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Lacrime nere
Lacrime nere
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Lacrime nere

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About this ebook

Bastano pochi minuti perché la tua vita venga stravolta e Lay questo lo sa molto bene. La morte della sua migliore amica le stravolge l’esistenza e un semplice viaggio in pullman, in fuga dal mondo che le da la caccia, si rivela una trappola mortale.

Jake, un ragazzo sconosciuto che sembra invece conoscerla, le salva la vita, combattendo contro qualcosa che Lay pensava esistere solo nei libri fantasy: un demone, comandato da Hyades, una strega famosa, in un mondo nascosto, per il suo desiderio di governare il mondo.

La ragazza si ritrova catapultata in una nuova realtà, divisa tra l’odio per sua nonna, Diana, scomparsa quando aveva solo dieci anni, l’amore per Jake e il fratello gemello, Aron, e la consapevolezza di possedere un potere più forte di ogni sua immaginazione.

L’amicizia con Arya, una bambina di dodici anni, diviene l’asse portante della sua nuova vita di guerriera e quando tutto il resto sembra perduto, è proprio questa connessione che spinge Lay a prevalere sul male.
LanguageItaliano
PublisherAnnabel Blasi
Release dateOct 4, 2014
ISBN9786050325362
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    Lacrime nere - Annabel Blasi

    astronomo

    Capitolo uno

    Case e alberi si susseguivano in un continuo paesaggio monotono. Il cielo grigio faceva pensare che tra non molto avrebbe iniziato a piovere. Sul finestrino del pullman infatti si iniziarono a notare le prime goccioline, quelle piccole, fastidiose, che arrivano quando meno te lo aspetti.

    A Lay però non interessava tutto questo. A metà del pullman, sul sediolino più scomodo dove si fosse mai seduta, se ne stava la ragazza incappucciata. Con le cuffie nelle orecchie e con quella felpa nera comprata a poco prezzo in uno dei tanti negozi dell’usato, Lay guardava distrattamente una macchia sui jeans. Era qualcosa di secco, che difficilmente sarebbe riuscita a lavare via. Dalle cuffie le note della Primavera di Einaudi entravano direttamente nella sua testa. Il classico era un genere musicale che non molti ragazzi della sua età ascoltavano. Sentire le melodie che poteva creare un pianoforte, era qualcosa che la faceva sentire sempre meglio, che la rendeva quasi più tranquilla, cosa di cui ne aveva abbastanza bisogno in quel momento. Aveva imparato a suonare quello strumento quando era poco più di una bambina. Era stata quasi una vocazione per lei e leggere le note su uno spartito e suonarle era diventato quasi come giocare a nascondino. Ogni volta scopriva sempre qualcosa di nuovo, ogni volta quello strumento così ingombrante da cui però uscivano melodie a dir poco fantastiche, le faceva provare nuove emozione: non smetteva mai di sorprenderla.

    Passò un dito sulla macchia dei jeans, ma subito lo ritrasse, come se si fosse scottata al solo contatto. Strinse la mano a pugno, tanto da far diventare le nocche bianche e guardò fuori dal finestrino. L’unica cosa che vide però fu il suo riflesso. I suoi stessi occhi dorati, la stavano scrutando in un modo che le faceva quasi paura, come la stessero accusando di qualcosa, come se fosse stata lei a…

    Distolse lo sguardo velocemente e ritornò a guardare la macchia. Aveva assunto un colore quasi marrone e, in quello stato, nessuno avrebbe potuto immaginare cosa fosse e soprattutto come ci fosse finita sul suo pantalone. Guardarla sembrava quasi ipnotico, tanto che Lay si abbandonò alla stanchezza e chiuse gli occhi. Non dormiva forse da due giorni. Ogni volta che ci provava, rivedeva sempre la stessa scena, sempre la stessa sequenza di immagini…

    … All’università erano tutti in fibrillazione per le vacanze di Natale. Lay, come molti altri studenti, viveva a tempo pieno in quel posto immenso. Aveva dovuto trasferirsi poiché la casa dei suoi genitori era a parecchie miglia di distanza. L’università di Padova vantava uno dei migliori campus italiani e, grazie ad un concorso, Lay aveva ricevuto le chiavi di una delle camere. Erano così tanti i ragazzi che chiedevano di essere ospitati dall’università che quello era l’unico modo per risolvere la situazione. Nonostante tutto però, l’università metteva a disposizione anche degli appartamenti lì vicino, di cui potevano usufruire coloro che non avevano passato la selezione.

