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Un cielo così sporco
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Un cielo così sporco

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Una misteriosa agenzia - Oracoli & Miracoli - si incarica di trovare scappatoie per i politici, gli industriali, i giornalisti, e insomma tutti quanti siano rimasti presi nella rete dei giudici. Sullo sfondo di Tangentopoli, di Mani pulite e della fine della Prima Repubblica, i tre componenti dell'agenzia (il grasso Senatore, il Giovane rampante, e il brasiliano Oscarzinho) si impegnano a fondo e a caro prezzo perchè, come al solito, tutto cambi senza che cambi nulla e la Seconda Repubblica non sia che una ripetizione della prima. Il romanzo degli scandali e della crisi morale italiana.
LanguageItaliano
PublisherFranco Mimmi
Release dateNov 20, 2014
ISBN9786050337686
Un cielo così sporco

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    Un cielo così sporco - Franco Mimmi

    Franco Mimmi

    UN  CIELO  COSÌ SPORCO 

    A Norberto Bobbio

    in memoriam

    So foul a sky clears not without a storm

    (W.Shakespeare, King John)

    Il 13 gennaio del 1994, Sant’Ilario per chi ci crede, si chiuse l’undicesima legislatura, ultima della Prima Repubblica Italiana, e si aprì la strada alla Seconda Repubblica.

    In realtà, disse il Senatore, sono quasi vent’anni che viviamo nel Secondo Impero.

    Entrò nella portineria per il solito assalto al televisore acceso - Écrasez l’Infâme! gridò tempestandolo di pugni - e riprese a grandi passi la via del bar per la quotidiana cioccolata in tazza.

    Come è potuto accadere? gli chiese il giovane.

    La storia è l’avvenire dell’irreparabile, citò il Senatore.

                                                I

    Nel suo primo giorno di lavoro (quasi un anno prima), la festosa irruzione e il grido di guerra del Senatore in portineria furono per il giovanotto uno spettacolo sconcertante, come lo era stato vederlo passare la mattina in poltrona con un grande vaso di maionese in grembo.

    A intervalli brevi e regolari l’uomo grasso intingeva l’indice destro e poi se lo ficcava in bocca sporgendo e chiudendo le labbra attorno al dito, come un culo di gallina: un po’ della pasta giallastra restava agli angoli della bocca e magari un grumo sul mento, lasciando il muso unto. Più tardi invece, nel bar, sotto un’espressione estatica, la lingua inseguiva una citazione sull’avvenire della storia mentre cancellava a piccoli tratti la riga marrone del cacao attorno alle labbra.

    Il giovanotto distolse gli occhi ma incontrò quelli di Oscarzinho, azzurri e illeggibili nella maschera di pelle bruna e crespi capelli bianchi. Riportò in fretta lo sguardo sulla faccia lucida del Senatore e cercò di pensare a cose innocue.

    Perché in francese? domandò.

    Siano Chiesa o Televisione, rispose enigmaticamente il Senatore, all’originale non c’è alternativa.

    Il giovane, la memoria allenata nel master del Massachusetts Institute of Technology, prese mentalmente nota di tutto: écrasez la storia e l’irreparabile. Solo doveva decidere a chi chiedere, nella città da poco ritrovata dopo gli studi all’estero, e pensò al suo professore di filosofia del liceo perché erano rimasti legati da un’antica diffidenza.

    Di ritorno in ufficio (Oracoli & Miracoli: Agenzia di consulenze il cui nome, gli aveva spiegato il Senatore, invita inutilmente a non prendersi sul serio e viene bene nelle lingue straniere se si decide per una multinazionale: Oracles and Miracles, Oracles et Miracles, meno bene Oraculos y Milagros e è un peccato, per via del rampante mondo iberico), accantonò il pensiero: il Senatore riceveva un cliente e lo voleva accanto a sé, il suo lavoro incominciava.

    Il cliente era vestito di grigio con camicia a righe e cravatta a staffine (elegante, pensò il giovane sfiorando con le dita la propria cravatta a elefantini), e aspettando le risposte inclinava leggermente il capo. Il Senatore gli fece cenno che poteva fidarsi, presentò il giovane e il nome finì di convincere il cliente, che però restò incognito e espose brevemente lo stato delle cose. Di tanto in tanto interrompeva il racconto per cercare conforto e il Senatore glielo offriva. È ovvio, diceva, oppure: Non poteva fare altrimenti, o anche: Non le lasciavano alternativa.

