Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

La scienza della mente e del computer
La scienza della mente e del computer
La scienza della mente e del computer
Ebook414 pages6 hours

La scienza della mente e del computer

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Le scienze cognitive includono varie discipline che trovano nello studio della mente un terreno comune da cross-fertilizzare. Fra queste la psicologia, le neuroscienze, l’intelligenza Artificiale, la linguistica, la filosofia, la robotica, l’antropologia e l’economia hanno svolto un ruolo storico fondamentale nella definizione e nello sviluppo, tuttora in corso, del paradigma cognitivo.

Il libro ha lo scopo di invitare il lettore in questo affascinante campo di studio seguendo un percorso che cerca di fondere due prospettive diverse, ma dai contorni sempre più simili: quella psicologica e quella tecnologica. I due ambiti, infatti, si trovano sempre più uniti sotto il cappello dello studio della mente. Abbiamo così cercato di fornire una lettura critica di alcune aree d’interesse delle scienze cognitive, lasciandone altre inevitabilmente scoperte. Si tratta, infatti, di un’introduzione ragionata e non di una sintesi o di una trattazione puramente manualistica. Sono dunque molti gli argomenti trattati, ma ancora di più sono gli spunti di riflessione che abbiamo disseminato lungo il percorso, lasciando alla curiosità di ognuno libertà di movimento.

Al lavoro, che presenta sia trattazioni puramente teoriche sia applicazioni pratiche, in particolare nell’ambito della simulazione, delle reti neurali artificiali e dell’analisi dei dati neurofisiologici, è stato curato da Raffaella Folgieri e Claudio Lucchiari, ricercatori dell’Università degli Studi di Milano. Ai vari capitoli hanno contribuito: Beatrice Cameli, Marco Granato, Raffaella Folgieri, Jean Medina, Claudio Lucchiari, Laura Manzini, Oscar Scarpello, Manuela Testa e Lara Tulipano.
LanguageItaliano
Release dateDec 11, 2014
ISBN9786050342109
La scienza della mente e del computer

Related to La scienza della mente e del computer

Related ebooks

Computers For You

View More

Related articles

Reviews for La scienza della mente e del computer

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    La scienza della mente e del computer - Raffaella Folgieri

    Raffaella Folgieri, Claudio Lucchiari

    La scienza della mente e del computer

    UUID: d68bb73a-aa33-11e5-ba53-119a1b5d0361

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    La scienza della mente e del computer

    Autori

    Contributi

    La scienza della mente e del computer

    Prefazione

    Parte I – Evoluzione / Co-Evoluzione / Rivoluzione

    Evoluzione di homo sapiens

    Dallo studio del cervello alla mente

    Macchine Intelligenti

    Dal computer alla mente e viceversa

    Commenti

    Parte seconda: Intelligenze a confronto

    Intelligenze

    Intelligenze multiple

    Intelligenza emotiva

    Intelligenza collettiva

    Intelligenza e tecnologia

    Intelligenza computazionale

    Sapere, Saper fare, dover fare: la deontologia della conoscenza

    La mente in Internet e Le sharing comunità : perché condividiamo

    Commenti

    La natura della creatività

    Qual è il rapporto fra intelligenza e creatività?

    Creatività, arte e mente

    CONCLUSIONI

    Applicazioni I - Le reti neurali artificiali

    Applicazioni II – La simulazione attraverso AGENT-BASED MODEL

    Applicazioni III - Brain Computer Interface

    Grafici

    Note

    La scienza della mente e del computer

    Un’introduzione ragionata allo studio 

    dell’intelligenza artificiale e del pensiero naturale

    A cura di Raffaella Folgieri e Claudio Lucchiari

    Edizione 2014, copertina a cura di Ludovico Dei Cas

    Autori

    Beatrice Cameli, Marco Granato, Raffaella Folgieri, Jean Medina, Claudio Lucchiari, Laura Manzini, Oscar Scarpello, Manuela Testa, Lara Tulipano.

    Contributi

    Claudio Lucchiari e Raffaella Folgieri, ricercatori dell’Università degli Studi di Milano, rispettivamente di Psicologia Cognitiva e di Intelligenza Artificiale, hanno curato il testo e contribuito a tutti i capitoli teorici. Entrambi insegnano presso il corso di Laurea Magistrale in Scienze Cognitive e Processi Decisionali e sono membri del Centro Interdipartimentale di Ricerca e Intervento sui Processi Decisionali. 

