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Ebook455 pages6 hours

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About this ebook

In un mondo precipitato nel baratro della crisi economica, un gruppo di amici è costretto a separarsi per intraprendere strade diverse in cerca di fortuna.
Francesco, Cesare, Roberto, David, Massimiliano, Michele, Federico, Paolo, Luca, Massimiliano, Matteo, Domenico e Giorgio: uomini abituati a condividere ogni momento importante della loro vita, cresciuti insieme, fin dai banchi di scuola, e da sempre uniti nelle gioie e nelle malinconie.
Ora, però, tutto questo sta per finire e gli amici si preparano a iniziare una nuova vita che li porterà lontano separandoli per sempre.
Ma l'arrivo di un misterioso invito ad una serata organizzata in loro onore presso uno dei luoghi simbolo della città li condurrà incontro ad un futuro molto differente da quello che avevano previsto.
Un uomo misterioso sta tramando nell'ombra, lottando contro il tempo, e quando qualcuno riuscirà finalmente a svelare la sua identità, sarà ormai già troppo tardi.
Forse...
LanguageItaliano
PublisherLuca Mencacci
Release dateMay 6, 2014
ISBN9786050303216
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    Amici - Luca Mencacci

    Luca Mencacci

    Amici

    Ai miei Amici, tanti sorrisi che accompagnano la mia vita.

    Non bastano tutti i cammelli del deserto per comprarti un amico…

    Proverbio Arabo

    Prefazione

    La vita delle persone è fatta di passato, presente e futuro. Una storia è completa quando passa attraverso queste tre fasi.

    Il presente racconto segue questa regola, danzando tra ‘Prima’, ‘Adesso’ e ‘Dopo’.

    Buon Viaggio…

    Prologo

    Il ripostiglio è un insieme di cose ammonticchiate alla rinfusa. L’odore di chiuso e di stantio avvolge tutto, gli oggetti, l’aria, le ombre.

    L’uomo si muove con circospezione, come camminando in un santuario che contiene reliquie sacre e tesori dimenticati, respirando profondamente l’odore di muffa, quasi a voler diventare parte dell’inquietante luogo dove si trova.

    Questo è il centro di tutto. Un nascondiglio occulto, irraggiungibile senza le adeguate istruzioni, introvabile senza la mappa che riporta minuziosamente i dettagli per arrivarci, passo dopo passo.

    Eppure, anche così dimenticato, contiene lo scopo della sua restante vita, il fine delle sue azioni e delle sue decisioni, che da lì a poco, saranno pesanti e terribili allo stesso modo.

    Gli attrezzi da lavoro, i tessuti, le fotografie delle zone, le mappe dei rilievi, i libri e molte altre cose, necessarie alla realizzazione di un piano, sono sparse ovunque, come il tesoro di un drago ammassato nel fondo di una caverna buia.

    La mostruosa creatura, però, non giace lì, sopra gli oggetti, come un custode dormiente, ma striscia pericolosa dentro la mente e l’animo degli uomini, di uno in particolare, intento a compiere un progetto inquietante, un disegno tracciato nella pazzia.

    Ma come spesso accade, la follia presenta un altro aspetto, la diversa faccia della stessa medaglia: il genio.

    Inorridito dalla prima, quasi affascinato dalla seconda, l’uomo nel sotterraneo si muove con circospezione, espressione delle due facce di quella medaglia: è irrimediabilmente coinvolto nella vicenda, catturato in una spirale senza ritorno, in un percorso che maledirà per sempre.

    Il ghigno sul volto incurva verso l’alto le labbra e sottolinea che questo destino non lo spaventa, anzi rappresenta l’unica decisione da prendere, la cosa giusta da fare, per il bene suo e di molti altri.

    La torcia che illumina nel buio i suoi passi e che fa luce anche sull’agenda rossa che ha in mano, oggetto che contiene l’indice delle cose presenti nel ripostiglio, sembra l’unica cosa viva nel luogo dove si trova, guizzando da una parte all’altra con il suo fascio di luce bianca.

    I respiri sono lunghi e pesanti, quasi a voler catturare completamente la poca aria presente, schiacciata dalla polvere e dalle ragnatele penzolanti in ogni angolo e anfratto.

    L’uomo si guarda spesso alle spalle, per essere certo di non essere inseguito da ombre minacciose, fantasmi che lentamente stanno divorando la sua mente e quel che rimane della sua vita.

    L’orologio digitale da polso s’illumina al tocco dell’indice destro e la particolare luce verde accende il quadrante, mostrando che sono passati diversi minuti da quando si è calato in questo ‘Sancta Sanctorum’.

