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Stanza 91
Stanza 91
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Stanza 91

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About this ebook

Dopo tanti anni trascorsi in Marina, passati a fare il mestiere più bello del mondo, per farlo mi pagavano pure, agli inizi degli anni '90 sono finito al Ministero. Da quel momento, per una serie di circostanze, non tutte imputabili alla Marina, ho solo desiderato raggiungere in fretta il giorno della pensione.
La trama del libro è costituita da due storie assolutamente indipendenti, che si intrecciano continuamente, fino a divenire una storia sola, con un unico protagonista. La prima può essere definita "professionale". E' la descrizione un po’ romanzata, comunque sostanzialmente vera, di parte di quello che mi è successo negli ultimi anni di servizio, dall'incontro con il Capo, al racconto delle varie promesse mai rispettate.
La seconda può essere denominata "familiare". Quando ero a capo della parte logistica di Palazzo Marina, un giorno venne da me un collega chiedendomi un favore. Nel suo ufficio aveva necessità di un divano ed un armadio. La moglie l'aveva cacciato di casa e la sistemazione che aveva trovato non sarebbe stata disponibile prima di sette/otto giorni. Fino ad allora aveva necessità di vivere in ufficio. La vera difficoltà fu convincere il maresciallo della stazione interna dei carabinieri a modificare la ronda notturna effettuata dal suo personale. Fortunatamente il maresciallo era una brava persona.
Nei mesi successivi il collega è tornato più volte nel mio ufficio per ringraziarmi e prendere un caffè insieme. Ogni volta mi raccontava un pezzo della sua vicenda. Come in un puzzle, ho collegato fra loro i vari frammenti, ho aggiunto un po' di fantasia là dove mancava la tessera giusta ed ho completato il quadro.
Nel romanzo ho immaginato che Guido, il protagonista, abbia avuto i problemi professionali dell’autore mentre era già oppresso da quelli familiari raccontatimi dal collega.
Ho una grande paura. I fatti che hanno ispirato il racconto sono troppo recenti, potrei non essere riuscito a trattare l'argomento con sufficiente distacco e la residua emozione potrebbe essersi rivelata una pietra d'inciampo.
LanguageItaliano
Release dateMay 5, 2014
ISBN9786050302028
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    Stanza 91 - Antonio Bartolini

    dell’autore

    P R E F A Z I O N E

    È la parte più difficile del libro, sicuramente quella che più deve essere meditata. Due o tre pagine per giustificare il tempo perso a raccontare quelle che qualcuno potrebbe definire "fesserie" e spiegare perché è stato dato un certo orientamento al racconto.

    Ho usato la fantasia, ma non troppo, non è stato necessario. Spesso la realtà ha superato l’immaginazione, allora è stato sufficiente esporre i fatti. Ho raccontato una storia abbastanza vera, appena un po’ esagerata, ma con un piccolo se pur sostanziale inganno. Le vicende reali erano più di una, accadute a persone diverse, in tempi diversi, anche se con qualcosa in comune. Tutte erano state originate dalle decisioni prese nello stesso luogo, la stanza 91.

    Nel racconto, le disgrazie non sono distribuite su più soggetti, ricadono tutte su Guido.

    Il protagonista ha le spalle robuste. Con un sorriso ed un bicchiere di calvados in mano si risolleva dopo ogni caduta. Ha capito che, per non sprofondare, deve reagire. Non sempre la reazione è ottimale, ma c’è. Il solo fatto di esserci gli impedisce di cadere ancora più giù e raggiungere il fondo del precipizio.

    Guido è troppo bravo, questa è la vera concessione alla fantasia. Con quello che gli capita, una persona normale sarebbe sicuramente caduta in depressione.

    Alcune delle cose che racconterò, proprio perché ho affermato di dire molte verità, potrebbero dare l’impressione di un dente avvelenato nei confronti dell’organizzazione di cui ho fatto parte per quarant’anni. Non è così. Forse non sono mai stato perdutamente innamorato della Marina, ma ho sempre avuto un comportamento perfettamente in linea con le parole che tante volte ho letto mentre attraversavo il piazzale dell’Accademia Navale, sotto la torre dell’orologio: "Patria e Onore. Ci ho creduto, la parola onore è stata la mia preferita. Rappresenta la perfetta sintesi di un concetto caleidoscopico. Racchiude in sé tanti significati: dignità, moralità, onestà, correttezza, sincerità, lealtà, integrità e altro ancora. Tutte espressioni che hanno un’accezione assolutamente positiva. Non potrei mai provare rancore verso la Marina ma, lo confesso, talvolta ho provato rabbia nei confronti di quei marinai" che hanno distorto la parola onore adattandola alle loro esigenze ed ai loro progetti.