    Laura Manzini, laureata in Scienze Cognitive ed esperta di comunicazione, ha contribuito alla stesura dei capitoli 1 e 2.

    Beatrice Cameli, Marco Granato, Jean Medina, Oscar Scarpello, Manuela Testa, Lara Tulipano hanno realizzato le parti applicative del libro.

    La scienza della mente e del computer

    Un’introduzione ragionata allo studio dell’intelligenza artificiale e del pensiero naturale

    A cura di Raffaella Folgieri e Claudio Lucchiari

    II Edizione 2016

    Prefazione

    Le scienze cognitive si propongono di studiare la mente partendo da una sostanziale consapevolezza: la necessità di uno studio multidisciplinare e interdisciplinare. Sebbene espressa in questo modo la frase assuma un significato alquanto vago, o forse poco saliente, in realtà in ciò si cela una radice storica fondamentale, la storia di un sostanziale fallimento.

    In particolare, la psicologia anziché aprirci le porte della mente sembra aver aperto un portone che dalla strada della curiosità scientifica ci ha condotto al patio del dubbio epistemologico. A oggi, lo studio della mente rappresenta un campo piuttosto complesso. La psicologia ha sviluppato teorie e concetti di portata generale e con un’ottima potenza epistemica. Tuttavia, appare oramai evidente che il livello di spiegazione che la psicologia è in grado di raggiungere non riesce ad avvicinarsi agli standard delle scienze cosiddette forti, se non quando lo studio della mente diventa studio del comportamento o, meglio ancora, studio del cervello. Su ognuno di questi versanti, la necessità di una cross-fertilization fra discipline è auto-evidente. Lo studio del comportamento richiede un approccio quantitativo raggiungibile solo grazie all’interazione fra psicologia, informatica, matematica e altre discipline fisiche e biologiche (a seconda dei casi).

    Le neuroscienze, d’altro canto, sono fondamentali per lo studio del cervello e, a loro volta, sono un coacervo di domini scientifici interagenti. E ancora, se si vuole studiare la mente in modo scientifico, è necessario essere in grado di capirne l’origine biologica, tanto da un punto di vista filogenetico, che onto- ed epigenetico. A meno di non considerare la mente come un costrutto astratto (tentativo già fallito più volte), siamo costretti a richiamare l’attenzione di biologi, genetisti, antropologi ed etologi per capire quali siano le caratteristiche della mente umana, o meglio della nostra psicologia. In questo senso, la psicologia cambia statuto: da disciplina scientifica (soggetto di un’azione di ricerca) a una proprietà dell’uomo (oggetto d’indagine).

    In questo senso, uno studio puramente psicologico non appare più adeguato ad affrontare il tema della mente, che, invece, richiede la collaborazione, anzi, una contaminazione reciproca, fra più scienze e discipline. In questo libro, perseguendo come obiettivo l’analisi del mentale più che la comprensione della mente, abbiamo volutamente circoscritto lo scenario da esplorare, cercando di offrire riflessioni, spunti e strumenti pratici per avvicinare il lettore allo studio scientifico della mente. I confini di questo scenario saranno fissati dalla psicologia cognitiva, che rappresenta sicuramente il dominio della psicologia che più si muove nell’open-range in cui il contatto con le altre scienze è sempre stato sentito come necessario, e dall’intelligenza artificiale, cioè l’area dell’informatica cognitiva per definizione.

    Un po’ più nel dettaglio, oggi quando si parla di Scienze Cognitive, si ricomprendono varie discipline che contribuiscono all’avanzamento delle ricerche nel settore. Norman suggerisce che le principali discipline che hanno dato origine al programma della Scienza cognitiva siano: Psicologia, Neuroscienze, Intelligenza Artificiale (A.I.), Linguistica, Filosofia, Robotica, Antropologia, Economia.