    Le vacanze di Natale erano l’unico periodo dell’anno scolastico durante il quale gli universitari riuscivano a tornare a casa, dalle loro famiglie, a causa dei numerosi impegni che comprendevano lezioni a qualsiasi ora, esami e quant’altro.

    Lay aveva appena finito di preparare la valigia. Il giorno seguente avrebbe preso il treno e raggiunto i suoi in Campania, nel piccolo paesino dove era nata e cresciuta. Era il primo anno che frequentava l’università ed era dall’estate che non tornava a casa, ma aveva visto i suoi genitori qualche settimana prima. Le avevano fatto una sorpresa e si erano presentati davanti alla porta della sua camera con un enorme pacco regalo. Più che altro erano provviste, nemmeno se lì al campus non dessero da mangiare.

    Lay, Daniele ci ha invitato ad una festa in camera sua stasera. Ci andiamo? Marika, la compagna di stanza di Lay , era ferma sulla soglia della porta, in attesa che dicesse di si. Aveva sempre quello sguardo supplice, nemmeno se Lay non sapesse che lei avesse già deciso per entrambe.

    Ho scelta? Lay si guardava intorno, cercando di ricordare se avesse dimenticato qualcosa. Vide il carica batteria del cellulare ancora attaccato alla presa accanto al letto. Lo prese e lo mise in borsa.

    Certo che si! Esclamò Marika offesa, tornando subito dopo al suo sguardo implorante.

    Lay borbottò qualcosa come Si, certo, come no, ma poi subito disse che per lei andava bene. In fondo non ci sarebbe andata del tutto contro voglia. A quella festa ci sarebbe stato sicuramente anche Andrea, il ragazzo per cui si era presa una cotta già dal primo giorno di lezioni. Ricordava ancora che si fosse seduto accanto a lei e che avessero parlato per tutta la durata delle lezioni, ridendo e scherzando e facendosi subito notare dal professore di chimica. Era un ragazzo davvero simpatico e carino, con i suoi occhi marroni e i capelli della stessa tonalità.

    Quella sera, così, si ritrovò davanti allo specchio a sistemarsi la maglia che Marika le aveva prestato, abbinata ad un paio di jeans che l’amica non avrebbe di certo approvato. Diede un po’ di vita ai lunghi capelli castani e legò le converse. Si guardò in torno, alla ricerca del suo ipod, con il quale non usciva mai senza e lo infilò nella tasca dei pantaloni. Stava per uscire dalla stanza quando si ricordò che quella mattina aveva infilato dei soldi nel reggiseno. Sua madre le diceva sempre di non metterli nella borsa, perché avrebbero potuto rubargliela, così quello era stato l’unico posto che aveva trovato per nasconderli. Stava per toglierli, quando Marika, da fuori la porta, le disse di sbrigarsi. Lay così lasciò perdere ed uscì.

    Quando l’amica la vide, così come aveva previsto Lay, non mancò di ricordarle la sua passione per la sobrietà. A differenza di lei, infatti, Marika indossava una maglia attillata di paillettes e una minigonna che di mini aveva molto, abbinata a dei tacchi vertiginosi che Lay avrebbe solo sognato di mettere.

    Dalla stanza di Daniele, veniva una musica forte e assordante, completamente diversa da quella che Lay ascoltava. La porta era aperta e c’era gente che entrava e usciva a coppie o con gli amici. Appena varcarono la soglia, videro Andrea sbracciarsi per farsi notare dalle ragazze e invitarle a raggiungerli. Accanto a lui, c’era Daniele che maneggiava abilmente con il mixer. Da lì in poi la serata fu un susseguirsi di balli, battute e tanto, ma tanto alcool. Tutti si stavano divertendo come matti. Nessuno si preoccupava del fatto che qualcuno avrebbe potuto sentirli ed espellerli dal campus. Quella notte era tutta per loro e nessuno sarebbe riuscito a fermarli.