    Quando poi l’altro ebbe finito, e con il capo leggermente reclinato aspettava l’oracolo, il Senatore si rivolse al giovane e disse: Che ne pensa?

    Se va bene è la bancarotta, disse il giovanotto sollevando gli occhi dal blocco degli appunti.

    Il Senatore e l’interessato annuirono, tutti rimasero in silenzio per alcuni istanti e poi il Senatore disse: Sarebbe dovuto venire prima, la fase degli oracoli è sempre più facile di quella dei miracoli. Mi lasci pensare. Ci lasci pensare. Torni tra due giorni e parli con il mio assistente.

    Lei non ci sarà? chiese l’uomo, contrariato.

    Il mio consiglio è di parlare con il mio assistente, disse il Senatore.

    Un uomo elegante, disse il giovanotto.

    Il Senatore stava lottando per svitare il coperchio del vasetto. Free-shop, disse.

    Un po’ a disagio, il giovane si coprì la cravatta con un gesto noncurante della mano, come dovesse spazzare via delle briciole. Perché non vuole vederlo? chiese.

    Me lo dica lei, rispose il Senatore guardando fisso nel vaso di maionese.

    L’altro ci pensò un momento e applicando il rasoio di Occam scartò le ipotesi complicate. È bruciato, disse.

    Il Senatore annuì: Lo hanno gonfiato, poi lo hanno succhiato e lo hanno prosciugato come tanti altri prima di lui. Ora deve decidere se la posizione gli interessa tanto da rischiare un caffè troppo amaro,  o se si accontenta del denaro e in questo caso gli basterà un po’ di tempo. Ma la vera ragione non è questa.

    Il giovane si era perduto. Di che cosa? chiese.

    Per non volerlo vedere, disse il Senatore. Immerse il dito nella maionese e poi lo succhiò a lungo, a occhi chiusi.

    Dopo molto tempo il giovane sollevò un polsino della camicia a righe blu per guardare l’orologio, si alzò e uscì dallo studio, Oscarzinho lo aiutò a infilare il cappotto e gli rassettò il bavero con pochi gesti esperti. Scese e si fermò a parlare dell’assalto alla tv con il portiere, che annuì: accadeva spesso, quasi tutti i giorni. Il signor Senatore diceva di non essere contrario alla televisione ma che era una questione di principio, diceva il signor Senatore. Di più: una questione filosofica, diceva il signor Senatore.

    Questo convinse il giovanotto, che chiamò il professore al quale era legato da un’antica diffidenza. Quella sera, però, non aveva tempo, aveva un appuntamento: ma quando era tornato, gli chiese, e che faceva con chi?

    Dice che siamo come Nero Wolfe e Archie Goodwyn, però cattivi, spiegò il giovanotto nel telefono.

    Ci fu un momento di silenzio e poi il professore gli disse un’ora, un indirizzo e il nome di una trattoria. Era alla buona: Per curare i miei scrupoli, disse il professore.

    Così sei tornato, disse in trattoria, master e tutto.

    E tutto, disse il giovane. Lei invece, ho saputo, è passato all’università. Complimenti.

    Non mi sono mai fidato di te, disse il professore, sono sicuro che avrai successo.

    Il giovane annuì. Però, si scusò, aveva appena incominciato.

    Gli disse il nome del Senatore e l’altro fece di sì, conosceva, ricordava: al governo per anni, sottosegretario in vari ministeri, ministro anche, e poi scomparso. Dopo una lunga malattia, si era detto, e molte altre cose. Tornato anche lui, dunque, ma dove era stato, tanto tempo?

    Dal Brasile, spiegò il giovane, molti anni in Brasile. Si è anche riportato un maggiordomo e factotum: Oscar Niemeyer detto Oscarzinho.

    Nientemeno. Ma sempre in contatto con tuo nonno che sta, se ricordo bene, lassù in Canada, disse il professore.

    Sempre, annuì il giovane, e poi raccontò: Si chiama Oracoli & Miracoli perché può venire bene in molte lingue, caso mai una multinazionale, un po’ meno in spagnolo. È un’agenzia di consulenze, con  regolari fatture. Ottimo stipendio, molto da imparare. Il nonno garantisce.

    E se garantisce il nonno, disse il professore facendo un gesto con la mano.