    Tutte queste discipline concorrono all'obiettivo di realizzare modelli computazionali che possano simulare sistemi intelligenti (o essere utilizzati da sistemi intelligenti) da un lato per comprendere e dall'altro per riprodurre i meccanismi di funzionamento del cervello. I sistemi intelligenti che ne derivano o ne traggono beneficio sono i più disparati: si pensi ad agenti, robot, sistemi diffusi nell'ambiente, applicazioni d’intrattenimento, di apprendimento e così via.

    Le Scienze Cognitive, dunque, indagano le componenti di base dei processi cognitivi per trovare pattern comuni sussunti da uno stesso meccanismo mentale, ricercando, inoltre, le relazioni tra l’apparato fisico e la cognizione. Le ricerche riguardano, perciò, differenti ambiti, quali l’acquisizione delle informazioni ed i meccanismi per processarle, ritenerle e richiamarle in memoria, l’acquisizione e l’evoluzione del linguaggio, la comprensione e l’elaborazione di concetti, il ragionamento e il problem solving.

    Abbiamo intrapreso questo percorso per cercare di fondere due prospettive diverse, ma dai contorni sempre più simili. L’approccio psicologico e quello tecnologico, infatti, si trovano sempre più uniti sotto il cappello dello studio cognitivo, così come altre discipline. Abbiamo così cercato di fornire al lettore una lettura critica di alcune aree d’interesse delle scienze cognitive, lasciandone altre inevitabilmente scoperte. Nel fare ciò, volendo fornire un’introduzione ragionata ai problemi e non già una sintesi delle questioni, probabilmente lasceremo più dubbi di certezze, come testimoniato dal gran numero di domande cui non saranno date risposte (anche se forniremo molti spunti bibliografici per cercare di colmare almeno in parte questo gap). Tuttavia, è nostra convinzione che ora più che mai il confronto fra il mondo della tecnologia non solo sia necessario a comprendere la traiettoria dello sviluppo umano, ma è anche utile per capire le caratteristiche della mente e di alcuni lati della stessa che, senza un adeguato confronto con le scienze informatiche, rimarrebbero inevitabilmente oscure. Del resto, gli approcci più recenti allo studio della mente tendono a mostrare sempre più la difficoltà di situare la stessa all'interno di un organo o anche di un corpo, sottolineando la necessità di studiare la relazione fra organismi e ambiente e situare nell'interfaccia fra i due costrutti, ciò che di solito si considera mente o mentale. E in questo luogo d’interazione, in questo spazio piuttosto semplice da descrivere ma quasi impossibile da situare in un insieme di coordinate tradizionali, che ha preso sempre più importanza il ruolo della tecnologia. Il computer e in generale i dispositivi di comunicazione, sono considerati ormai dispositivi fondamentali con i quali l’uomo non solo convive, ma si esprime e in qualche modo si definisce. Naturalmente non è questa un’invenzione della modernità. Al contrario, il comportamento umano è cambiato nel tempo in relazione alla capacità di produrre strumenti in grado di modificare il rapporto con il proprio ambiente. Tuttavia, negli ultimi 200 anni, la costruzione di mezzi sempre più tecnologici per implementare quest’interazione ha modificato in modo sostanziale non solo l’attività produttiva e le pratiche lavorative, ma anche la vita quotidiana, il modo di relazionarci, il modo stesso di pensare all'uomo e all'umanità. E in questa trasformazione, sempre più veloce, le scienze informatiche svolgono ora un ruolo prevalente. Laddove l’uomo può mettere la testa fuori di casa non può che trovare tecnologia. Ecco dunque che studiare come l’uomo riesca a sfruttare i mezzi della tecnologia per modellare la propria vita può dare importanti indicazioni sul modo stesso di essere della mente umana. Naturalmente, è anche possibile utilizzare le scienze matematiche e informatiche per implementare nuovi paradigmi sperimentali e disegnare così nuovi confini per gli studi psicologici e neuroscientifici. In effetti, mostreremo come strumenti utilizzati in ambiti molto diversi (come la fisica o la meteorologia) possono essere adattati allo studio del comportamento, ponendosi anche come strumenti concettuali utili a realizzare nuovi supporti alla decisione e, in più in generale, alla condotta umana in una moltitudine di contesti: dalla ricerca d’informazioni su internet, alla costruzione di robot con lo scopo di aiutare esperti in vari compiti o a promuovere il benessere umano nella vita di tutti i giorni.