    Ad un certo punto Lay perse di vista Marika. All’inizio pensò che fosse con Daniele, ma lui non si era allontanato nemmeno per un secondo dalla sua postazione. Avrebbe voluto andare a cercarla: non sapeva perchè ma aveva una strana sensazione. Andrea però la dissuase dall’andare via e la portò con sé in un luogo più silenzioso e appartato. Lay aveva aspettato quel momento dal primo giorno, ma qualcosa le diceva che fosse sbagliato stare lì, che sarebbe dovuta essere da qualche altra parte, ma non sapeva dove. Quando Andrea la baciò, sperava di perdere quella sensazione, ma non fece altro che acuirsi. Si liberò di scatto dall’abbraccio in cui il ragazzo l’aveva avvolta, lasciandolo con la bocca aperta mentre cercava di capire cosa stesse succedendo a Lay, che nel frattempo era scappata via senza una spiegazione.

    La ragazza corse verso la sua stanza. Qualcosa l’attraeva verso quella porta e quando l’aprì fu un miracolo che non svenne dall’orrore. La finestra era aperta. Le tende viola che Marika aveva tanto insistito per mettere, erano ridotte a brandelli e svolazzavano inquiete. Da fuori entrava il vento freddo di dicembre e la luce della luna dava un aspetto spettrale a qualunque cosa lì dentro, facendo risplendere il manico del pugnale che spuntava dal petto dell’amica.

    Lay cadde in ginocchio, accanto al corpo inerte di Marika. Così come aveva visto fare tante volte in TV, si assicurò prima di tutto che la ragazza fosse ancora viva, avvicinando le dita al collo. Niente, il battito cardiaco era inesistente, il cuore si era del tutto fermato. Ma Lay non si arrese. Iniziò a farle il massaggio cardiaco, dopo averle estratto il pugnale, sperando che l’amica si riprendesse, che desse almeno un segno di vita. Voleva andare a chiamare aiuto, ma non poteva lasciare Marika lì. Forse c’era ancora qualcosa da fare, forse ancora una speranza c’era.

    Passarono alcuni minuti, ma tutti gli sforzi di Lay furono inutili.

    Un rivolo di sangue scendeva lento e pigro dalla ferita fin sul pavimento.

    Nel momento in cui si arrese, una mano le afferrò il polso.

    Marika, sei viva! esclamò la ragazza con le lacrime agli occhi.

    Marika però sembrò non sentirla. Lay, devi ascoltarmi. Tossi ripetutamente prima di riuscire nuovamente a parlare. Fiotti di sangue sgorgarono dalle sue labbra.Devi stare attenta.

    Lay cercò di capire cosa volesse dirle l’amica, ma non ci riusciva. Non capisco. Perché devo stare attenta? Marika, stai vaneggiando, devo chiamare assolutamente qualcuno.

    Fece per alzarsi, ma Marika strinse ancora di più la presa. Ascoltami! Ti stanno cercando. Cercò di mettersi seduta, ma non fece altro che peggiorare la ferita al torace. Lay la guardava con orrore: perché non voleva farsi aiutare? Lay, per me non c’è più niente da fare. Non mi resta ancora molto… Un altro colpo di tosse la fece rimanere senza fiato. Lay…

    Nel frattempo Andrea era corso dietro la ragazza e, fermatosi sulla soglia della porta, guardava la scena terrorizzato. Visto da fuori, quello sarebbe potuto sembrare un terribile equivoco: le mani di Lay completamente sporche di sangue, un pugnale tinto di rosso fino all’impugnatura buttato lì vicino.

    La ragazza si accorse di Andrea e, nell’istante in cui si girò, Marika ispirò per l’ultima volta. Niente più faceva pensare che la ragazza fosse ancora viva o che si sarebbe ripresa per la seconda volta.

    Lay, che cosa hai fatto?

    La ragazza incontrò lo sguardo di Andrea, un misto di orrore e di accusa.

    Quelle poche parole fecero cadere la ragazza nel panico. Io… lo guardò sconcertata. Davvero credeva che fosse stata lei a fare una cosa del genere? Davvero credeva che ne fosse minimamente capace? Per un attimo le sembrò di avere di fronte un estraneo, che mai aveva provato a conoscerla sul serio. Si alzò lentamente, continuando ad avere lo sguardo fisso nel suo, senza abbassarlo e ciò provocò in Andrea qualcosa di inaspettato. Fece un passo in dietro, quasi avesse paura che Lay nascondesse un altro pugnale e che potesse attaccarlo da un momento all’altro. La ragazza guardò confusa prima il corpo di Marika, ormai privo di vita, poi Andrea. Avrebbe potuto facilmente spiegare cosa fosse successo. Perché mai avrebbe dovuto uccidere la sua compagna di stanza, nonché migliore amica? Non aveva alcun senso! Provò a parlare, a dire qualcosa in sua discolpa, ma le parole sembravano incatenate in fondo alla sua gola e non avevano alcuna voglia di liberarsi.

