La scienza della mente e del computer
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Anteprima del libro
La scienza della mente e del computer - Raffaella Folgieri
Raffaella Folgieri, Claudio Lucchiari
La scienza della mente e del computer
UUID: d68bb73a-aa33-11e5-ba53-119a1b5d0361
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)
un prodotto di Simplicissimus Book Farm
Indice dei contenuti
La scienza della mente e del computer
Autori
Contributi
La scienza della mente e del computer
Prefazione
Parte I – Evoluzione / Co-Evoluzione / Rivoluzione
Evoluzione di homo sapiens
Dallo studio del cervello alla mente
Macchine Intelligenti
Dal computer alla mente e viceversa
Commenti
Parte seconda: Intelligenze a confronto
Intelligenze
Intelligenze multiple
Intelligenza emotiva
Intelligenza collettiva
Intelligenza e tecnologia
Intelligenza computazionale
Sapere, Saper fare, dover fare: la deontologia della conoscenza
La mente in Internet e Le sharing comunità : perché condividiamo
Commenti
La natura della creatività
Qual è il rapporto fra intelligenza e creatività?
Creatività, arte e mente
CONCLUSIONI
Applicazioni I - Le reti neurali artificiali
Applicazioni II – La simulazione attraverso AGENT-BASED MODEL
Applicazioni III - Brain Computer Interface
Grafici
Note
La scienza della mente e del computer
Un’introduzione ragionata allo studio
dell’intelligenza artificiale e del pensiero naturale
A cura di Raffaella Folgieri e Claudio Lucchiari
Edizione 2014, copertina a cura di Ludovico Dei Cas
Autori
Beatrice Cameli, Marco Granato, Raffaella Folgieri, Jean Medina, Claudio Lucchiari, Laura Manzini, Oscar Scarpello, Manuela Testa, Lara Tulipano.
Contributi
Claudio Lucchiari e Raffaella Folgieri, ricercatori dell’Università degli Studi di Milano, rispettivamente di Psicologia Cognitiva e di Intelligenza Artificiale, hanno curato il testo e contribuito a tutti i capitoli teorici. Entrambi insegnano presso il corso di Laurea Magistrale in Scienze Cognitive e Processi Decisionali e sono membri del Centro Interdipartimentale di Ricerca e Intervento sui Processi Decisionali.
Laura Manzini, laureata in Scienze Cognitive ed esperta di comunicazione, ha contribuito alla stesura dei capitoli 1 e 2.
Beatrice Cameli, Marco Granato, Jean Medina, Oscar Scarpello, Manuela Testa, Lara Tulipano hanno realizzato le parti applicative del libro.
La scienza della mente e del computer
Un’introduzione ragionata allo studio dell’intelligenza artificiale e del pensiero naturale
A cura di Raffaella Folgieri e Claudio Lucchiari
II Edizione 2016
Prefazione
Le scienze cognitive si propongono di studiare la mente partendo da una sostanziale consapevolezza: la necessità di uno studio multidisciplinare e interdisciplinare. Sebbene espressa in questo modo la frase assuma un significato alquanto vago, o forse poco saliente, in realtà in ciò si cela una radice storica fondamentale, la storia di un sostanziale fallimento.
In particolare, la psicologia anziché aprirci le porte della mente sembra aver aperto un portone che dalla strada della curiosità scientifica ci ha condotto al patio del dubbio epistemologico. A oggi, lo studio della mente rappresenta un campo piuttosto complesso. La psicologia ha sviluppato teorie e concetti di portata generale e con un’ottima potenza epistemica. Tuttavia, appare oramai evidente che il livello di spiegazione che la psicologia è in grado di raggiungere non riesce ad avvicinarsi agli standard delle scienze cosiddette forti, se non quando lo studio della mente diventa studio del comportamento o, meglio ancora, studio del cervello. Su ognuno di questi versanti, la necessità di una cross-fertilization fra discipline è auto-evidente. Lo studio del comportamento richiede un approccio quantitativo raggiungibile solo grazie all’interazione fra psicologia, informatica, matematica e altre discipline fisiche e biologiche (a seconda dei casi).