    Del cliente il giovanotto disse: Elegante, vestito grigio, camicia a righe, cravatta a staffine o forse nodi Savoia.

    Free-shop, disse il filosofo, e l’altro lo guardò con curiosità.

    Puoi parlarne? chiese il filosofo.

    Il giovanotto sorrise: Con lei? Mi sento assolutamente sicuro.

    L’altro si strinse nelle spalle. So che non è un complimento. Dimmi di Free-shop.

    È una banca media, né grande né piccola.

    Questo avresti dovuto dirlo prima, disse il professore.

    Ma ho appena incominciato.

    Quello del né grande né piccola: prima del media. Non ha senso dirlo dopo: hai già detto che è media, ossia né grande né piccola. Ma se fai al contrario allora va bene: fai la sintesi, tiri le somme.

    Una banca media, disse il giovanotto.

    Una donna si sedette con loro. Il professore gli fece cenno che poteva fidarsi e li presentò. Quando era già accaduto tutto questo? si chiese il giovanotto. Strinse la mano, valutò dieci anni meno del professore e dieci più di lui. Le riassunsero brevemente.

    Come ci sei finito? chiese la donna.

    Lui fece un gesto evasivo con la mano: È amico di mio nonno, rispose.

    Quello che scappò in Canada? chiese lei.

    Quello che vive in Canada, disse lui.

    Una banca media, dunque, ma appena tre anni prima una piccola banca. In tre anni due aumenti di capitale, triplicato il giro dei crediti, preferita da grandi aziende, alti gli utili, inarrestabile la quotazione in borsa. E adesso, un’ispezione della Banca d’Italia e nessun coefficiente in regola: liquidità irrisoria, forte esposizione nell’interbancario e a tassi altissimi, grossi pacchetti di azioni proprie acquistati per sostenere la quotazione e parcheggiati in compagnie strumentali, percentuale di crediti morosi superiore al quindici per cento. Sapevano di economia? Seguivano? Poco ma seguiva, disse il professore.

    Lei sapeva. E anche di filosofia sapeva, a modo suo. Per inserire nel tutto nazionale ciò che era accaduto nell’atomo-banca spostò il bicchiere, disegnò uno stivale dentro il cerchio bagnato e toccò un punto all’interno del cerchio. Noi siamo qui, disse. Poi toccò tre punti sulla circonferenza e disse: Leviatano o lo spirito della superbia, Mammone o lo spirito dell’avarizia, Asmodeo o lo spirito degli amori impuri.

    Quanto agli amori, il giovanotto non capiva.

    Verranno, disse la donna, non mancano mai.

    Il professore la guardò per un attimo e poi disse: Lilith o la corruttrice degli adolescenti. La donna rise.

    Che soluzione proporrai? chiese il professore.

    Ancora non so, rispose il giovane, devo parlare con il Senatore. Pensavo a un altro aumento di capitale, il più grande possibile, diciamo mille miliardi di lire di cui un terzo piazzato negli Stati Uniti, ma qualcuno deve convincere la Banca d’Italia a dare buone referenze. Questo qualcuno chiederà un prezzo tanto alto da rendere quasi inutile l’aumento di capitale, ma il nostro cliente guadagnerà almeno sei mesi, forse un anno. Questo, o un altro dei trucchi che hanno fatto fallire le casse di risparmio americane.

    Ideale, disse il professore con ironia, ma lui si strinse nelle spalle perché non vedeva altre soluzioni.

    Lo farebbe chiunque, disse.  E ora la tv. Écrasez l’Infâme! Vi dice niente?

    Il professore era stupito: Da te non me lo aspettavo, disse.

    Il racconto lo rassicurò (La Chiesa e la Televisione, eh? Il tuo Senatore incomincia a piacermi), e spiegò: Un grido di battaglia. François Marie Arouet, ricordi? Voltaire. Le religioni: le radici dell’intolleranza, della mancanza di libertà e dell’ingiustizia.

    Il giovanotto aveva preso nota. Fece la seconda domanda, sull’avvenire dell’irreparabile, ma non sapevano.

    Anzi, disse il professore, chiediglielo, che mi interessa.

    Lui fece segno di sì e pensò che il Senatore sapeva troppo di filosofia. Non me l’aspettavo, pensò, dovrò stare attento: un uomo pericoloso.

    Due giorni dopo il cliente era in ufficio e sul giornale, e gli sventolò il titolo davanti al naso.

    Si rende conto? gridò.