    Con la coda dell’occhio l’uomo si accorge delle impronte lasciate nella polvere alle sue spalle, nel terreno che ha appena percorso e che lo vedrà tornare spesso, fino al compimento della sua opera, fino a raggiungere la vendetta cercata.

    La particolare lettera impressa nella suola delle scarpe, all’altezza della pianta del piede, lascia un netto simbolo a forma di ‘H’.

    "H come ‘heaven’, paradiso…oppure come ‘hell’, inferno. Stessa lettera due parole così diverse…" riflette tra sé l’uomo, tornando a guardare in avanti e ripensando ancora alle due diverse facce della medaglia.

    C’è molto lavoro ancora da fare qui. Poi inevitabilmente saranno coinvolti in tanti: polizia, carabinieri, stampa, burocrazia, televisione; tutto quello che ruota intorno ai grandi avvenimenti crea in un attimo notevoli impegni e richiamo di attenzioni, piacevoli e meno piacevoli.

    E la fine di questa nottata, scatenerà un finimondo mediatico.

    La cosa non lo spaventa, il fine ultimo è più importante.

    Finalmente giunge a destinazione e si ferma di fronte agli oggetti che stava cercando.

    In terra c’è una lunga fila di pesanti lastre di marmo nero appoggiate alla parete retrostante, tetre ed eleganti, silenziose e pazienti.

    Le lapidi tombali sono ancora senza scritta: tra non molto ognuna di esse porterà inciso il nome della persona alla quale è stata destinata, dopo una notte di sangue e terrore…

    Adesso

    Sembra un presepe. E’ incredibile la bellezza di questa città, con le sue luci e il suo profilo penso osservando Perugia placidamente adagiata in lontananza, oltre il vetro del lunotto anteriore.

    Immerso nel buio all’interno dell’auto, scruto la mia città, mentre guardo i minuti scorrere lentamente verso l’inizio dell’evento tanto desiderato.

    L’attesa è finita.

    Uno dopo l’altro i miei amici arrivano, scendono dalle auto e si salutano calorosamente. Risate rumorose e piacevoli si mischiano nel parcheggio, provenienti dai vari gruppetti che si formano a caso, mentre ci avviciniamo alla struttura principale.

    La luna ci osserva curiosa: una falce che taglia le tenebre e sembra uscire da una coperta nera.

    L’avanzata è molto lenta, interrotta spesso da qualche amico che si ferma per meglio raccontare un aneddoto o commentare ridendo una notizia appena ricevuta.

    Li guardo sorridendo.

    Siamo come dei fratelli. Un’unica grande famiglia che negli anni ha seguito lo stesso percorso, passo dopo passo rifletto osservandoli ad uno ad uno, rivivendo in un istante tanti momenti: le scuole, il liceo, l’università, i primi lavori; chi prima e chi dopo, chi fino ad un certo livello e chi fermandosi prima, abbiamo affrontato gli stessi percorsi e siamo arrivati agli stessi traguardi.

    Ed anche se con alcuni non ci si vedesse per settimane o mesi, basterebbero pochi minuti e poche parole scambiate per sembrare di essere stati sempre insieme, giorno dopo giorno.

    L’affiatamento è totale, l’amicizia infinita, un cercarsi quasi morboso per passare insieme ogni attimo importante.

    Ognuno con i propri problemi e con le proprie convinzioni, molte volte diverse ed in contrasto con gli altri del gruppo, ma ognuno sempre pronto ad ascoltare o ad aiutare gli altri amici, anche contro i propri interessi, magari ritagliando qualche minuto anche quando di tempo non ne ha.

    Fino ad oggi, ancora per poche settimane.

    La crisi che tutto travolge, infatti, è arrivata anche sul nostro gruppo, come una grande nuvola nera che minacciosa spunta all’orizzonte e che, contro le speranze dei turisti che da lontano la osservano e che vorrebbero si allontanasse, piano, piano, inesorabilmente si avvicina a rovinare le loro vacanze.

    E questa nuvola nera non ha portato pioggia o grandine, ma notizie pesanti, decisioni che segneranno lo scorrere dei giorni passati insieme, che cambieranno a breve quelli futuri.

    Il nostro numeroso gruppo si dividerà, per la prima volta in maniera profonda, forse per sempre.

    Alcuni sono stati obbligati a recarsi all’estero, negli Stati Uniti o nei paesi orientali ad esempio, altri saranno costretti a spostarsi sempre all’interno della nostra nazione, ma al nord o al sud a seconda del proprio ambito lavorativo: David, i due Massimiliano, quello lungo e quello corto, Cesare, Giorgio, Francesco l’ingegnere, Paolo, Federico e Roberto.

    Qui, al centro, a Perugia, rimarremo in pochi. Tre o quattro al massimo: Luca il sottoscritto, Michele, Domenico e Matteo.