    Questo breve lavoro, dunque, vuole offrire una prospettiva allo stesso tempo teorica e pragmatica, grazie soprattutto ai contributi applicativi, che possa fungere da bussola concettuale per tutti coloro che vogliano interessarsi allo studio del comportamento e della mente umana senza partire da pregiudizi o vincoli disciplinari. E’ infatti nostra convinzione che solo attraverso lo sviluppo di una mente interdisciplinare, aperta alle diverse forme della conoscenza e allo sviluppo di competenze ad ampio raggio, sia possibile muoversi agevolmente, non solo nel sempre più intricato mondo delle idee, ma anche nel difficile mondo del lavoro.

    Parte I – Evoluzione / Co-Evoluzione / Rivoluzione

    di Claudio Lucchiari, Laura Manzini e Raffaella Folgieri

    Evoluzione di homo sapiens

    di 

    Claudio Lucchiari & Laura Manzini 

    1. La Mente

    La mente umana è il frutto di alcuni processi fortemente inter-correlati: lo sviluppo filogenetico, lo sviluppo ontogenetico e lo sviluppo culturale.

    E’ possibile far risalire la storia evolutiva del genere Homo a circa 6 milioni di anni fa, durante l’ultimo e travagliato stadio del Miocene, chiamato Messiniano: il Mediterraneo si stava progressivamente prosciugando; le Alpi attraversavano le ultime fasi di formazione; una serie di eventi tettonici, anche a seguito del raffreddamento della terra, portava a una spaccatura che dalla valle del Giordano giungeva al lago Niassa, nella Rift Valley africana: ciò comportò una sostanziale deforestazione dell’area e l’emergere di ampi territori dove l’erba (praterie) e la vegetazione bassa e rada (savana) presero il posto degli antichi paesaggi boschivi.

    Sotto la spinta di un ambiente in profondo cambiamento, le specie animali, in strettissima relazione con la nicchia ecologica occupata, iniziarono ad adottare una gamma di comportamenti funzionali a un positivo adattamento. La necessità di nuovi comportamenti permetterà agli individui maggiormente predisposti alla loro produzione di sopravvivere con maggiore probabilità, il che porterà alla diffusione di quei fenotipi più adatti a far fronte alle nuove condizioni ambientali, promuovendo così il cambiamento, cioè l’evoluzione, delle specie esistenti verso nuovi pattern funzionali o vere e proprie specie differenti.

    Proprio durante questo processo, alcune specie arboricole furono spinte a scendere dagli alberi della foresta pluviale per provare ad inoltrarsi nella savana alla ricerca di cibo. Fu un cambiamento straordinario, un cambiamento che non poté che essere favorito dall’adozione della posizione eretta. La ricerca di una simile innovazione (una camminata bipede allo stesso tempo utile a percorrere lunghi tragitti e a garantire adattabilità a nuovi ambienti) fece sì che gli individui maggiormente predisposti per la posizione eretta avessero decisi vantaggi sugli altri. Tale vantaggio richiedeva, nel corso del tempo, l’emergere di specifiche caratteristiche morfo-funzionali: lo sviluppo delle ossa del bacino, la perdita dell’alluce opponibile e la desincronizzazione respiro-passo[1] favorirono la deambulazione bipede, mentre gli arti superiori furono liberati dalla funzione di locomozione; la polivalenza delle mani, utilizzabili per manipolare strumenti, comunicare, processare i cibi e così via, permise la liberazione della mascella da una parte dei compiti di masticazione, che facilitò, a sua volta, lo sviluppo volumetrico della scatola cranica, che, grazie all’arretramento della mandibola, allo spostamento in avanti dell’innesto del midollo allungato nella teca cranica e alla generalizzata diminuzione dello spessore dei muscoli connessi alla testa (in virtù della posizione eretta, che permette al cranio di scaricare il suo peso sulla colonna vertebrale invece di gravare verso il terreno) poté assumere, poco alla volta, la conformazione e la capacità attuale (attorno ai 1250 cm³).

    Questa evoluzione determinata da un intreccio di caso e necessità[2] portò alla nascita della specie Australopithecus. In realtà, data la grande differenziazione di reperti, è stata creata un’ulteriore suddivisione della specie in: Australopithecusafarensis, Australopithecusafricanus, Australopithecusrobustus, Australopithecusboisei, Australopithecusanamensis e Australopithecusaethiopicus (queste ultime due ancora poco conosciute).