    Vorrei dedicare questo libro ad un grandissimo amico, che non è più con noi. Sarà l’unico personaggio che chiamerò con il suo vero nome, Renzo. Tutti gli altri avranno nomi di comodo, per meglio dire, quasi di fantasia. Renzo, lui sì, ha avuto un solo vero grande amore, la Marina ed i sommergibili.

    Quando si è sentito tradito dalla sua amante, prima l’amore si è  trasformato in rabbia, poi si è lasciato andare, si è intristito, incupito, è fuggito da tutto e da tutti, anche dalla moglie. Ha cercato consolazione fra le braccia di una compagna e questa è morta per un male incurabile. Ha incontrato una seconda compagna, anche lei è morta, in un incidente stradale. Ormai in pieno conflitto con la parola amore e con il mondo intero, è andato a morire a "Praia de Itaoca", una ridente cittadina del Brasile sulle rive dell’Atlantico. Per sua volontà, là è sepolto.

    Con questa dedica vorrei alleviare un po’ quella colpa che continuo a sentirmi addosso. Renzo non ha mai chiesto l’aiuto di alcuno, neppure il mio, ma un amico che si rende conto di quanto l’altro stia soffrendo, deve fare qualcosa. Deve almeno porgere una spalla su cui piangere. Qualcosa ho provato a fare, ma in maniera impacciata e poco incisiva. La sua intollerabile dignità gli ha impedito di accettare la mano che gli tendevo. Avrei potuto e dovuto insistere.

    Aveva avuto un problema, gli avevo fatto un favore che, fino a quando è rimasto in Italia, non era riuscito a contraccambiare. Avevo provato a spiegargli che volevo vederlo e stare con lui solo perché eravamo amici. Volevo parlare delle tante esperienze, dei ricordi che ci accumunavano. La restituzione del favore non era la mia priorità, ma non sono stato convincente. Lui non voleva incontrarmi senza niente in mano. Stupidamente, si vergognava. Aveva trasformato quella cortesia non ripagata in una muraglia insormontabile. Ora è troppo tardi, non posso deporre neppure un fiore sulla sua tomba.

    Capitolo 1

    Avevamo lasciato Guido a San Paolo, in una stanza d’albergo. Un po’ per l’alcool, un po’ per la rabbia, si stava piangendo addosso. Non aveva incontrato chi sperava di incontrare e non riusciva a pensare ad altro. Eppure, se anche l’avesse incontrata, niente sarebbe cambiato. Erano passati sedici anni, lei avrebbe avuto una sua famiglia, lui era impegnato. Davvero una magra consolazione. Sarebbe stato proprio bello rivederla [1].

    Nei mesi seguenti era successo di tutto. Gli eventi avevano subito una accelerazione che aveva stravolto la sua vita. In un anno, poco più, tutto era cambiato, difficile dire se in meglio o in peggio. Semplicemente, niente era più come prima.

    Poco dopo il ritorno dal Brasile, si era allontanato dalla fidanzata. Entrambi avevano capito che la loro storia non poteva avere un futuro e, dopo tanti anni, si erano lasciati per un comune disaccordo. Se ne era andato da Livorno e, nonostante le sue proteste, era stato trasferito a Roma. Lì aveva conosciuto una ragazza, dopo meno di sei mesi erano marito e moglie.

    Era stato un periodo molto intenso, su cui tanto ci sarebbe da dire, ma non è il momento giusto per farlo. Molto meglio saltare agli ultimi anni di servizio, quelli che avevano preceduto il pensionamento. Era un periodo recente, i ricordi erano vivi e precisi, non ancora nebulosi e sfumati dal tempo. Erano così vivi che Guido non aveva ancora completamente metabolizzato quanto gli era successo. Era stato un periodo particolare, che lo aveva segnato in maniera indelebile e lo aveva fatto riflettere sulle scelte di tutta una vita. Il pensiero di quanto accaduto ancora lo accompagnava.

    Quasi sempre Guido riusciva a controllare, almeno esteriormente, la propria emotività, per carattere, abitudine ed addestramento. Ma non era un mostro, in certe situazioni l’adrenalina vinceva e doveva soccombere all’emozione. Erano momenti che sfuggivano alla sua volontà, ma erano gli unici che valevano un pensiero, un ricordo, una pagina. Nel bene e nel male rappresentavano la vita vera. Tutto il resto era invece dimenticabile. Gli ultimi anni di servizio avevano lasciato cicatrici profonde proprio perché si erano sottratti al suo controllo.

    Allora, Guido, quando si riunisce la Commissione?