    Quel silenzio non fece altro che peggiorare la situazione e, quello che fece dopo, segnò per sempre la sua colpevolezza. Solo in seguito si rese conto che scappare aveva peggiorato ulteriormente la situazione ma, in quel momento, era sembrata la cosa più ovvia da fare. Andrea si spostò appena in tempo dalla soglia della porta, prima che Lay lo spingesse via con violenza e, l’ultima cosa che sentì, fu la voce del ragazzo che chiamava aiuto…

    Il pullman prese un dosso e Lay si svegliò di colpo. Aveva fatto di nuovo lo stesso incubo che da giorni l’attanagliava.

    Si toccò la fronte, imperlata di sudore e cercò di respirare lentamente per rallentare il battito cardiaco. Bevve un sorso d’acqua e fece un respiro profondo, guardandosi poi in giro, cercando di capire se qualcuno l’avesse notata. In quell’istante il pullman si fermò. Lay guardò fuori dal finestrino, ma si rese conto di non essere ancora arrivata a destinazione. In realtà non sapeva nemmeno quale fosse quella dannata destinazione. Aveva pensato che se fosse ritornata al suo paese d’origine, avrebbe trovato qualcuno che potesse aiutarla. Sapeva però che quello sarebbe stato il primo posto dove l’avrebbero cercata. Nonostante questo, aveva bisogno di vedere i suoi genitori, suo fratello e di rassicurarli che stava bene. Chissà che colpo aveva fatto prendere loro. Immaginò la madre che rispondeva al telefono e il capo della polizia le comunicava che sua figlia era ricercata per aver ucciso la sua compagna di stanza. Un infarto sarebbe stato più che ragionevole come reazione o, conoscendo sua madre, sarebbe scoppiata in una grande risata prima di capire che non era affatto uno scherzo.

    Quando il pullman ripartì, a bordo c’erano due nuovi passeggeri: un ragazzo dall’aria allegra e uno dei tanti controllori con la faccia annoiata di chi non vede l’ora di firmare una multa. Ancora prima che quest’ultimo si avvicinasse, Lay cacciò il biglietto che aveva comprato dal conducente appena salita. In quel momento era stata grata a Marika per averle messo fretta e non averle permesso di posare i soldi nascosti nel reggiseno. Con quella piccola fortuna era riuscita a comprarsi una felpa nuova per sostituire la maglia sporca di sangue e una bottiglietta d’acqua.

    Quando il controllore si avvicinò, Lay abbassò ancora di più il cappuccio sugli occhi e mostrò il biglietto. L’uomo però, non si soffermò solo sul controllo della validità del pezzo di carta, ma posò il suo sguardo indagatore anche sulla ragazza a cui apparteneva.

    Signorina, le spiace abbassarsi il cappuccio?

    Lay sbiancò e sbarrò gli occhi, andata ormai in panico. E se l’uomo l’avesse riconosciuta? Forse avevano mandato la sua foto al telegiornale, come nei film e avevano posto una ricompensa per colui che fosse riuscito a consegnarla alla polizia. Ok, adesso forse stava vagando troppo con la fantasia, restava il fatto però che fosse ricercata per aver commesso un omicidio.

    Il controllore continuò a guardarla con insistenza e, a quel punto, Lay stava quasi per cedere, quando, all’improvviso, la voce del ragazzo entrato poco prima, risuonò nel pullman. L’uomo volse il suo sguardo verso il trambusto che veniva dal fondo del veicolo, dimenticandosi completamente di Lay.

    Si può sapere cosa sta succedendo laggiù?!

    La ragazza tirò un sospiro di sollievo e ricominciò a respirare normalmente, facendo acquisire al suo volto un colorito migliore. Le sembrò di capire che il ragazzo stava litigando con un altro passeggero del pullman poiché lo aveva urtato o fatto inciampare. In effetti il motivo non era molto chiaro, ma Lay fu comunque grata a quello sconosciuto per averle salvato la pelle.