    La statura di un Australopitecino era circa tra il metro ed il metro e cinquanta. Rispetto all’uomo moderno aveva tronco e arti inferiori simili, ma le braccia in proporzione più lunghe; il bacino femminile era leggermente diverso, forse a causa di un parto differente.

    Anche l’andatura di questi ominidi era simile alla nostra: testimonianza di ciò è data dallo scheletro di un australopiteco afarensis, chiamato Lucy, e le tracce lasciate da tre individui che camminarono su uno strato di cenere vulcanica probabilmente dopo un acquazzone, in cui si vedono le impronte di due individui che evidentemente camminavano in posizione eretta alla ricerca di un rifugio.

    L'Australopithecus afarensis visse in Africa orientale tra i 3 e i 4 milioni di anni fa; ritrovato in Etiopia (nella regione dell'Afar) e in Tanzania, aveva una scatola cranica, o neurocranio, di volume leggermente superiore a quello degli scimpanzé di circa 400-500 cm³ (1/3 del nostro cervello), la sua struttura era bassa e larga e il foro occipitale (l’innesto del midollo spinale all’interno della scatola cranica) spostato all’indietro. Alla nuca molto larga si attaccavano tendini di una muscolatura potente.

    L’apofisi mastoidea era ridotta e anche la scatola cranica si ristringeva in corrispondenza delle arcate zigomatiche per allargarsi nelle arcate sopraorbitarie. Alcuni esemplari possedevano canini alquanto più sporgenti di quelli di ominidi successivi.

    La faccia, o splancnocranio, mostrava zigomi accentuati e larghi, mascella e mandibola prominenti in avanti e dentatura massiccia.

    Probabilmente circa 3 milioni di anni fece la sua comparsa un essere più evoluto, l'Australopithecus africanus, ritrovato soprattutto in siti dell'Africa meridionale. Quest’ultimo, si presume possedesse un cervello simile a quello del suo predecessore; tuttavia, nonostante le notevoli dimensioni dei premolari e molari, i canini non sporgevano più rispetto agli altri denti. Probabilmente, inoltre, era capace di utilizzare oggetti reperibili in natura, come ossa e corna di animali, senza però essere in grado di costruirne di nuovi. Da questi primi ominidi alla comparsa homo sapiens, l’unica specie nel genere homo sopravvissuta[3], passarono circa 3 milioni di anni.

    Nel corso degli ultimi 100.000 anni fa la sua comparsa l’homo sapiens, lo stadio attuale dell’evoluzione umana.

    Le ossa sono lunghe e sottili, le pelvi si restringono per permettere una migliore locomozione, la mano affina la capacità di manipolazione. Cade lo sbarramento prefrontale, cioè il cranio sviluppa una concavità frontale capace di alloggiare l’espansione anteriore del cervello (le specie meno evolute mostravano invece una fronte sfuggente): il cervello ha così spazio per espandersi, dando origine a quel processo complesso che è all’origine della nostra intelligenza, caratterizzata da processi di elaborazione altamente specializzati (si pensi, ad esempio, allo sviluppo della vista), ma anche da aree associative, che permettono l’integrazione di più modalità sensoriali, la pianificazione spaziale e temporale dei comportamenti e dei processi di pensiero, favorendo così l’emergere dell’intelligenza strumentale, l’intelligenza sociale, l’intelligenza emotiva e, soprattutto, la creatività.

    La deambulazione di H. Sapiens è sicura, compie passi lunghi con movimento crociato (gamba sinistra-braccio destro), ciò a testimonianza dell’evoluzione della corteccia motoria, capace ora di elaborare, modulare e controllare volontariamente il movimento sempre più specifici e precisi.