Le neuroscienze, d’altro canto, sono fondamentali per lo studio del cervello e, a loro volta, sono un coacervo di domini scientifici interagenti. E ancora, se si vuole studiare la mente in modo scientifico, è necessario essere in grado di capirne l’origine biologica, tanto da un punto di vista filogenetico, che onto- ed epigenetico. A meno di non considerare la mente come un costrutto astratto (tentativo già fallito più volte), siamo costretti a richiamare l’attenzione di biologi, genetisti, antropologi ed etologi per capire quali siano le caratteristiche della mente umana, o meglio della nostra psicologia. In questo senso, la psicologia
cambia statuto: da disciplina scientifica (soggetto di un’azione di ricerca) a una proprietà dell’uomo (oggetto d’indagine).
In questo senso, uno studio puramente psicologico non appare più adeguato ad affrontare il tema della mente, che, invece, richiede la collaborazione, anzi, una contaminazione reciproca, fra più scienze e discipline. In questo libro, perseguendo come obiettivo l’analisi del mentale più che la comprensione della mente, abbiamo volutamente circoscritto lo scenario da esplorare, cercando di offrire riflessioni, spunti e strumenti pratici per avvicinare il lettore allo studio scientifico della mente. I confini di questo scenario saranno fissati dalla psicologia cognitiva, che rappresenta sicuramente il dominio della psicologia che più si muove nell’open-range in cui il contatto con le altre scienze è sempre stato sentito come necessario, e dall’intelligenza artificiale, cioè l’area dell’informatica cognitiva per definizione.
Un po’ più nel dettaglio, oggi quando si parla di Scienze Cognitive, si ricomprendono varie discipline che contribuiscono all’avanzamento delle ricerche nel settore. Norman suggerisce che le principali discipline che hanno dato origine al programma della Scienza cognitiva siano: Psicologia, Neuroscienze, Intelligenza Artificiale (A.I.), Linguistica, Filosofia, Robotica, Antropologia, Economia.
Tutte queste discipline concorrono all'obiettivo di realizzare modelli computazionali che possano simulare sistemi intelligenti (o essere utilizzati da sistemi intelligenti) da un lato per comprendere e dall'altro per riprodurre i meccanismi di funzionamento del cervello. I sistemi intelligenti che ne derivano o ne traggono beneficio sono i più disparati: si pensi ad agenti, robot, sistemi diffusi nell'ambiente, applicazioni d’intrattenimento, di apprendimento e così via.
Le Scienze Cognitive, dunque, indagano le componenti di base dei processi cognitivi per trovare pattern comuni sussunti da uno stesso meccanismo mentale, ricercando, inoltre, le relazioni tra l’apparato fisico e la cognizione. Le ricerche riguardano, perciò, differenti ambiti, quali l’acquisizione delle informazioni ed i meccanismi per processarle, ritenerle e richiamarle in memoria, l’acquisizione e l’evoluzione del linguaggio, la comprensione e l’elaborazione di concetti, il ragionamento e il problem solving.
Abbiamo intrapreso questo percorso per cercare di fondere due prospettive diverse, ma dai contorni sempre più simili. L’approccio psicologico e quello tecnologico, infatti, si trovano sempre più uniti sotto il cappello dello studio cognitivo, così come altre discipline. Abbiamo così cercato di fornire al lettore una lettura critica di alcune aree d’interesse delle scienze cognitive, lasciandone altre inevitabilmente scoperte. Nel fare ciò, volendo fornire un’introduzione ragionata ai problemi e non già una sintesi delle questioni, probabilmente lasceremo più dubbi di certezze, come testimoniato dal gran numero di domande cui non saranno date risposte (anche se forniremo molti spunti bibliografici per cercare di colmare almeno in parte questo gap). Tuttavia, è nostra convinzione che ora più che mai il confronto fra il mondo della tecnologia non solo sia necessario a comprendere la traiettoria dello sviluppo umano, ma è anche utile per capire le caratteristiche della mente e di alcuni lati della stessa che, senza un adeguato confronto con le scienze informatiche, rimarrebbero inevitabilmente oscure. Del resto, gli approcci più recenti allo studio della mente tendono a mostrare sempre più la difficoltà di situare la stessa all'interno di un organo o anche di un corpo, sottolineando la necessità di studiare la relazione fra organismi e ambiente e situare