    «Ciao Fra’, ti volevo passare a prendere, ma si è fatto tardi al lavoro» dico alla persona che si avvicina.

    «Non fa niente. Preferivo comunque venire con la mia auto» risponde sorridendo l’uomo.

    E poi c’è questo individuo, il mio reale fratello e omonimo di un amico del gruppo.

    Francesco, questo è il suo nome: otto anni di età in meno di me. Almeno dieci, invece, in più di saggezza.

    Mai una litigata, mai una discussione, sembra incredibile, ma è così.

    Io così sanguigno ed impulsivo, lui così tranquillo e riflessivo: un equilibrio perfetto che si ripete da tantissimi anni.

    Quando mi annunciò di aver ricevuto lo stesso invito recapitato a me, rimasi molto sorpreso, visto che lui non fa propriamente parte del nostro gruppo di amici.

    Chi ha organizzato deve essere davvero bene informato su di noi e sulle nostre vite private pensai al momento.

    Tuttora la cosa mi lascia qualche dubbio sull’attinenza dell’invito a mio fratello con il motivo conduttore della serata, ma la sua presenza non può che rendermi felice.

    «I signori hanno tutti fatto merenda a tarda ora?» tuono con voce squillante, per ricordare che la nostra ultima meta non è il piazzale di un parcheggio, ma, si spera, un’invitante tavola imbandita.

    «Arriviamo, arriviamo» risponde una voce dal gruppo. «Non brontolare come tuo solito…»

    Le due altissime colonne in pietra che oltrepasso, da sempre uno dei simboli di questo luogo, mi danno un senso d’inquietudine.

    I pilastri hanno rappresentato per decenni l’ingresso immaginario in un mondo di favole, ma ora le catene poste in alto e che li uniscono al centro tramite un grosso anello di ferro scuro, mi ricordano l’immagine di un uomo imprigionato, con le braccia e le gambe aperte e incatenate.

    Bah, cosa vado a immaginare…Fortuna che a breve saremo seduti tutti assieme a bere e mangiare allegramente penso sospirando.

    Gli amici sfilano davanti a me, fermo sul primo scalino ed intento al conteggio per vedere se manca qualcuno: uno, due, tre… dodici, tredici, quattordici. Ci siamo tutti: una bella comitiva!

    Sposto lo sguardo dalle schiene appena passate ad una grande sagoma più in alto, la struttura che ci attende, silenziosa e immobile: la vaga sensazione d’inquietudine torna a sfiorarmi il volto, come fossi un bambino al Luna Park prima di entrare nel ‘Castello delle Streghe’.

    L’edificio immerso nelle tenebre ricorda in modo sinistro le attrattive del terrore, con il suo vecchio stile, un po’ malinconico ed un po’ misterioso, come le strane case dei film horror americani, sempre inquadrate dal basso, a mostrare una prospettiva minacciosa, la stessa che ora sto osservando.

    Quella che ho davanti, però, non sembra una giostra, né un set cinematografico ed io non sono più in tenera età, né sull’ingresso di un cinema.

    Ma non è la perduta innocenza a riempire i miei pensieri, o il ricordo della trama di una pellicola appena uscita, bensì una remota sensazione di pericolo, un lontano grido di avvertimento, uno strano ammonimento a non inoltrarmi aldilà delle porte in ferro e vetro che delimitano l’ingresso.

    Che stupidi pensieri affiorano a volte… penso sorridendo, portando lo sguardo in basso verso il successivo gradino e mettendo in moto le mie gambe.

    La scalinata in pietra, i cui gradini sono oramai consunti e scivolosi per il tempo e l’usura, s’inoltra tra la folta vegetazione, un immaginario corridoio di edera e rampicanti che hanno visto sfilare migliaia e migliaia di persone da cinquant’anni a questa parte, da quando nel lontano 1963 la struttura fu aperta al pubblico, in un giorno di primavera: La Città Della Domenica.

    E da allora il mondo delle favole approdò in Umbria, a Perugia, immerso in un bosco sulla sommità di un’ampia collina.

    Purtroppo tutto è rimasto come allora, o quasi, e sembra di aggirarsi in una foto degli anni 70’, mentre si cammina nel complesso turistico.

    Il piccolo piazzale rialzato dove mi trovo al momento è un esempio del degrado dovuto al tempo che passa e della mancanza di un’adeguata manutenzione: tante piccole piastrelle in cotto rosso mancano all’appello nel pavimento e il risultato fa apparire lo spiazzo come un pezzo di groviera con tanti buchi.

    Considero la visuale come una preziosa cartolina vintage da collezionare e proseguo verso la successiva scalinata, l’ultima prima di entrare nella porta principale.