    Grazie alla capacità di coordinamento motorio e allo sviluppo di competenze cognitive sempre più evolute, h. sapiens è stato in grado di sviluppare un alto grado di tecnicismo nel costruire strumenti,. Dalla costruzione di strumenti, infatti, h. sapiens è andato generando comportamenti e realizzando opere apparentemente non legate a uno sviluppo razionale della specie, né a garantire la relativa sopravvivenza. Testimonianza di ciò sono le prime forme d’arte: dipinti e sculture che mostrano l’emergere di un modo diverso, alternativo, non solo di vedere le cose, ma anche di elaborarle e utilizzarle a proprio favore. E’ probabilmente proprio la comparsa di una qualche forma d’arte che più di tutto sembra testimoniare l’emergere di un pensiero non strettamente strumentale e, forse, dei primi barlumi di auto-coscienza. Queste prime testimonianze di una forma diversa di cognizione possono essere fatte risalire a circa 30000 anni fa. Si pensi, ad esempio, che le più antiche pitture rupestri, quelle ritrovate nella grotta di Chauvet, nel sud della Francia, sono datate a 32000 anni fa. Se i segni iconografici sulle rocce possono essere considerati segni dell’esistenza di un pensiero auto-cosciente, allora dovremmo pensare che i precursori di un tale pensiero si debbano trovare ben prima.

    Tuttavia, il passaggio dalla cultura orale all’invenzione della scrittura richiederà un tempo molto lungo, se pensiamo che le abilità di tracciare segni iconografici potrebbero essere considerati ottimi precursori della scrittura. Tuttavia, due considerazioni sono necessarie:

    - Le pitture rupestri sono distribuite in modo molto eterogeno nei territori abitati da homo sapiens. In alcune aree le incisioni risalgono a decine di millenni prima di Cristo, in altre sono molto più recenti. Ciò potrebbe significare che le pitture più antiche potrebbero essere state realizzate in luoghi non adatti allo sviluppo completo di homo sapiens o addirittura alla sua sopravvivenza. Cosicché non è in queste aree che si troviamo lo sviluppo delle più importanti civiltà umane.

    - Il passaggio dal segno pittorico, iconografico, alla scrittura implica in realtà un passaggio molto complesso da un punto di vista cognitivo. Nonostante nella capacità pittorica o segnica ci siano già i precursori necessari a sviluppare la tecnologa della scrittura, quest’ultima richiede lo sviluppo di un pensiero diverso, non più analogico o per immagini, bensì digitale, fatto dalle combinazioni di simboli che connettendosi consentono di creare un significato diverso da quanto rappresentato dai segni stessi. L’emergere di un pensiero digitale e combinatorio, allora, potrebbe richiedere ben altre competenze cognitive rispetto a quanto richiesto dal segno pittorico. Tuttavia, l’esistenza di questi rappresentazioni può significare che la mente di homo sapiens aveva già una struttura simile alla nostra e conformata attorno al bisogno (e al relativo piacere) di raccontare e non solo di comunicare. Le rappresentazioni rupestri, infatti, non sembrano avere un ruolo pedagogico, ma piuttosto didascalico, una sorta di commento visivo alla narrazione che probabilmente forniva il collante culturale di piccole comunità. Prima di poter scrivere i propri racconti, l’uomo ha dovuto sviluppare un pensiero diverso da quello analogico, e ciò presuppone una necessità diversa da quella di raccontare: probabilmente la necessità di annotare. Infatti, mentre le storie sono molto ben ricordate dal cervello umano grazie alla struttura metrica e alla struttura narrativa (dialogica) dei contenuti, la limitata memoria umana poco si adatta ad annotare dettagli e particolari non associati fra loro (la sequenza sincronica dei fatti), come una lista di sillabe o un registro commerciale. Da qui la necessità di sviluppare supporti esterni alla memoria, in altre parole una qualche forma di memoria di massa. A questa necessità l’uomo poteva già rispondere utilizzando competenze già acquisite e sviluppate in precedenza, appunto l’incisione di rocce e di altri materiali, che potevano svolgere ruoli assolutamente diversi da quanto fatto in precedenza. E’ forse questo il trigger di una nuova forma di pensiero, non più narrativo, bensì annotativo e, quindi, necessariamente semplificato, schematico, digitale. Questo passaggio, tuttavia, va considerato lungo, anzi probabilmente, in continuo divenire, visto che tuttora le due forze di pensiero non sono separate, ma in continua interazione, al servizio entrambi di una medesima mente intelligente.