    La ragazza così ritornò ai suoi pensieri e, infilate le cuffie nelle orecchie, fece ripartire la melodia che stava ascoltando prima. Non passò molto però che fu nuovamente disturbata. Il ragazzo dall’aria allegra e dalla rissa facile, si era seduto accanto a lei, esibendo un sorriso largo quasi da un orecchio all’altro.

    Anche se Lay gli fosse riconoscente per averla salvata, di certo non voleva la sua compagnia.

    Tra tanti posti vuoti, proprio qui doveva sedersi questo? Lay lo guardò da sotto il cappuccio, quasi sperasse che lui riuscisse a leggerle nella mente e capisse che la sua presenza fosse alquanto indesiderata. Vuole attaccare briga, ma ha scelto la persona meno indicata. Tornò a guardare fuori dal finestrino e alzò al massimo il volume dell’ipod, sperando di troncare qualsiasi possibilità di conversazione. Una macchina nera si affiancò al pullman, ma Lay stava guardando il paesaggio, lo sguardo perso nel vuoto.

    Ciao, io sono Giacomo, ma puoi chiamarmi Jake. Il ragazzo si presentò, porgendo la mano a una Lay che non aveva alcuna intenzione di stringergliela, tanto meno di dirgli il suo nome. Notando le cuffie nelle orecchie, Jake ne tirò una, conquistando uno sguardo da ti fulmino da parte della ragazza.

    Si può sapere che problema hai?!

    Almeno adesso ho la tua attenzione. Jake sorrise divertito, quasi non avesse notato lo sguardo minaccioso di Lay.

    Non vedo il motivo per cui tu debba avere la mia attenzione. Fece per rimettersi la cuffia, ma il ragazzo le fermò la mano con la sua, che Lay subito ritrasse.

    Come mai hai il cappuccio così tirato?

    Quel ragazzo stava iniziando ad innervosirla. Non bastava essere ricercata da qualsiasi autorità possibile e immaginabile, ci voleva anche quel tizio a rovinarle l’esistenza.

    E tu come mai sei venuto a rompere le scatole proprio qui?

    Ci fu un minuto di silenzio. Forse aveva esagerato e un po’ quasi le dispiaceva ma, in quel momento, l’unica cosa che voleva, era essere lasciata sola con solo il suo autocommiseramento. Dopo poco però, lui riprese all’attacco.

    Che ascolti di bello? Jake le prese dalle mani l’ipod, facendole cadere anche l’altra cuffia. Certo che non si arrende facilmente! Pensò Lay con una punta di divertimento.

    Ridammelo. Lo guardò da sotto il cappuccio con aria minacciosa, ma Jake sembrava immune a quegli sguardi e iniziò a premere pulsanti a caso. La ragazza così provò a riprenderselo, ma Jake lo allontanò distendendo il braccio verso l’altra coppia di sedili al loro fianco. Nel momento in cui Lay si allungò per afferrare l’ipod, il cappuccio le cadde sulle spalle, lasciando liberi i lunghi capelli che era riuscita a nascondere abilmente.

    Ecco, adesso va meglio. Jake stava sorridendo compiaciuto e inizialmente Lay non capì il perché ma, appena se ne rese conto, subito tornò a rintanarsi sul suo sediolino alzando velocemente il cappuccio.

    Jake le ridiede l’ipod, notando il suo comportamento e la sua espressione spaventata. Lay si era resa conto che fino a poco prima lo sguardo di tutti i passeggeri era puntato su loro due che litigavano. E se quando le era caduto il cappuccio, qualcuno l’avesse riconosciuta? La ragazza evitò di guardarsi intorno e abbassò lo sguardo: ormai il danno era fatto.

    Perché hai tanta paura di mostrare il tuo viso?

    Lay guardò Jake di sottecchi e solo allora si accorse dei suoi occhi verdi. Rimase per qualche secondo a fissarlo e pensò che non fosse niente male, escludendo quanto fosse antipatico e rompiscatole. Distolse lo sguardo e si soffermò di nuovo sulla macchia dei jeans.

    Se ti dicessi che sono ricercata dalle autorità per un omicidio che non ho commesso, cosa diresti?

    Direi che hai troppa fantasia, che non penso faresti male ad una mosca e che comunque non basterebbe a tenermi lontano.