    Il porticato seguente è ornato ai lati da modelli in ferro di cannoni e mortai a grandezza naturale, dotati di ruote e tutti rivolti verso l’esterno della struttura, come a proteggerla da qualche pericolo, al momento inesistente.

    Sorrido pensando che uno strumento da guerra così terribile, ha tutt’altra funzione in questo luogo: pochi, credo, sono passati di qui senza scattare una foto ricordo a cavallo delle scure canne da fuoco, soprattutto i bambini che, paradossalmente, sono le prime vittime di una guerra.

    Forse è questa la maniera di sconfiggere i conflitti, cavalcandoli allegramente con il sorriso di un bambino… rifletto fermandomi un attimo.

    Le voci lontane degli amici, già all’interno della struttura, riportano la mia attenzione in avanti e verso la scalinata.

    Afferro il nero corrimano in ferro battuto, scarno e freddo, per iniziare la salita, l’ultima prima di abbandonare l’esterno.

    Non era poi un incubo penso, appena oltrepasso l’imponente porta principale in ferro e vetro, non avvertendo più la strana sensazione iniziale d’inquietudine.

    La tranquillità torna anche grazie ai tanti ricordi che affiorano osservando i primi ambienti dell’edificio ed il lungo corridoio sulla destra che portava al vecchio ristorante; il breve tragitto era il preludio di indimenticabili merende e cene a base di pane bruscato e olio d’oliva, tradizione delle nostre zone e uno dei simboli delle uscite in famiglia nella nostra infanzia.

    Tutti gli interni sono costituiti solo da tre materiali: pietra a vista, legno e ferro, a parte il vetro impiegato per porte e finestre.

    La curiosità nello scoprire la novità che ci riserva lo strano invito a cena, prende il sopravvento sui piacevoli ricordi e mi affretto a salire le due rampe di scale che portano al piano principale.

    «Oh, ma dove eri finito?» chiede Paolo fermatosi in cima alle scale, come il resto del gruppo.

    «Qualche ricordo mi ha trattenuto» rispondo sorridendo. «Che succede? Perché ci fermiamo qui?»

    «Un cartello ci avvisa che questa è la prima tappa della nostra serata e ci invita ad entrare. Ma solo quando siamo tutti assieme: ecco perché ti abbiamo aspettato.»

    «Il Teatrino di Norimberga!» affermo ad alta voce, mentre faccio mente locale sull’attrazione posta in questa zona.

    Un memorabile spettacolo animato creato con pupazzi di peluche di alta fattura e vestiti con piccoli abiti fatti a mano.

    Un largo sipario di velluto rosso chiude l’ingresso alla grande stanza dove, ai due lati, si trovano due scenari in movimento, l’uno ambientato in una fattoria e l’altro a bordo di un antico vascello.

    In entrambi ci sono decine e decine di pupazzi in movimento intenti, ad esempio, a sculacciarsi scherzosamente, a spingere in salita un carretto con la legna o a svolgere le quotidiane faccende da eseguire in un porto di mare e in una fattoria.

    Il risultato è un gradevole quadro di serenità e spensieratezza.

    «Non mi sembra una grossa sorpresa…ognuno di noi avrà visto queste scenette almeno un centinaio di volte» sentenzia sarcastico Paolo, cinico e razionale come sempre.

    «Cento e uno non toglierà nulla dalla tua persona» rispondo diplomaticamente, avanzando attraverso il gruppo per portarmi davanti agli altri, posizione lecita per chi è di bassa statura.

    Mi avvicino al cartello che ci invita ad entrare, per leggere meglio le righe piccole poste sotto alla scritta di benvenuto, impressa invece a caratteri cubitali.

    «Bentornati o meglio…Benvenuti nel Nuovo Teatrino!» leggo ad alta voce, per informare anche gli altri che le cose stanno diversamente da come pensiamo.

    «Deve essere stato rinnovato. Pronti?» chiedo guardando a turno le varie facce amiche che annuiscono di rimando.

    «Ok, andiamo» sono le ultime parole prima di scostare con la mano il lato del sipario, per creare il varco necessario ad entrare.

    Il buio all’interno è totale, tranne una debole luce circolare sulla parete opposta, che sembra essere anche il fondo della stanza.

    Tra una risata, una battuta e qualche affermazione di perplessità, il gruppo è entrato tutto all’interno e dopo essermi avvicinato alla luce, capisco che è un pulsante.

    «Credo che il vecchio pulsante per azionare le luci ed il teatrino, che si trovava fuori, sia stato ora spostato qui: tenetevi pronti» dico nel buio, mentre protendo la mano verso l’oggetto posizionato nel muro.

    Premo il pulsante in plastica e la stanza ai due lati s’illumina, accompagnata da un sottofondo musicale che parte.