    Il giovane si strinse nelle spalle.

    Il giornale lo abbiamo letto anche noi, disse, e l’avverto che il Senatore è piuttosto seccato. Si guardi attorno un po’ meglio, perché la notizia non è certo uscita da qui. Il Senatore le ricorda che il titolo sta crollando e che i giudici, a questo punto, non possono tardare, perciò le sarà grato per una sollecita partenza.

    Il banchiere si arrotolava attorno all’indice destro gli animaletti della cravatta e ci teneva gli occhi fissi, come se volesse contarli via via che li schiacciava.

    Qual è il suo consiglio? chiese.

    Un affidavit, se non è troppo tardi e se c’è qualcuno disposto, disse il giovane.

    L’uomo alzò le spalle e le tenne così, come per ripararsi dal brivido di un ricordo. Non voglio finire appeso sotto un ponte, disse.

    Il giovane annuì perché trovava la preoccupazione ragionevole. Era spiacente, ma davvero era venuto troppo tardi, nella fase dei miracoli inoperabili. Guardò il banchiere e fu certo che si sarebbe accontentato dei soldi, ma quando gli consigliò la latitanza l’altro si inalberò.

    Lui si strinse nelle spalle. Lo fanno tutti, disse, e da lì si contratta per tornare restando in infermeria un paio di giorni. Documenti per negoziare non dovrebbero mancarle.

    Lo accompagnò alla porta e salutandolo gli mise in mano una busta, poi si infilò il cappotto e scese anche lui. Il Senatore aveva appoggiato la tazza della cioccolata sul vetro del flipper e manovrava la macchina con precisione e delicatezza, Oscarzinho manifestava la sua approvazione con piccoli cenni di testa.

    Sarà nella sua casa di Parigi, disse il giovane, mi ha lasciato il numero. Ma mi sembra di capire che lei non lo chiamerà.

    Il Senatore tentò invano di sbarrare la strada alla biglia d’acciaio, ne sparò un’altra. Ognuno ha le sue fobie, disse, e io non sono disposto a fare miracoli per un banchiere.

    Sono peggiori degli altri? chiese il giovane.

    Un’altra biglia era fuggita, il Senatore bevve un sorso denso e caldo a occhi chiusi e poi si leccò le labbra e tirò un’altra pallina.

    No, naturalmente, disse, è per solidarietà con Oscarzinho, che non li sopporta.

    Il giovane guardò Oscarzinho che rimase impassibile, ma il Senatore si assunse l’onere di lottare contro la biglia e spiegare al tempo stesso.

    Giorni di valuta sottratti, disse, commissioni indecenti e indebite, rubano ai piccoli clienti soldi che poi sono incapaci di gestire, gli unici prestiti senza usura e senza garanzie esose li fanno ai partiti, ovvero gli unici enti che non hanno garanzie da dare e non ispirano alcuna fiducia.

    Ondeggiò i grandi fianchi, in un tentativo di convincere la macchina a non inghiottire un’altra pallina, e questa volta riuscì. Oscarzinho, con le punte delle dita appoggiate al flipper, annuì con inconsueto vigore e non si capiva se all’odio per le banche o alla vittoria sulla macchina.

    Il giovane si strinse nelle spalle. Davvero? chiese vagamente, ma non ascoltava più e guardava la pallina rimbalzare tra le luci, chiedendosi perché lei (certo lui no, non il professore) lo avesse raccontato ai giornali.

    Non gli importava, in realtà, e quando nel pomeriggio lei lo chiamò pensò di chiederglielo ma poi non ne fece niente. Cenarono in un ristorante privo di scrupoli e andarono a letto, lei gli faceva domande e lui rispondeva.

    Perché ti dico queste cose? le chiese.

    Per venire a letto con me, disse lei.

    E perché vuoi saperle?

    Per venire a letto con te.

    Ci verresti, se non te le dicessi?

    Assolutamente no.

    Allora va bene, disse il giovanotto.

    La fece voltare. Stringendosi al petto la schiena di lei, e le natiche all’inguine, le mise la bocca accanto all’orecchio e incominciò a parlare.

    Oggi è venuto un giornalista, disse.

    Famoso?

    Molto.

    Allora va bene, sospirò la donna, mettimelo dentro e racconta.

    Incominciò a frugarla dolcemente. Lui lo chiama Creepin’ Life, dice che è un adattamento, quasi una citazione.