    Sta dicendo sul serio? Lay lo guardò sconcertata, ma poi le sue labbra si ammorbidirono in un sorriso, vedendo l’espressione divertita di Jake. Non mi ha creduta, meglio così.

    Comunque, allungò quella parola più di quanto fosse possibile non mi hai ancora detto il tuo nome.

    Lay. Tanto valeva rivelargli tutto, tanto nemmeno le avrebbe creduto.

    Lay… sembrò pensarci su, come se lo avesse sentito già da qualche parte e, per un istante, il cuore della ragazza perse un colpo. Non è un nome italiano.

    Lay fece un sospiro di sollievo. No, non lo è.

    È forse il diminutivo di qualche nome? Come Laura, Lucia, Larabella..

    Lay lo guardò arricciando il naso quando sentì l’ultimo nome e poi scoppiò a ridere. Una risata sincera, dimentica di ogni preoccupazione. Jake ne fu contagiato.

    Non rideva così da quando… da quando qualche sera prima Marika era morta… Aveva quasi dimenticato quella sensazione di tranquillità e spensieratezza.

    No, per niente. Jake potrebbe anche essere il diminutivo di Giacobbe.

    Guarda che Giacobbe è un bellissimo nome. Disse lui offeso, ma poi subito il sorriso comparve sulle sue labbra.

    Ci fu poi un attimo di silenzio, che però lui subito riempì. Dove vai di bello? Era davvero troppo curioso.

    Lay guardò fuori dal finestrino. Stavano per entrare in una galleria. Quando fu tutto buio, risposte. Non lo so, a dire il vero. Disse con un filo di voce. Puntò lo sguardo su Jake, anche se non riusciva a distinguere i suoi lineamenti.

    Quando la luce del sole tornò a fare capolino nel pullman, Jake aveva uno sguardo perso. Guardava oltre la ragazza, oltre le sue spalle e per la curiosità si girò anche lei, non notando però nulla di strano. Lay lo chiamò, ma lui sembrò essersi perso nei suoi pensieri.

    Jake, tutto bene? Lo scosse, ma proprio in quel momento qualcosa colpì il pullman. Lay e gli altri passeggeri lanciarono un urlo spaventato prima di guardarsi intorno per capire cosa fosse successo. Cercarono di vedere dai finestrini cosa stesse succedendo lì fuori, ma non si vedeva nulla. Forse avevano semplicemente bucato una ruota.

    In quel momento Lay vide un lampo nero con la coda dell’occhio. Qualcosa era stato scaraventato via dal pullman ma, da quella postazione, non si riusciva a vedere nulla.

    Una donna urlò di nuovo, più forte di prima, quando furono colpiti nuovamente. Lay era troppo spaventata persino per ipotizzare cosa li avesse colpiti. Si guardò intorno ma, quando posò lo sguardo su Jake, rimase sorpresa di vedere nei suoi occhi, non più la paura di poco prima, ma determinazione e calma.

    Il ragazzo notò il suo sguardo e la prese per le spalle, guardandola dritta negli occhi. Lay, promettimi che appena ne avrai la possibilità, uscirai da questo pullman e scapperai il più lontano possibile.

    La ragazza lo guardò con gli occhi spalancati, non riuscendo a capire il senso di quella promessa. Perché? Cosa sta succedendo?!

    Un altro colpo, questa volta più forte, fece perdere al conducente il controllo del pullman, che iniziò a sbandare e a prendere in pieno le macchine che circolavano al suo fianco. Lay strinse forte gli occhi, sperando che finisse presto qualsiasi cosa stesse succedendo.

    Poi sentì qualcuno urlare al conducente di fermare il pullman, ma l’attenzione di tutti fu catturata da un forte stridio che fece ammutolire chiunque. Somigliava molto al verso di un animale, ma era alquanto impossibile visto che non esisteva nessuna creatura vivente che potesse emettere un simile orrore.

    Promettimelo! Nel silenzio più totale si sentì solo la voce insistente di Jake che la scosse nuovamente. Nessuno però ebbe il coraggio di girarsi verso di loro, tutti avevano paura anche solo di respirare.

    Si, te lo prometto! Lay urlò quasi esasperata, accettando di fare quella promessa più per farlo smettere che con l’intenzione di mantenerla. E comunque cosa avrebbe cambiato prometterlo o meno? Non sapeva se sarebbe uscita integra da quel pullman, immaginarsi se sarebbe stata in grado di correre.