nell'interfaccia fra i due costrutti, ciò che di solito si considera mente o mentale. E in questo luogo d’interazione, in questo spazio piuttosto semplice da descrivere ma quasi impossibile da situare in un insieme di coordinate tradizionali, che ha preso sempre più importanza il ruolo della tecnologia. Il computer e in generale i dispositivi di comunicazione, sono considerati ormai dispositivi fondamentali con i quali l’uomo non solo convive, ma si esprime e in qualche modo si definisce. Naturalmente non è questa un’invenzione della modernità. Al contrario, il comportamento umano è cambiato nel tempo in relazione alla capacità di produrre strumenti in grado di modificare il rapporto con il proprio ambiente. Tuttavia, negli ultimi 200 anni, la costruzione di mezzi sempre più tecnologici per implementare quest’interazione ha modificato in modo sostanziale non solo l’attività produttiva e le pratiche lavorative, ma anche la vita quotidiana, il modo di relazionarci, il modo stesso di pensare all'uomo e all'umanità. E in questa trasformazione, sempre più veloce, le scienze informatiche svolgono ora un ruolo prevalente. Laddove l’uomo può mettere la testa fuori di casa non può che trovare tecnologia. Ecco dunque che studiare come l’uomo riesca a sfruttare i mezzi della tecnologia per modellare la propria vita può dare importanti indicazioni sul modo stesso di essere della mente umana. Naturalmente, è anche possibile utilizzare le scienze matematiche e informatiche per implementare nuovi paradigmi sperimentali e disegnare così nuovi confini per gli studi psicologici e neuroscientifici. In effetti, mostreremo come strumenti utilizzati in ambiti molto diversi (come la fisica o la meteorologia) possono essere adattati allo studio del comportamento, ponendosi anche come strumenti concettuali utili a realizzare nuovi supporti alla decisione e, in più in generale, alla condotta umana in una moltitudine di contesti: dalla ricerca d’informazioni su internet, alla costruzione di robot con lo scopo di aiutare esperti in vari compiti o a promuovere il benessere umano nella vita di tutti i giorni.
Questo breve lavoro, dunque, vuole offrire una prospettiva allo stesso tempo teorica e pragmatica, grazie soprattutto ai contributi applicativi, che possa fungere da bussola concettuale per tutti coloro che vogliano interessarsi allo studio del comportamento e della mente umana senza partire da pregiudizi o vincoli disciplinari. E’ infatti nostra convinzione che solo attraverso lo sviluppo di una mente interdisciplinare, aperta alle diverse forme della conoscenza e allo sviluppo di competenze ad ampio raggio, sia possibile muoversi agevolmente, non solo nel sempre più intricato mondo delle idee, ma anche nel difficile mondo del lavoro.
Parte I – Evoluzione / Co-Evoluzione / Rivoluzione
di Claudio Lucchiari, Laura Manzini e Raffaella Folgieri
Evoluzione di homo sapiens
di
Claudio Lucchiari & Laura Manzini
1. La Mente
La mente umana è il frutto di alcuni processi fortemente inter-correlati: lo sviluppo filogenetico, lo sviluppo ontogenetico e lo sviluppo culturale.
E’ possibile far risalire la storia evolutiva del genere Homo a circa 6 milioni di anni fa, durante l’ultimo e travagliato stadio del Miocene, chiamato Messiniano: il Mediterraneo si stava progressivamente prosciugando; le Alpi attraversavano le ultime fasi di formazione; una serie di eventi tettonici, anche a seguito del raffreddamento della terra, portava a una spaccatura che dalla valle del Giordano giungeva al lago Niassa, nella Rift Valley africana: ciò comportò una sostanziale deforestazione dell’area e l’emergere di ampi territori dove l’erba (praterie) e la vegetazione bassa e rada (savana) presero il posto degli antichi paesaggi boschivi.
Sotto la spinta di un ambiente in profondo cambiamento, le specie animali, in strettissima relazione con la nicchia ecologica occupata, iniziarono ad adottare una gamma di comportamenti funzionali a un positivo adattamento. La necessità di nuovi comportamenti permetterà agli individui maggiormente predisposti alla loro produzione di sopravvivere con maggiore probabilità, il che porterà alla diffusione di quei fenotipi più adatti a far fronte alle nuove condizioni ambientali, promuovendo così il cambiamento, cioè l’evoluzione, delle specie esistenti verso nuovi pattern funzionali o vere e proprie specie differenti.