    Nei prossimi giorni.

    Cosa vuol dire nei prossimi giorni, domani, dopodomani, fra una settimana?

    Non so, nei prossimi giorni.

    Come non sai! È in ballo il tuo futuro, il nostro avvenire e tu non lo sai. Domani sento Marta, scommetto che suo marito è informatissimo. Possibile non ti interessi sapere se e quando la Commissione si riunirà per decidere quando diverrai ammiraglio?

    Te l’ho già detto tante volte, te lo ripeto ancora. Perché devo intristirmi pensando di continuo ad un evento negativo. Voglio vivere tranquillo questi ultimi giorni di serena ignoranza. Quando conoscerò l’esito avrò i miei buoni motivi per incavolarmi. I giochi sono fatti. La Commissione deve solo ratificare quello che è già stato deciso. Al 99% non sarò mai promosso ammiraglio. Quasi a presa in giro, in base ad una certa legge, mi promuoveranno il giorno prima di lasciare il servizio, o quello dopo, non ricordo bene. A torto, più probabilmente a ragione, tanti colleghi sono considerati più bravi di me. Dovrei essere uno dei primi fra coloro che non saranno promossi. Solitamente i primi esclusi sono inviati presso destinazioni estere, sempre ben remunerate.

    Quando parli così mi fai imbestialire. Come puoi dire che rimarrai Capitano di Vascello fino alla pensione? Per quanto possa conoscerli io, il livello di coloro che ti sono vicini in graduatoria non è certo migliore del tuo.

    Ma neppure io sono migliore di loro.

    Allora perché non dovrebbero preferire te. Il marito di Marta dà già per certa la sua promozione.

    Evidentemente è più bravo. Non so cosa dirti. La mia promozione ha le stesse possibilità di un miracolo a Lourdes. Potrebbe anche accadere, ma è più saggio non farci conto.

    Invece io ci penso, ci conto. Ti ho seguito. Ho fatto sacrifici con te e per te, ti ho sempre sostenuto. Adesso voglio questa soddisfazione.

    Credo sia un errore usare il verbo volere.

    Allora lo sostituisco con pretendo. Cosa ha più di te il marito di Marta?

    Attualmente ricopre un incarico di quelli che preludono ad una successiva promozione, il mio invece no. Il grado di ammiraglio gli era già stato promesso. Prima di partire per l’ultimo comando ha ricevuto, come tutti i futuri comandanti, gli auguri del Capo di Stato Maggiore. Fosse riuscito a risolvere certi problemi nella destinazione ove stava andando, poteva considerarsi ammiraglio. È stato bravo, ha risolto e ora riceve il premio.

    Come fai a sapere queste cose? Le indiscrezioni non sono mai state il tuo forte.

    È semplice, dopo l’incontro con il grande Capo, l’interessato ha condiviso quello che gli era stato detto con tutti quelli che conosceva e con altri ancora. Si sentiva ammiraglio prima ancora di partire per il comando, è venuto nel mio ufficio e mi ha raccontato tutto. Adesso basta, sono stufo di parlare sempre dello stesso argomento. Rassegnati, per me non c’è speranza!

    Eppure sento che non sarà così. Mio nonno era generale, mio padre è generale e tu sarai ammiraglio.

    Sì, sarò ammiraglio come è generale tuo padre, di serie b. Generale o ammiraglio, promosso il giorno prima del pensionamento. Uno che non ricoprirà mai e funzioni del suo grado, un riconoscimento inutile dal punto di vista onorifico ed economico.

    Nella foga aveva colpito suo padre, il suocero, persona bravissima, ma la battutaccia gli era scappata.

    Ce l’hai con mio padre, cosa ti ha fatto? Lo stai insultando. Dici che è buono a poco, proprio come lo sei tu.

    Non voglio litigare, ma non sopporto la tua ossessione per la mia carriera. Non avevo alcuna intenzione di offendere tuo padre. Con lui vado d’accordissimo. In questi ultimi tempi, mi intendo più con lui che con te. È più realista, sa come funzionano certi meccanismi.

    Quando ti ho conosciuto eri giovanile, in forma, ricco di idee e di iniziativa, pieno di speranza. Eri attraente. Ero fiera di te. Quando ho visto in televisione la nave che comandavi affiancata all’Agip Abruzzo in fiamme, mi sono resa conto che nel tuo lavoro correvi rischi veramente seri, ma al telefono sentivo la tua voce calma, tranquilla. Mi rasserenava e mi inorgogliva. La cosa si è ripetuta altre volte, adesso invece. Sono passati più o meno dieci anni, sei diventato grasso, stanco, privo di entusiasmo. Se non sei capace di mettere i gradi da ammiraglio, che ci stai a fare, puoi anche togliere il disturbo.

