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La devianza minorile tra interpretazione e prevenzione
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Ebook105 pages33 minutes

La devianza minorile tra interpretazione e prevenzione

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Il tentativo di comprendere quali siano le cause che spingono il minore a commettere azioni devianti, si dimostra molto arduo qualora si vogliano trovare risposte univoche. L’applicazione di misure di rieducazione ha la funzione di rinforzare la prevenzione tenendo tuttavia presente che il recupero richiede una programmazione molto personalizzata d’interventi che vedono impegnati e interagenti varie figure ovvero, lo stesso minore, la famiglia, l’ambiente in cui vive, la scuola e il lavoro.
LanguageItaliano
Release dateDec 23, 2014
ISBN9786050343786
La devianza minorile tra interpretazione e prevenzione

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    La devianza minorile tra interpretazione e prevenzione - Michelangelo Pastore

    PASTORE

    La devianza minorile tra interpretazione e prevenzione

    Indice

    Introduzione pag. 3

    La delinquenza giovanile in Italia pag. 5

    La disgregazione familiare pag. 22

    Interpretazione della devianza pag. 40

    Prevenzione e rieducazione pag. 55

    Conclusioni pag. 70

    Bibliografia pag. 72

    Introduzione

    La delinquenza non è né una disposizione innata, né qualcosa che il minore abbia escogitato da solo; che i giovani apprendano la delinquenza divenendo membri di gruppi in cui la condotta delinquente si è già istituita. Per divenire delinquente, il ragazzo non ha bisogno di particolari inclinazioni o difetti di personalità o d’intelligenza.

    Il delinquente differisce dal non delinquente perché presenta frustrazioni, privazioni, incertezze, angosce, sentimenti di colpa o conflitti mentali di generi o grado diversi da quelli dei ragazzi non delinquenti che sicuramente sono meno risentiti, meno aggressivi e che hanno avuto molto di più dalla vita.

    Comprendere le radici dell’aggressività significa capire il gesto violento, cercando di entrare nel mondo soggettivo della persona che ha commesso quel gesto. È questo il primo passo verso la cura dei ragazzi violenti: cercare di capire, a differenza di come spesso erroneamente si crede, non vuol dire discolpare.

    In definitiva, nei ragazzi violenti è molto facile che un temperamento predisponente si associ a un comportamento genitoriale coercitivo, ruvido e incosciente, che trasforma il tratto temperamentale in un disturbo stabile caratterizzato dal difetto di autocontrollo interno, dalla difficoltà a concepire le reazioni come stati mentali reciproci, e della facilità ad assumere comportamenti violenti dei figli.

    Tra i fattori di rischi vanno poi considerati i fattori di natura sociale. Tra questi, le condizioni socioeconomiche svantaggiate, espresse da povertà, sovraffollamento abitativo in casa, alto ricorso ai servizi sociali, disoccupazione, costituiscono un sicuro fattore di rischio.

    Probabilmente l’azione di tutti questi fattori sociali e mediata da altri fattori, come il vivere in ambienti a rischio sociale, la frequentazione di gruppi di dissociati e la minore disponibilità di attenzione da parte dei genitori.

    La maggiore facilità al contatto con coetanei devianti e con gruppi antisociali, combinato al rifiuto subito da coetanei di migliore livello sociale, costituiscono un fattore di rischio maggiore per lo sviluppo di condotte delinquenziali.

    Per la soluzione del problema nelle scuole ci si dovrebbe affidare a una politica di prevenzione che si avvalga della collaborazione dei genitori e degli stessi studenti.

    Particolarmente interessante è la tecnica della mediazione scolastica, praticata in alcune regioni italiane, che è particolarmente efficace in quanto il mediatore è uno studente che, in quanto pari, è più facilmente accettato dal bullo.

    Capitolo primo

    La delinquenza giovanile in Italia

    Il compimento di reati da parte dei minori desta da sempre grande attenzione, nonché motivo di allarme nell’uomo, il quale, non può non rimanere sgomento di fronte a misfatti dei quali si macchia il minore, considerato il simbolo per antonomasia dell’umana innocenza.

    Minore, com'è ben noto, è colui il quale non abbia ancora compiuto i diciotto anni di età, sebbene l’ordinamento vigente stabilisca che egli è imputabile, cioè sottoponibile a procedimento penale, anche in età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, ove si dimostri, attraverso accertamenti, che egli è capace di intendere e volere. Per criminalità minorile, si deve intendere l’insieme dei fatti che costituiscono fattispecie di reato attuati da soggetti la cui età è compresa nella fascia di età tra i quattordici e i diciotto anni.

    Il fondamento della condizione giuridica del minore è individuato nell’esigenza di protezione di un soggetto, nella media dei casi, impossibilitato a curare proficuamente i propri interessi. Infatti, è stato sostenuto[1] che, nel nostro paese, esisterebbero tre diverse tipologie di criminalità minorile:

    -fisiologica che identifica l’insieme di quelle condotte che, seppur deviando da quelle codificate come normali dalla società, sono transitorie ovvero destinate a riassorbirsi nell’età matura;

    -patologia endemica che rappresenta il coinvolgimento di minori nelle azioni delittuose che fanno capo alla criminalità organizzata;

    -patologia epidemica ovvero l’insieme dei reati messi in atto esclusivamente da minori stranieri, indotti al crimine in età precoce e che vivono in ambienti sociali contrassegnati da marginalità, conflitti culturali, disadattamento, deprivazione.

    Aldilà di ogni possibile classificazione, non si può prescindere dal considerare l’insieme delle profonde trasformazioni che hanno contraddistinto negli ultimi cinquanta anni la società italiana e quanto pregnanti siano state le ripercussioni sul mondo minorile e adolescenziale di tali cambiamenti. Il più importante mutamento si è verificato nel rapporto fra infanzia e adulti,

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