    Da Gershwyn, disse lei, vai avanti.

    A parlare?

    Anche.

    Lavora in un giornale, quasi lo dirige, ma vuole passare a un altro. 

    Perché?

    Perché teme che non gli lasceranno dirigere quello in cui sta.

    Da quale a quale?

    Questo non posso dirtelo, disse lui muovendosi un po’ più veloce.

    Lei rabbrividì: Non così, disse, non devi fare così. Vai piano. Adesso dimmi: da che giornale a che giornale?

    Lui si mosse ancora più veloce, cercando di barare, ma ormai la sorpresa era passata: con un colpo di reni lei si liberò. I patti non sono questi, disse.

    Mi piace romperli, disse lui cercando invano di trattenerla.

    La donna si rivestiva, ma non era arrabbiata. Se non rispetti i patti chiudiamo subito, disse.

    Il giovane scosse la testa, sorridendo. Nessuno rispetta i patti, se può farne a meno. Io posso andare a letto con altre donne ma nessuno può dire a te quello che posso dirti io.

    Lei aveva pensato che su un master del Mit avrebbero fatto effetto le giarrettiere, ma a lui piacevano i collant.

    Si portano ancora? chiese mentre lei agganciava la calza.

    Non me l’aspettavo, pensò la donna, dovrò stare attenta. Un giovane pericoloso.

    Vorrei fare davvero un patto con te, disse lisciandosi la calza e sollevandosi un po’ sulla sedia per riabbassare la gonna.

    Sesso per informazioni, la precedette lui.

    Scese dal letto e andò a inginocchiarsi davanti a lei, infilò una mano sotto la gonna e sotto una giarrettiera e le calze incominciarono a piacergli.

    Rude ma esatto, disse lei.

    Fino a che avrò voglia di fare l’amore con te, disse il giovane.

    Fino a che mi interesseranno le tue informazioni, disse la donna.

    La mano di lui saliva ma lei poteva rabbrividire o anche no, decise di sì e si lasciò prendere sulla sedia. Che cosa c’era nella busta che gli hai dato? chiese.

    La fattura, disse lui.

    Nient’altro?

    L’oracolo che accompagna tutte le fatture, di pugno di Oscarzinho. In questo caso era: Passarinho que come pedra sabe o cu que tem.

    Non si era mai fermato perché questo parlar d’affari con tanta chiarezza, quasi onestà, lo eccitava, ma si fermò lei: Che hai detto? chiese.

    Lui la rimise in moto e ripetè la frase. È brasiliano, spiegò, me lo sono fatto ripetere da Oscarzinho per poterlo pronunciare bene, mi sembra un detto molto carino.

    Caddero sul tappeto e dissero altre parole, si insultarono e si incontrarono nell’eccitazione verbale e nell’orgasmo.

    Alla lettera, tradusse il giovane, passerotto che mangia pietre sa che culo ha. Vuol dire che se ti carichi di un peso eccessivo devi sapere che dopo non puoi volare via. Il Senatore ha una fissazione per il Brasile, ogni tanto lui e Oscarzinho se ne dicono qualcuna così e poi scelgono quella da accludere alla fattura. L’oracolo, insomma.

    Sulla porta lei ci provò ancora. Da che giornale a che giornale? chiese, ma lui scosse la testa.

    Molto importante, disse sorridendo, quasi un direttore.

    La mattina dopo strinse la mano a un presidente, anch’egli molto elegante in una vigogna grigia e cravatta con cani e gatti. Anzi, disse il Senatore mentre il cliente si insediava nella poltrona davanti alla scrivania, un pluripresidente, non è vero?

    L’altro sorrise e annuì, e il giovanotto tolse il cappuccio alla penna stilografica che aveva comprato al free shop sull’aereo di ritorno dagli States. Il cliente annuì di nuovo e disse il nome di un grande ente, ma il Senatore lo fermò alzando l’indice un po’ unto.

    Per ordine, disse, dalla prima presidenza.

    Nella sua qualità di medico, di esperto del sistema sanitario e di socialista, era stato nominato presidente di una Unità sanitaria locale. Questo fu sei, no, sette anni fa. Grande quanto? Trecento miliardi di bilancio.

    Il giovane alzò gli occhi: Trenta miliardi? chiese.

    L’altro scosse la testa: Trecento. Trecento miliardi.