    I nostri occhi si riempiono come tanti anni fa di decine di pupazzi, nuovi, ma anche questi di ottima fattura, con indosso altrettanti vestiti di recente creazione.

    Ci rendiamo subito conto, però, che le scene sono cambiate: i paesaggi bucolici e portuali sono stati sostituiti da qualche cosa di più ‘forte’ e la musica di sottofondo è ben diversa dalla precedente ‘Nella vecchia fattoria’.

    Le note di ‘Profondo Rosso’ avvolgono un set inquietante, dove bambole in ceramica sembrano riprodurre scene violente e paurose di tanti film horror creati dal cinema.

    Nessuno ride, nessuno parla.

    Un po’ per la sorpresa ed un po’ attratti dallo spettacolo inedito, la cui prima visione ci induce a guardare attentamente tutti i dettagli.

    Ovviamente i nostri occhi non provano paure particolari ed è l’ottima fattura delle realizzazioni a colpirci, insieme al gusto macabro di chi ha rinnovato il set.

    «Di sicuro i bambini, prossimi visitatori, ringrazieranno per gli incubi che avranno dopo…» dice sarcastico Michele, rompendo per primo il silenzio nel gruppo.

    «In effetti non lo vedo molto adatto ai più piccoli» aggiunge Cesare. «Anzi direi per nulla.»

    «A me ha fatto solo l’effetto di accrescere l’appetito…» continua Francesco, l’amico ingegnere, forse anche per ricordare agli altri il momento centrale della serata.

    «E ti pareva…ma hai ragione. Andiamo» conclude Federico ridendo, mentre si appresta ad uscire dalla stanza, seguito ad uno ad uno dagli altri.

    Mentre esco, giro distrattamente lo sguardo verso un punto del macabro set di pupazzi.

    In particolare su quello annerito che ho visto bruciare in un attimo da un potente piccolo fascio di fiamme e partito dalla bocca di un altro fantoccio barbuto:

    Non ricordo alcun film con questa scena…

    L’uomo respira profondamente, distante, racchiuso nel proprio mondo, rapito da un piano visionario.

    Tutto ha inizio… è il pensiero che lo attraversa, mentre un brivido di eccitazione scende lungo la schiena.

    Prima

    "Ho visto un posto che mi piace si chiama Mondo

    Ci cammino, lo respiro la mia vita è sempre intorno

    Più la guardo, più la canto più la incontro

    Più lei mi spinge a camminare come un gatto vagabondo…

    Ma questo è il posto che mi piace si chiama mondo…"

    Cesare Cremonini e la sua canzone ‘Mondo’ rappresentano perfettamente lo stato d’animo attuale che vivo al volante.

    Diretto al campo da calcio ed in procinto d’incontrare gli altri ‘sopravvissuti’ dello sport oltre i quarant’anni, il brano mi ricorda la bellezza della vita e le sensazioni che ogni giorno si possono provare.

    Questa situazione in particolare, quella dell’appuntamento fisso del lunedì sera per la ‘partitella’, si ripete da almeno venticinque anni, occasione faticosamente e testardamente portata avanti dal sottoscritto Luca, in veste di organizzatore, per non abbandonare una tradizione che va oltre la pura ragione sportiva.

    Caviglie sbriciolate, ginocchia massacrate, dolori alla schiena e tutto quello che l’età porta ‘simpaticamente’ con sé, non hanno interrotto la voglia di ritrovarsi a ridere e scherzare dentro uno squallido spogliatoio e di fare insieme una sana ‘sudata’.

    E’ una delle cose che fermano il tempo e che, grazie allo spirito con cui si porta avanti, riesce a mantenere gli uomini bambini dentro.

    Ed è anche una zona protetta, una bolla chiusa dove mogli, fidanzate, compagne, amanti non possono e non vogliono entrare; dove i discorsi ripetitivi su calcio, donne e ricordi assumono la connotazione ‘da bar’ più alta e libera.

    A volte sempre uguali, ma proprio per questo così piacevoli, come un vecchio cuscino dove dormiamo da anni appoggiando placidamente la nostra testa, affezionati all’oggetto sdrucito come se contenesse i nostri sogni più belli.

    «Ciao Massi, nevicherà stanotte visto che sei arrivato in orario?» dico sarcastico all’amico che incontro nel parcheggio.

    «Qualcuno ogni tanto lavora…sai com’è…» risponde con altrettanta ironia, visto l’aria che tira ultimamente nel mondo economico e la crisi dilagante che mangia lavoro e lavoratori.

    Massimiliano si avvicina con il suo sorriso fascinoso, vestito elegante come sempre: è uno del ‘vecchio gruppo’ e da sempre appassionato di calcio.

