a casa e che segnava la nostra quotidiana passeggiata, solo nostra. A sei anni mi figuravo Napoli come una sconfinata campagna, in cui le donne vestivano con grembiuli floreali smanicati come quelli della nonna Nunzia ed erano dedite solo alla cucina, mentre gli uomini erano invece impegnati nella semina. Insomma Napoli la rapportavo ad un mega Mulino Bianco, ma senza ghiottonerie.

    Questo, lo riconosco, potrebbe forviarvi ed indurvi a pensare che fossimo in ristrettezze economiche tali da non poter affrontare un pieno d’auto e un viaggio di sole quattro ore per andare a trovare i nostri parenti, be’ per niente. Mio papà, in totale armonia con la sua figura di ambasciatore dei doni culturali della dea Partenope nel mondo o più semplicemente come la stragrande maggioranza dei napoletani emigranti, ha una pizzeria Bella Napoli che in realtà lavora molto di più di quanto lui stesso creda possibile. E’ solo che quando un napoletano vive lontano dalla casa materna, conosce un solo modo di vivere: lavoro, lavoro e lavoro. Forse è per una questione di riscatto sociale, non lo so. Forse è per dimostrare al mondo intero che i napoletani lavorano e non sono solo camorristi e delinquenti, fatto sta, ve lo garantisco, che è così che funziona per i napoletani all’estero. Ed è così che gestiscono i loro figli, in un semi perenne stato di segregazione culturale. Il risultato era che io mi sentivo toscana in tutto e per tutto, non riuscivo a trovare un posto in quella Napoli in miniatura. Ho vissuto la mia vita fino all’università nella terra di nessuno: a casa fuori luogo con una c aspirata di troppo e nel mondo come un pesce fuor d’acqua con un’identità ben radicata che tutti vedevano e che io invece non conoscevo affatto. Mio padre vive ancora circondato solo dai suoi amici campani, ancora con la foto del golfo di Napoli che troneggia indiscusso sul divano in velluto nero del nostro salone. E' un uomo forte, burbero dicono gli altri, di cuore ed onesto dice mia madre, e sembra che questo basti a fare di lui un re. E' un uomo moderno, nel senso che è coevo a tutti quanti noi altri che camminiamo oggi giorno sulla terra, ma è antiquato fino al midollo osseo o forse, è veramente solo un pragmatico come dice mia madre. Non difende di certo il mondo della cultura, d'altronde ha dovuto iniziare a lavorare da bambino e forse ha dimenticato come si fa a sognare. Io invece sono una che vive secondo la massima di Sylvia Plath: Esisterà un'altra strada oltre la mente? quindi sì, se qualcuno dovesse chiedermelo risponderei che non esiste persona a me più lontana di mio padre. Quando avvisai a casa della mia scelta di andare a studiare a Roma, lui cadde nel panico, la sua bimba che prendeva il volo era davvero troppo, così mi disse con quel suo accento così familiare eppure ancora così buffo ma che ja ffa’ cu sti cretinat, Roma, l’università sta pure a Grosseto, vieni a fatica’ in pizzeria con noi e poi vai pure a studiare, o secondo te devo pagare a un dipendente per fare quello che potresti fare tu? Ma lo sai quanto costa un dipendente? Lo stato si piglia già 'a metà dei miei soldi mo' pure e contribbut!!! ed io avrei forse dovuto ascoltarlo, ora non mi sentirei come la pecora nera della famiglia, come l’ingrata della famiglia. Lui ha lavorato tanto, ha vissuto tutta la sua esistenza diviso tra lavoro e famiglia senza godersi in realtà nessuna delle due cose. Un lavoro che in fondo al cuore fa solo per sopravvivere e una famiglia che lo aspettava a casa fino a notte fonda. Con una moglie in lista d’attesa: solo un'ora del suo tempo la notte prima di addormentarsi e due bambine che ha visto solo dormire fino a quando un giorno le ha trovate già donne. Ed io, mi sento sempre così in colpa quando vedo mia madre massaggiargli la schiena perché è stanco.

    Mia madre, invece, non mi ha mai fatto credere di non poter fare tutto ciò che volevo e le sono grata per questo, ma oggi di colpo, per la prima volta in tutta la mia vita, sento che parte del mio fallimento è colpa sua. Qualcuno direbbe che questo è l’ingrato destino dei genitori: sentirsi rinfacciare dai figli errori che in realtà non sono tali, ma solo tentativi di infondere fiducia nella vita, ma oggi mamma, vorrei tanto chiederti perché mai non sei stata la madre/matrigna che tutti i miei amici dottori barra avvocati barra commercialisti di successo felici delle loro esistenze hanno avuto?

    Ok, niente panico. Mi serve solo un nuovo piano. Mi serve solo

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