    Nell’istante in cui pronunciò quelle parole, Jake le lasciò le spalle e prese qualcosa da una tasca nascosta all’interno del giubbotto. Quando le porse l’oggetto, Lay sobbalzò all’indietro, credendo di esserselo immaginato. Cosa ci faceva Jake con un pugnale a lama lunga?

    Prendilo. Il ragazzo lo spinse verso di lei, ma Lay si ritrasse ancora di più, saltando quasi dal sedile.

    Stai scherzando, vero?

    Non mi azzarderei mai a farlo. Prese bruscamente la mano della ragazza e, con la forza, le fece impugnare il manico. So che non sai usarlo, ma prendilo e non fare storie. Non ti servirà, ma almeno così avrai una sicurezza in più.

    Lay lo guardò quasi le stesse dicendo che avrebbe dovuto combattere contro un drago. Io, usare questo?! Alzò il pugnale. Era vero che sapeva alcune cose sulle armi, fin da piccola l’avevano sempre appassionata, soprattutto grazie ai libri fantasy che leggeva, i quali erano colmi di quegli utensili, ma certamente non sapeva come usarle.

    Un altro colpo riecheggiò nel pullman e il conducente, ripreso da poco il controllo, lo perse di nuovo.

    Lay invece perse la pazienza. Si può sapere perché non fermate questo cavolo di pullman?!

    Non posso. Disse con calma il conducente, quasi stesse facendo una tranquilla gita in campagna.

    Cosa vuol dire che non può? La ragazza sul serio non capiva più nulla. Possibile che quella fosse la realtà? O era solo un incubo che presto sarebbe finito?

    La sua attenzione fu catturata da qualcosa che sbucava dal tetto del pullman all’esterno. Quando mise meglio a fuoco si rese conto che era la gamba di una persona, che cercava di rimanere salda al tettuccio del pullman.

    Quasi urlò quando questa fu sbalzata via, colpita da qualcosa di invisibile. La vide atterrare sull’asfalto, ma si rialzò poco dopo, apparentemente illesa, anche se Lay vide chiaramente una gamba e un braccio formare angoli del tutto innaturali.

    Lay continuò a seguirla con lo sguardo e la vide attaccare una macchina nera dietro di loro.

    Il pullman continuava a correre a tutta velocità e lei non potè scoprire cosa successe dopo.

    Era successo tutto in una frazione di secondo e, nel frattempo, una donna si era alzata tranquilla dal suo posto e stava puntando lo sguardo verso di lei.

    Vuole dire che lei non potrà scendere da questo pullman, signorina Doleman.

    L’attenzione di Lay ritornò a quello che stava succedendo all’interno dell’abitacolo e solo allora si rese conto di quello strano sguardo e di Jake che si era alzato e posizionato in modo da proteggerla.

    La donna la guardava dritta negli occhi, seguendo ogni suo minimo movimento.

    Come… come conosce il mio nome? Lay era più sconcertata che mai. Ci volle tutta la sua forza di volontà per non far sgorgare le lacrime dagli occhi ormai lucidi.

    Non ditemi che non vi ricordate di una vecchia amica? Certo, non è il mio corpo quello che vedete, ma scommetto che la mia voce non vi risulta sconosciuta. La donna sorrise in modo terrificante. La sua voce era caratterizzata da uno strano accento, di certo non di origini italiane.

    Non ho la più pallida idea di chi voi siate. La ragazza guardò verso Jake, ma il suo volto era imperscrutabile.

    Oh, così mi offendete. Credevo che la memoria non si perdesse in età così giovane. In un istante gli occhi della donna si fecero bianchi, quasi si fossero rigirati su loro stessi e il suo volto trasfigurò in qualcosa che andava contro l’immaginabile.

    Si avventò su Lay all’improvviso, senza darle nemmeno il tempo di urlare ma, proprio in quell’istante, qualcos’altro colpì il pullman, tanto forte da farlo ribaltare. Il veicolo rotolò per un tempo che parve interminabile e Lay fu sobbalzata da una parte all’altra, avendo quasi l’impressione che, ad ogni colpo, si rompesse un osso diverso.

    Quando il pullman finalmente si fermò, la ragazza si ritrovò distesa sul parabrezza del veicolo, attraversato da numerose crepe. Il pullman era finito in una scarpata poco profonda che lo aveva alzato verticalmente.