    Vicini siamo la perfetta rappresentazione dell’articolo ‘il’, io di statura modesta, lui molto alto.

    Della stessa misura invece sono le tante cose in comune: gusti letterari, cinematografici, culinari e riguardo alle bellezze femminili; la nostra affinità per le cose di piacere ci ha trovato sempre in accordo anche se, come spiegato, non ho mai avuto ‘l’onore’ di poter scambiare un indumento con lui o quelli come lui.

    Tranne in un’occasione, documentata da una foto memorabile scattata a Mykonos, in Grecia, dove nel lontano 1988, insieme ad un altro amico di vecchia data, David, ci fu uno scambio improbabile.

    L’immagine infatti ritrae il sottoscritto al centro a torso nudo, con indosso solamente un paio di jeans e ai lati i due amici con il medesimo tipo di indumento.

    La particolarità sta nel fatto che io indosso i lunghi pantaloni di David, che ha la medesima statura del ‘lungo’ Massimiliano e loro due i miei jeans, praticamente appena sotto il ginocchio…

    «Pensavo mi chiamassi oggi. Non hai ricevuto posta?» chiede Massimiliano, mentre affiancati ci dirigiamo al campo, stringendo nelle mani le rispettive borse da calcio.

    «Non sono ripassato da casa. Cosa avrei dovuto ricevere?» chiedo con sguardo interrogativo.

    «Uno strano invito. Una cena riservata a pochi intimi» continua l’amico, cingendomi con il lungo braccio le spalle.

    «Oddio, spero che non sia per questo sabato. Ho già un impegno» rispondo, subito realizzando che ho dato per scontato, forse frettolosamente, di essere anch’io tra gli invitati.

    «Veramente non è proprio un evento vicino…l’appuntamento è fissato per questa estate» chiarisce Massimiliano, alzando entrambe le sopracciglia nere, unica peluria presente dato che il cranio è completamente rasato.

    «Come? Ma siamo a Febbraio!» dico stupito, fermandomi di botto sul limitare delle ripide scale che dal parcheggio scendono verso gli spogliatoi ed il terreno di gioco.

    «E la cosa più strana è che non vengono indicati né la data né il luogo dove si svolgerà la cena, ma solo un generico ‘Avrete indicazioni a breve’.»

    «Oh ciao. Di che parlate?» chiede una nuova voce, proveniente da una direzione diversa e da un parcheggio secondario.

    «Ciao Domi. Massi m’informava sul curioso invito a cena…per la prossima estate.»

    «Ahh sì, l’ho ricevuto anch’io oggi. Pensavo fosse uno scherzo, magari di Federico, vista la nostra lunga sfida goliardica.»

    Domenico, detto ‘Domi’ è un altro componente del gruppo, uno di quelli che come si dice ‘se non ci fosse, si dovrebbe per forza inventare’. Fitti capelli neri, destinati con nostra invidia a rimanere anche per il futuro tanti e di tale colore, è la quintessenza della simpatia, dipinta sul sorriso ingenuo che ogni volta apre le labbra sui denti bianchissimi.

    A dispetto del suo volto scuro, reso ancora più tenebroso dalle folte sopracciglia, parti che spesso necessitano di ‘potatura’ per evitare che i due archi di peluria si uniscano al centro, è una delle persone più solari ed allegre che si conoscano.

    La sfida di cui parla, invece, introduce un altro amico, Federico: negli anni si trascina una gara tra i due a suon di scherzi, spesso pesanti, forse a sperare che l’altro molli sfinito e si arrenda.

    Per ora prosegue con fantasiose trovate, come la volta in cui Federico sbriciolò un intero filone di pane all’interno dell’auto di Domenico che, nel frattempo ignaro di tutto, chiacchierava allegramente con noi a pochi passi.

    Speriamo almeno che i due non si coalizzino mai contro di noi…se succedesse, bisognerebbe cambiare città per rimanere ‘vivi’.

    «Non sembra uno scherzo. E comunque vediamo se anche gli altri l’hanno ricevuto» conclude Massimiliano, riprendendo la discesa verso la fine delle scale.

    Il campo da calcio che si estende davanti a noi è una distesa verde luccicante. Alla luce artificiale dei riflettori, infatti, l’erba sintetica bagnata dalla pioggia caduta nel pomeriggio, brilla vistosamente.

    Certo, manca il caratteristico profumo del prato, ma non ci lamentiamo… penso osservando il ‘finto’ manto erboso.

    Ormai è consuetudine che i vari campi da gioco presentino un fondo sintetico, molto più comodo e moderno dei vecchi fondi sterrati, dove la nostra pelle ha trovato spesso una seconda casa nelle cadute in gioventù.