    Questo gli aveva permesso di farsi una bella esperienza e di conoscere i responsabili della cassa di assistenza sanitaria di un ordine professionale, avevano raggiunto un accordo e alla scadenza del loro mandato avevano offerto a lui la presidenza della cassa. Grande quanto? Settecento miliardi.

    Non capisco, disse il giovane dopo la partenza del cliente e dopo avere riletto i suoi appunti al Senatore, non capisco questo crollo improvviso. Il sistema era completamente nelle loro mani, potevano manovrarlo a loro piacere. Come hanno potuto lasciarselo sfuggire?

    Il Senatore frugava inutilmente nel fondo di un vasetto di maionese. Giudici coraggiosi, una grande e libera stampa, disse senza alzare lo sguardo.

    L’altro si strinse nelle spalle, rimise accuratamente il cappuccio alla penna e la penna nella tasca interna della giacca. Stava per dire qualcosa ma entrò Oscarzinho e disse: C’è Vuvù al telefono.

    Il Senatore assentì e il brasiliano fece un cenno al giovane, che si alzò e uscì con lui. Tanto importante? gli chiese, e l’altro annuì: Non quanto crede, però molto importante.

    Andiamo a prendere un caffè? propose il giovane, ma Oscarzinho scosse la testa: Non ti dirò chi è Vuvù, disse, né perché telefona.

    Naturalmente questo incuriosì molto il professore e la sua amica, che presero carta e penna e sul tavolo dell’osteria incominciarono, attorno ai soprannomi, un gioco che al giovane sembrò noioso. Cercarono nella memoria personaggi molto importanti o almeno molto famosi le cui iniziali fossero una doppia v, ma non ne trovarono e passarono a una sola v, che poteva essersi raddoppiata nel nomignolo. Divisero la lista così ottenuta in omo e eterosessuali, e a questo punto decisero che avrebbero proseguito il gioco quando il giovane fosse stato in grado di portare qualche altro elemento.

    Lui era impaziente. Non vi interessa la storia del pluripresidente? chiese, ma il filosofo non sembrava disponibile per discorsi seri: beveva molto e rideva, citava  in varie lingue e nell’insieme dava un’impressione di falsità.

    Sei noiosissimo, gli disse finalmente la donna, e lui annuì lentamente, spenta in un istante tutta la vivacità un po’ febbrile che aveva manifestato fin lì.

    È vero, disse, lo penso anch’io.

    Si alzò e si diresse lentamente al gabinetto, e il giovane ne approfittò per proporre alla donna di chiudere in fretta la riunione e vedersi più tardi. Lei scosse la testa e spostò i bicchieri per mettere un giornale sotto gli occhi del giovane, indicandogli con un dito la foto di tre croati decapitati dai serbi: le tre teste sembravano false, come l’allegria del professore.

    Qualcosa gli devo, disse la donna, e oggi ha avuto una brutta giornata. Sai che ha dei parenti laggiù.

    Ma sono, se ben ricordo, di quelli che vincono,  disse il giovane.

    Per questo, disse lei.

    Lui si strinse nelle spalle: È la storia del mondo. Lo hanno sempre fatto tutti, decapitazione e crocefissione compresa.

    La donna ammise. Sono d’accordo, disse, ma ogni tanto è bene fingersi impressionati o anche esserlo, se la cosa ci tocca. Noi due, basterà che fingiamo.

    Il professore tornò con la faccia senza colore e la fronte sudata di chi ha appena vomitato, si lasciò cadere nella sedia e si trovò sotto gli occhi il giornale che la donna non aveva fatto a tempo a togliere. Guardò le tre teste tagliate che sembravano di cartapesta e sollevò il giornale per guardare meglio, lo avvicinò un poco e lo allontanò un poco, ma le tre teste rimasero finte. Scosse il capo.

    Che ci resterà, alla fine? disse. "Una volta avevamo la descrizione che fa Sallustio del campo di battaglia di Catilina: i padri e i figli morti in bande opposte, i fratelli e i fratelli. Da oltre un secolo disponiamo di fotografie: non solo il segno rosso del coraggio ma anche le immagini dei cadaveri di Gettysburg, non solo l’omaggio alla Catalogna ma anche il miliziano morente, anche se qualcuno insinua che Capa lo abbia fatto morire un po’ di volte, prima di trovare lo scatto giusto. Gli scheletri vivi e morti dei campi nazisti, il capo della polizia vietnamita che brucia il

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