    Non ho alcuna intenzione di spararmi un colpo in testa, se questo è il tuo suggerimento. Ne abbiamo già parlato tante volte. Non è una scusa, lo sai. Roma è stata la mia rovina. Ho fatto di tutto per non venirci, ma non c’è stato niente da fare. Fino a quando sono rimasto a Livorno, a Spezia, avevo un po’ di tempo per me. Tutti i giorni potevo fare un po’ di sport, muovermi. Adesso passo due o tre ore al giorno per gli spostamenti e un’infinità di tempo in ufficio. A Roma non è importante svolgere bene il proprio lavoro, è prioritario fare atto di presenza, esserci, farsi vedere dai superiori, non si sa bene per cosa. Il resto del tempo lo dedico tutto alla famiglia. È vero, mangio troppo, è fame nervosa? Non so. Probabilmente il cibo è una sorta di valvola di sfogo. Può essere. Sai benissimo che, a volte, per due o tre giorni non sono riuscito a vedere Matteo. La mattina partivo quando ancora dormiva, la sera tornavo ed era già a letto da un’oretta. Non devi rinfacciarmi i sacrifici che hai fatto per me e per la famiglia. È vero, li hai fatti, ma nessuno dei due ha pensato a divertirsi. Tu prepari la colazione, porti di corsa il figlio al nido, all’asilo, a scuola. Per quattro, cinque ore tenti inutilmente di insegnare qualcosa a dei teppistelli, poi pranzo, ritiro del figlio, sistemazione della casa e per finire la cena. Dopo un giorno di attesa, aspetti solo un po’ di compagnia dal marito. Non è una vita esaltante, è la vita di due individui che lavorano e portano avanti una famiglia, anche questa è colpa mia?

    Sì, quando arrivi, dovresti occuparti più di me.

    È vero, non ho voglia di uscire, sono un pantofolaio, ma quando torno alle otto e mezzo, nove di sera, cosa dovrei fare? A quell’ora sono sfatto.

    Allora ti sfoghi mangiando.

    Può darsi.

    Non ti sopporto più, se non divieni neppure ammiraglio, ti saluto. Ho sacrificato tutto per te, per aiutarti ad arrivare. Se sei così scarso da non farcela, addio.

    Adesso siamo troppo alterati, rischiamo di dire cose di cui poi potremmo pentirci. Dormiamoci sopra, diamoci una calmata, domani cercherò di avere qualche notizia di questa benedetta Commissione.

    Domani vado al circolo, parlo con le mie amiche e vedrai che quando torno ne saprò più di te.

    Ne sono certo. Il pettegolezzo va troppo veloce per potergli stare dietro. Poi lo sai cosa si dice in Marina: la moglie ha sempre un grado più del marito. Sei già Ammiragliessa, è logico tu ne sappia più di me.

    Devo ridere? È uno spirito del cavolo. Se vuoi esasperarmi ancora di più, continua così: sposata con un buono a nulla che ha pure il coraggio di prendere in giro la moglie.

    Adesso mi hai stufato. Cosa vuoi? Non ho mai detto che sarei divenuto ammiraglio. Personalmente non l‘ho mai ritenuto possibile, forse in qualche momento, solo per qualche attimo. Un paio di volte ci ho sperato. Ci ho fatto un pensierino dopo l’encomio ricevuto per l’intervento a Livorno, a seguito dell’incidente al Moby Prince. Ho provato a fantasticarlo anche quando l’allora neo promosso ammiraglio Catenacci, fino a qualche mese prima mio diretto superiore, venne a trovarmi in un tardo pomeriggio d’inverno. Fu un saluto assolutamente affettuoso, per niente formale. Mi abbracciò esclamando: Sono stato promosso, questi gradi da capitano di vascello non servono più. Li ho portati a lei che, fra qualche settimana potrà indossarli. Spero, anzi sono sicuro, per poco, molto poco, fino al prossimo passaggio di grado. Poi, se vuole, potrà a sua volta regalarli a qualche ufficiale che ha lavorato con lei, con cui si è trovato bene, come è capitato a me. Quante lodi! Non ne avevo mai ricevute tante. Quello che è successo dopo mi ha riportato alla realtà. Le parole, belle o brutte che siano, sincere o infarcite di ipocrisia, volano. Rimane quello che si scrive, ma scrivere comporta un minimo di impegno. È più semplice copiare quello che il predecessore ha già scritto. Se poi il predecessore la pensa in altro modo e si finisce per scrivere cose diverse da

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