    L’erba vera sarebbe troppo costosa da mantenere e il compromesso rimane questo fondo artificiale, bello agli occhi, ma senza profumi, come la maggior parte delle cose che ormai ci circondano.

    Appena varcata la porta dello spogliatoio veniamo investiti dal consueto mix che aleggia nell’aria all’interno: le fragranze profumate dei bagnoschiuma, l’odore acre del sudore, il manto avvolgente di umidità che proviene dalle docce, tutto si mischia in un’unica essenza, quella comune a tutte le serate sportive.

    «Matteo, anche tu hai ricevuto questo invito?» chiedo mentre comincio a sostituire i vari indumenti che indosso, con quelli da calcio.

    «Ciao Luca, sì. O meglio mi hanno detto da casa che è arrivata per posta una cosa di questo tipo.»

    I discorsi stasera non si spostano da questo argomento, mentre ci prepariamo per la partita.

    E di fronte ad un tema interessante o quantomeno curioso, viene a galla il vero interesse per il lunedì sera: la chiacchierata nello spogliatoio prima della partita e sotto la doccia alla fine della stessa.

    «Muovetevi a cambiarvi, altrimenti non iniziamo mai» dico deciso e con tono pressante, mentre mi dirigo verso il campo da gioco, intuendo le intenzioni pericolose di qualche sfaticato tra di noi che preferirebbe rimanere nello spogliatoio seduto al caldo a parlare, piuttosto che correre fuori nel freddo pungente.

    Prima

    L’uomo osserva soddisfatto lo svolgersi dei lavori, respirando l’aria mite del mese di ottobre.

    Tutto dovrà essere finito entro la prossima primavera. L’evento è previsto per l’estate successiva e non ci saranno ritardi pensa socchiudendo gli occhi, come per immaginare le scene future.

    I lavori iniziati nel precedente mese di settembre, procedono con velocità incredibile e i notevoli progressi danno ampie possibilità di riuscita del suo piano, anche vista l’immensa disponibilità economica alle sue spalle.

    Cammina tra i vialetti alberati, osservando i tanti fiori di colchico che formano macchie violette, con i loro colori vivaci; piccole ombre guizzano veloci: sono gli scoiattoli che si arrampicano sugli alberi.

    Dettagli armoniosi che non lo interessano, come non desidera il contatto con altri individui.

    Anzi, si tiene lontano dalle persone che alacremente lavorano nelle varie zone, attento a non farsi vedere da vicino. Il suo anonimato deve rimanere tale, il progetto è per lui troppo importante.

    La felpa che indossa, con il cappuccio alzato, lo aiuta a nascondere il viso.

    L’uomo si ferma davanti alla piccola costruzione colorata, un teatrino di marionette, un allegro spettacolo per bambini, una delle tante attrazioni all’interno del luogo dove si trova.

    Osserva la struttura piegando la testa di lato, come a soppesare ciò che vede con gli occhi di un altro, con lo sguardo inconsapevole di un ignaro visitatore.

    Molto bello…da bambino non avrei potuto vedere spettacolo migliore pensa sorridendo.

    Ma il fine della piccola costruzione non è il divertimento: si sposta di lato e, con lo strumento elettronico che stringe nella mano, aziona a distanza un meccanismo.

    Le marionette si mettono in moto, inquietanti volti con gli occhi sgranati che ballano legnosi sul piccolo palco che le contiene.

    Una figura più grande si fa strada, piano, piano tra di loro, con una lunga barba nera ad incorniciare il viso di ceramica.

    L’imponente pupazzo comincia a cantare con voce profonda, fino ad emettere una nota prolungata, con la bocca aperta e rivolto verso gli ipotetici spettatori.

    Ed in quel momento una luce esplode nel teatrino: un letale fascio di fiamme si sprigiona dalla bocca aperta del pupazzo barbuto e riempie con un cono incandescente l’intero spazio di fronte al piccolo palco.

    L’uomo sorride tornando, ora al sicuro, nella posizione originaria, appena davanti alla piccola struttura colorata.

    Bene. Nulla di quello che si troverà qui verrà risparmiato. E’ incredibile pensare che un qualcosa nato per divertire, abbia in realtà un fine così differente… conclude soddisfatto, guardandosi intorno con un giro su se stesso.

    Poi alza la testa verso l’alto, in direzione del sole che brilla nel cielo limpido.

    Ecco, questo elemento invece è di disturbo… pensa tornando improvvisamente serio, senza espressione sul volto.

    Si tranquillizza sapendo che nel giorno scelto e all’ora prestabilita non ci saranno né sole né luce, né turisti né lavoratori, ma solo un gruppo di amici immersi nel buio, dentro tenebre colorate di nero…con qualche punta di rosso sangue.