    Lay si guardò intorno, evidentemente frastornata e nel voltarsi, vide il controllore fermo immobile al suo fianco. Le bastò uno sguardo all’incessante rivolo di sangue che sgorgava dalla sua fronte per capire che fosse morto.

    Fece per alzarsi cercando di non guardare il cadavere, ma una fitta di dolore le percorse l’intera gamba. Quando abbassò lo sguardo, infatti, si accorse che la rotula del ginocchio le era quasi uscita fuori. Strinse forte i denti, cercando almeno di mettere la gamba in una posizione meno dolorosa, ma la situazione non migliorò. Nonostante tutto però doveva uscire fuori di lì il prima possibile. Si alzò a fatica e cercò di scavalcare lentamente tutti i sediolini che le si presentavano davanti, alcuni dei quali erano stati divelti dai cardini. Si fermò quando vide che poco distante da lei, una donna stava cercando di uscire dall’intrico di sediolini che l’aveva schiacciata. Le chiese aiuto e Lay non potè resistere alla tentazione di aiutarla. L’aveva quasi raggiunta quando qualcuno le tirò con forza i capelli. Lay urlò, oppose resistenza, ma non servì a molto. Quando piombò di nuovo pesantemente sul fondo del pullman si rese conto che era stata la strana donna di prima che diceva di conoscerla ad attaccarla.

    La vide issarsi su uno dei sediolini e puntare minacciosa un pugnale verso di lei, mentre si avvicinava con passo felpato.

    Lay avrebbe indietreggiato se solo il suo corpo non fosse stato premuto contro il vetro. La donna l’aveva quasi raggiunta quando si fermò all’improvviso. Qualcosa la trafisse alla schiena, trapassandole da parte a parte il corpo, qualcosa che rifletteva la poca luce che riusciva a filtrare nel pullman. La donna ne toccò la punta acuminata fuoriuscita dal petto, intrisa di sangue, il suo sangue.

    Lay fece quasi in tempo a spostarsi quando la donna cadde di peso verso la sua direzione, ma non fu abbastanza veloce e la gamba ferita, che non rispondeva più ai suoi comandi, rimase schiacciata sotto il corpo inerte di quel mostro.

    Lay lanciò un urlo agghiacciante. Le lacrime le solcarono il viso senza volerlo e, attraverso gli occhi appannati, vide Jake poco distante da lei che si muoveva con agilità per raggiungerla. Era stato lui a trafiggere la donna, a salvarla. Gli sarebbe stata eternamente riconoscente se solo sarebbe riuscita ad uscire viva da quella trappola mortale che si era rilevata il pullman.

    Il ragazzo spostò lentamente la donna da sopra la sua gamba, cercando di essere il più cauto possibile per non farle male ulteriormente. Lay soffocò un urlo di dolore e dalle sue labbra uscì un suono strozzato.

    Lay.. Jake era chino su di lei, preoccupato, ma la ragazza non sentiva più alcun rumore e lentamente il buio stava iniziando ad avvolgerla nel suo abbraccio.

    Svenne, sfinita dal dolore, sfinita per la stanchezza, per la paura di quegli ultimi minuti, per tutto quello che le era successo da due giorni a quella parte.

    Jake prese tra le braccia il suo corpo inerte, gli arti che penzolavano quasi senza vita.

    Una voce lo chiamò e uomini vestiti di nero entrarono nell’abitacolo, chi per aiutarlo a portare fuori la ragazza, chi per assicurarsi che la donna che li aveva attaccati fosse morta, chi ancora per dare aiuto agli altri feriti che si erano ritrovati accidentalmente in quello scontro.

    Posarono il corpo di Lay sulla strada. Jake riprese fiato mentre qualcuno controllava i segni vitali della ragazza. Non saranno di certo contenti delle condizioni in cui si trova… tutto per colpa mia.. avrei dovuto proteggerla anche da un semplice graffio e invece…

    Qualcosa gli scivolò nell’occhio, qualcosa che gli rese la visuale di uno strano colore vermiglio. Si portò una mano alla fronte e la scoprì coperta di sangue. Una donna che zoppicava, anch’essa vestita di nero, gli si avvicinò e gli tamponò lentamente la ferita porgendogli domande su domande. Ma Jake non la stava

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