Proprio durante questo processo, alcune specie arboricole furono spinte a scendere dagli alberi della foresta pluviale per provare ad inoltrarsi nella savana alla ricerca di cibo. Fu un cambiamento straordinario, un cambiamento che non poté che essere favorito dall’adozione della posizione eretta. La ricerca di una simile innovazione (una camminata bipede allo stesso tempo utile a percorrere lunghi tragitti e a garantire adattabilità a nuovi ambienti) fece sì che gli individui maggiormente predisposti per la posizione eretta avessero decisi vantaggi sugli altri. Tale vantaggio richiedeva, nel corso del tempo, l’emergere di specifiche caratteristiche morfo-funzionali: lo sviluppo delle ossa del bacino, la perdita dell’alluce opponibile e la desincronizzazione respiro-passo[1] favorirono la deambulazione bipede, mentre gli arti superiori furono liberati dalla funzione di locomozione; la polivalenza delle mani, utilizzabili per manipolare strumenti, comunicare, processare i cibi e così via, permise la liberazione della mascella da una parte dei compiti di masticazione, che facilitò, a sua volta, lo sviluppo volumetrico della scatola cranica, che, grazie all’arretramento della mandibola, allo spostamento in avanti dell’innesto del midollo allungato nella teca cranica e alla generalizzata diminuzione dello spessore dei muscoli connessi alla testa (in virtù della posizione eretta, che permette al cranio di scaricare il suo peso sulla colonna vertebrale invece di gravare verso il terreno) poté assumere, poco alla volta, la conformazione e la capacità attuale (attorno ai 1250 cm³).
Questa evoluzione determinata da un intreccio di caso e necessità[2] portò alla nascita della specie Australopithecus. In realtà, data la grande differenziazione di reperti, è stata creata un’ulteriore suddivisione della specie in: Australopithecusafarensis, Australopithecusafricanus, Australopithecusrobustus, Australopithecusboisei, Australopithecusanamensis e Australopithecusaethiopicus (queste ultime due ancora poco conosciute).
La statura di un Australopitecino era circa tra il metro ed il metro e cinquanta. Rispetto all’uomo moderno aveva tronco e arti inferiori simili, ma le braccia in proporzione più lunghe; il bacino femminile era leggermente diverso, forse a causa di un parto differente.
Anche l’andatura di questi ominidi era simile alla nostra: testimonianza di ciò è data dallo scheletro di un australopiteco afarensis, chiamato Lucy, e le tracce lasciate da tre individui che camminarono su uno strato di cenere vulcanica probabilmente dopo un acquazzone, in cui si vedono le impronte di due individui che evidentemente camminavano in posizione eretta alla ricerca di un rifugio.
L'Australopithecus afarensis visse in Africa orientale tra i 3 e i 4 milioni di anni fa; ritrovato in Etiopia (nella regione dell'Afar) e in Tanzania, aveva una scatola cranica, o neurocranio, di volume leggermente superiore a quello degli scimpanzé di circa 400-500 cm³ (1/3 del nostro cervello), la sua struttura era bassa e larga e il foro occipitale (l’innesto del midollo spinale all’interno della scatola cranica) spostato all’indietro. Alla nuca molto larga si attaccavano tendini di una muscolatura potente.
L’apofisi mastoidea era ridotta e anche la scatola cranica si ristringeva in corrispondenza delle arcate zigomatiche per allargarsi nelle arcate sopraorbitarie. Alcuni esemplari possedevano canini alquanto più sporgenti di quelli di ominidi successivi.
La faccia, o splancnocranio, mostrava zigomi accentuati e larghi, mascella e mandibola prominenti in avanti e dentatura massiccia.
Probabilmente circa 3 milioni di anni fece la sua comparsa un essere più evoluto, l'Australopithecus africanus, ritrovato soprattutto in siti dell'Africa meridionale. Quest’ultimo, si presume possedesse un cervello simile a quello del suo predecessore; tuttavia, nonostante le notevoli dimensioni dei premolari e molari, i canini non sporgevano più rispetto agli altri denti. Probabilmente, inoltre, era capace di utilizzare oggetti reperibili in natura, come ossa e corna di animali, senza però essere in grado di costruirne di nuovi. Da questi primi ominidi alla comparsa homo sapiens, l’unica specie nel genere homo sopravvissuta[3], passarono c