    Possiamo dunque considerare il percorso evolutivo di Homo Sapiens segnato da almeno 3 momenti fondamentali: l’evoluzione della postura eretta, l’aumento del volume cerebrale e l’evoluzione di un prolungato periodo di cura parentale. Questi tre processi sono ovviamente interrelati. In particolare, la postura eretta ha permesso un cambiamento morfologico fondamentale della posizione e della dimensione del cranio, con la successiva liberazione occipitale (fossa cranica) e frontale. Allo stesso tempo, la liberazione delle mani (non più impegnate in modo sistematico in compiti di locomozione sia a terra sia sugli alberi) permise lo sviluppo di abilità già presenti nell’animale, cioè l’uso di strumenti per raggiungere determinati obiettivi. Le abilità necessarie alla manipolazione di vari oggetti/strumenti sono infatti presenti in diversi primati superiori e non necessitano, dunque, di uno sviluppo cerebrale simile a quello umano. Di conseguenza, possiamo immaginare che la liberazione delle mani abbia dato semplicemente l’opportunità all’organismo di usare competenze cognitive e motorie già presenti e in precedenza semplicemente latenti, dando così origine a un processo virtuoso di feedback reciproco fra mano e cervello, cui tuttora assistiamo (anche se non è facile spiegarne la traiettoria filogenetica da un punto di vista biologico). Infine, l’espansione del cranio e, conseguentemente (o fortunatamente) del cervello, ha comportato anche un processo di calibratura morfologica dell’intero corpo di Homo sapiens, che come in tutti gli organismi deve mantenere un equilibrio funzionale, affinché i pesi siano sopportabili dallo scheletro, ma permettendo anche un’adeguata motricità. Di conseguenza, la dimensione del cranio non poté espandersi all’infinito, ma il volume e il peso relativo dovettero soddisfare precise necessità morfologiche e funzionali. Non solo il cranio, tuttavia, si modificò a seguito della postura eretta, ma anche il busto e il bacino, con la formazione di un angolo fra anca e femore diverso dagli altri primati e funzionali a una camminata (e persino una corsa) bipede. Ciò è vero anche in relazione al parto. Il neonato umano, infatti, nasce piuttosto prematuro rispetto agli altri primati, avendo alla nascita solo il 23% del peso che avrà da adulto. Ciò è probabilmente dovuto alla necessità di partorire un feto con un volume cranico piuttosto ampio (ma non ancora calcificato completamente e quindi non totalmente rigido), partendo da un bacino ristretto (come detto funzionale a una camminata e una postura equilibrata). Questa necessità del tutto morfologica ebbe un importante conseguenza, in quanto homo sapiens dovette sviluppare competenze genitoriali specifiche, basate sull’accudimento, la protezione e la trasmissione di competenze via via più complesse. Ciò rese il legame genitore/figlio molto importante e influenzò lo sviluppo della società primitiva, così come la divisione dei ruoli fra i generi. E’ inoltre possibile che una prolungata relazione genitore/figlio abbia permesso lo sviluppo di processi di apprendimento e di trasmissione culturale più fini e sofisticati di quanto avvenga in altri primati. Inoltre, un periodo di accudimento sotto la protezione genitoriale permette al bambino una maggiore esplorazione dell’ambiente, il che produce un’intensa stimolazione del cervello in formazione, che, in questo modo, è stimolato attraverso l’esperienza a sviluppare competenze motorie e cognitive fondamentali per le successive fasi evolutive. In questo senso, il concetto di rischio è fondamentale. La sicurezza (funzione di attaccamento) e il supporto (funzione di scaffolding) fanno sì che la relazione genitoriale conferisca al bambino la possibilità (il coraggio) di correre quei rischi esploratori (rottura della routine o, se si vuole, dei programmi educativi) che un organismo maturo non correrebbe. Questi rischi permettono al cervello un’esperienza ricca ed eterogenea e la costruzione, dunque, di quell’architettura concettuale che servirà da base cognitiva per lo sviluppo del linguaggio e di tutte le funzioni cognitive più sofisticate.

    Approfondimento I: Pensiero e tecnologia[4]. Evoluzione della memoria di massa: come si amplia la mente umana dal neolitico a oggi.