    Prima

    «Proprio non capisco il senso di questo invito. Questa sorpresa non ha una logica razionale» sentenzia Matteo, come al solito molto diretto e pragmatico.

    «Una sorpresa per essere riuscita non deve avere una logica razionale…» rispondo all’amico seduto di fianco a me.

    «Be’ in effetti non ha tutti i torti: siamo a fine marzo e nessuna indicazione ulteriore su questa famosa cena. E’ passato più di un mese da quando è arrivato l’invito per posta» aggiunge Michele, sorseggiando il fresco prosecco nel suo bicchiere.

    «Già. Ed io non andrò di certo ad una cena dove non so nemmeno chi mi ha invitato…» conclude stizzito Matteo, mentre agguanta nervosamente gli snack che completano l’aperitivo.

    Un tranquillo sabato mattina, prima dell’ora di pranzo, è il momento ideale per un ritrovo veloce, seduti intorno ad un tavolino a sorseggiare del vino frizzante.

    Un rapido giro di sms e chi non ha impegni si presenta, pronto a cazzeggiare per qualche decina di minuti.

    Il gruppo per l’aperitivo non è mai troppo numeroso e varia di continuo: turni di lavoro, impegni familiari, commissioni del fine settimana, sono sempre in agguato; imprevisti pronti a ricordare che i ritmi che hanno scandito gli anni lavorativi dei nostri padri, sono solo un lontano ricordo.

    ‘Tempi morti’, due parole che unite insieme erano cariche di significato e che, nello spazio che le divide, racchiudevano tanti momenti di felicità da passare con gli amici o i propri cari.

    ‘Tempi morti’ erano le chiacchierate al bar, i circoli ricreativi del dopolavoro, le passeggiate in centro prima di cena, i periodi dell’anno senza particolari scadenze o obiettivi: tanti spazi a disposizione delle persone ormai giudicati esagerati, improduttivi e, come tali, eliminati dalle nostre abitudini, in nome della più remunerativa flessibilità nel mondo del lavoro.

    Ora non esiste nulla di certo e le occasioni per incontrarsi sposano perfettamente il senso della definizione ‘Last Minute’, che quasi mai, calato nelle nostre vite, è sinonimo di buone occasioni, ma più propriamente di occasioni perse.

    Mentre respiro l’aria profumata dall’erba appena tagliata, una delle tante essenze che riempie la primavera, torno a guardare i miei amici.

    «Ok, ma che palle! Quante volte ci siamo imbucati da clandestini a feste private senza sapere nemmeno chi era il festeggiato? Ora siamo noi gli invitati d’onore: sapremo, prima o poi, chi ha organizzato l’evento…» dico un po’ esasperato, ritenendo esagerata la reazione dell’amico.

    Matteo il nostro amico dentista. Uno stimato professionista per la società, un calcolatore elettronico per gli amici intimi.

    Non esiste definizione, nozione sportiva o di carattere generale che non lambisca la sua conoscenza.

    Ed inevitabilmente lui vigila sui nostri discorsi: viviamo scherzosamente con il terrore di parlare delle varie cose dicendo inesattezze, prontamente smussate dalla scure di Matteo, che cala su di noi a sottolineare in modo tagliente la nostra approssimazione.

    Di contro, siamo onorati di essere amici di una persona sempre corretta, di un amico generoso e sempre pronto a fare ‘mattate’, caratteristica celata dietro la sua aria da ‘insospettabile’.

    Come quella volta, tanti anni fa, dove poco prima di mezzanotte vagavamo in macchina per Perugia, alla disperata ricerca di un tabaccaio aperto per il suo rifornimento di sigarette:

    «Possibile che non ci sia rimasto un tabacchi aperto?» grugnì Matteo al volante.

    «Sembra così…sicuramente io un posto lo conosco dove non trovi chiuso» rispose Massimiliano fingendosi preoccupato, ma in realtà molto felice vista la sua avversione per le sigarette, o meglio per il loro cattivo odore.

    «E dove? Dimmelo subito!»

    «Alla stazione Termini di Roma» aggiunse beffardo Massimiliano, alla cui battuta fece seguito la risata degli altri due amici in macchina.

    «…Ok andiamo…» fu il tranquillo commento di Matteo, appena prima di imboccare la superstrada, direzione Roma.

    Un attimo di eccessiva ilarità dei tre amici fu il prezzo di un lungo viaggio nella notte: alle una e mezza erano alla stazione Termini ad acquistare le sigarette per il quarto componente del piccolo gruppo, Matteo…

    «Va bene, vedremo» risponde rassegnato l’amico dentista, finendo di sorseggiare il liquido nel suo bicchiere.

    Testardo nelle sue convinzioni, ma infinitamente corretto e disponibile. La sua stazza corpulenta è come un grande pozzo colmo del

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