    Riportiamo di seguito una schematica rassegna delle tecnologie di scrittura di cui si sono trovati reperti. Lo schema rappresenta solo alcune tappe di questa storia e vuole avere solo un valore indicativo non trattandosi di una trattazione esaustiva. E’ importante sottolineare come l’invenzione della scrittura non consenta solo di espandere la memoria umana (dando vita così alla storia) tanto nello spazio, quanto nel tempo. La scrittura permette anche di facilitare i processi di pensiero, il ragionamento, il problem solving. Ad esempio, attraverso la scrittura è possibile effettuare calcoli molto sofisticati, impossibili a mente. Tuttavia, la scrittura richiede a monte lo sviluppo di almeno due cose: una tecnologia e una metodologia d’uso. La tecnologia rappresenta il presupposto di base. La pietra è una superficie dura, poco adatta a conservare parole. Tuttavia, l’evoluzione nella lavorazione di queste superficie (per altri scopi) può avere aperto poco alla volta una possibilità nuovo di utilizzo. Quando la tecnologia di lavorazione di un materiale è disponibile e quindi necessario pensare come utilizzarlo in concreto, cercando di adattare pensiero e azione, cioè le proprie intenzioni con quanto è effettivamente fattibile. Per esempio, i Sumeri (circa 3000 anni prima di Cristo), precoci scrittori, utilizzarono tavolette d’argilla invece che di pietra e ciò resa la tecnologia necessaria al relativo uso più semplice (l’argilla è facilmente segnabile). Tuttavia, l’argilla non rende facile la scrittura in quanto non è semplice lasciare segni curvilinei ben distinti. Risulta invece più agevole usare punzoni in grado di lasciare segni definiti simili a timbri. Ciò implica però l’uso di un alfabeto stilizzato, semplice da utilizzare attraverso dei punzoni, come appunto i segni cuneiformi dei Sumeri. I latini, invece, sfruttando soprattutto la pietra e il papiro divennero abili nella scrittura epigrafica, per poi sviluppare una vera e propria tecnologia della scrittura, da una parte aspirando alla bellezza dei caratteri (si vedano le incisioni monumentali) dall’altra realizzando una forma di scrittura più annotativa e veloce, cioè il corsivo (possibile grazie all’uso di inchiostro su superfici quali il papiro). Tuttavia, se da una parte i latini divennero scrittori evoluti (il che ebbe sicuramente un rilevante impatto sulla sistematizzazione del pensiero i cui riflessi sono ben visibili, in primo luogo, nel lavoro degli storici e dei giuristi) non seppero estendere la tecnologia della scrittura al pensiero matematico, cioè non svilupparono una metodologia d’uso della scrittura al servizio di quest’ultimo. I latini, infatti, utilizzando un sistema numerico ordinale, tendevano a usare l’abaco e il pallottoliere come ausili ai calcoli, mentre, seguendo la tradizione greca ed egizia, la teoria matematica si basava essenzialmente sull’uso delle immagini, cioè sulla geometria[5]. In pratica, i latini non conoscevano le regole e gli algoritmi dell’algebra. Furono invece gli orientali (indiani, ebrei, persiani e arabi) a sviluppare il sistema numerico attuale[6], basato su regole combinatorie di numeri e lettere facilmente riproducibili su un supporto di massa (un quaderno, ad esempio), che sarà introdotto in occidente solo nel XII secolo DC. Da quel momento in poi, la storia della matematica prenderà una strada apparentemente in discesa che contribuirà allo sviluppo della fisica e dell’ingegneria moderna. Insomma una tecnologia non ha bisogno di una metodologia in grado di tradurre il pensiero in strumenti (tecnologici). Pensiero e tecnologia sono sempre in interazione reciproca e reciprocamente contribuiscono al relativo sviluppo. Per avvicinarci a noi, pensiamo alla tecnologia touch. Questa è già disponibile da diversi anni, ma solo con la diffusione dei tablet e degli smartphone ha assunto un’importanza rilevante, cognitiva e tecnologica. Solo dieci anni fa uno schermo touch era una curiosità per molti senza futuro.

    - Cultura orale (50000 – 5000 AC) -> memoria di massa = 0, la mente umana non sfruttava, consapevolmente, alcuna memoria di massa

    - Invenzione della scrittura (5000 – 200 AC) - > memoria di massa su tavolette di pietra, limitazione data dalla difficoltà tecnica e dal

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1